Riepilogo Impero romano

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Riepilogo Impero romano
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Storia romana
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Costantino Storia romana La fine dell'impero d'occidente

L'Impero romano (in latino Imperium Romanum) è lo Stato romano consolidatosi nell'area reuro-mediterranea tra il I secolo a.C. e il IV secolo.

Le due date che generalmente identificano l'inizio e la fine di un'entità statuale unica sono il 27 a.C., primo anno del principato di Ottaviano, con il conferimento del titolo di Augusto, e il 395, allorquando, alla morte di Teodosio I, l'impero viene suddiviso in una pars occidentalis e in una orientalis. L'Impero romano d'Occidente si fa terminare per convenzione nel 476, anno in cui Odoacre depone l'ultimo imperatore legittimo, Romolo Augusto. La vita dell'Impero romano d'Oriente si protrarrà invece fino al momento della conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani nel 1453.

Definizione e concetto di Impero romano[modifica]

Le due date indicate come inizio e fine convenziosaas di un Impero romano unitario, come spesso accade nelle definizioni dei periodi storici sono puramente arbitrarie. In particolare per tre ragioni: sia perché non vi fu mai una vera e propria fine formale della Res publica romana, le cui istituzioni non furono mai abolite, ma semplicemente persero il potere effettivo a vantaggio dell'imperatore; sia perché nei 422 anni si alternarono due fasi caratterizzate da forme di organizzazione e legittimazione. Essos del potere imperiale profondamente diverse, il Principato e il Dominato; sia perché anche dopo la divisione dell'impero le due parti continuarono a sopravvivere, l'una sino alla deposizione dell'ultimo cesare d'Occidente Romolo Augusto nel 476 (o più precisamente fino alla morte del suo predecessore, Giulio Nepote, che si considerava ancora saas), l'altra perpetuandosi per ancora un millennio in quell'entità nota come Impero bizantino. L'anno 476 è stato inoltre convenzionalmente considerato come data di passaggio tra evo antico e Medioevo.

Se per alcuni - e in parte per gli sess antichi - già l'assunzione nel 49 a.C. della dittatura da parte di Gaio Giulio Cesare può segnare la fine della Repubblica e l'inizio di una nuova forma di governo (tanto che il nome stesso di Caesar divenne titolo e sinonimo di imperatore), è anche vero che per essi l'impero di Roma esisteva già da tempo, da quando cioè la città repubblicana aveva iniziato a legare a sé i territori conquistati sotto forma di province, estendendo su di esse il proprio imperium, cioè l'autorità politico-militare dei propri magistrati (ciò accadde a partire dalla Sicilia, nel 241 a.C.).

Il 31 a.C., invece, anno in cui la flotta romana comandata dal generale Marco Vipsanio Agrippa sconfisse quella egiziana guidata da Marco Antonio e Cleopatra presso Azio, in Grecia, segnando la fine del secondo triumvirato e la definitiva sconfitta dell'unico vero avversario di Ottaviano per il predominio a Roma, rappresenta l'inizio effettivo del potere di Augusto, ponendo infatti fine a quella lunga serie di guerre civili che avevano segnato nell'ultimo secolo la crisi della Repubblica. In breve tempo, Ottaviano divenne arbitro e padrone dello Stato: inaugurò nel 27 a.C. la definitiva forma del suo principato e governò pur senza detenere nessuna carica, con una formula di primus inter pares, pater patriae, princeps e, soprattutto, augustus, titolo onorifico conferitogli in quell'anno dal Senato, per indicare il carattere sacrale e propiziatorio della sua persona. È vero anche che Augusto ebbe pieni poteri solo nel 12 a.C., quando divenne Pontefice Massimo. Durante l'anarchia militare infatti, quando alla guida di Roma c'erano due imperatori, quello che aveva più potere era quello che ricopriva anche la carica di Pontefice Massimo.

In realtà, però, la denominazione di Imperium ha un senso più generale di quello a noi oggi familiare: è Tito Flavio Vespasiano il primo ad assumere la carica formale di Imperator. Prima di Vespasiano, il titolo di Imperator era attribuito semplicemente al comandante in capo dell'esercito romano. Ottaviano, del resto, rispettò formalmente le istituzioni repubblicane, ricoprendo diverse cariche negli anni che lo portarono comunque ad ottenere un potere tale, che nessun altro uomo prima di lui a Roma aveva mai ottenuto.

