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Il Principio di Retroattività Penale della ''Lex Mitior'' nel Diritto Penale Europeo

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Il Principio di Retroattività Penale della ''Lex Mitior'' nel Diritto Penale Europeo
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Diritto penale europeo
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

Per comprendere bene cosa sia il principio di retroattività penale della lex mitior (o Principio di retroattività penale della pena più mite o Principio di retroattività penale della legge più favorevole al colpevole di reato)' bisogna aver compreso in pieno il tema trattato nella Lezione Il Principio di Irretroattività Penale nel Diritto Penale Europeo. Esso infatti si presenta come un'eccezione al principio di irretroattività penale. Infatti esso prevede che una legge penale favorevole al reo possa retroagire nel tempo e quindi avere effetto anche per le azioni o le omissioni, creatrici di reato, compiute prima della entrata in vigore della legge più favorevole al reo (intendendo per favorevole sia una abrogazione della fattispecie di reato sia una riduzione della pena).

Il principio di retroattività penale della lex mitior in Italia

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Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Il Principio di Irretroattività Penale.

Il Principio di retroattività penale della Lex Mitior in Italia, a differenza di quello dell'irretroattività penale, non ha una consacrazione diretta in Costituzione. Una sua formalizzazione si trova nella lettura sistematica dell'articolo 2 del Codice Penale "Successione di Legge Penali" (bisogna leggere atecnicamente la rubrica: infatti non solo è possibile una successione di leggi, ma anche di semplici fattispecie modificate). Chiaramente quando l'articolo 2 fu creato si aveva in mente un'idea del diritto penale tendenzialmente stabile e duratura nel tempo con poche mutazioni possibili, ecco perché il tema stesso della retroattività o meno di una legge era quasi marginale e risolvibile con una normativa sostanzialmente molto ridotta, come quella espressa nell'articolo 2. Tutto questo cambia con il corso degli anni, fino a giungere ad un diritto che muta velocemente e imprevedibilmente, come quello di oggi, dove il tema della retroattività o meno di una legge ha chiaramente un peso notevole nelle questioni giurisprudenziali. Conviene iniziare con una lettura dell'articolo 2.

Si riporta di seguito l'Estratto dell'Articolo 2 del Codice Penale recante rubrica "Successione di Legge Penali":

«Articolo 2 del Codice Penale, sul "Successione di Legge Penali"

Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato.
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali.
Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'articolo 135.
Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti.
Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti.»

Nel primo comma è sancito il Principio di irretroattività penale come già visto. Il secondo comma disciplina il caso dell'abolitio criminis, cioè dell'abrogazione della norma penale. In questo caso l'abrogazione ha effetto anche per le azioni o omissioni compiute prima dell'abrogazione e anche se nel frattempo vi è stata una sentenza passata in giudicato (si parla di iperetroattività). Al quarto comma è previsto il caso della modifica della fattispecie sanzionatoria. In questo caso ci sarà retroazione, ma non nel caso in cui sia intervenuta una sentenza passata in giudicato. Al terzo comma è previsto il caso in cui la modifica riguardi la variazione dalla pena detentiva a quella pecuniaria. In questo caso si avrà la conversione immediata anche nel caso di una sentenza passata in giudicato. Nel quinto comma vi è un' eccezione al quarto comma per le leggi temporanee e eccezionali (che chiaramente non avrebbero senso di esistere nel caso che fosse funzionante il quarto comma). Infine al sesto comma vi è l'estensione dell'applicazione delle regole anzidette anche nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti.

Dalla lettura dell'articolo 2 si comprende che i commi che interessano al nostro esame sono essenzialmente il secondo e il quarto che prevede una retroattività sia nel caso dell'abolitio criminis sia nel caso delle modifiche delle fattispecie. Come abbiamo già segnalato i problemi maggiori sono dati, però, proprio dal distinguere in quale dei due commi iscrivere un eventuale caso giurisprudenziale. Nel corso degli anni si sono poi sollevate anche altre questioni in particolare la differenza tra abrogazione della norma e abolitio criminis. Infatti abrogare, ad esempio, la fattispecie di reato di omicidio tramite aborto non significa che si sia eliminato il reato di omicidio in quei casi. Semplicemente la fattispecie generale si riallarga ricomprendendo il campo dell'ex fattispecie "speciale". Altra questione è quella delle fattispecie extrapenali con ricadute anche nella materia penale (si pensi al concetto di rifiuti). Una ridefinizione di tali concetti può avere un'influenza modificativa sulla fattispecie penale? Non è questo il luogo nel quale si cercherà di dare risposta a questi quesiti, si rinvia alla Lezione di Diritto Penale.

