Le Prerogative del Parlamento
Le Camere del Parlamento godono di particolari Prerogative, a garanzia della propria autonomia rispetto agli altri poteri dello Stato:
- Autonomia regolamentare: ogni Camera redige e approva autonomamente un regolamento che sovrintende ai propri lavori.
- Autonomia finanziaria: le Camere decidono autonomamente l'ammontare delle risorse necessarie allo svolgimento delle proprie funzioni. La stessa giurisprudenza costituzionale ne ha fornito una legittimazione, quanto meno in ordine alla sottrazione dalla giurisdizione contabile della Corte dei conti, attraverso il riconoscimento di una consuetudine costituzionale che ne costituirebbe il fondamento (sent. n. 129/1981).
- Autonomia amministrativa: ogni Camera provvede all'organizzazione dei propri uffici amministrativi e all'assunzione dei propri dipendenti di ruolo esclusivamente con concorso pubblico nazionale.
- Inviolabilità della sede: le forze dell'ordine possono accedere all'interno delle sedi del Parlamento solo su decisione dei senatori e deputati questori e mai armati, il che non inibisce, secondo alcuni, la possibilità di perseguire fatti di reato che fuoriescono dalla esclusiva capacità qualificatoria del regolamento parlamentare.
Giurisdizione Domestica
[modifica]Secondo l'istituto dell'autodichìa, in cui funzioni giurisdizionali sono attribuite a organi diversi dal potere giudiziario, le controversie relative allo stato giuridico ed economico dei dipendenti, nonché per i rapporti con i terzi fornitori e appaltatori, sono riservate agli organi di giustizia interni al Parlamento. Secondo le Camere, l'autodichia rifletterebbe una autonomia normativa degli organi costituzionali: in altri termini, laddove la legge non sia espressamente richiamata da decisioni degli organi interni, competenti a disciplinare un qualsiasi aspetto della vita delle Camere, a essa sarebbe inibito di disciplinare automaticamente aspetti importanti come il rapporto di lavoro dei dipendenti, la regolamentazione delle forniture e dei lavori degli appaltatori ed in generale i rapporti con i terzi.
Un'ulteriore conseguenza sarebbe quella secondo cui la disciplina retributiva dei dipendenti sfuggirebbe – laddove non espressamente richiamata dalla regolamentazione interna, soggetta peraltro ad apposite procedure di negoziazione sindacale – alla normativa di diritto comune dei “tetti retributivi” imposti (a partire dal secondo governo Prodi (2006-2008) e dal governo Monti (2012), fino al decreto n. 66/2014 del governo Renzi) per la generalità del pubblico impiego e per i contratti individuali con società partecipate pubbliche.
Dopo la sentenza n. 120 del 2014 della Corte costituzionale, la concezione “geografica” di tale sottrazione all'ordinamento "esterno" – fino ad allora comunemente riferita a tutto ciò che le fonti interne (regolamento parlamentare maggiore e atti da esso previsti) ritenessero di deferire agli organi interni – è in via di abbandono, avendo la sentenza ricordato (sia pure entro i limiti della modalità prescelta dalla Cassazione per investirla) che “negli ordinamenti costituzionali a noi più vicini, come Francia, Germania, Regno Unito e Spagna, l'autodichia sui rapporti di lavoro con i dipendenti e sui rapporti con i terzi non è più prevista”. In dottrina è stato anche avanzato il monito - nel deciderne i futuri confini - a non dimenticare la natura procedurale dell'autodichia.