Giusnaturalismo e giusrazionalismo

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Giusnaturalismo e giusrazionalismo
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materie:
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

Premessa[modifica]

La presente lezione di approfondimento, che si collega a stretto nodo con la lezione 4 del Corso, vuole studiare da vicino gli sviluppi di due correnti filosofiche: il Giusnaturalismo e il Giusrazionalismo, che formeranno poi la base della futura Codificazione napoleonica.

La seguente lezione non è necessaria tanto per una buona conoscenza del Diritto medievale e moderno quanto per poter comprendere a pieno i risvolti culturali dell'Età moderna.

Lezione di approfondimento[modifica]

Nel XVI secolo, se da un lato abbiamo la riforma della teocrazia, dall'altro lo sviluppo del Razionalismo. Al centro del pensiero non vi era più la religione ma la ragione (si ricordi la Teoria copernicana). Tutti i problemi del quotidiano sono risolti con la ragione che sarà sviluppata con le correnti filosofiche del giusnaturalismo e del giusrazionalismo prima e in seguito dal giuspositivismo. Di Diritto di natura già si parlava nell'Antichità con lo Stoicismo. Il Diritto romano divide il diritto divino dal diritto naturale positivo. Il Diritto di natura è il complesso di norme da considerarsi superiori e innate e per tanto non sottoposte al legislatore. Sono un complesso di diritti propri dell'essere umano. Crea così un limite invalicabile al potere legislativo che deve tutelare il diritto naturale e non ingerire. Ci sono varie concezioni di diritti innati: per alcuni è il diritto di proprietà, per altri non lo è perché è innata la comune libertà, per alcuni il diritto al voto, per altri il diritto alla vita. I diritti innati furono molto studiati e per questo motivo arriveranno addirittura nella aule legislative e di tribunale (si ricordi il Tribunale di Norimberga).

Giusnaturalismo[modifica]

Per giusnaturalismo o dottrina del diritto naturale (dal latino ius naturale, «diritto di natura») s'intende la corrente di pensiero filosofica che presuppone l'esistenza di una norma di condotta intersoggettiva universalmente valida e immutabile, fondata su una peculiare idea di natura (ma, come nota Bobbio, «'natura' è uno dei termini più ambigui in cui sia dato imbattersi nella storia della filosofia»), preesistente a ogni forma storicamente assunta di diritto positivo (termine coniato dai medievali, derivato dal greco thésis, tradotto in latino come positio; e, appunto, positivum riproduceva letteralmente il senso greco del dativo thései, riferentesi al prodotto dell'opera umana) e in grado di realizzare il miglior ordinamento possibile della società umana, servendo «in via principale per decidere le controversie fra gli Stati e fra il governo e il suo popolo».

Il Giusnaturalismo è frutto principalmente dell'opera di tre giuristi: Grozio, Hobbes e Locke. L'iniziatore del Giusnaturalismo Moderno fu Grozio con il suo De Iure Belli ac Pacis con l'intento di creare regole che si appellavano solo alla ragione prescindendo dalla morale e dalla teologia. Il Diritto è frutto della ragione ed esiste anche quando non c'è Dio. Dio e Natura sono separabili. Il Diritto si fonda su tre principi:

  • Non Rubare;
  • Rispettare gli Accordi (Pacta sunt Servanda);
  • Riparare i Danni Causati per propria colpa.

Da questi principi si creano i precetti più particolari. Distingue poi tra Stato di natura (Diritto di natura) e Stato di diritti (Diritto positivo). Il passaggio dall'uno all'altro è caratterizzato dal patto di unione tra gli individui e un Sovrano. L'esclusione della religione dallo Stato non è totale. Riteneva che infatti bisogna intervenire sui problemi della religione ma la stessa non doveva avere influenza nello Stato.

Il Diritto positivo nascerà poi proprio sotto il crisma di questa Razionalità.

Hobbes, proprio perché visse il conflitto tra Sovrano e Parlamento in Inghilterra, è il teorico dell'assolutismo. Gli individui si muovono solo per egoismo. Il passaggio dallo Stato di natura allo Stato di diritto è necessario e avviene attraverso un patto di subordinazione, con il quale si spogliano dei diritti e li cedono al Sovrano, il quale è l'unico fuori dal patto e ha tutti i diritti ma nessun dovere esercitando il potere in modo assoluto. Figura tipica del Sovrano è il Leviatano questa figura spaventosa formata da tutte le teste dei cittadini che non ammette ribellione al suo volere. Con Hobbes si inizia a sfumare verso il Giuspositivismo. Il Sovrano poteva legiferare su tutto e se non esisteva una legge voleva dire che ciò era ammesso.

Locke, figlio del liberismo inglese, si pone in antitesi a Hobbes. Afferma che esistono diritti naturali di cui non ci si può privare: libertà, proprietà e uguaglianza. Un organo di controllo ci deve essere. Locke anticiperà la divisione dei poteri. Il Sovrano quando crea norme deve tutelare quei diritti innati erga omnes. Se lo Stato lede questi diritti l'individuo può resistere e opporsi all'ingerenza dello Stato.

Secondo la dottrina giusnaturalistica il diritto positivo non si adegua mai completamente alla legge naturale, perché esso contiene elementi variabili e accidentali, mutevoli in ogni luogo e in ogni tempo: i diritti positivi sono realizzazioni imperfette e approssimative della norma naturale e perfetta, la quale, da quanto risulta dal manuale settecentesco di Gottfried Achenwall intitolato Jus naturae in usum auditorum, può servire «in via sussidiaria per colmare le lacune del diritto positivo». I temi affrontati dai teorici della dottrina del diritto naturale attengono al diritto, perché pongono in discussione la validità delle leggi, alla morale, in quanto riguardano l'intima coscienza dell'uomo, e, prevedendo limiti al potere dello Stato, alla politica.

Giusrazionalismo[modifica]

Il Giusrazionalismo crede che il Diritto naturale sia ordinato in modo logico e razionale. I Principali giuristi di questo pensiero sono Pufendorf e Leibniz.

  • Pufendorf teorizza la laicizzazione del Diritto. Egli funge da mediatore tra il pensiero di Locke e Hobbes. Il Sovrano esercita il potere in modo assoluto ed è l'unico che può ordinare. Le leggi create dal Sovrano sono buone in sé. È ammessa la resistenza degli individui ma il potere del Sovrano è tanto perfetto che è quasi inutile. Distingue tra la morale e il diritto ma il sovrano può legiferare anche sulla morale.
  • Leibniz, invece, crede che la giurisprudenza deve estendere il suo potere in tutti i comportamenti umani, sia interni che esterni. Se un'azione è giusta lo è sempre sia per la morale che per il diritto, non c'è quindi distinzione tra i due. Ammette uno Stato interventista, la giustizia consiste nel fare il bene e se per farlo deve intervenire anche violentemente sulla morale può farlo. La norma deve essere, poi, rigorosa e chiara, deve essere inoltre anche grammaticalmente e rigorosamente perfetta. Egli crede in un codice breve e chiaro per questo critica il Diritto romano, che è un insieme di regole che partono dal diritto naturale, ma ci si deve distaccare per passare ad una ratio scritta. Esistono poi diritti naturali ma essi sono espressione di uno Stato di diritto che interviene senza scindere morale e diritto. Non ci sono diritti da tutelare, ma essi devono rientrare in un ordine universale che crea norme che sono espressione di uno Stato interventista che legifera su tutto.