Insediamenti abitativi e organizzazione territoriale (urbanistica)
La legge ponte ha introdotto, oltre agli standard urbanistici, anche la disciplina delle lottizzazioni, ha stimolato la formazione di piani regolatori imponendo limiti all'edificazione in comuni che ne erano sprovvisti, ma soprattutto ha stabilito l'obbligo di definire dei rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali o produttivi e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi.
I modelli di sviluppo americano si differenziano tra:
- Sprawl, costituito da una serie di proprietà isolate e accessibili attraverso un unico percorso. Quando si combinano insieme una serie di quartieri si costituisce una città detta village. In tal caso i servizi sono posti in zone molto periferiche;
- Tradizionale, presenta poli centrali di servizi facilmente accessibili, attorno ai quali si sviluppa la città e la parte residenziale.
- Neighborhood, ovvero un insieme di isolati, solitamente di raggio 1,5 km (1 miglio) all'interno dei quali sono poste proprietà famigliari private dell'estensione di 0,8 km (1⁄2 miglio) che solitamente sono in numero di 3 e si sviluppano attorno ad un polo centrale dove sono posizionati i servizi di quartiere. I vari neighborhood sono poi collegati tra di loro a formare la città, nella quale si trovano i servizi urbani quali grandi ospedali, il centro commerciale e altri servizi di scala urbana.
Standard Urbanistici
[modifica]Normativa
[modifica]Il concetto di standard urbanistici venne introdotto dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 e sue modificazioni. Il decreto valutava in 18 m²/ab la quantità minima di spazi pubblici suddivisi in: 9 m²/ab di "verde regolato", 2,5 m²/ab di "parcheggi", 4,5 m²/ab per l'istruzione e 2 m²/ab per "attrezzature di interesse comune"; tuttavia dopo l'istituzione delle Regioni a partire dal 1970 ognuno di tali enti si dotò di una propria legislazione più specifica.
L'art. 30 comma 1 lettera a della legge 9 agosto 2013, n. 98 - di conversione del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 - ha successivamente introdotto per le regioni italiane la possibilità di introdurre "disposizioni derogatorie" al DM del 1968 nei limiti ivi stabiliti.[1]
Descrizione
[modifica]Gli standard urbanistici rappresentano i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici riservati alle attività collettive, all'edilizia scolastica, come aree per l'istruzione, aree per attrezzature di interesse comune, a verde pubblico o a parcheggi.
Ai fini dell'osservanza dei rapporti suindicati nella formazione degli strumenti urbanistici, si assume che, salvo diversa dimostrazione, ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondano mediamente 25 m² di superficie lorda abitabile (pari a circa 80 m³ vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una quota non superiore a 5 m² (pari a circa 20 m³ vuoto per pieno) per le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali, ecc.).
L'evoluzione della materia urbanistica ha introdotto la possibilità di "monetizzare" lo standard, pratica che permette al lottizzante di corrispondere alla pubblica amministrazione (P.A.) un canone in danaro per ogni metro quadrato non ceduto. La P.A. avrà poi l'obbligo di utilizzare quanto ottenuto dalla monetizzazione per la realizzazione di opere pubbliche da localizzarsi ove pianificato. Purtroppo questa pratica ha prodotto maggiori introiti finanziari a vantaggio delle pubbliche amministrazioni, senza che queste, poi, abbiano effettivamente reinvestito i proventi per la realizzazione di standard.
Classificazione
[modifica]Si individuano quindi zone industriali, produttive, residenziali, commerciali e pubbliche. Il decreto stabilisce inoltre i tipi di attrezzature di cui deve dotarsi il comune, distinguendo però solo i servizi tra locali e di interesse generale o territoriale.
Le zone territoriali omogenee, già citate sopra, sono in particolare:
- zona A (centro storico) è una zona a spiccato carattere residenziale e caratterizzata da una particolare normativa che tutela eventuali valori storici presenti in tale zona;
- zona B (di completamento) è una zona residenziale che non ha però grande interesse storico situata in prossimità della zona A, è quasi completamente satura di edificato ma ha ancora alcuni spazi disponibili, per questo detta di “completamento”.è definita zona B solo nel caso in cui si abbiano rapporti di copertura non inferiori al 12,5% e una densità territoriale di 1,5 m3/m2.
