Versioni di Tibullo (superiori)
Albio Tibullo (I secolo a.C.)[modifica]
Albio Tibullo è stato un poeta romano del I secolo a.C., tra i maggiori esponenti dell'elegia erotica.
Cronologia della Vita[modifica]
- Tra 55-50 a.C.: Nasce a Gabii o Pedum.
- 22 a.C. circa: Fece parte del circolo di Marco Valerio Messalla Corvino, che seguì in una spedizione militare in Aquitania e in Siria.
- 26 o nel 25 a.C.: Pubblicato il primo libro del Corpus Tibullianum.
- 19 a.C.: Muore a Roma.
Le Opere[modifica]
Corpus Tibullianum[modifica]
A Tibullo sono attribuiti due libri di elegie, per un totale di 1.238 versi (619 distici elegiaci).
Libro I[modifica]
Il primo libro, pubblicato probabilmente nel 26 o nel 25 a.C., contiene 9 elegie di varia estensione, i cui temi principali sono l'amore per Delia e per Marato, il rifiuto della guerra e della violenza. La prima elegia è programmatica, una sorta di presentazione e di manifesto della poetica e della personalità di Tibullo. Rivolgendosi a Messalla, introduce alla tematica dell'amore per Delia, l'amore per la vita in campagna e per la pace. La seconda elegia, un paraklaysíthyron, svolge uno dei temi tipici della poesia erotica. Davanti alla porta chiusa di Delia si svolge il canto del poeta, una sorta di serenata. Nella I 3, Tibullo malato è costretto ad abbandonare Messalla, in viaggio verso l'Egeo. In un'ansia di morte, Tibullo ripensa alle ultime ore passate con Delia a Roma, immagina lei rimasta sola che prega per lui. In uno dei pochi excursus mitologici della sua opera, Tibullo illustra i miti dell'età dell'oro. Nella I 4 viene introdotto il tema dell'amore omosessuale per Marato: Tibullo, dopo aver chiesto consiglio ad una statua del dio Priapo, viene istruito sull'arte di sedurre i giovinetti. Ancora un paraklaysíthyron è la I 5, in cui Delia, lasciato Tibullo, ha un amante più vecchio e più ricco. Con la I 5 si chiude il "romanzo di Delia": la donna tradisce il marito con Tibullo, che qui fornisce una sorta di precettistica dell'infedeltà. In onore di Messalla, in occasione del suo compleanno è la I 6, mentre la 7 è un'esortazione alla giovane Foloe a ricambiare le attenzioni di Marato, che ritorna nella 8 quando tradisce Tibullo con un amante più ricco, provocando un'invettiva contro i due, sul modello della poesia giambica callimachea. Infine nella I 9 Tibullo, richiamato sotto le armi, maledice la guerra ed elogia la vita in campagna e l'amore.
Libro II[modifica]
Il secondo libro contiene 6 elegie, in cui la donna cantata non è più Delia, bensì Nemesi, ancora più crudele nei confronti del poeta. Il componimento iniziale è dedicato alla festa degli Ambarvalia mentre, in II 2, il poeta si rivolge all'amico Cornuto in occasione del suo compleanno. In II 3, fa la sua comparsa Nemesi, che si trova con un amante nella casa di campagna di lui, mentre Tibullo dà sfogo alla sofferenza data dalla gelosia, che riprende in II 4, dove si svolge il tema della "servitù d'amore": Tibullo è succube di Nemesi, ed è disposto a tutto per soddisfarne le richieste. Ancora legate all'ambiente degli amici sono II ̩5, elegia dedicata a Messalino, figlio di Messalla, in occasione della sua investitura sacerdotale e II 6, in cui, in occasione della partenza per una campagna militare dell'amico Macro, Tibullo, riluttante, è disposto ad accompagnarlo, pur di dimenticare la crudele Nemesi. Nella speranza che l'amata diventi più tenera verso di lui, Tibullo rievoca l'immagine della sorellina di lei, morta cadendo da una finestra.
Libro III[modifica]
A Tibullo sono attribuiti anche alcuni componimenti del terzo libro del Corpus Tibullianum.
Versioni[modifica]
Versioni del Corpus Tibullianum[modifica]
Versione 1: (OOo) Elegiae. L'amore per la pace (I, 10)[modifica]
Genere: elegie / Tema: amoroso / Varietà linguistica: latino classico .
Questa elegia fu composta da Tibullo probabilmente attorno al 29 a.C., dopo il suo ritorno da Corfù, dove a causa di una malattia si era conclusa la sua partecipazione alla campagna militare in Oriente al seguito di Messalla. Il carme che apre il libro e la raccolta ha un valore programmatico e racchiude tutti i temi cari a Tibullo e all’elegia latina: il poeta affronta il problema topico della scelta di vita, contrapponendo la propria esistenza ‘povera’ (cioè semplice e modesta), politicamente disimpegnata e confortata dall’amore, alla vita militare, che egli rifiuta in quanto sì apportatrice di ricchezze, ma inconciliabile con l’amore e con la tranquillità, esprimendo il desiderio di vivere serenamente nella pace agreste, venerando gli Dei dei campi e godendo il dolce amore di Delia prima del sopraggiungere della vecchiaia e della morte.
Quis fuit, horrendos primus qui protulit enses?
Quam ferus et vere ferreus ille fuit!
Tum caedes hominum generi, tum proelia nata,
Tum brevior dirae mortis aperta via est.
An nihil ille miser meruit, nos ad mala nostra 5
Vertimus, in saevas quod dedit ille feras?
Divitis hoc vitium est auri, nec bella fuerunt,
Faginus astabat cum scyphus ante dapes.
