Relatività ristretta (superiori)

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Relatività ristretta (superiori)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Fisica per le superiori 3
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

La teoria della relatività ristretta (o relatività speciale), sviluppata da Albert Einstein nel 1905, è una riformulazione ed estensione delle leggi della meccanica. In particolare essa è necessaria per descrivere eventi che avvengono ad alte energie e a velocità prossime a quella della luce, riducendosi alla meccanica classica negli altri casi.

La teoria si basa su due postulati:

Il primo postulato, noto anche come "principio di relatività speciale", riafferma ed estende il principio di relatività di Galileo, mentre il secondo può derivarsi dal primo ed elimina la necessità dell'etere luminifero, dando il giusto significato all'esperimento di Michelson-Morley.

Dai due postulati discende che nell'universo descritto dalla relatività speciale le misure di intervalli temporali e di lunghezze spaziali effettuate da osservatori inerziali non corrispondono necessariamente fra loro, dando luogo a fenomeni come la dilatazione del tempo e la contrazione delle lunghezze, che sono espressione dell'unione dello spazio tridimensionale e del tempo in un'unica entità quadridimensionale nella quale si svolgono gli eventi, chiamata cronotopo o spazio-tempo. In questo ambito lo strumento matematico che consente il cambio di sistema di riferimento sono le trasformazioni di Lorentz, che si riducono alle trasformazioni di Galileo della fisica classica nel limite di basse velocità. Altro aspetto rivoluzionario riguarda l'equivalenza fra massa ed energia secondo la nota formula E=mc².

La riscrittura delle leggi della meccanica operata dalla relatività ristretta portò a una radicale svolta nella comprensione del mondo fisico e a una grande fama del suo autore anche al di fuori del contesto scientifico, mentre la relazione E=mc² è divenuta la più famosa equazione in assoluto, entrando a far parte della cultura in generale.

Storia[modifica]

La meccanica classica e lo spazio e il tempo assoluti[modifica]

La fisica classica, cioè la fisica newtoniana, postula l'esistenza dello spazio e del tempo assoluti, che hanno cioè proprietà determinate indipendentemente dal sistema di riferimento utilizzato e in cui la misurazione di lunghezze spaziali e intervalli temporali fornisce gli stessi risultati in qualunque sistema di riferimento. Allo stesso modo, in meccanica classica, due eventi simultanei in un sistema di riferimento (cioè con la stessa coordinata temporale) lo sono in ogni sistema di riferimento inerziale. In particolare, il principio della relatività galileiana presuppone l'esistenza di sistemi di riferimento inerziali rispetto ai quali sono validi i tre principi della dinamica di Newton, legati fra loro attraverso le trasformazioni di Galileo. Un esempio di sistema di riferimento inerziale può essere identificato con quello delle cosiddette "stelle fisse".[1]

La teoria dell'elettromagnetismo e le contraddizioni con la meccanica[modifica]

La teoria dell'elettromagnetismo, elaborata dalle equazioni di Maxwell, ottenne nel XIX secolo eccellenti e numerose conferme in campo sperimentale, ma si trovò ad affrontare una contraddizione di fondo rispetto alla meccanica newtoniana. Infatti, le equazioni di Maxwell non sono invarianti in forma rispetto al gruppo delle trasformazioni di Galileo: in altre parole, secondo il principio di relatività galileiano, due osservatori inerziali avrebbero dovuto usare equazioni diverse per descrivere gli stessi fenomeni elettromagnetici.

La principale contraddizione tra queste due teorie risiede nella determinazione della velocità della luce. Infatti, la teoria di Maxwell prevede che il campo elettrico e magnetico si propaghino nello spazio vuoto a una velocità finita e costante:

dove è la velocità della luce, è la costante dielettrica del vuoto e è la permeabilità magnetica del vuoto. Questo è apertamente in contrasto con la relatività galileiana, nella quale non è possibile che un osservatore fermo rispetto al mezzo nel quale si propaga un'onda elettromagnetica misuri la stessa velocità di propagazione rispetto a un osservatore in moto rispetto al medesimo mezzo: secondo la relatività galileiana infatti la velocità misurata da un osservatore in moto deve rispettare la legge di trasformazione delle velocità di Galileo.

Formulazione e crisi del concetto di etere[modifica]

Per risolvere questi problemi si postulò che la propagazione del campo elettromagnetico avvenisse in un sistema di riferimento privilegiato e assoluto[2], solidale con quello che venne chiamato etere e che costituiva il mezzo di propagazione delle onde elettromagnetiche[3]. Questo mezzo doveva avere caratteristiche molto particolari, come, per esempio, permeare tutto lo spazio senza offrire nessuna resistenza meccanica al moto dei corpi che si muovevano immersi in esso.