Quello che importa ai fini del nostro tema è segnalare però che come detto ad inizio paragrafo non esiste una canonizzazione formale in Costituzione di questo principio. La giurisprudenza costituzionale si è interrogata se si possa desumere da qualche articolo della Costituzione ed è arrivata a fondare il principio di retroattività penale della Lex Mitior sul principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all'articolo 3 della Costituzione (il quale, tra l'altro, viene usato anche per legittimare l'eccezione del quinto comma dell'articolo 2 per quanto riguarda le leggi temporanee e eccezionali). La giurisprudenza costituzionale, infatti, ritiene non equo e non ragionevole continuare a perseguire un reo se nel frattempo è mutata una norma e il legislatore ritiene non più utile perseguire quella fattispecie di reato. Il fatto che tale principio si fondi sul principio di uguaglianza e ragionevolezza e non sul principio di legalità penale di cui all'articolo 25 della Costituzione ha conseguenze non di poco conto, prima fra tutte il fatto che tale principio non sia di fatto un principio inderogabile e pertanto qualsiasi legge ordinaria potrebbe disporre la sua derogabilità. Tra l'altro è da segnalare che invece in Europa il principio di retroattività penale della Lex Mitior si fonda sul principio di legalità penale e pertanto è inderogabile.

Il Principio di retroattività penale della Lex Mitior in Europa

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Il Principio di retroattività penale della Lex Mitior in Europa sorprendentemente non riceve una consacrazione nella Convezione Europea dei Diritti dell'Uomo nel 1950. Questo perché tale principio in quegli anni ancora non aveva avuto una sostanziale consacrazione nell'ambito dei diritti interni e internazionali allora vigenti. Come si potrà vedere dalla Lettura dell'Articolo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo "Nulla Poena Sine Lege [Nessuna Pena Senza Legge]" esso non risulta formalizzato.

Si riporta di seguito l'estratto dell'articolo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo recante rubrica "Nulla Poena Sine Lege [Nessuna Pena Senza Legge]":

«Articolo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, sul "Nulla Poena Sine Lege [Nessuna Pena Senza Legge]"

1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.
2. Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili.»

Dovranno trascorrere ancora quindici anni per avere una sua prima consacrazione nel Patto internazionale sui diritti civili e politici nell'articolo 15, dove per la prima volta viene sancito, come anticipato, nell'ambito del principio di legalità penale.

Si riporta di seguito l'estratto dell'articolo 25 del Patto internazionale sui diritti civili e politici:

«Articolo 25 del Patto internazionale sui diritti civili e politici

1. Nessuno può essere condannato per azioni od omissioni che, al momento in cui venivano commesse, non costituivano reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Così pure, non può essere inflitta una pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso. Se, posteriormente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, il colpevole deve beneficiarne.
2. Nulla, nel presente articolo, preclude il deferimento a giudizio e la condanna di qualsiasi individuo per atti od omissioni che, al momento in cui furono commessi, costituivano reati secondo i principi generali del diritto riconosciuti dalla comunità delle nazioni.»

Il principio sarà poi sancito anche nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea ["Carta di Nizza"] del 2009 all'articolo 49 "Principi della Legalità e della Proporzionalità dei Reati e delle Pene" ed anche qui è iscritto nell'ambito del principio di legalità penale.

Si riporta di seguito l'estratto dell'articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea ["Carta di Nizza"] racente rubrica "Principi della Legalità e della Proporzionalità dei Reati e delle Pene":'

«Articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea ["Carta di Nizza"], sul "Principi della Legalità e della Proporzionalità dei Reati e delle Pene"

1. Nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest'ultima.
2. Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un'azione o di un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni.
3. Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato.»

La questione è stata dibattuta da entrambe le Corti Europee (sia la Corte di Giustizia dell'Unione Europea sia la Corte europea dei Diritti dell'Uomo) con una rarità giurisprudenziale che questa volta a dettare la linea giuridica da seguire è stata la Corte di Giustizia dell'Unione Europea e non la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo come accade solitamente.

