Organizzazione sociale (urbanistica)
L'organizzazione sociale è il modo in cui gli uomini di una collettività stabiliscono relazioni:
- economiche, ovvero la produzione per i bisogni della vita materiale;
- politiche, definite dai procedimenti con cui la comunità decide gli obiettivi da perseguire, il modo di utilizzo delle risorse e quali sono i soggetti responsabili dell'una e dell'altra cosa e utilizzano le risorse del loro ambiente per soddisfare i bisogni della vita materiale e della vita associata.
A fronte di una collettività si ha un'organizzazione dello spazio che fa parte delle risorse con cui si possono soddisfare i bisogni sopra citati. Tra tutte le risorse disponibili per il soddisfacimento dei bisogni umani di grande interesse è sicuramente il territorio, in quanto spazio fisico in cui gli uomini si insediano e danno forma concreta all'organizzazione sociale. Il territorio così utilizzato diventa insediamento umano e quindi si crea un rapporto molto stretto tra l'organizzazione sociale e l'organizzazione spaziale. Si può sintetizzare tale concetto affermando che il modo di abitare lo spazio è definibile come organizzazione spaziale, mentre l'insieme delle relazioni umane si può definire come organizzazione sociale.
Il rapporto che lega tali concetti è un rapporto dialettico (la dialettica è una parte della filosofia greca in cui si contrappongono una tesi e un'antitesi che generano una sintesi) e storico. Una qualunque forma di organizzazione sociale è immaginabile solo se prende forma in un determinato territorio, che per l'uomo assume quindi una valenza vitale. Il termine dialettico prima utilizzato sta ad indicare proprio che si viene a creare una corrispondenza biunivoca tra una comunità di viventi e l'organizzazione dello spazio che viene così adattato alle esigenze e all'evoluzione della sua popolazione.
A conferma di tale definizione notiamo come le forme di abitare, costruire e organizzare lo spazio rappresentino un trasferimento nel concreto delle forme di organizzazione sociale. Oltre a rappresentare un struttura concreta, le forme di abitare, hanno poi anche una forte struttura simbolica nella quale gli uomini si riconoscono (nostalgia dei migranti).
Il rapporto storico è un rapporto molto importante specialmente nel mondo occidentale ma soprattutto perché le differenze tra forme di società non sono legate solo alle forme di organizzazione della produzione materiale e sociale, ma anche alle forme assunte dall'insediamento e dal grado di appropriazione del territorio. La biunivocità esiste quindi nel contemporaneo ma anche, e soprattutto, con le organizzazioni storiche del territorio.
Nascita e trasformazione delle città
[modifica]Altre forme di organizzazione sociale, come già visto (rivoluzione industriale), comportano il passaggio ad altre forme di organizzazione territoriali che sono particolarmente visibili nella nascita e trasformazione della città e ancora nel rapporto che si viene a creare tra città e campagna. Di per sé la città denota una forma di insediamento nel territorio, caratterizzata da addensamenti e continuità degli insediamenti. Andando però più nello specifico si può affermare che la città è caratterizzata da una configurazione fisico-architettonica che si modifica nel tempo, con il variare delle abitudini sociali.
Le caratteristiche fisiche possono conservarsi durante le trasformazioni delle abitudini sociali perdendo però in molti casi le loro funzioni originarie (mura nelle città contemporanee), andando però a creare una sorta di stratigrafia storica della città stessa. Anche nel processo storico è individuabile una dialettica tra organizzazione sociale e spaziale, nel senso che via via che mutano le forme di organizzazione sociale cambiano i tratti di organizzazione spaziale che si concretizza con l'adattamento delle strutture fisiche precedentemente costruite o con la costruzione di nuove strutture.
Le 3 città
[modifica]La città è un unico che può essere però analizzato in tre modi diversi. Un'analisi architettonica ci porta a considerare la città da un punto di vista fisico e formale (città della pietra). Sull'evoluzione di tale tip di città incidono le risorse economiche a disposizione, le capacità decisionali, la maturità culturale della popolazione, la tecniche e la tecnologia e la coscienza urbana.
La città è però anche l'area in cui si concentrano le funzioni e le relazioni umane (massima velocità di scambio e interazione). Da quest'ultimo punto di vista, sociologico ed economico, possiamo definire la città come la città delle relazioni (tessuto delle attività) sulla cui evoluzione incidono il quadro politico, i modelli economici, la velocità di trasformazione, l'assetto sociale, il livello culturale, le credenze religiose e il livello tecnologico. Ultimo aspetto di analisi della città ci porta a definire quest'ultima come la città del vissuto. Non si parla più, in tal coso, di città fisica o di città sociale, ma si considerano le modalità impalpabili con le quali il cittadino sviluppa la percezione dell'immagine e dell'essenza dello spazio urbano. Sull'interpretazione di tale spazio agiscono i modelli culturali, i valori, le ideologie e il credo religioso.