Incominciarono quindi degli esperimenti che tentarono di provare l'esistenza dell'etere, di testarne le proprietà e di misurarne la velocità rispetto alla Terra. Questi esperimenti si rivelarono però in contrasto con le teorie che ammettevano l'esistenza dell'etere.

Un interferometro Michelson L'esperimento originale utilizzò più specchi di quelli mostrati, la luce veniva riflessa avanti e indietro diverse volte prima di ricombinarsi.

Dovevano quindi esistere esperimenti di EM (elettromagnetismo) in grado di mostrare lo stato di moto del sistema di riferimento rispetto all'etere, assoluto (infatti le equazioni di Maxwell dovevano valere solo nell'etere). Tuttavia l'esperimento di Michelson-Morley mostrò che, entro il limite dell'errore di misura, la velocità del sistema di riferimento terrestre era nulla rispetto all'etere (infatti i cammini della luce in direzione parallela e perpendicolare alla velocità terrestre risultavano uguali), e ciò era verificato anche ripetendo l'esperimento 6 mesi dopo, con la Terra in moto in direzione opposta rispetto a un sistema solidale col Sole.

Il "fallimento" dell'esperimento di Michelson (il cui scopo era effettivamente la ricerca dell'etere e non la dimostrazione della sua non rilevabilità) portava a due ipotesi: la prima prevedeva che l'etere fosse trascinato dalla Terra e che quindi la Terra fosse un sistema di riferimento privilegiato e assoluto, la seconda che l'etere effettivamente non avesse esistenza fisica. La prima ipotesi venne scartata in quanto pensare la Terra come sistema di riferimento assoluto nell'universo era inammissibile dopo secoli di scienza galileiana, che aveva confermato il principio di relatività alla base della descrizione della realtà fisica. Inoltre, anche la prospettiva di modificare le equazioni di Maxwell per renderle invarianti non dava risultati, in quanto Hippolyte Fizeau mostrò che queste fornivano risultati in disaccordo con l'esperimento di trascinamento della luce nell'acqua in movimento: la composizione delle velocità non veniva rispettata dalla luce.

Era allora chiaro che se la teoria dell'EM era corretta, le misure di EM non potevano mostrare alcuna velocità rispetto all'etere. Allora occorreva trovare delle nuove trasformazioni con le quali sostituire quelle di Galileo e di conseguenza modificare tutta la meccanica classica per renderla invariante rispetto a queste nuove trasformazioni. Così Einstein spiegava le sue perplessità:

Presi in esame l'esperimento di Fizeau, e quindi cercai di affrontare i problemi connessi, nell'ipotesi che le equazioni di Lorentz relative all'elettrone valessero tanto nel caso di un sistema di riferimento definito rispetto ai corpi in moto, quanto nel caso di un riferimento definito nel vuoto. A ogni modo, allora ero certo della validità delle equazioni di Maxwell-Lorentz nell'ambito dell'elettrodinamica. Per di più tale esperimento ci chiariva le conseguenze della cosiddetta invarianza della velocità della luce che quelle equazioni dovrebbero implicare anche in riferimenti in moto. Questa invarianza della velocità della luce, tuttavia, era in contrasto con la legge di addizione delle velocità, ben nota in meccanica. Ebbi molta difficoltà a capire quale fosse la natura del contrasto.

La strada era lunga, ma concettualmente semplice. Per questo motivo Einstein non considerò mai la relatività speciale come un punto d'onore: disse invece che chiunque vi sarebbe prima o poi giunto, solo considerando le evidenze sperimentali.[4]

La soluzione di Einstein[modifica]

Nel 1905, in un lavoro dal titolo "Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento", Einstein espose una teoria, la relatività ristretta, che, anziché prevedere un sistema di riferimento privilegiato, introducendo due postulati richiedeva la revisione dei concetti di spazio e tempo della fisica classica. Il primo postulato stabilisce la covarianza delle leggi dell'elettromagnetismo e della meccanica in tutti i sistemi di riferimento inerziali, mentre il secondo stabilisce che la velocità della luce nel vuoto è la stessa in tutti i sistemi di riferimento.

Questa teoria risultò essere un'estensione della meccanica classica, che è contenuta nella relatività ristretta e può essere ritrovata se le velocità prese in considerazione sono molto inferiori a quella della luce. La perdita dei concetti di spazio e tempo assoluti ha conseguenze apparentemente contraddittorie o lontane dall'esperienza e dal senso comune, come la contrazione delle lunghezze e la dilatazione dei tempi, il paradosso dei gemelli. Tutti questi fenomeni, spiegati dalla relatività ristretta, sono in contrasto con il senso comune proprio perché richiedono velocità molto elevate (prossime a quelle della luce) per essere apprezzati; le esperienze di tutti i giorni, invece, avendo a che fare con velocità molto inferiori, possono essere spiegate efficacemente dalla fisica classica. Inoltre, mentre nella meccanica classica lo spazio e il tempo sono trattati come entità sostanzialmente distinte, la relatività ristretta introduce il concetto di spaziotempo, in cui essi sono indissolubilmente legati.[5].