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, infatti, si è interrogata sulla questione nel 2005, quando ancora non era stata emanata la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea ["Carta di Nizza"] del 2009 che come abbiamo visto formalizza il principio, nella Sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Grande Sezione) "Berlusconi, Dell'Utri e Altri" del 2005, sentenza tra l'altro già vista per la questione della disapplicazione in malam partem o meglio neutralizzazione in malam partem nella Lezione Il "Diritto Penale" dell'Unione Europea. Il Governo di Berlusconi aveva modificato le norme sul falso in bilancio, in particolare sulle false comunicazioni sociali, trasformando il delitto in contranvenzione con effetti sulla prescrizione. Espunte alcune aree di liceità. Perseguita a querela da parte della società (di fatto il danno era ritenuto non più pubblico, ma della società). Queste modifiche generavano un effetto di retroattività penale della Lex Mitior. La dottrina si è attivata molto sulla questione, ritenendo illegale tale retroattività. Con la stessa solerzia anche la giurisprudenza e in particolare i Tribunali di Lecce e Milano e la Corte di Cassazione che rimettono la questione alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, le quali chiedono un'interpretazione della norma e se è conforme alla disciplina modificata. Si correva il rischio che nel caso che la Corte di Giustizia dell'Unione Europea avesse risposto in modo negativo si avesse un caso di disapplicazione in malam partem. L'Avvocato generale nella sua dichiaratoria afferma che in questo caso non ci sarebbe stata una violazione del principio di legalità penale, perché il reato era previsto quando era stato commesso e quindi la Corte di Giustizia dell'Unione Europea poteva dichiarare che la norma era fuori dal caso del principio di retroattività penale della Lex Mitior. La Corte di Giustizia dell'Unione Europea però non si basò su questa considerazione e con una delle peggiori sentenze mai da essa emanate (evidentemente dovute al forte dissenso interno che purtroppo non può essere formalmente conosciuto mancando la dissenting opinion nella sentenza come avviene invece per la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo). Per la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ci sarebbe una violazione della riserva di legge perché si punirebbe sulla base di una direttiva. Ma ugualmente vuole far prevalere il principio europeo e quindi usa per la prima volta il principio di retroattività penale della Lex Mitior. Ma come abbiamo già detto ancora non era stata emanata la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea [Carta di Nizza] del 2009. Si rifà quindi al coordinamento stabilito nell'articolo 6 del Trattato dell'Unione Europea e in particolare alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Fa ricorso a questo coordinamento senza argomentarlo e tra l'altro in modo contraddittorio a quanto la comparazione giuridica ravvisa e cioè che non in tutti gli Stati membri si riconosceva tale principio.

Si riporta di seguito l'estratto della sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Grande Sezione) "Berlusconi, Dell'Utri e Altri" del 2005:

«Sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Grande Sezione) "Berlusconi, Dell'Utri e Altri" del 2005

Sul principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite.

66. A prescindere dall’applicabilità dell’art. 6 della prima direttiva sul diritto societario alla mancata pubblicazione dei conti annuali, va osservato che, in virtù dell’art. 2 del codice penale, che enuncia il principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, i nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile dovrebbero essere applicati anche se sono entrati in vigore solo successivamente alla commissione dei fatti che sono all’origine delle azioni penali avviate nelle cause principali.
67. Va a tal riguardo ricordato che, secondo una giurisprudenza costante, i diritti fondamentali costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce l’osservanza. A tal fine, quest’ultima s’ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali in materia di tutela dei diritti dell’uomo cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito (v., in particolare, sentenze 12 giugno 2003, causa C-112/00, Schmidberger, Racc. pag. I-5659, punto 71 e giurisprudenza ivi citata, e 10 luglio 2003, cause riunite C-20/00 e C-64/00, Booker Aquaculture e Hydro Seafood, Racc. pag. I-7411, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).
68. Orbene, il principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri.
69. Ne deriva che tale principio deve essere considerato come parte integrante dei principi generali del diritto comunitario che il giudice nazionale deve osservare quando applica il diritto nazionale adottato per attuare l’ordinamento comunitario e, nella fattispecie, in particolare, le direttive sul diritto societario.»

