Il Neofederalismo
Tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo ci fu una ripresa delle idee autonomiste e federaliste ad opera della Rivista repubblicana, diretta da Alberto Mario, di una parte non indifferente del Partito Socialista Italiano (soprattutto ad opera di Gaetano Salvemini e del gruppo della rivista federalista L'Unità) e del nascente movimento politico cattolico (con don Sturzo). Le elezioni politiche del 1899, per esempio, si svolsero all'insegna delle tematiche localiste (soprattutto a Milano).
Con l'alzarsi dei venti di guerra e lo scoppio nel 1914 della prima guerra mondiale furono moltissime le adesioni, sia in Italia che in Europa, alle idee federaliste (vedi, per esempio, le proposte di creare una confederazione balcanica avanzata dall'Internazionale socialista nel 1908). Dopo lo scoppio della Rivoluzione russa nel 1917 però andò prevalendo anche nel movimento socialista il programma massimalista e i temi dell'autonomia e del federalismo persero credito. Si rileva la presenza significativa del partito storico di massa allora più influente in Sardegna, il Partito Sardo d'Azione guidato da Emilio Lussu, che guardava con favore al repubblicanesimo catalano e si ergeva in rappresentanza di una congerie di vedute riassunte nel nome di sardismo, e spazianti dall'autonomismo federalista di Camillo Bellieni all'indipendentismo della base militante.
Fu solo dopo la presa del potere da parte di gruppi politici autoritari e filo-centralisti in molti paesi europei, quali i fascisti e i nazisti, che le idee federaliste e autonomiste si imposero in tutti i partiti (eccetto i nazionalisti e i comunisti).
Tra i più originali pensatori federalisti di questi anni citiamo Silvio Trentin, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Leone Ginzburg e Leo Valiani. Nel 1945, dopo la fine della seconda guerra mondiale, l'Europa imboccò la strada delle autonomie e del federalismo, anche se non senza contraddizioni. Per esempio, in Italia, la nuova Costituzione repubblicana istituì le regioni quali enti autonomi con poteri legislativi. Molti dei protagonisti della nascita della Repubblica Italiana, primo fra tutti Alcide De Gasperi, non nascondevano le loro idee federaliste, anche se le condizioni politiche e sociali in cui versava il paese consigliarono i governanti dell'Italia ad una (eccessiva) cautela nei confronti del riassetto federale del paese.
La Guerra Fredda, il monopolio politico della Democrazia Cristiana, lo scontro ideologico, la coincidenza di vedute filo-centraliste tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano, portarono quindi ad un ulteriore ritardo nell'applicazione di quelle seppur minime idee federaliste che molti intellettuali italiani attendevano dalla seconda metà del XVIII secolo. Le regioni a statuto ordinario, istituite nel 1948, furono infatti attivate solamente nel 1970. Quelle a statuto speciale furono essenzialmente motivate dall'intento di evitare perdite territoriali o ingerenze da parte degli Stati confinanti, soprattutto Francia (che rivendicava la Valle d'Aosta) e la Jugoslavia (che giustificava il suo intento di controllare i territori della Venezia Giulia e del Friuli orientale con la motivazione di difendere le popolazioni slavofone ivi residenti, costrette a subire un processo di italianizzazione negli anni del fascismo). Gran parte delle regioni a statuto autonomo, comunque, risentì del ritardo con cui si diede attuazione al dettato costituzionale delle regioni a statuto ordinario, in quanto le prime finirono per apparire enti anomali nel quadro dell'architettura statale presente in via di fatto, e le loro prerogative subirono nel tempo una serie di ridimensionamenti in conseguenza dell'adozione di moduli organizzativi di tipo accentrato nell'amministrazione pubblica nazionale.
Con la crescente crisi politica, culturale, economica e sociale italiana, l'implementazione del sistema delle autonomie regionali, l'allentarsi delle tensioni a livello internazionale, negli anni settanta del XX secolo le idee federaliste ripresero un certo vigore. Proposte di riarticolazione in senso federale della Repubblica giunsero trasversalmente, per esempio dal comunista e sindacalista Bruno Trentin al costituzionalista Gianfranco Miglio (per un periodo considerato l'ideologo della Lega Nord).