Fu Max Planck a suggerire la parola "relatività", per sottolineare l'ottenimento di leggi ed equazioni che non cambiano forma nel passaggio tra sistemi di riferimento in moto relativo, e anche a indicare la soggettività delle descrizioni dei fenomeni fisici da parte di osservatori in diversi sistemi di riferimento.

Postulati della relatività ristretta e conseguenze[modifica]

L'articolo di Einstein del 1905, come già accennato, rifonda la fisica classica a partire da due postulati, singolarmente desunti dall'esperienza, ma tra di loro inconciliabili all'interno degli schemi teorici classici:[6]

  • Primo postulato (principio di relatività particolare[7]): tutte le leggi fisiche sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali
  • Secondo postulato (invarianza della velocità della luce): la velocità della luce nel vuoto ha lo stesso valore in tutti i sistemi di riferimento inerziali, indipendentemente dalla velocità dell'osservatore o dalla velocità della sorgente di luce.

Il primo postulato è un'estensione di quello di Galilei, mentre il secondo conferma quanto già ricavato dalle equazioni di Maxwell, secondo le quali la velocità della luce dipende da valori costanti relativi al mezzo di propagazione e non dal moto relativo dei sistemi di riferimento. Entrambi, come detto, "prendono atto" dei risultati sperimentali.

In realtà, come ha spiegato successivamente Einstein,[7] l'unico principio fondante della teoria può essere considerato in effetti quello di relatività, o indipendenza delle leggi, in quanto l'invarianza della velocità della luce ne è una conseguenza.

Il postulato di relatività ovviamente esclude il concetto di etere, non solo come mezzo che trasmette la luce (sostituito dal campo elettromagnetico), ma anche come riferimento assoluto; da questo consegue che, se ogni osservatore inerziale non può dire a ragione di essere fermo rispetto a un ipotetico etere, cade definitivamente il concetto di spazio assoluto.

Simultaneità[modifica]

Anche il concetto di simultaneità perde la sua assolutezza; infatti, se la velocità della luce è finita ed è la stessa per ogni osservatore, due eventi simultanei in un sistema inerziale non lo sono più se osservati da un altro sistema inerziale in moto rispetto al primo.

Se la luce emessa da due lampadine (chiamiamole A e B) equidistanti da un osservatore O, fermo rispetto a esse, lo raggiungerà allo stesso istante, allora O considererà i due eventi come simultanei.

Un osservatore O' in un diverso stato di moto, ovvero in un sistema di riferimento inerziale in moto rettilineo uniforme rispetto a quello in cui O, A e B sono fermi, in generale percepirà la luce delle due lampadine in istanti diversi. Anche la meccanica classica prevede che la luce abbia una velocità finita, dunque che a seconda della posizione di un osservatore l'informazione luminosa di due eventi distanti simultanei possa giungere prima o dopo.

Nell'ambito della meccanica classica, però, tutto si deve risolvere svolgendo gli opportuni calcoli che tengano nel debito conto la distanza dagli eventi e la velocità della luce: l'osservatore O', sapendo di essere (ad esempio) più vicino ad A che a B, calcolando il tempo che intercorre tra il momento in cui riceve l'impulso luminoso di A e quello di B, e conoscendo le distanze relative e la velocità della luce, dovrebbe concludere che "in realtà" gli eventi erano contemporanei. Per fare un altro esempio, se noi vedessimo un semaforo accendersi a pochi metri da noi e, circa otto minuti dopo, vedessimo il Sole diventare blu, pur avendo percepito in istanti diversi la luce dei due eventi, concluderemmo secondo la meccanica classica (sapendo che la luce del Sole impiega proprio 8 minuti per giungere sulla Terra) che i due eventi sono avvenuti nel medesimo istante.

Ciò non risulta valido nell'ambito della relatività speciale. Se O' è in moto rispetto a O, A e B (a una velocità sufficientemente alta da apprezzare gli effetti relativistici), anche tenendo nel debito conto come precisato sopra gli effetti della velocità della luce dovrà concludere (ad esempio) che A precede B. Un altro osservatore , con stato di moto opposto, dovrà invece concludere che B precede A.

La situazione è apparentemente paradossale, a causa della concezione "classica" dell'esistenza di un tempo assoluto, uguale per tutti i sistemi di riferimento. Venendo a mancare questo, sostituito dallo spazio-tempo relativistico, la simultaneità di due eventi distanti risulta essere legata allo stato di moto dell'osservatore di tali eventi, e non più assoluta.

