La Revisione del Titolo V
Il Parlamento italiano, quasi alla conclusione della XIII Legislatura, ha approvato una rilevante modifica della Costituzione modificando 9 articoli della stessa, tutti contenuti all'interno del Titolo V della Seconda parte, relativo all'ordinamento territoriale italiano. La legge di revisione segna il passaggio da uno Stato regionale ad un modello definito come Stato policentrico delle autonomie, o Repubblica delle autonomie, in prima istanza rovesciando l'ordine di preminenza nella formazione delle leggi disposto dall'articolo 117: se prima venivano elencate le materie in cui le Regioni avevano potere di legiferare (in via concorrenziale) ed era lasciata allo Stato la competenza su tutto il resto, ora vengono elencate le materie di competenza esclusiva dello Stato, nonché alcune materie di competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, mentre viene lasciata alle Regioni la competenza generale o "residuale" (cosiddetto federalismo legislativo).
Altri effetti della riforma sono:
- L'ordinamento policentrico della Repubblica italiana (adesso costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato);
- La prima citazione dell'ordinamento sovranazionale europeo ("comunitario") tra quelli che danno luogo ad obblighi che limitano la discrezionalità legislativa nazionale (sia dello Stato che delle regioni);
- La "costituzionalizzazione" di Roma capitale della Repubblica;
- La possibilità di concedere alle Regioni a statuto ordinario che ne facciano richiesta (e previa intesa con lo Stato) forme e condizioni particolari di autonomia (cosiddetto federalismo differenziato, di natura pattizia);
- L'attribuzione ai Comuni della preminenza nell'azione amministrativa (inserimento in Costituzione dei principi del federalismo amministrativo);
- L'introduzione dei principi di sussidiarietà verticale tra i vari livelli di governo della Repubblica e di sussidiarietà orizzontale tra gli enti pubblici e i cittadini;
- L'inserimento dei principi del federalismo fiscale e la previsione di un fondo perequativo per le aree svantaggiate del Paese (eliminando qualsiasi riferimento specifico al Mezzogiorno e alle Isole);
- L'introduzione del potere di supplenza dello Stato qualora una Regione o un ente locale non svolga le funzioni proprie o attribuite;
- La previsione dell'inserimento negli Statuti regionali del Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali;
- La soppressione del controllo preventivo statale sulla legislazione regionale;
- La possibilità, nelle more dell'istituzione del Senato federale, di integrare la Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle Regioni e degli enti locali.
Questa riforma, realizzata dall'Ulivo sulla base di un testo approvato da maggioranza e opposizione nella Commissione bicamerale per le riforme istituzionali presieduta dall'onorevole D'Alema, non è stata appoggiata dal quorum dei 2/3 del Parlamento: ciò ha permesso l'indizione di un referendum per chiederne all'elettorato l'approvazione o la bocciatura. Attraverso il voto popolare del referendum, svoltosi il 7 ottobre 2001, il 64,20% dei votanti (34,10% di affluenza) ha espresso la volontà di confermare la riforma, entrata poi in vigore l'8 novembre 2001.