Tale particolare legame della città con i propri cittadini ha la sua massima espressione attraverso la realizzazione di opere d'arte che esprimono il rapporto biunivoco secondo il quale la città appartiene al cittadino e il cittadino appartiene alla città stessa (interessante è l'analisi di tale legame con lo sviluppo di mappe cognitive nelle quali il cittadino inserisce gli elementi con i quali ha sviluppato un legame più forte e che quindi l'hanno maggiormente colpito, tralasciando invece le così dette zone grigie, che sono, per quell'individuo, zone prive di interesse).
Crisi della città
[modifica]Per poter analizzare la crisi della città è molto importante prendere in considerazione il fattore tempo. La rapidità dei cambiamenti della città delle relazioni si è infatti dovuta scontrare con l'invece lenta capacità di trasformazione della città della pietra, molto poco idonea a subire cambiamenti altrettanto veloci.
Tali cause hanno portato ad un'estraneazione da parte dei cittadini dalla città del vissuto (fenomeno molto accentuato nelle periferie), fino ad arrivare alle conseguenze estreme di delinquenza contro gli altri individui della comunità.
La città fisica diventa perciò un ostacolo alla vita della città funzionale a causa della sua inerzia ad adattarsi alle rapidissime trasformazioni della città delle comunicazioni. Altro elemento ella crisi della città è sicuramente l'espansione a macchia d'olio che ha causato la rottura del legame dialettico esistente tra città e campagna, facendo di fatto perdere alla città il ruolo di nucleo simbolico e trasformando quindi una struttura un tempo gerarchizzata e caratterizzata da segni e simboli in uno spazio amorfo e neutro (periferie).
Per poter valutare nel modo corretto le cause che hanno portato alla crisi della città è però necessario studiare la storia della società umana. Nella formazione delle città l'uomo è passato dal nomadismo ad una fase successiva di evoluzione, la stanzialità, che ha comportato la nascita delle coltivazione e dell'allevamento.
Tale evoluzione dal punto di vista sociale ha favorito la formazione di tribù regolate da norme ben precise. Si è sviluppata quindi la fase dell'autocomsumo che si è tramutata poi nella fave di sovrappiù. Tale eccedenza è l'esito della sommatoria tra ciò che è prodotto, ciò che viene consumato e ciò che viene conservato in forma di scorte (prodotto – consumi – scorte).
È a seguito dello sviluppo di tale sovrappiù che nasce lo stimolo di organizzarsi in modo da poter difendere le scorte ma anche l'esigenza di poter creare i luoghi necessari allo scambio e al commercio dei beni accumulati in eccedenza. Storicamente la gestione di questo sovrappiù è stata affrontata con due modelli economici differenti:
- economia borghese, quando il sovrappiù rimane nelle mani dei produttori;
- economia signorile, quando una forza diversa dal produttore è in grado di sottrarre al produttore stesso il suo sovrappiù. In tale modello, quando la scala di appropriazione diventa molto estesa, si ha una trasformazione dell'assetto sociale che porta alla costituzione di un rapporto verticale in cui il signore si appropria di tutti i beni lasciando al servo solo i beni necessari alla sua sussistenza.
In entrambi i modelli economici la costituzione del sovrappiù fa nascere nella struttura sociale nuove figure che svolgono solo funzioni legate all'amministrazione del sovrappiù senza partecipare in modo attivo al processo produttivo. Figura più importante che nasce proprio in tale tipo di economia è il mercante, ovvero colui che si occupa dello scambio del sovrappiù, al quale applica un rincaro per il rischio che corre, instaurando nell'economia un processo di guadagno a suo favore. L'evento storico che ha segnato una grande trasformazione del modello economico e che ha rivoluzionato l'organizzazione sociale e quindi anche quella della città, è stato lo stravolgimento delle modalità di produzione dei beni, con il fenomeno identificato con il nome di rivoluzione industriale. Ciò portò alla scomparsa del produttore diretto, proprietario dei propri mezzi di produzione.
Si passò così dalla bottega artigianale, alla produzione in fabbrica. Questo avvenne per effetto di rivoluzioni tecnologiche che permisero la creazione di macchine in grado di sostituire in parte l'uomo. Tutti questi cambiamenti portano alla nascita di una nuova figura economica, quella del capitalista- industriale, per cui produzione significa profitto, che viene continuamente perseguito. Tale figura dirige il processo della produzione e decide circa l'impiego del fattore lavoro necessario alla produzione.