Ma, tramontata, nel 1848, l'idea di un'Italia realizzata attraverso l'unione federale tra i sette stati preunitari, da allora il tema non è stato più affrontato secondo il suo significato storico, ossia come percorso politico verso un'unità statuale fra enti prima sovrani, ma piuttosto come ristrutturazione dell'impianto statale sotto il profilo politico, amministrativo e soprattutto fiscale, e nell'ottica di una responsabilizzazione dei livelli operativi regionali e locali, della trasparenza, dell'efficienza ed efficacia dell'azione pubblica.
Questa nuova visione politica ed economica vede un crescente decentramento nella gestione pubblica, in cui si vorrebbe attribuire ai singoli enti locali una maggiore autonomia nella raccolta delle imposte e nell'amministrazione delle proprie entrate e delle spese. Epicentro del dibattito è il diffuso malcontento nei confronti della gestione centralizzata delle funzioni di governo, che ha dato adito alla promozione di politiche tese al superamento del forte accentramento delle funzioni in capo allo Stato e all'affermazione dell'esigenza della decentralizzazione delle competenze a livello di governo sub-statale, ritenuti maggiormente in grado di dare risposte efficienti ed efficaci in quanto più vicini al cittadino.
Il dibattito abbraccia una serie di argomenti: il binomio federalismo centripeto-federalismo centrifugo, ovvero il dibattito tra chi vede il federalismo come una forma di organizzazione statale di tipo divisorio e chi, invece, come una forma di tipo aggregante; il federalismo nell'era della globalizzazione, dibattito che tende a stabilire se il federalismo sia o meno in grado di rispondere adeguatamente alle grandi sfide e ai soggetti della globalizzazione; "questione settentrionale" e "questione meridionale", ovvero il ruolo del federalismo rispetto al rapporto tra Nord e Sud Italia; in ultimo, i costi del federalismo, per comprendere se il sistema federalista sarebbe in grado di ridurre e razionalizzare le spese statali o, al contrario, se rappresenterebbe un aumento dei costi rispetto ai sistemi accentrati.
Per il dibattito sul binomio federalismo centripeto-federalismo centrifugo, sarà la Lega Nord a riaccendere il dibattito attorno agli anni novanta, quando il giurista Gianfranco Miglio parlò di un'Italia non predisposta per un regime centralizzato, essendo composta da una popolazione disomogenea e non avendo né un passato unitario né un buon livello di democrazia[13]. In occasione del meeting Federalismo e federalismo fiscale nell'Italia che cambia, tenutosi a Rimini, il 26 agosto 2010, organizzato dalla Fondazione Meeting per l'amicizia fra i popoli in collaborazione con Unioncamere, il presidente del Veneto Luca Zaia, e l'allora presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, sottolinearono che 150 anni di unità centralista, almeno negli ultimi decenni, non avevano funzionato e che il vero nemico della crescita e dello sviluppo era proprio il centralismo.
Tra gli altri partiti italiani, il Partito Democratico afferma di sostenere "i valori dell'autonomia e del federalismo in quanto promotori delle capacità di autorganizzazione in grado di garantire la coesione sociale e territoriale del Paese" (punto 5 del manifesto dei valori).
Di contro, c'è chi conferisce al concetto di federalismo un'accezione negativa, evidenziando quelli che sarebbero i rischi di una sfaldatura del Paese, chiamando in causa il termine "secessione". Uno dei pericoli maggiori, secondo questa tesi, risiederebbe nell'esasperazione degli egoismi locali, in favore di un federalismo che diverrebbe di natura centrifuga, che sarebbe causa di competizione tra i territori e che vedrebbe i ricchi svincolarsi dagli obblighi di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza alla comunità nazionale. Alcuni studiosi annoverano tra gli esempi di federalismo centrifugo i casi della Catalogna e dello stesso Nord Italia.
Il federalismo, secondo i suoi detrattori, che lo definiscono anche "federalismo per disaggregazione", rappresenterebbe l'inizio di un processo di detronizzazione dello Stato che rinuncerebbe a ogni pretesa gerarchica nel sistema delle fonti per diventare una semplice parte dello stesso rango di Comuni, Province, Regioni. Alla base di questa visione del federalismo come detronizzazione dello Stato c'è la motivazione storica per la quale il federalismo si svilupperebbe solo "per aggregazione", cioè come ricomposizione paziente e delicata di società plurali attraversate da forti linee di frattura.