Quattro anni dopo sulla questione interviene anche la Corte europea dei Diritti dell'Uomo con la sentenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo "Scoppola C. Italia" del 2009. Vi sono state delle riduzioni di limiti al rito abbreviato previsto dal Codice di Procedura Penale. Ci troviamo quindi in un caso che riguarda il diritto penale processuale e non il diritto penale sostanziale, e come ricordiamo nel diritto penale processuale in Italia non vale la regola del principio di retroattività della norma più favorevole, ma il temus regit actum e cioè che si applica, in caso di modifica, comunque la norma che era vigente al momento della commissione del reato. Ma la Corte europea dei Diritti dell'Uomo vede queste modifiche influenzanti anche su un piano sostanziale (ed infatti non si può non considerare che alcune modifiche del diritto penale processuale possono avere delle ripercussioni anche sul piano del diritto penale sostanziale: si pensi ad esempio alla prescrizione). Introduce così un nuovo principio con un approccio dinamico ed evolutivo che supera le precedenti decisioni giurisprudenziali e si fonda, non essendoci un articolo all'interno della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo che lo sancisca, sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (la citata Sentenza Berlusconi, Dell'Utri e Altri) e sulle norme viste dell'articolo 25 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e dell'articolo 9 della Convenzione americana relativa ai diritti dell’uomo e dell'articolo 49 del Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea [Carta di Nizza] "Principi della Legalità e della Proporzionalità dei Reati e delle Pene". Anche la Corte europea dei Diritti dell'Uomo fonda il principio di retroattività penale della Lex Mitior sul principio di legalità di cui all'articolo 7 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo "Nulla Poena Sine Lege [Nessuna pena senza legge]". Il passo ulteriore compiuto dalla Corte europea dei Diritti dell'Uomo è sicuramente quello di estenderlo anche al campo dell'esecuzione della pena (con un artifizio interpretativo in parte dubbio, dato che il principio di retroattività penale della Lex Mitior riguarda più la fase realizzativa che la fase successiva della pena come si è cercato di spostare) per dare attuazione al pensiero della Corte europea dei Diritti dell'Uomo che dà una visione di diritto penale sostanziale ad alcuni istituti qualificati come diritto penale processuale.

Si riporta di seguito l'estratto della sentenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo "Scoppola C. Italia" del 2009:

«Sentenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo "Scoppola C. Italia" del 2009

(...) Poiché la Convenzione è anzitutto un meccanismo di tutela dei diritti dell’uomo, la Corte deve tenere conto dell’evoluzione della situazione nello Stato convenuto e negli Stati contraenti in generale e reagire, ad esempio, al consenso che potrebbe emergere per quanto riguarda il livello di protezione da raggiungere (v., tra le altre, Cossey c. Regno Unito, 27 settembre 1990, § 35, serie A n. 184, e Stafford c. Regno Unito [GC], n. 46295/99, §§ 67-68, CEDU-2002-IV). È di fondamentale importanza che la Convenzione venga interpretata e applicata in modo tale da renderne le garanzie concrete e effettive, e non teoriche e illusorie. Se la Corte non adottasse un approccio dinamico ed evolutivo, un tale atteggiamento rischierebbe di ostacolare qualsiasi riforma o miglioramento (Stafford, già cit., § 68, e Christine Goodwin c. Regno Unito [GC], n. 28957/95, § 74, CEDU 2002-VI).