L'Impero romano arrivò all'apice della sua potenza durante i principati di Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio. Alla morte di quest'ultimo, il potere passò al figlio Commodo, che portò il principato verso una forma più autocratica e teocratica. Il potere delle istituzioni tradizionali si andò indebolendo e il fenomeno proseguì con i suoi successori, sempre più bisognosi dell'appoggio dell'esercito per governare. Il ruolo del Senato nei secoli successivi si ridusse progressivamente, fino a divenire del tutto formale. La dipendenza sempre più accentuata del potere imperiale dall'esercito condusse, nel 235 circa, a un periodo di crisi militare e politica, definito dagli storici come anarchia militare.

Dopo circa mezzo secolo di instabilità, salì al potere il generale illirico Gaio Aurelio Valerio Diocleziano, che riorganizzò il potere imperiale istituendo la tetrarchia, ovvero una suddivisione dell'impero in quattro parti, due affidate agli augusti (Massimiano e lo stesso Diocleziano) e due affidate ai cesari (Costanzo Cloro e Galerio), che erano anche i successori designati. Il sistema, però, non resse, e quando Diocleziano si ritirò a vita privata scoppiarono nuove lotte per il potere, dalle quali uscì vincitore Costantino, figlio di Costanzo Cloro.

Dopo la sua morte ripresero le lotte per il potere e i territori dell'impero furono spesso suddivisi, seppure con finalità di indole amministrativa e difensiva, tra diversi imperatori co-regnanti. L'ultimo imperatore dell'Impero romano unito fu Teodosio I, Teodosio, che, con l'editto di Tessalonica (e decreti successivi), proibì qualsiasi culto pagano, decretando in tal modo la trasformazione dell'impero in uno stato cristiano. Teodosio nominò suoi eredi con pari dignità i due figli: Arcadio per la parte orientale ed Onorio per la parte occidentale. Alla sua morte, avvenuta nel 395, l'Impero si divise pertanto in due parti, che non furono mai più riunite. Anche in questo caso i contemporanei non sentirono di vivere un evento epocale, poiché percepivano di essere ancora parte di un unico mondo, di un'unica romanità, anche se amministrata separatamente, come del resto era già accaduto più volte in passato.

La parte occidentale, più provata economicamente, politicamente, militarmente, socialmente e demograficamente per via delle continue lotte dei secoli precedenti e per la pressione delle popolazioni barbariche ai confini entrò ben presto in uno stato irreversibile di decadenza e, fin dal primo ventennio del V secolo, gli Imperatori d'Occidente videro venir meno la loro influenza in tutto il nord Europa (Gallia, Britannia, Germania) ed in Spagna, mentre gli Unni, negli stessi anni, si stabilivano in Pannonia.

L'Impero d'Occidente, secondo la storiografia classica, ebbe termine nel 476, con la deposizione di Romolo Augusto da parte di Odoacre, generale mercenario di origini scire. Romolo era stato posto sul trono appena l'anno prima dal padre, il generale Flavio Oreste. Secondo un'altra corrente storiografica, però, la fine formale dell'Impero d'Occidente la si può stabilire con l'assassinio, avvenuto nel 480 e commissionato da Odoacre, di Giulio Nepote, l'ultimo imperatore legittimo, che pure regnò solo formalmente.

La fine dell'impero occidentale rappresentò la fine dell'unità romana del bacino mediterraneo (il cosiddetto mare nostrum) e privò la romanità superstite dell'antica patria. La perdita di Roma costituì un evento di capitale importanza che segnò il tramonto definitivo di un mondo. La parte orientale, per la quale è, d'altra parte, incerto il momento in cui sia corretto parlare di Impero Bizantino, continuò ad esistere sino alla caduta di Costantinopoli (1453) e degli ultimi baluardi di Mistrà (1460) e Trebisonda (1461): essa continuò ad autodefinirsi e a sentirsi Impero romano.

Pur non essendo il più vasto impero mai esistito, spettando tale primato innanzitutto all'Impero Mongolo, quello di Roma è considerato il più grande in termini di gestione e qualità del territorio, di organizzazione sociopolitica e di importanza del segno lasciato nella storia dell'umanità. In tutti i territori sui quali estesero i propri confini i romani costruirono città, strade, ponti, acquedotti, fortificazioni, esportando ovunque il loro modello di civiltà e al contempo assimilando le popolazioni e civiltà assoggettate, in un processo così profondo che per secoli ancora dopo la fine dell'impero queste genti continuarono a definirsi romane. La civiltà nata sulle rive del Tevere, cresciuta e diffusasi in epoca repubblicana ed infine sviluppatasi pienamente in età imperiale, è alla base dell'attuale civiltà occidentale.