Questa situazione si verifica soltanto per eventi tra i quali intercorre un intervallo di tipo spaziale, tali cioè che è impossibile per un raggio di luce (o per qualcosa di più lento) essere presente a entrambi gli eventi: nell'esempio delle lampadine, in effetti, se esse sono distanti tra loro d, e la loro accensione risulta contemporanea per un osservatore fermo rispetto a esse, un raggio di luce non potrà essere presente sia all'accensione di A sia a quella di B, avendo velocità finita.

Le coppie di eventi per i quali invece la luce (o qualcosa di più lento) può presenziare a entrambi, sono dette separate da un intervallo di tipo temporale: questi eventi saranno visti da tutti gli osservatori, qualunque sia il loro stato di moto, nello stesso ordine cronologico (anche se l'intervallo di tempo potrà apparire più breve o più lungo ai diversi osservatori). Per queste coppie di eventi sussiste dunque una definita relazione cronologica di prima/dopo, indipendente dall'osservatore.

Trasformazioni tra sistemi di riferimento[modifica]

A partire dai due postulati ammessi da Einstein, che come si è visto erano incompatibili con la descrizione fisica offerta dalla fisica classica, si trattò di definire le nuove trasformazioni che permettessero di passare da un sistema di coordinate a un altro in moto relativo.

Trasformazioni di questo genere, che hanno come caratteristica l'invarianza delle equazioni di Maxwell, erano già note come trasformazioni di Lorentz (TL), dal nome del fisico olandese Hendrik Lorentz che le aveva formulate nel 1897 proprio per spiegare i risultati dell'esperimento di Michelson. Egli infatti riteneva che la rilevazione dei fenomeni fisici fosse intrinsecamente falsata da una contrazione delle lunghezze e una dilatazione dei tempi che rendeva impossibile l'osservazione dell'etere, e questo era il vero motivo del fallimento dell'esperimento di Michelson. In altri termini, Lorentz aveva formulato le trasformazioni della relatività ristretta mantenendo però come valido il concetto di etere e attribuendole a un difetto di osservabilità della natura stessa. La teoria di Einstein diede invece pieno significato e applicazione alle trasformazioni di Lorentz, inserendole nel quadro teorico più ampio della relatività ristretta, all'interno della quale queste risultano come conseguenza delle premesse teoriche stesse.

L'introduzione (o meglio, l'applicazione) delle trasformazioni di Lorentz permette di ridefinire il postulato di Einstein nella forma: «Le leggi della fisica sono invarianti rispetto alle trasformazioni di Lorentz (nel passaggio da un sistema inerziale a un altro, scelto arbitrariamente)».[7] In particolare se:

allora

Rimandando alla voce specifica ulteriori dettagli, è importante osservare che:

  • le TL non trattano separatamente il tempo e lo spazio, ma che questi vengono invece correlati tra loro;
  • tali nuovi effetti dipendono da un termine β definito come β2 = v2 / c2 (dove v è la velocità del corpo e c è la velocità della luce). Tale termine diventa trascurabile per velocità non confrontabili con quelle della luce;
    • Viene anche definito per comodità il termine , detto fattore di Lorentz, dove ;
  • al limite di piccole velocità, le TL si riducono alle già note di Galileo, spiegando perché negli esperimenti di meccanica classica non si possano misurare differenze.

Come diretta conseguenza, le TL portano a due importanti modifiche, poiché introducono il concetto di relatività in grandezze normalmente considerate assolute:

  • Contrazione delle lunghezze
    • La lunghezza L di un corpo in movimento non è invariante, ma subisce una contrazione nella direzione del moto, data dalla formula
    • La lunghezza massima del corpo L0 è misurata nel sistema in cui il corpo è in quiete e viene chiamata lunghezza propria.
  • Dilatazione dei tempi
    • L'intervallo di tempo Δt tra due eventi non è invariante, ma subisce una dilatazione se misurato da un orologio in moto rispetto agli eventi. Tale dilatazione è data dalla formula
    • La durata minima dell'intervallo di tempo è misurata da un orologio solidale con gli eventi; tale intervallo Δt0 viene chiamato tempo proprio.
  • Si noti come in entrambi i casi le formule si riducano all'uguaglianza per velocità piccole rispetto a c (velocità della luce). Si noti come questo limite, chiamato limite classico, possa essere concettualmente ottenuto sia per v piccolo sia per c→∞; infatti, una velocità infinita della luce, significa poter stabilire una simultaneità assoluta e quindi un ritorno alla visione classica. Il limite classico è una condizione necessaria della teoria, poiché per piccoli valori di β gli effetti relativistici non devono essere misurabili, per rendere conto dell'ottimo accordo sperimentale della visione classica. In questo senso, la teoria einsteiniana è una generalizzazione alle alte velocità della fisica di Newton.