- zona C (residenziali d'espansione), sono zone poste solitamente in periferia che non sono ancora zone residenziali ma che sono destinate a diventarle per quanto contenuto nel piano regolatore. Sono perciò zone ancora “vergini” nelle quali la città ha pianificato la propria espansione;
- zona D (produttiva) è la zona in cui viene svolta un'attività lavorativa, industriale o commerciale. In tali zone si hanno servizi e standard urbanistici commisurati in modo diverso rispetto a quelli delle zone residenziali in quanto in tali zone essendo molto ridotto o addirittura inesistente il numero di residenti non possono essere calcolati su questi i servizi necessari;
- zona E (agricola) sono zone al di fuori del centro edificato e non sono destinate a divenire zone residenziali, definite agricole nonostante queste non siano poi nella pratica obbligatoriamente trattate a coltura;
- zona F è una zona caratterizzata dalla presenza di servizi urbani a scala territoriale destinate ad utilizzazioni collettive (impianti sportivi, parchi urbani).
Scuola dell'obbligo | Attrezzature di interesse comune | Verde attrezzato | Parcheggi pubblici | |
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Zona A | 4,50 mq/abitante | 2,00 mq/abitante | 9,00 mq/abitante | 2,50 mq/abitante |
Zona B | 4,50 mq/abitante | 2,00 mq/abitante | 9,00 mq/abitante | 2,50 mq/abitante |
Zona C | 4,50 mq/abitante | 2,00 mq/abitante | 9,00 mq/abitante | 2,50 mq/abitante |
Zona D | Il 10% dell'intera superficie della zona produttiva deve essere destinata a parcheggi, verde attrezzato o attività collettive. | |||
Insediamenti commerciali e direzionali | 80 m²/100 m² di superficie lorda di pavimento deve essere destinata a standard. Almeno la metà della superficie destinata a standard deve essere utilizzata per la realizzazione di parcheggi (aggiuntivi rispetto a quelli previsti dalla L.765/1967. | |||
Zona E | 6 m²/abitante devono essere destinati alle aree per l'istruzione (asili nido, scuole materne e scuole dell'obbligo) e alle aree per attrezzature di interesse comune. | |||
Zona F | Allorché risulti necessario prevederli, gli spazi per attrezzature pubbliche di interesse generale devono essere:
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I m2 ad abitante sono da considerarsi come porzione di suolo occupata e non come dimensione netta di un edificio a più piani. Quindi i m2 previsti dagli standard non possono essere distribuiti su diversi piani ma indicano proprio un'area calpestabile a livello del terreno che deve essere lasciata libera.
I dati riportati in tabella non danno però alcuna informazione su come gli spazi vadano disposti e organizzati sul territorio. Esistono a tal fine ulteriori manuali nei quali si indicano ad esempio i raggi di influenza, ovvero le distanze massime alle quali devono essere poste le le strutture pubbliche rispetto alle residenze. In tal modo si garantisce, oltre che un adeguato numero di servizi e di spazi a questi dedicati (attraverso gli standard) anche una loro facile accessibilità (attraverso le indicazioni dei manuali).
Le singole regioni in base poi alle proprie realtà hanno stabilito standard leggermente diversi, anche se spesso poi tutte queste prescrizioni sono rimaste disattese in fase attuativa per mancanza di risorse economiche. In alcuni casi sono state addirittura aggiunte zone come quelle destinate ad insediamenti turistici non previsti invece nella “zonizzazione statale”. Sintetizzando con l'introduzione degli standard per la prima volta si afferma il diritto dei cittadini a fruire di determinate quantità di spazi pubblici in quanto metà delle aree urbane deve essere assegnata alle funzioni comuni.
Il punto debole degli standard è che una loro interpretazione meramente numerica e burocratica non porta dei reali vantaggi in quanto gli spazi pubblici in molti casi vengono poste in zone periferiche di difficile accesso, utilizzando perciò gli standard unicamente come una prescrizione quantitativa da rispettare ma non qualitativa.
Note
[modifica]- ↑ Art. 30 legge 9 agosto 2013, n. 98, bosettiegatti.eu.