Oltre all'Impero romano d'Oriente, unico Stato successore a pieno titolo dell'Impero romano, le altre entità statuali che si rifecero ad esso, in Occidente (il Regno franco e il Sacro Romano Impero) ed in Oriente (l'impero bulgaro prima, e successivamente la Russia degli Zar) continuarono ad usare i titoli adottati dall'Impero romano, sino all'epoca delle rivoluzioni e ancora oggi le istituzioni politiche, sociali e giuridiche delle democrazie occidentali si ispirano a Roma ed alla sua storia millenaria.

Roma, le province e Costantinopoli[modifica]

La vita politica, economica e sociale durante i primi secoli dell'Impero gravitava attorno all'Urbe. Roma era la sede dell'autorità imperiale e dell'amministrazione, principale luogo di scambio commerciale tra Oriente ed Occidente oltre ad essere di gran lunga la più popolata città del mondo antico; per questo migliaia di persone affluivano quotidianamente nella capitale via mare e via terra ed arricchendola di artisti e letterati provenienti da tutte le regioni dell'Impero.

Esisteva una netta differenza tra il vivere a Roma o nelle province; gli abitanti della capitale godevano di privilegi ed elargizioni mentre il peso fiscale si riversava più pesantemente sulle province. Anche tra città e campagna, ovviamente tenendo conto del ceto sociale, la qualità di vita era migliore e più agiata per i cittadini che usufruivano dei servizi pubblici come terme, acquedotti, teatri e circhi.

Dall'epoca di Diocleziano, Roma perse il suo ruolo di guida dello stato a favore di altre sedi (Milano, Treviri, Nicomedia ecc.), fino a quando, nel corso del V secolo, si andò sempre più imponendo Costantinopoli (la Nova Roma voluta da Costantino), anche grazie ai mutati rapporti di forza tra un Oriente ancora prospero ed un Occidente in balia delle orde barbariche e sempre più prostrato dalla crisi economica, politica e demografica.

Dopo la crisi che paralizzò l'Impero nei decenni centrali del III secolo, le frontiere si fecero più sicure a partire dal regno di Diocleziano (284-305), il quale introdusse profonde riforme nell'amministrazione e nell'esercito. L'Impero poté così vivere ancora un periodo di relativa stabilità fino almeno alla battaglia di Adrianopoli (378) e, in Occidente, fino ai primi anni del V secolo, quando si produsse una prima, pericolosa incursione da parte dei Visigoti di Alarico (401-402) cui ne seguirono altre che culminarono nel celebre sacco di Roma del 410, avvertito dai contemporanei (san Girolamo, sant'Agostino d'Ippona) come un avvenimento epocale e, da alcuni, perfino come la fine del mondo. Gli ultimi decenni di vita dell'Impero romano d'Occidente (quello d'Oriente sopravviverà, come si è detto, per un altro millennio) furono vissuti in un clima apocalittico di morte e di miseria che falcidiarono la popolazione di molte regioni dell'Impero e che ebbero come conseguenza la caduta della stessa struttura imperiale.

Cronologia dei principali eventi politici[modifica]

Alto Impero (27/23 a.C. - 284 d.C.)[modifica]

Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Età imperiale.

Dalla Repubblica al Principato[modifica]


Antica Roma

Eventi principali e date


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Augusto[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina w:Augusto.

Quando la Repubblica romana (509 a.C. - 31 a.C.) era ormai preda di una crisi istituzionale irreversibile, Gaio Giulio Cesare Ottaviano, pronipote di Giulio Cesare e da lui adottato, rafforzò la sua posizione con la sconfitta del suo unico rivale per il potere, Marco Antonio, nella battaglia di Azio. Anni di guerra civile avevano lasciato Roma quasi senza legge. Essa, tuttavia, non era ancora del tutto disposta ad accettare il controllo di un despota.