La Corte considera che è trascorso molto tempo da quando è stata pronunciata la decisione X c. Germania sopra citata e che, durante questo tempo, sono intervenuti importanti sviluppi a livello internazionale. In particolare, oltre all’entrata in vigore della Convenzione americana relativa ai diritti dell’uomo, il cui articolo 9 sancisce la retroattività della legge prevedendo l’applicazione di una pena meno severa eventualmente decretata dopo la perpetrazione del reato (paragrafo 36 supra), è opportuno segnalare la proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Il testo dell’articolo 49 § 1 di quest’ultima si discosta – e ciò non può che essere deliberato (v., mutatis mutandis, Christine Goodwin, già cit., § 100 in fine) – da quello dell’articolo 7 della Convenzione in quanto precisa che «se, posteriormente a tale reato, la legge prevede una pena più lieve, quest’ultima dovrà essere applicata» (paragrafo 37 supra). Nella causa Berlusconi e altri, la Corte di giustizia delle Comunità europee, la cui giurisprudenza è stata confermata dalla Corte di cassazione francese (paragrafo 39 supra), ha ritenuto che questo principio facesse parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (paragrafo 38 supra). Infine, l’applicabilità della legge penale meno severa è stata iscritta nello statuto della Corte penale internazionale e affermata nella giurisprudenza del TPIY (paragrafi 40 e 41 supra).
108. Agli occhi della Corte, è coerente con il principio della preminenza del diritto, di cui l’articolo 7 costituisce un elemento essenziale, aspettarsi che il giudice di merito applichi ad ogni atto punibile la pena che il legislatore ritiene proporzionata. Infliggere una pena più severa solo perché essa era prevista al momento della perpetrazione del reato si tradurrebbe in una applicazione a svantaggio dell’imputato delle norme che regolano la successione delle leggi penali nel tempo. Ciò equivarrebbe inoltre a ignorare i cambiamenti legislativi favorevoli all’imputato intervenuti prima della sentenza e continuare a infliggere pene che lo Stato e la collettività che esso rappresenta considerano ormai eccessive. La Corte osserva che l’obbligo di applicare, tra molte leggi penali, quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato, si traduce in una chiarificazione delle norme in materia di successione delle leggi penali, il che soddisfa a un altro elemento fondamentale dell’articolo 7, ossia quello della prevedibilità delle sanzioni.
109. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che sia necessario ritornare sulla giurisprudenza stabilita dalla Commissione nella causa X c. Germania e considerare che l’articolo 7 § 1 della Convenzione non sancisce solo il principio della irretroattività delle leggi penali più severe, ma anche, e implicitamente, il principio della retroattività della legge penale meno severa. Questo principio si traduce nella norme secondo cui, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato. Di conseguenza, nella fattispecie vi è stata violazione dell’articolo 7 § 1 della Convenzione.»