Confrontando le due formule, si nota che "dove lo spazio si contrae, il tempo si dilata; e, viceversa, dove il tempo si contrae, lo spazio si dilata", come affermava Einstein. La relazione diventa più evidente se si risolvono le due equazioni rispetto a , da cui si ottiene:

Alle alte velocità (v sempre più prossimo alla velocità della luce c), la contrazione spaziale accorcia la misura delle lunghezze, tanto da renderle tendenti a zero, mentre la dilatazione temporale tende all'infinito.

La dilatazione del tempo in particolare impone la velocità della luce come limite massimo raggiungibile (discutendo il denominatore diverso da zero).

Velocità superiori a quelle della luce porterebbero all'ulteriore problema di un radicando negativo, e di un radicale (misura di L e T) numero immaginario: il problema è che per i numeri complessi non è possibile creare un ordinamento e non ha senso parlare di misure fisiche. Tuttavia, esiste una definizione matematica di spaziotempo che ammette un termine spaziale o uno temporale immaginario.

Osservazioni[modifica]

  • Nessun corpo massivo può assumere velocità uguali o superiori a c; le trasformazioni di Lorentz per v ≥ c non sono definite (i valori sotto radice diventano nulli o negativi). Il valore nullo non è accettabile, in quanto compare nel denominatore delle formule: un corpo può essere accelerato in tempo finito solo a una frazione della velocità della luce minore di 1. I corpi senza massa materiale, come i fotoni stessi, viaggiano sin dalla loro emissione alla velocità della luce. Da ciò si può dedurre che qualsiasi elemento di massa zero, si muoverebbe alla velocità della luce. Eventuali particelle più veloci della luce (dette tachioni) non potrebbero invece rallentare al di sotto della velocità della luce.
  • La contrazione delle lunghezze non deve essere vista come se il metro variasse la sua dimensione o come se l'orologio segnasse un tempo diverso. Le misure infatti saranno differenti solo se effettuate da un altro osservatore in moto relativo: la lunghezza del proprio metro e la durata del proprio minuto è la stessa per tutti gli osservatori. C'è da specificare, inoltre, che il restringimento della lunghezza secondo la teoria della relatività ristretta avviene soltanto nella direzione di avanzamento, e sia lo scorrere più lento del tempo, sia il restringimento dello spazio, si verificano contemporaneamente.
  • La teoria ammette questi effetti come conseguenza della peculiarità di c e del moto relativo e quindi come conseguenza del nostro modo di guardare le cose. La lunghezza propria è la più grande fra tutte le lunghezze relative ai punti di vista, ma non per questo è più reale delle altre. Sarebbe come notare che più lontani siamo da un oggetto e più piccolo questo ci sembra: niente ci può dire se l'oggetto si rimpicciolisce veramente o se sia un effetto della distanza. Non ha quindi senso domandarsi se si tratti di un fenomeno reale o apparente. Inoltre la persona che ipoteticamente sperimentasse la contrazione dello spazio, non avrebbe la sensazione di sentirsi ristretta, in quanto il suo sistema di misurazione rimarrebbe lo stesso poiché anch'esso coinvolto nella stessa contrazione (Il suo metro sarebbe sempre lungo 1 metro, il centimetro uguale, ecc.).
  • Le trasformazioni di Lorentz trattano il tempo alla stregua di una qualunque coordinata spaziale; dato che un evento può essere sempre individuato tramite la sua posizione nello spazio e lungo l'asse temporale, il formalismo relativistico può essere formulato in uno spazio a 4 dimensioni (spazio-tempo) di Minkowsky, nel quale le prime 3 coordinate coincidono con le normali coordinate spaziali e la 4 è rappresentata dal tempo. Un evento è individuato quindi dai 4 numeri (rct) = (x, y, z, ct). In generale, nella teoria della relatività ad avere valore assoluto non sono le misure delle distanze nello spazio o gli intervalli di tempo, quanto la separazione (distanza pseudoeuclidea) fra gli eventi (i punti dello spazio-tempo quadridimensionale). Le trasformazioni di Lorentz sono le trasformazioni lineari che connettono fra loro sistemi diversi di coordinate spazio-temporali lasciando invariata la separazione spazio-temporale fra ogni coppia di eventi.

Cinematica e dinamica relativistiche[modifica]

Effetti sul tempo[modifica]

Come detto precedentemente, l'effetto principale è la mancanza di accordo tra osservatori diversi sulla simultaneità tra due o più eventi osservati dai rispettivi sistemi di riferimento.