Ottaviano agì astutamente. Per prima cosa sciolse il suo esercito ed indisse le elezioni. Ottenne, in tal modo, la prestigiosa carica di console. Nel 27 a.C., restituì ufficialmente il potere al Senato di Roma, e si offrì di rinunciare alla sua personale supremazia militare ed egemonia sull'Egitto. Non solo il Senato respinse la proposta, ma gli fu anche dato il controllo della Spagna, della Gallia e della Siria. Poco dopo, il Senato gli concesse anche l'appellativo di "Augusto".

Augusto, fondatore dell'impero romano.

Augusto sapeva che il potere necessario per un governo assoluto non sarebbe derivato dal consolato. Nel 23 a.C. rinunciò a questa carica, ma si assicurò il controllo effettivo, assumendo alcune "prerogative" legate alle antiche magistrature repubblicane. Gli fu, innanzitutto, garantita a vita la Tribunicia Potestas, legata in origine alla magistratura dei Tribuni della Plebe, che gli permetteva di convocare il Senato, di decidere, porre questioni avanti ad esso, porre il veto alle decisioni di tutte le magistrature repubblicane e di fruire della sacrale inviolabilità della propria persona. Ricevette, inoltre, l'imperium proconsolare maximo, ossia il comando supremo su tutte le milizie in tutte le provincie (questo era uno delle prerogativa del proconsole nella regione di sua competenza). Il conferimento da parte del Senato di queste due prerogative gli dava autorità suprema in tutte le questioni riguardanti il governo del territorio. Il 27 a.C. e il 23 a.C. segnano le principali tappe di questa vera e propria riforma costituzionale, con la quale si considera che Augusto assumesse concretamente i poteri propri di imperatore di Roma. Egli tuttavia fu solito usare titoli quali "Principe" o "Primo Cittadino".

Con i nuovi poteri che gli erano stati conferiti, Augusto organizzò l'amministrazione dell'Impero con molta padronanza. Stabilì moneta e tassazione standardizzata; creò una struttura di servizio civile formata da cavalieri e da uomini liberi (mentre in precedenza erano prevalentemente schiavi) e previde benefici per i soldati al momento del congedo. Suddivise le province in senatorie (controllate da proconsoli di nomina senatoria) ed in imperiali (governate da legati imperiali).

Fu un maestro nell'arte della propaganda, favorendo il consenso dei cittadini alle sue riforme. La pacificazione delle guerre civili fu celebrata come una nuova età dell'oro dagli scrittori e poeti contemporanei, come Orazio, Livio e soprattutto Virgilio. La celebrazione di giochi ed eventi speciali rafforzavano la sua popolarità.

Augusto inoltre per primo creò un corpo di vigili, ed una forza di polizia per la città di Roma, che fu suddivisa amministrativamente in 14 regioni.

Il controllo assoluto dello stato gli permise di indicare il suo successore, nonostante il formale rispetto della forma repubblicana. Inizialmente si rivolse al nipote Marco Claudio Marcello, figlio della sorella Ottavia, al quale diede in sposa la figlia Giulia. Marcello morì tuttavia nel 23 a.C.: alcuni degli storici successivi ventilarono l'ipotesi, probabilmente infondata, che fosse stato avvelenato da Livia Drusilla, moglie di Augusto.

Augusto maritò quindi la figlia alla sua "mano destra", Agrippa. Da questa unione nacquero tre figli: Caio Cesare, Lucio Cesare e Postumo (così chiamato perché nato dopo la morte del padre). I due maggiori furono adottati dal nonno con l'intento di farne i suoi successori, ma morirono anch'essi in giovane età. Augusto mostrò anche favore per i suoi figliastri (figli del primo matrimonio di Livia) Tiberio e Druso, che conquistarono a suo nome nuovi territori nel nord.

Dopo la morte di Agrippa nel 12 a.C., il figlio di Livia, Tiberio, divorziò dalla prima moglie, figlia di Agrippa e ne sposò la vedova, Giulia. Tiberio fu chiamato a dividere con l'imperatore la tribunicia potestas, che era fondamento del potere imperiale, ma poco dopo si ritirò in esilio volontario a Rodi. Dopo la morte precoce di Caio e Lucio nel 4 e 2 a.C. rispettivamente, e la precedente morte del fratello Druso maggiore (9 a.C.), Tiberio fu richiamato a Roma e venne adottato da Augusto, che lo designava in tal modo proprio erede.