L'impatto della visione europea del principio di retroattività penale della lex mitior sul diritto penale interno

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L'impatto della visione europea del principio di retroattività penale della lex mitior sul diritto penale interno si è avuto maggiormente sulla questione dell'istituto della prescrizione (che ha come ratio il non interesse a perseguire un reato a causa dello scorrere del tempo).

La prescrizione in Italia ha avuto un esito negativo sui processi penali che si sono spesso chiusi a causa proprio del suo impatto, senza aver deciso nulla. Ciò causava anche un'iniquità tra le varie zone e regioni d'Italia. Infatti in alcune zone e regioni d'Italia i processi erano portati a conclusione con una decisione, in altre i processi erano prescritti senza alcuna decisione con una chiara inquità per gli imputati anche di stessi reati. Si era così provveduto, nel 2005, a modificare, con la legge N. 251/2005 o legge Ex Cirielli (detta "Ex" perché il promotore la disconobbe in seguito), la normativa da una parte aumentando il tempo della prescrizione per i reati che creavano allarme sociale e dall'altra riducendola per i reati, forse anche più gravi, come quelli amministrativi e ambientali. Anche la riforma Orlando del 2017 ha modificato le prescrizioni di alcuni reati, aumentandone la durata, ma, a differenza della legge Ex Cirielli, in questo caso si è espressamente previsto che avesse efficacia per tutti i reati commessi dopo l'entrata in vigore della normativa. La cosa non fu la stessa con la legge Ex Cirielli. Infatti in quel caso furono previste solo alcune norme transitorie. Si aprì quindi il dibattito se la prescrizione fosse un istituto di diritto penale sostanziale o di diritto penale processuale. Come abbiamo visto con la sentenza Taricco vi è una prevalenza di opinione giurisprudenziale che essa sia un istituto di diritto penale eminentemente sostanziale. Tra l'altro anche il caso Varvara ha avuto di fatto inizio da una scelta legislativa di creare l'istituto della confisca urbanistica per superare la questione della prescrizione. Se questo è vero, quindi, la legge Ex Cirielli avrebbe avuto quindi la copertura delle garanzie previste dal principio di legalità penale, ergo principio di irretroattività penale per le norme in malam partem e soprattutto principio di retroattività penale della lex mitior. Si aprì quindi un dibatttito anche in Corte Costituzionale. Come detto la legge Ex Cirielli prevedeva alcune norme transitorie per far applicare le nuove norme ad alcuni processi in corso. Cioè era collegato proprio al fatto che si ritenesse un istituto di diritto penale sostanziale. Ma, come detto in apertura di lezione, in Italia il principio di retroattività penale della lex mitior è ricondotto non al principio di legalità penale, ma al principio di uguaglianza e ragionevolezza, ergo norme che possono essere derogate e quindi, come la legge Ex Cirielli fa, si può usare in modo elastico e limitarli e quindi non farlo agire in certi casi o viceversa (nel caso la legge aveva permesso la retroazione solo ai casi nel quale non era ancora aperto il processo di primo grado). Nello stesso anno, però, vi fu la sentenza Berlusconi, nella quale la Corte di Giustizia dell'Unione Europea aveva ribadito che il principio di retroattività penale della lex mitior si fondava sul principio di legalità penale e quindi è inderogabile. Così la Corte Costituzionale afferma, nel 2006, che le nuove norme andassero estese a tutti i processi di primo grado, basandosi però sempre sul principio di uguaglianza e ragionevolezza di una tale decisione. Mentre, quando nel 2008, viene rienterpellata per estendere le nuove norme anche ai processi in appello, la Corte Costituzionale proprio in base al principio di uguaglianza e ragionevolezza ritiene ragionevole per tutelare il principio della durata ragionevole del processo e soprattutto il principio di preservare il lavoro svolto dalla magistratura inquirente e giudicante, di cui c'è validamente da dubitare se esiste in Costituzione, che si sarebbero basati per i loro lavori su una tempistica differente da quella che poi si troverebbero nel caso si attuasse il principio di retroattività della lex mitior. Anche nella Sentenza della Corte Costituzionale Numero 236/2011, che avviene dopo la Sentenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo sul caso Scoppola contro Italia, si occupa di prescrizione in relazione alla legge Ex Cirielli. Ancora una volta la Corte Costituzionale si interroga sulla derogabilità o inderogabilità del principio di retroattività penale della lex mitior. A questa questione si aggiunge anche quella di individuare quale è l'oggetto, cioè se riguardi solamente le disposizioni che prevedono il reato e le pene o anche qualunque altra disposizione che incida sul trattamento penale, come in particolare quella sulla prescrizione. La Corte europea dei Diritti dell'Uomo nel caso Scoppola non parlava di deroghe o limitazione sia perché l'articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che contiene il principio di legalità penale e di riserva di legge su cui la Corte europea dei Diritti dell'Uomo fonda il principio di retroattività penale della lex mitior, non è derogabile. Sia perché non era stata interrogata sulla questione. La Corte Costituzionale afferma che in questo caso non vi è differenza dal fatto che non sia il reato o la pena, ma la prescrizione. Il fatto che la nuova normativa della legge Ex Cirielli non si applichi al giudizio di appello o in Corte di Cassazione è legittimo, perché si deve tutelare la speditezza del processo.

Si riporta di seguito l'Estratto della Sentenza della Corte Costituzionale Numero 236/2011:

«Sentenza della Corte Costituzionale Numero 236/2011

Rimane, però, da stabilire se il riconoscimento, da parte della giurisprudenza europea, del principio di retroattività della norma più favorevole e la sua iscrizione tra le garanzie sancite dalla citata norma convenzionale, oltre a fargli acquistare autonomia, ne abbia mutato natura e caratteristiche, se cioè esso sia assoluto e inderogabile come il principio di non retroattività delle norme penali di sfavore, ovvero se la sua diversità rispetto alla garanzia fondamentale che questo rappresenta renda possibile, in presenza di particolari ragioni giustificative, l’applicabilità della disposizione meno favorevole che era in vigore quando il reato è stato commesso, o comunque l’introduzione di limiti alla regola della retroattività in mitius.
In secondo luogo, occorre individuare quale ne sia l’oggetto, se cioè riguardi solamente le disposizioni che prevedono il reato e la pena o anche qualunque altra disposizione che incida sul trattamento penale, come in particolare quelle sulla prescrizione.
Dalla sentenza della Corte europea del 17 settembre 2009 (Scoppola contro Italia) però non emerge una novità siffatta. Nulla la Corte ha detto per far escludere la possibilità che, in presenza di particolari situazioni, il principio di retroattività in mitius subisca deroghe o limitazioni: è un aspetto che la Corte non ha considerato.
Insomma, secondo la Corte europea, la circostanza che un determinato fatto era previsto come reato dalla legge in vigore al momento della sua commissione ed era punito con una certa sanzione non può costituire, di per sé, valida ragione per giustificare l’applicazione di tale legge, ancorché successivamente abrogata o modificata in melius, continuando così a «infliggere pene che lo Stato e la collettività che esso rappresenta considerano ormai eccessive». Perciò, qualora vi sia una ragione diversa, che risulti positivamente apprezzabile, la deroga all’applicazione della legge sopravvenuta più favorevole al reo dovrebbe ritenersi possibile anche per la giurisprudenza di Strasburgo, specie quando, come è avvenuto nel caso in esame, fattispecie incriminatrice e pena siano rimaste immutate.
Alla luce delle considerazioni che precedono, non è arbitraria la conclusione che il riconoscimento da parte della Corte europea del principio di retroattività in mitius – che già operava nel nostro ordinamento in forza dell’art. 2, secondo, terzo e quarto comma, cod. pen. e aveva trovato un fondamento costituzionale attraverso la giurisprudenza di questa Corte – non abbia escluso la possibilità di introdurre deroghe o limitazioni alla sua operatività, quando siano sorrette da una valida giustificazione.
Pure la norma censurata, nell’escludere l’applicazione retroattiva dei nuovi termini di prescrizione, se più favorevoli al reo, ai processi già pendenti in grado di appello e avanti alla Corte di cassazione, fa riferimento a due contesti processuali diversi: quello dei processi pendenti in primo grado, ove non è ancora stata pronunciata una sentenza, che, mediante una riorganizzazione dei tempi e delle attività processuali, sono suscettibili di essere definiti prima che decorra il nuovo e più breve termine di prescrizione; quello dei processi pendenti in appello, o avanti alla Corte di cassazione, in cui ciò è meno agevole o addirittura non è più possibile, con la conseguenza che il giudice in seguito all’entrata in vigore della legge n. 251 del 2005 dovrebbe dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione.
14. – Come si è già detto, questa Corte deve anche chiedersi quali norme penali formino oggetto del principio di retroattività in mitius riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte europea, deve cioè verificare se esso riguardi solamente le disposizioni che individuano il reato e la pena o anche qualunque altra disposizione che incida sul trattamento penale, come in particolare le disposizioni sulla prescrizione.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, ritenendo che il principio in esame sia un corollario di quello di legalità, consacrato dall’art. 7 della CEDU, ha fissato dei limiti al suo ambito di applicazione, desumendoli dalla stessa norma convenzionale. Il Principio di Retroattività della Lex Mitior, come in generale «le norme in materia di retroattività contenute nell’art. 7 della Convenzione», concerne secondo la Corte le sole «disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono» (decisione 27 aprile 2010, Morabito contro Italia; nello stesso senso, sentenza 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia).
Il principio riconosciuto dalla CEDU, quindi, non coincide con quello che vive nel nostro ordinamento ed è regolato dall’art. 2, quarto comma, cod. pen. Quest’ultimo infatti riguarda ogni disposizione penale successiva alla commissione del fatto, che apporti modifiche in melius di qualunque genere alla disciplina di una fattispecie criminosa, incidendo sul complessivo trattamento riservato al reo, mentre il primo ha una portata più circoscritta, concernendo le sole norme che prevedono i reati e le relative sanzioni.
15. – Una volta individuati i limiti oggettivi del principio di retroattività in mitius, riconosciuto dalla Corte europea sulla base dell’art. 7 della CEDU, è agevole la conclusione che esso non può riguardare le norme sopravvenute che modificano, in senso favorevole al reo, la disciplina della prescrizione, con la riduzione del tempo occorrente perché si produca l’effetto estintivo del reato.»

In conclusione si può comprendere come permane quella differenza di possibile lettura che non dà certezza del diritto corrente che sarà applicato dalla giurisprudenza. Un'incertezza a cui cerca di dare sistemazione la corrente di pensiero del diritto fluido o del diritto liquido, soprattutto negli ordinamenti stranieri. È chiaro che oggi, più di ieri, ci avviamo verso un diritto fondato sulla Judgment Law cioè il diritto giurisprudenziale.