Consideriamo due sistemi di riferimento inerziali R e R' e sia la velocità lungo l'asse positivo delle x con cui R' si muove rispetto a R. In R' un emettitore luminoso, posto a metà strada tra due ricevitori distanti uno dall'altro 2L', emette un lampo di luce che per ragioni di simmetria, raggiunge i due rivelatori simultaneamente all'istante .

L'osservatore in R invece sostiene che il lampo di luce arriva prima al rivelatore di sinistra e poi a quello di destra, perché deve percorrere meno strada verso sinistra in quanto il rivelatore gli viene incontro. Se 2L è la distanza misurata tra i due ricevitori, allora la luce raggiungerà il rivelatore di sinistra all'istante , mentre raggiungerà quello di destra all'istante .

Quanto detto comporta anche che due orologi perfettamente sincronizzati nel sistema R', osservati simultaneamente da R non lo saranno più, ma quello a sinistra segnerà un orario maggiore di quello a destra; infatti la differenza si calcola facilmente ponendo una lampada in R' in posizione tale che illumini contemporaneamente i due orologi secondo il punto di vista dell'osservatore fermo in R. Questa lampada dovrà essere posta a una distanza di dall'orologio di sinistra, e di da quello di destra. Allora la luce percorrerà un tragitto più lungo di andando verso l'orologio di sinistra, che segnerà quindi un orario maggiore di secondi rispetto a quello di destra.

Cinematica[modifica]

Tutta la meccanica classica venne modificata per renderla invariante per trasformazioni di Lorentz, ottenendo risultati diversi dalla visione classica; è comunque sempre valido il limite classico. Basandosi sul fatto che per velocità piccole la dinamica di Newton fornisce risultati corretti, si può supporre che valgano anche in relatività le stesse grandezze, anche se alcune grandezze devono essere ridefinite per accordarsi con la relatività ristretta. In effetti si trova che le stesse leggi di Newton (principio d'inerzia, secondo principio e conservazione della quantità di moto) valgono ugualmente in meccanica relativistica, a patto di ridefinire alcune delle grandezze coinvolte.

È generalmente utilizzato, allo scopo di alleggerire la formulazione e creare degli invarianti per cambiamento di riferimento (quali erano il tempo e l'accelerazione in meccanica classica), un formalismo tensoriale che definisce le grandezze della cinematica non più grazie ai vettori in R3, ma ai quadrivettori nello Spazio-tempo di Minkowski M quadridimensionale. Data una nuova definizione di tempo proprio, uno scalare realmente indipendente dal sistema di riferimento e legato solo al moto del corpo studiato, si possono derivare, dalla posizione di un corpo nello spazio tempo, la sua quadrivelocità e quadriaccelerazione.

Chiamiamo il quadrivettore posizione che identifica la posizione della particella rispetto a un sistema di riferimento inerziale (sistema del laboratorio), dove c è la velocità della luce, t la coordinata temporale e x, y, e z le coordinate spaziali. Differenziando abbiamo:

Definiamo tempo proprio il tempo che misurerebbe un orologio posto su una particella in moto vario nello spaziotempo come se si muovesse di moto rettilineo uniforme. In simboli ( |X| indica la norma di Minkowsky):

Il tempo proprio è una grandezza utile a parametrizzare la traiettoria di un corpo.

Definiamo anche il quadrivettore velocità come (quadrivelocità) e il quadrivettore accelerazione (quadriaccelerazione). Possiamo quindi esprimere quadrivelocità e quadriaccelerazione in funzione delle ordinarie velocità e accelerazione come:

Di seguito sono riportati due casi notevoli, ottenuti applicando le trasformazioni di Lorentz.

Legge di trasformazione degli angoli[modifica]

Si ricava che la nozione di parallelismo tra due rette è invariante, mentre non lo è quella di perpendicolarità. L'angolo tra due vettori è invariante solo se si trovano entrambi in un piano perpendicolare alla velocità relativa tra i due osservatori.

Legge di composizione delle velocità[modifica]

Come diretta conseguenza delle trasformazioni di Lorentz, le velocità si compongono non come normali vettori (vedi regola del parallelogramma) ma in un modo diverso, che tiene conto dell'insuperabilità della velocità della luce. Se nel sistema S un corpo ha velocità , e il sistema S* si muove di velocità , cioè parallela all'asse x del sistema S, la velocità del corpo nel sistema S* sarà data dalle seguenti formule:

Dinamica[modifica]

Il quadrivettore quantità di moto (quadrimpulso) è definito, similmente alla meccanica newtoniana, come:

dove m è la massa (a riposo) del corpo.[8] La quantità di moto nel sistema di riferimento dell'osservatore diventa quindi:

A causa del coefficiente la quantità di moto di un corpo tende a infinito quando v tende alla velocità della luce c. Analogamente, introducendo la quadriforza il secondo principio si esprime come

oppure, ponendo chiamata forza relativa (al sistema galileiano considerato):

Facciamo l'esempio di una particella sottoposta a una forza costante come, per esempio, un elettrone sottoposto a un campo elettrico costante. In teoria, secondo il senso comune, continuando a fornire a esso energia, questo elettrone dovrebbe aumentare linearmente la sua velocità. Nella realtà però, per quanta energia continuiamo a fornirgli, questi elettroni non riusciranno mai a raggiungere la velocità della luce, come se ci fosse qualcosa che li frena. Continuando a fornire sempre la stessa energia, l'accelerazione risultante sarà sempre minore, così via sempre diminuendo. Ciò è ben spiegato dalla dinamica relativistica: chiamando "massa relativistica" il termine , è come se la massa inerziale dell'elettrone aumentasse con l'aumentare della velocità. A velocità prossime a quelle della luce, la massa relativistica tende all'infinito, rendendo così necessarie grandissime quantità di energia per ogni piccola accelerazione dell'elettrone. L'aumento della massa avviene a spese dell'energia fornita per accelerarlo, e la velocità della luce non può essere raggiunta, poiché occorrerebbe una forza infinita. La relazione tra le misure della massa in due sistemi inerziali diversi è data da: mentre quella della quantità di moto è:

Energia[modifica]

Definendo l'energia E come si dimostra facilmente il teorema dell'energia cinetica:

.

Espandendo l'energia E in serie di Taylor per piccoli otteniamo:

L'energia, approssimata al second'ordine, risulta essere formata da una componente costante dipendente solo dalla massa del corpo e dal termine , uguale all'energia cinetica della meccanica newtoniana. L'energia E è quindi la naturale estensione dell'energia cinetica "classica". Questa formula, la più conosciuta della Fisica assieme alla 2ª Legge della Dinamica di Newton , dice in sostanza che l'energia può trasformarsi in massa e viceversa: in sintesi, energia e massa sono equivalenti.

Questo principio è quello che si verifica nella fissione nucleare, dove per esempio una massa di 10 grammi di uranio si trasforma in 900.000 miliardi di joule di energia. Tale principio è usato nelle centrali nucleari per produrre energia, e anche nelle bombe atomiche.

Paradossi relativistici[modifica]

Le difficoltà nell'accettazione della teoria della relatività si manifestarono anche nella formulazione di alcuni esperimenti mentali, chiamati paradossi relativistici, in cui l'applicazione della relatività ristretta porta a conseguenze lontane dal senso comune, se non addirittura contraddittorie (da qui il nome "paradossi"). I paradossi relativistici vennero anche usati dai detrattori della relatività per cercare di dimostrare l'incoerenza della teoria stessa.

Alcuni di questi paradossi non cercano propriamente di evidenziare contraddizioni; sono soltanto delle previsioni fatte dalla teoria che risultano lontane dal senso comune, e quindi sono difficili da spiegare al di fuori di un ambito scientifico rigoroso.

Altri paradossi tendono invece a cercare contraddizioni interne alla teoria della relatività. Un famoso esempio è il paradosso dei gemelli, che deve il suo nome alla presentazione che ne fece il filosofo Herbert Dingle negli anni '50. Esso consiste nella situazione di due gemelli, uno dei quali compie un viaggio spaziale verso una stella per tornare quindi sulla Terra. Secondo Dingle, applicando i principi della relatività ristretta, si sarebbe dovuti giungere alla conclusione paradossale che ciascuno dei due gemelli, al ritorno del gemello che era partito, avrebbe dovuto essere più vecchio dell'altro. In realtà, questa situazione non può essere formalmente risolta all'interno della teoria della relatività ristretta ma solo nell'ambito della relatività generale, in quanto solo quest'ultima si riferisce anche ai sistemi di riferimento non inerziali (l'inversione della velocità dall'andata al ritorno della navicella implica infatti un'accelerazione); tuttavia, è possibile darne un'esauriente spiegazione anche nella relatività speciale, trascurando i momenti di accelerazione non nulla, senza giungere a contraddizioni.

Conferme sperimentali[modifica]

Gli effetti sulle lunghezze e sugli intervalli di tempo sono normalmente osservati sia in natura sia nei laboratori, dove particelle sono spinte negli acceleratori a velocità vicine a quelle della luce.