Il 9 agosto 14, Augusto morì. Poco dopo il Senato decretò il suo inserimento fra gli dei di Roma. Postumo Agrippa e Tiberio erano stati nominati coeredi. Tuttavia Postumo era stato esiliato e venne ben presto ucciso. Si ignora chi avesse ordinato la sua morte, ma Tiberio ebbe la via libera per assumere lo stesso potere che aveva avuto il padre adottivo.

La dinastia giulio-claudia[modifica]

vedi anche Albero genealogico giulio-claudio

L'imperatore Tiberio.

Con dinastia giulio-claudia si indica la serie dei primi cinque imperatori romani, che governarono l'impero dal 27 a.C. al 68 d.C., quando l'ultimo della linea, Nerone, si suicidò, si dice, aiutato da un liberto.

La dinastia viene così chiamata dal nomen (il nome di famiglia) dei primi due imperatori: Caio Giulio Cesare Ottaviano (l'imperatore Augusto), adottato da Cesare e dunque membro della famiglia Giulia (gens Giulia) e Tiberio Claudio Nerone (l'imperatore Tiberio figlio di primo letto di Livia, moglie di Augusto), appartenente per nascita alla famiglia Claudia (gens Claudia).

Gli imperatori della dinastia furono:

Augusto (27 a.C. – 14) Tiberio (14 – 37) Caligola (37 – 41) Claudio (41 – 54) Nerone (54 – 68)

Tiberio[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Tiberio Claudio Nerone.

I primi anni del regno di Tiberio furono pacifici e relativamente tranquilli. Tiberio consolidò il potere di Roma e assicurò la ricchezza e la prosperità dell'Urbe e del suo Stato. Adottò Germanico, figlio di Druso, suo fratello, e lo inviò in una spedizione contro i Germani, grazie alla quale suo nipote acquistò gran popolarità presso i propri soldati e l'opinione pubblica romana. Più tardi Tiberio lo spedì in Oriente per combattere contro i Parti (18), ma l'anno successivo, ad Antiochia, Germanico morì in circostanze mai del tutto chiarite. Gneo Calpurnio Pisone, uomo di fiducia di Tiberio che lo aveva imposto come consigliere al generale, fu sospettato da taluni di averlo fatto avvelenare. Questo fu anche il convincimento di Germanico prima di spirare. Lo stesso imperatore fu ritenuto in qualche modo responsabile di avere provocato la morte del nipote, avendogli posto al fianco un uomo a lui ostile come Pisone. Nel 23 Tiberio perse anche suo figlio, Druso minore.

Dopo la morte di Germanico e di Druso l'imperatore iniziò a ritirarsi sempre più in se stesso, convinto di aver perso i favori del popolo e di essere circondato da persone che cospiravano contro di lui. Vennero istruiti una serie di processi ed eseguite un certo numero di condanne a morte per tradimento. Nel 26 Tiberio si ritirò nella propria villa di Capri, lasciando il potere nelle mani del comandante della guardia pretoriana, Elio Seiano, che portò avanti le persecuzioni. Anch'egli iniziò a consolidare il proprio potere e nel 31 fu nominato console insieme a Tiberio, che gli concesse in sposa sua nipote Livilla. Nello stesso anno l'imperatore scoprì una congiura che Seiano sembrava avesse ordito contro di lui e lo mise a morte insieme a molti dei suoi amici. Le persecuzioni non si arrestarono che alla scomparsa di Tiberio, avvenuta nel 37 a Capo Miseno.

Caligola[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Caligola.

Al momento della morte di Tiberio, molti dei personaggi che avrebbero potuto succedergli erano stati brutalmente uccisi. Il successore più logico (scelto anche da Tiberio) era Gaio (meglio conosciuto col nome di Caligola, per la sua abitudine di portare particolari sandali chiamati caligae), suo pronipote e figlio di Germanico. Caligola iniziò il regno ponendo fine alle persecuzioni e bruciando gli archivi dello zio. Sfortunatamente, però, cadde presto malato: gli storici successivi, probabilmente alterando in parte la verità, riportano una serie di suoi atti insensati che avrebbero avuto luogo a partire dalla fine del 37. Pare, ad esempio, che avesse ordinato ai suoi soldati di invadere la Britannia, ma che avesse cambiato parere all'ultimo minuto, mandandoli invece a raccogliere conchiglie sulla riva del mare. Venne inoltre accusato di intrattenere rapporti incestuosi con le proprie sorelle. Celebre è anche la sua presunta decisione di nominare senatore un suo cavallo. Il suo ordine di erigere nel tempio di Gerusalemme una statua che lo raffigurasse, sebbene fosse di normale amministrazione nelle province orientali (in cui il culto riservato al sovrano aveva funzione di collante istituzionale), scatenò l'opposizione degli Ebrei. Nel 41, Caligola cadde vittima di una congiura, assassinato dal comandante dei pretoriani Cassio Cherea. L'unico membro rimasto della famiglia imperiale era un altro nipote di Tiberio: Tiberio Claudio Druso Nerone Germanico, meglio noto come Claudio.

