Il Patto di Londra
Il Patto di Londra
[modifica]Sonnino rispose alle provocatorie profferte austriache con un'uguale provocazione: egli richiese oltre all'intero Trentino anche Trieste ed il basso Isonzo. Si sentiva, infatti, le spalle coperte: l'avanzata russa in Galizia proseguiva e, il 4 marzo 1915, l'Italia aveva presentato le proprie richieste alle potenze dell'Intesa: la difficoltà maggiore era rappresentata dalle pretese circa il controllo della Dalmazia e lo status di Valona, oggetto, anche, delle richieste della Serbia, sostenuta dalla Russia per solidarietà etnica, e della Gran Bretagna per questioni di controllo navale.
Sin dal settembre 1914 l'Intesa aveva offerto a San Giuliano Trento, Trieste (ma non la Venezia Giulia) e Valona. Il ministro italiano richiese Trentino, Venezia Giulia, l'internazionalizzazione di Valona (ovvero l'autonomia dell'Albania), il disarmo della flotta austriaca, una parte dei possedimenti turchi e, in generale, un'equa ripartizione di qualsivoglia indennità di guerra fosse stato possibile ottenere al termine del conflitto.
Le discussioni accelerarono con l'inizio delle operazioni che avrebbero portato allo sbarco franco-inglese a Gallipoli; il 4 marzo l'Italia presentò le proprie nuove richieste all'Intesa: Trento, Bolzano, Trieste e l'Isonzo, tutta la Dalmazia e Valona.
Nelle settimane successive la posizione italiana fu prima indebolita dalla caduta di Przemysl poi rafforzata dalle difficoltà incontrate nel corso delle operazioni a Gallipoli.
Le trattative proseguirono, quindi, celermente ed il 16 aprile venne raggiunto un accordo circa le compensazioni territoriali: l'Italia si contentò di Zara e Sebenico, rinunciando a Spalato e Fiume, ma ebbe promesso non solo Trento, Trieste e l'Isonzo, ma pure Bolzano, con i “confini naturali”. Si aggiungevano Valona e vaghe promesse riguardo a concessioni a sud di Smirne, di fronte al Dodecaneso. Restava da regolare la data dell'entrata in guerra, che venne poi fissata entro un mese dalla firma dell'alleanza, ciò che permise la sottoscrizione del trattato: il Patto di Londra venne sottoscritto il 26 aprile.
Conseguentemente, e non banalmente, il 4 maggio Sonnino comunicò a Vienna la nullità dell'alleanza. Ciò ancorché l'esistenza del patto rimanesse segreta.
Il nuovo governo Salandra e l'entrata in guerra
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«Cittadini e soldati, siate un esercito solo! Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento.» |
(Vittorio Emanuele III) |
A quel punto Giolitti si recò a Roma ed espresse a Salandra ed al re il proprio suggerimento di continuare i negoziati con Vienna e Berlino. Il principale punto di obiezione era costituito dallo stato di preparazione dell'esercito. Nel frattempo von Bülow, del tutto indipendentemente dal Giolitti tentava di influenzare l'opinione pubblica.
Così il 3 maggio, l'Italia si disimpegnò dalla Triplice Alleanza, mentre i nazionalisti manifestavano in piazza per l'entrata in guerra[1], i parlamentari neutralisti ricevettero minacce e intimidazioni, (lo stesso Giolitti dovette assumere una scorta). Il 13 maggio Salandra presentò al Re le dimissioni; Giolitti, nel timore di approfondire una grossa frattura all'interno del paese, di provocare una crisi istituzionale di larga portata e di compromettere il paese all'esterno, rinunciò alla successione e fece in modo in sostanza che l'incarico venisse conferito nuovamente a Salandra. L'Italia entrò perciò in guerra per volontà di un gruppo di relativa minoranza, chiamando a combattere i militari lungo più di 750 chilometri di fronte, che andavano dal Mare Adriatico al confine svizzero.
Il prestigio di Giolitti era enorme, assai superiore a quello di Salandra, e quest'ultimo si sentì obbligato a presentare, il 13 maggio, le dimissioni del governo, contando di riottenere un incarico. Vittorio Emanuele III si rivolse a Giolitti, che rifiutò, poiché finalmente informato del Patto di Londra (inizialmente non ne fu informato nemmeno Cadorna) ma, soprattutto e da politico di razza, per evitare che «il suo avvento facesse cadere, almeno per il momento, la minaccia di guerra e imbaldanzisse l'Austria». Si disse anche che il Re avesse pure minacciato di abdicare a favore del cugino, il duca d'Aosta, ma la cosa è appare assai improbabile ed assomiglia, piuttosto, ad un pettegolezzo o, al massimo, ad uno sfogo umorale.
Il Re si rivolse, quindi, a Marcora, a Boselli e a Carcano. Tutti e tre erano a favore dell'intervento e il comasco Carcano aveva addirittura sostituito Rubini. Ma nessuno aveva un ascendente politico maggiore di quello di Salandra e tutti rifiutarono, suggerendo un reincarico, intervenuto, in effetti, il 16 maggio. Nel frattempo si assisteva a grandi manifestazioni interventiste nelle città del nord, che avevano fortemente rinforzato il partito della guerra.
I risultati non tardarono a manifestarsi: il 20 maggio il parlamento approvò facilmente i crediti di guerra, con Giolitti assente al momento della votazione. Il 23 maggio venne presentata la dichiarazione di guerra alla sola Austria-Ungheria, con effetto dal 24 maggio successivo.
Note
[modifica]- ↑ "le radiose giornate di maggio", secondo la definizione di Gabriele D'Annunzio