L'impostazione capitalistica venne molto studiata nell'800, in particolare da Smith, Ricardo e Marx, che arrivarono ad affermare che l'attività capitalistica pura prevedeva un completo reinvestimento del guadagno nel processo produttivo (accumulare non significa quindi tesaurizzare, ovvero nascondere una parte di liquidità ottenuta, ma poter produrre di più, ovvero reinvestire nell'attività il profitto ottenuto). Le principali attività svolte dal capitalista in sostanza sono:
- identificare e disporre di un luogo fisico dove poter avviare il processo produttivo (fabbrica);
- concentrare i macchinari nel luogo a suo disposizione;
- acquistare materie prime che elaborate con le macchine permettono di produrre il bene finito;
- disporre di operai, ovvero comprare la capacità lavorativa (disporre della forza lavoro).
Alla figura del capitalista si affianca perciò una nuova figura, quella dell'operaio. Tale nuovo rapporto che si crea tra imprenditori e operai è un rapporto di scambio che si concretizza in un salario elargito come remunerazione del lavoro che l'operaio svolge nel ciclo produttivo. In tal caso l'operaio non ha più nulla a che fare con le materie prime lavorate ne con i prodotti elaborati.
Si delinea così il ruolo della città legato a queste rivoluzioni dei modelli economici, infatti la città diviene sede specifica delle fabbrica, del mercato e della forza lavoro. Ciò accade in quanto la città era già naturalmente predisposta ad ospitare queste funzioni dato che già in passato fungeva quale luogo di scambio, ed inoltre grazie alla grande densità abitativa risultava una grande riserva di consumatori e di forza lavoro.
Nonostante quest'ultima caratteristica spesso non era sufficiente la forza lavoro già presente in città in relazione alle richieste di produzione, per questo si arrivò ad una grande attrazione della forza lavoro anche dalla campagna che si combinò con i processi di razionalizzazione della produzione agricola, avendo come effetto ultimo quello della crescita incontrollata della città.
La città diventa inoltre più complessa e sviluppa legami anche con altre città. Tale fenomeno di interconnessione si amplifica maggiormente quando le industrie iniziano il processo di dislocazione sul territorio e di frammentazione delle loro funzioni che le porta a dover legare le varie sedi sia all'interno della città che con zone anche lontane. Effetto fisico di tale necessità si traduce con la costruzione di moltissime infrastrutture che permettano i traffici, gli scambi e le comunicazioni. In definitiva l'industria produce una rivoluzione nella composizione sociale della popolazione che si esplicita con la creazione della “classe operaia”, una massa inizialmente disgregata, che prende lentamente coscienza delle comune condizione, che anche se subita, segna la vita e l'esistenza. Cresce così il senso di comune appartenenza e identità sul quale si fonda un'azione consapevole in difesa dei comuni interessi.
Cambia in tale contesto anche il ruolo dell'ingegnere che in passato aveva solo il compito di ottimizzare i profitti e che invece ultimamente, a seguito della presa di coscienza di come le industrie e il ciclo produttivo in genere incida sugli equilibri naturali, ha sempre il compito di ottimizzare i profitti avendo però come priorità assoluta quella di ridurre i “costi sociali e materiali” intrinsechi al processo produttivo. Il passaggio sostanziale nel modo di concepire il ruolo dell'ingegnere è avvenuto intorno al 1985, anno di introduzione della valutazione di impatto ambientale. Si è passati infatti da una cultura della deduzione, che valuta gli effetti a posteriori, ad una cultura invece intuitiva e di prevenzione. Con l'introduzione di questo nuovo modo di pensare per poter realizzare un opera non ci si limita più a valutarne la fattibilità dal punto di vista tecnologico o normativo, ma bisogna invece poter dimostrare che l'opera in questione renderebbe migliore il sito sul quale è previsto che sorga, riferendosi al caso limite in cui l'opera non venga assolutamente realizzata.
Il nuovo modello ha portato anche alla necessità e alla conseguente nascita di tecnici ed impiegati addetti alla gestione di questa nuova realtà complessa di “fabbrica” che via via, durante la sua evoluzione, è divenuta sempre meno controllabile. L'effetto sulla città di questo processo evolutivo ha portato alla nascita di nuove esigenze che sono state soddisfatte grazie all'introduzione di servizi collettivi che a loro volta hanno portato all'occupazione di nuovi addetti. Ultimo settore di sviluppo della città (città delle funzioni), realizzatosi a seguito dell'industrializzazione, è stata la nascita di nuove attività “satellite” del sistema produttivo, che si sono successivamente interconnesse tra loro.