Claudio[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Tiberio Claudio Druso.

Claudio era stato a lungo considerato un debole ed un pazzo dal resto della famiglia. E tale fama, alla quale contribuì anche lo scrittore Tacito, gli rimase per tradizione. Egli non fu tuttavia né paranoico come lo zio Tiberio, né pazzo come il nipote Caligola, e fu invece capace di amministrare con responsabile capacità. Riorganizzò la burocrazia e mise ordine nella cittadinanza e nei ruoli senatoriali. Proseguì la conquista e colonizzazione della Britannia, creando nel 43 la nuova provincia, ed aggiunse all'Impero molte province orientali. In Italia costruì un porto invernale ad Ostia, creando magazzini per accumulare granaglie e cereali provenienti da altre parti dell'Impero e da usare nella cattiva stagione.

Sul fronte familiare, Claudio ebbe meno successo. La moglie Messalina lo tradiva e fu quindi messa a morte; successivamente sposò la nipote Agrippina. Questa, insieme con molti dei suoi liberti, aveva uno straordinario potere su di lui e probabilmente lo uccise nel 54. Claudio nello stesso anno fu inserito fra gli dei. La morte di Claudio spianò la strada al figlio di Agrippina, il sedicenne Lucio Domizio Enobarbo, che adottato da Claudio aveva preso il nome di Tiberio Claudio Nerone Domiziano, noto come Nerone.

Nerone[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Nerone.

Inizialmente, Nerone lasciò il governo di Roma a sua madre ed ai suoi tutori, in particolare a Seneca. Tuttavia, divenendo adulto, il suo desiderio di potere aumentò: fece giustiziare la madre ed i tutori. Durante il suo regno ci fu una serie di rivolte e ribellioni in tutto l'Impero: in Britannia, Armenia, Partia e Giudea. L'incapacità di Nerone di gestire le ribellioni e la sua sostanziale incompetenza divennero rapidamente evidenti e nel 68, cosicché perfino la guardia Imperiale lo abbandonò. Nerone si suicidò, e l'anno 69 (noto come l'anno dei quattro Imperatori) fu un anno di guerra civile, con gli Imperatori Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano al trono in rapida successione. Alla fine dell'anno, Vespasiano riuscì a consolidare il suo potere come Imperatore di Roma.

I Flavi[modifica]

Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Dinastia Flavia.

La prima dinastia flavia fu una delle dinastie dell'Impero romano, che detenne il potere dal 69 al 96.

I Flavii Vespasiani erano una famiglia della classe media, d'origine modesta, giunta poi all'ordine equestre grazie alla militanza fedele nell'esercito, che giunse al potere quando Tito Flavio Vespasiano, generale degli eserciti d'oriente, prese il potere durante l'Anno dei quattro imperatori.

Vespasiano[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Tito Flavio Vespasiano.

Vespasiano era stato un Generale Romano di notevole successo ed aveva amministrato molte parti esterne dell'Impero. Sua grande azione fu la repressione della rivolta in Giudea.

Tito Flavio Vespasiano

Aveva sostenuto la candidatura imperiale di Galba; tuttavia alla sua morte, Vespasiano divenne il maggior aspirante al trono. Dopo il suicidio di Otone, Vespasiano riuscì a dirottare la fornitura invernale del grano per Roma, mettendosi in ottima posizione per sconfiggere l'ultimo rivale, Vitellio. Il 20 dicembre 69, alcuni sostenitori di Vespasiano occuparono Roma. Vitellio fu ucciso dalle sue truppe, ed il giorno successivo il Senato confermò Imperatore Vespasiano.

Vespasiano fu praticamente un autocrate, ed ebbe molto meno appoggio dal Senato dei suoi predecessori Giulio-Claudii. Questo è esemplificato dal fatto che lui stesso riferisce la sua salita al potere il 1º luglio quando fu proclamato Imperatore dalle truppe, invece del 21 dicembre quando fu confermato dal Senato. Egli volle, negli anni successivi, espellere i Senatori a lui contrari.