Non arces, non vallus erat, somnumque petebat
Securus varias dux gregis inter oves. 10
Tunc mihi vita foret, Valgi, nec tristia nossem
Arma nec audissem corde micante tubam.
Nunc ad bella trahor, et iam quis forsitan hostis
Haesura in nostro tela gerit latere.
Sed patrii servate Lares: aluistis et idem, 15
Cursarem vestros cum tener ante pedes.
Neu pudeat prisco vos esse e stipite factos:
Sic veteris sedes incoluistis avi.
Tunc melius tenuere fidem, cum paupere cultu
Stabat in exigua ligneus aede deus. 20
Hic placatus erat, seu quis libaverat uvam
Seu dederat sanctae spicea serta comae:
Atque aliquis voti compos liba ipse ferebat
Postque comes purum filia parva favum.
At nobis aerata, Lares, depellite tela, 25
Hostiaque e plena rustica porcus hara.
Hanc pura cum veste sequar myrtoque canistra
Vincta geram, myrto vinctus et ispe caput.
Sic placeam vobis: alius sit fortis in armis,
Sternat et adversos Marte favente duces, 30
Ut mihi potanti possit sua dicere facta
Miles et in mensa pingere castra mero.
Quis furor est atram bellis accersere Mortem?
Imminet et tacito clam venit illa pede.
Non seges est infra, non vinea culta, sed audax 35
Cerberus et Stygiae navita turpis aquae:
Illic peresisque genis ustoque capillo
Errat ad obscuros pallida turba lacus.
Quin potius laudandus hic est quem prole parata
Occupat in parva pigra senecta casa! 40
Ipse suas sectatur oves, at filius agnos,
Et calidam fesso comparat uxor aquam.
Sic ego sim, liceatque caput candescere canis
Temporis et prisci facta referre senem.
Interea Pax arva colat. Pax candida primum 45
Duxit araturos sub iuga curva boves:
Pax aluit vites et sucos condidit uvae,
Funderet ut nato testa paterna merum:
Pace bidens vomerque nitent, at tristia duri
Militis in tenebris occupat arma situs. 50
At nobis, Pax alma, veni spicamque teneto,
Profluat et promis candidus ante sinus.
Chi fu colui, che per primo inventò le terribili armi?
Quanto malvagio e feroce quello fu!
Allora nacquero le stragi a danno del genere umano, allora sorsero le guerre,
allora venne aperta una via più breve alla terribile morte.
Eppure quell'infelice non ebbe alcuna colpa, noi abbiamo volto a nostro danno quello, 5
che egli ci aveva dato contro le bestie feroci.
Questo è colpa del ricco oro, e non vi furono guerre
finché una tazza di legno di faggio era posta davanti ai banchetti.
Non vi erano fortezze, non bastioni,
e il pastore si addormentava senza preoccupazione tra pecore di vari colori. 10
Dolce sarebbe stata allora per me la vita, Valgio, e non avrei conosciuto
le funeste armi, né avrei udito la tromba con il cuore palpitante.
Ora sono trascinato a forza a combattere, e già forse qualche nemico
produce dei dardi destinati a configgersi nel mio corpo.
Ma patri Lari proteggetemi e salvatemi: voi stessi mi avete allevato, 15
quando ancora bambino correvo qua e là.
E non abbiate vergogna di essere fatti di antico legno:
così voi abitaste le sedi dell'antico avo.
Allora con più sincerità (gli uomini) mantenevano la parola data, quando con scarso ornamento
il dio stava in una modesta nicchietta. 20
Questo era soddisfatto, sia che qualcuno avesse fatto libagioni con uva
sia che qualcuno avesse offerto una corona di spighe alla santa chioma:
e colui che è padrone di qualcosa offriva delle focacce
dietro di lui come compagna la piccola figlia offriva un favo intatto.
Tenete lontano da noi, Lari, i dardi di bronzo 25
e avrete come rustica vittima una scrofa del mio porcile pieno.
Io stesso col capo cinto di mirto accompagni questa con una veste disadorna
e porti canestri ornati di mirto.
Così io possa piacere a voi: sia pure un altro valoroso nelle armi,
e atterri col favore di Marte i comandanti avversari, 30
in modo che mentre sto bevendo un soldato possa raccontarmi le sue imprese
e disegnare col vino gli accampamenti sulla mensa.
Che pazzia è mai quella di chiamare a sé con la guerra la nera morte?
La morte ci sta sopra e segretamente arriva con passo silenzioso.
Non campo coltivato v'è nel mondo sotterraneo, non vigna, ma l'audace 35
Cerbero e il turpe nocchiero delle acque dello Stige:
ivi una pallida turba con le gote dilaniate e i capelli arsi
erra presso le nere paludi.
In quanto è più da lodarsi colui che coglie la sua tarda vecchiaia
nella sua umile capanna in mezzo ai suoi figli! 40
Egli stesso conduce al pascolo le pecore, il figlio invece gli agnelli,
e la moglie prepara l'acqua calda al marito stanco.
Possa anch'io esser così e mi sia concesso veder sul capo divenir bianchi i miei capelli
e vecchio raccontare i fatti della giovinezza.
Frattanto la Pace coltivi i canti. La Pace ha insegnato 45
a condurre sotto i gioghi ricurvi i buoi per arare:
la Pace ha sostentato le viti e ripose il succo d'uva,
perché l'anfora di terracotta del padre versasse il vino puro:
durante la pace brillano il bidente e il vomere, la ruggine
ricopre le funeste armi dell'insensibile soldato nei nascondigli. 50
Orsù vieni a noi, benefica Pace, e terrai una spiga