Una prima conferma provenne dalla maggiore vita media dei pioni o dei muoni generati dai raggi cosmici nell'alta atmosfera terrestre: questi pioni e muoni esistono mediamente solo per circa 2 milionesimi di secondo, poi si trasformano in altre particelle. Muovendosi al 99% della velocità della luce, la distanza che dovrebbero percorrere si può calcolare in 300.000×0,99×2 milionesimi = 0,6 km. Quindi, percorrendo solo 600 metri, ed essendo prodotti nell'alta atmosfera, essi dovrebbero decadere prima di arrivare sulla superficie della terra. Nella realtà essi arrivano fino al livello del mare, cosa che viene interpretata come un aumento della loro vita media a causa dell'alta velocità: rispetto a un osservatore sulla superficie terrestre, la durata del loro stato stabile si allunga (perché il loro tempo scorre più lentamente), e sono quindi in grado di percorrere distanze più grandi di quelle attese.

L'equivalenza tra massa ed energia è confermata dal difetto di massa: due particelle legate tra loro hanno una massa totale minore della somma delle stesse particelle libere; la differenza di massa è dovuta al fatto che le particelle appartengono allo stesso sistema cinetico: nel caso opposto entrambe sommano alla loro massa inerziale quella cinetica.

Note[modifica]

  1. Questo non deve essere confuso con la relatività del moto, che segue dalla teoria di Galileo, ovvero il fatto che osservatori (sistemi di riferimento) diversi descrivano il moto in maniera diversa. A causa di questo carattere assoluto nella fisica classica, gli intervalli di lunghezza e di tempo sono invarianti in ogni sistema di riferimento.
  2. L'idea di un sistema di riferimento privilegiato era, comunque, in aperto contrasto con quanto trovato da Galileo e Newton, ossia che tutti i sistemi di riferimento inerziali fossero equivalenti poiché era possibile passare da uno all'altro tramite una trasformazione di coordinate.
  3. Un'altra caratteristica della luce e delle onde elettromagnetiche che le distingue dagli altri fenomeni ondulatori (come ad es. la propagazione del suono o la propagazione di un'onda in una corda) è che non necessita di un mezzo per la propagazione, ossia le onde EM si possono trasmettere anche nel vuoto.
  4. Abraham Pais, La scienza e la vita di Albert Einstein, Bollati Boringhieri, Torino, 1986,ISBN 978-88-339-1927-0, p. 45
  5. In pratica ciò corrisponde a usare modelli matematici diversi nelle due teorie per descrivere lo spazio e il tempo: in meccanica classica lo spazio è rappresentato da uno spazio euclideo tridimensionale fibrato sul tempo (rappresentato dalla retta reale). Invece nella relatività ristretta si ha una varietà euclidea quadridimensionale.
  6. «Secondo le regole di connessione del tempo e delle coordinate spaziali degli eventi, usate nella fisica classica, [...] le due ipotesi [della relatività ristretta] [...] sono fra loro incompatibili (anche se entrambe, prese separatamente, si basano sull'esperienza)», in A. Einstein, Autobiografia scientifica, op. cit., pag. 36
  7. 7,0 7,1 7,2 A. Einstein, Autobiografia scientifica, op. cit., p. 36
  8. Storicamente, il termine "massa" venne usato per la quantità E/c². Questa venne chiamata la "massa relativistica", e m era la "massa a riposo". Questa terminologia viene ora disincentivata in ambito scientifico, poiché non c'è bisogno di due termini per descrivere l'energia di una particella, e perché crea confusione quando si parla di particelle senza massa. In questo articolo, ci si riferisce alla massa a riposo ogni volta che si parla di "massa".

Bibliografia[modifica]

  • (DE) A. Einstein, Zur Elektrodynamik bewegter Körper in Annalen der Physik 17 (1905), pp. 891–921, trad. it. Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento, in A. Einstein, Opere scelte, a cura di E. Bellone, Bollati Boringhieri, Torino, 1988, pp. 148–177
  • (DE) A. Einstein, Über die spezielle und die allgemeine Relativitätstheorie (gemeinverständlich), Vieweg, Braunschweig 1917, trad. it. Relatività: esposizione divulgativa, in A. Einstein, Opere scelte, a cura di E. Bellone, Bollati Boringhieri, Torino, 1988, pp. 389-504
  • A. Einstein, a cura di P. A. Schillp, Albert Einstein: Philosopher-Scientist, The Library of Living Philosophers, Evanston (Ill.), 1949, trad. it. A. Einstein et al., Autobiografia scientifica, Bollati Boringhieri, 1979 (riduzione)
  • (EN) Edwin F. Taylor, John Archibald Wheeler (1992): Spacetime Physics: Introduction to Special Relativity, 2nd ed., W. H. Freeman & Co., ISBN 0-7167-2326-3
  • (EN) Anadijiban Das (1996): The Special Theory of Relativity: A Mathematical Approach, Springer, ISBN 0-387-94042-1

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