Vespasiano riuscì a liberare Roma dai problemi finanziari creati dagli eccessi di Nerone e dalle guerre civili. Aumentando le tasse in modo drammatico (talvolta più che raddoppiate), egli riuscì a raggiungere una eccedenza di bilancio ed a realizzare progetti di lavori pubblici. Egli fu il primo committente del Colosseo e costruì un Foro il cui centro era il Tempio della Pace.

Vespasiano fu inoltre effettivamente imperatore delle province. I suoi Generale soffocarono ribellioni in Siria e Germania. Infatti in Germania riuscì ad allargare le frontiere dell'Impero, e gran parte della Bretagna fu portata sotto il dominio di Roma. Inoltre estese la cittadinanza romana agli abitanti della Spagna.

Un altro esempio delle sue tendenze monarchiche fu la sua insistenza che gli succedessero i figli Tito e Domiziano; il potere imperiale non era visto allora come ereditario. Tito, che aveva avuto qualche successo militare all'inizio del regno di Vespasiano, fu visto come il supposto erede al trono; Domiziano era visto come meno disciplinato e responsabile. Tito affiancò il padre nei compiti di censore e console e lo aiutò nel riorganizzare i ruoli del Senato. Il 23 giugno 79, alla morte di Vespasiano, Tito fu immediatamente confermato imperatore.

Tito[modifica]
L'anfiteatro Flavio, simbolo di Roma e del potere imperiale ancora ai nostri giorni.
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Tito Flavio Cesare.

Il breve regno di Tito durato circa due anni fu segnato da numerosi disastri: nel 79 l'eruzione del Vesuvio distrusse Pompei ed Ercolano, e nell'80 un incendio distrusse gran parte di Roma. Nello stesso anno poi si diffuse una pestilenza. La sua generosità nella ricostruzione dopo le tragedie, lo rese molto popolare. Tuttavia il Colosseo fu completato solo durante il regno di Domiziano. Tito fu molto fiero dei suoi progressi nella costruzione del grande anfiteatro cominciato dal padre.

Egli tenne la cerimonia inaugurale nell'edificio non ancora terminato durante gli anni ottanta, con un grandioso spettacolo in cui si esibirono cento gladiatori e che durò cento giorni. Tito morì nell'81 a 41 anni e ci furono voci che fosse stato assassinato dal fratello Domiziano impaziente di succedergli.

Domiziano[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Tito Flavio Domiziano.

Fu con Domiziano che i rapporti già tesi tra la dinastia flavia ed il senato si andarono sempre più logorando. Le cause di questo difficile sodalizio furono dapprima la divinizzazione del culto personale dell'imperatore secondo modalità tipicamente ellenistiche ed in seguito il divorzio dalla moglie Domizia, di estrazione senatoria. Anche sul fronte esterno le cose non andavano meglio; nonostante i successi della guerra britannica, finita nell'84, e la vittoria sui Catti, la Guerra Dacica (85-89) finì col pagamento dell'alleanza con Decebalo. Nell'89 Domiziano dovette reprimere la ribellione di Antonino Saturnino a Magonza. La parte finale del suo regno fu macchiata dalla condanna dei filosofi e, nel 95, dalla persecuzione contro i Cristiani. L'anno seguente Domiziano morì, vittima di una congiura.

Imperatori adottivi ed Antonini[modifica]

Per approfondire questo argomento, consulta le pagine Dinastia degli Antonini e Albero genealogico degli Antonini.

Il periodo che va dalla fine del I alla fine del II secolo è caratterizzato da una successione non più dinastica, ma adottiva, basata sui meriti dei singoli scelti dagli imperatori come loro successori.

Nerva[modifica]
Traiano, l'Optimus princeps, ovvero il migliore degli imperatori romani.
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Marco Cocceio Nerva.

Marco Cocceio Nerva fu un aristocratico romano, divenuto poi imperatore.

Era figlio di Cocceio Nerva, famoso giureconsulto, e di Sergia Plautilla, figlia del console Popilio Lenate.