Con lo sviluppo del benessere, grazie soprattutto alle conquiste sociali ottenute a seguito di apre lotte, è cresciuto molto anche il tempo libero a disposizione dei cittadini che a sua volta ha portato alla nascita di nuove esigenze che hanno in parte modificato gli assetti fisici della città stessa ad esempio con la creazione di parchi urbani o centri commerciali. Per effetto della nuova struttura sociale e del nuovo ruolo che il lavoratore ricopre nel processo produttivo, cambia anche il ruolo ricoperto dal cittadino stesso che ha adesso un'identità frammentata. Dal punto di vista politico si hanno molte nuove esigenze gestionali dovute alla complessità che ha ormai raggiunto la società.
Nel primo periodo i capitalisti e la borghesia, controllori del ciclo produttivo, detengono anche il potere amministrativo. In una seconda fase viene invece separata la sfera politica da quella economica, e questo accade soprattutto a seguito di meccanismi sociali che hanno portato la classe sociale ad avere coscienza del proprio peso e che hanno quindi spinto per poter ottenere una rappresentanza appunto politica. Inizia ad instaurarsi così una democrazia più allargata che rende più complesso il governo della città e la nascita di una nuova figura sociali, quella del mediatore politico che cerca di far affidare il compito della rappresentanza ai gruppi dominanti che cercano comunque sempre di mantenere la loro influenza sull'intera società.
In sostanza con la crescita delle città della pietra si ha lo sviluppo di una grande complessità nella città delle relazioni che è organizzabile solo attraverso l'adozione di decisioni prese da un potere centrale, diventa perciò necessaria la delega di tali decisioni ad un così detto “gruppo di governo”.
La città e l'uomo
[modifica]L'uomo ha una sfera del privato (attività sociali, rapporti sociali, bisogni, interessi) e si trova per la prima volta ad essere anche membro di una collettività che si è dotata di specifici sistemi normativi per la regolazione della vita dei propri membri.
La separazione di queste due sfere si è via via rimarcata portando alla nascita di quei fenomeni di alienazione dell'individuo che deve assumere ruoli continuamente diversi durante la propria esistenza. Questi diversi ruoli ricoperti sono anche molto legati ai luoghi frequentati dall'individuo, e proprio a causa di questa molteplicità si sono moltiplicati appunto, portando una maggiore complessità nella distribuzione fisica della città, ed in particolare ad una sovrapposizione in uno stesso spazio di tutte le sfere della vita individuale propria e della comunità storica. Questa complessità ha portato, oltre alla sovrapposizione di funzioni, in tal casi anche ad una vera e propria frammentazione della città fisica.
Sono sorte così zone distinte che assolvono a funzioni particolareggiate. In sostanza si può dire che l'evoluzione economica e sociale ed in particolare la spesso citata industrializzazione ha portato la città a divenire, da un unicum, una sommatoria di zone distinte in base alle caratteristiche funzionali ricoperta in ogni zona, influendo in tal modo anche sulla vita dell'individuo e instaurando altri processi di evoluzione (involuzione) sociale (spersonificazione).
Città e campagna
[modifica]A seguito delle evoluzioni socio-economiche si passa dalla città storica, luogo chiuso e in antagonismo con la campagna, con la quale venivano scambiati i prodotti, ad una città aperta al territorio circostante. Tale apertura, dovuta alla necessità di espansione, fa perdere però alla città la propria identità che a causa della mancanza di tale antitesi non è più facilmente definibile ed individuabile.
La città cambia quindi anche rapporto con il territorio, prima visto unicamente come un insieme di risorse fisiche e adesso considerato invece “recipiente”, ovvero una superficie disponibile ad essere occupata dalle diverse funzioni sviluppatesi nella città e che necessitano di determinati spazi. Questo cambiamento nei rapporti con il territorio porta anche ad uno stravolgimento dei processi produttivi, si passa infatti da processi produttivi ciclici e rinnovabili (agricoltura), a processi invece irreversibili quali la semplice occupazione del suolo e la sua conseguente inutilizzabilità.
In tal senso ultimamente si è sviluppata una grande sensibilizzazione che ha portato allo studio di interventi a cosi detto “impatto zero”, ovvero interventi che non abbiano ripercussioni sul territorio occupato, realizzabile tramite lo sfruttamento di aree già urbanizzate, preservando in tal modo quelle ancora intonse.
In sostanza oggi è più esatto parlare di territorio urbanizzato piuttosto che parlare di città, intendendo con tale termine una realtà che comprende insieme città e territorio. Questo territorio urbanizzato è formato da realtà e parti molto diverse tra loro dal punto di vista relazionale ma anche fisico.
La casa della società è diventata quindi tutto il territorio che è stato unificato da una grande rete di interconnessioni ma che mantiene pur sempre delle differenze sostanziali.
Il degrado del territorio
[modifica]Una volta anche il “selvatico” era sociale, ora il territorio è invece abbandonato dalle attività, diventando res nullius, ovvero luogo delle discariche e in generale delle attività “scomode”.