Fu l'ultimo imperatore italiano sia di nascita che di famiglia. Nerva non aveva seguito l'usuale carriera amministrativa (il cursus honorum), anche se era stato console durante l'impero di Vespasiano nel 71 e con Domiziano nel 90. Nerva era molto stimato come anziano senatore ed era noto come persona mite e accorta. Alla morte di Domiziano, Nerva acconsentì a divenirne il successore e fu acclamato imperatore in Senato da tutte le classi concordi sul suo nome.

Durante il suo regno, breve ma significativo, apportò un grande cambiamento: il "principato adottivo". Questa riforma prevedeva che l'imperatore in carica in quel momento dovesse decidere, prima della sua morte, il suo successore all'interno del senato. Questo faceva sì che i senatori venissero responsabilizzati.

Traiano[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Marco Ulpio Nerva Traiano.

Nerva adottò un eminente personaggio militare, Traiano. Durante l'impero di quest'ultimo (98-117), le conquiste derivanti dalle guerre daciche e dalle campagne contro i Parti, con la creazione di tre nuove province (Armenia, Mesopotamia e Assiria), consentirono all'impero di raggiungere la sua massima estensione.

Traiano si dedicò anche alla costruzione di opere pubbliche. Fu predisposto un piano regolatore per Roma, furono innalzati il foro e il mercato di Traiano, opere ideate dall'architetto Apollodoro di Damasco. Furono costruiti inoltre un arco di trionfo, la basilica Ulpia, con le due biblioteche accanto, e la colonna traiana, sulla quale sono rappresentate le vicende della conquista della Dacia. Importante al di fuori della città di Roma fu la costruzione della via Traiana che rappresentava una valida alternativa alla via Appia. Essa partiva da Benevento e passava per Canosa di Puglia, Bitonto ed Egnazia, fino a Brindisi.

Adriano[modifica]
Scorcio del Vallo di Adriano.
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Publio Elio Traiano Adriano.

A Traiano succedette Adriano (117-138). Egli accrebbe i poteri del principe rispetto a quelli del senato ed unificò la legislazione dell'impero. Negli anni del suo regno vi fu un periodo di pace, turbata esclusivamente dalla seconda rivolta giudaica (132-135), e l'imperatore si occupò della fortificazione dei confini settentrionali, con la realizzazione del Vallo di Adriano in Britannia ed il consolidamento del confine germanico.

Antonino Pio[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Antonino Pio.

Antonino Pio (138-161), capostipite della Dinastia degli Antonini, continuò la politica pacifica del predecessore, fu un saggio amministratore e riconfermò al senato le prerogative passate, tanto da meritarsi l'appellativo di Pio.

Marco Aurelio[modifica]
Statua bronzea di Marco Aurelio al Campidoglio
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto.

Alla sua morte gli succedettero Marco Aurelio (161-180) e Lucio Vero, morto nel 169. Il periodo del regno dell'imperatore filosofo non fu felice come i precedenti: dal 162 al 165 vi fu una guerra contro i Parti, nel 166 scoppiò una pestilenza, dal 167 al 175 le campagne contro Marcomanni e Quadi e la rivolta di Avidio Cassio in Oriente misero a dura prova le finanze e l'impero stesso. I prodromi della crisi che investì l'impero romano nel III secolo si fecero maggiormente sentire con la successione al trono di Commodo (180-192).

Commodo[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Commodo.

Il figlio di Marco Aurelio incrinò l'equilibrio istituzionale raggiunto e con il suo atteggiamento dispotico favorì il malcontento delle province e dell'aristocrazia. Il suo assassinio diede il via ad un periodo di guerre civili.

L'ultimo periodo della pax romana può essere considerata l'età più felice dell'impero romano: tramite la politica di pace instaurata e la prosperità derivatane il governo imperiale attirò consensi unanimi, tanto che Nerva ed i suoi successori sono anche noti come i cinque buoni imperatori.

Lo sviluppo economico e la coesione politica ed ideale, raggiunta anche per l'adesione delle classi colte ellenistiche, che contraddistinsero il II secolo, non devono, comunque, trarre in inganno, in quanto da lì a poco l'impero comincerà a mostrare i primi sintomi della decadenza.

I Severi[modifica]

Per approfondire questo argomento, consulta le pagine Dinastia dei Severi e Albero genealogico dei Severi.

È ormai evidente come gli aspiranti imperatori debbano passare attraverso il consenso militare. I pretendenti alla più alta carica sono di due tipi: italici, cioè persone che fino ad allora hanno formato la classe dirigente dell'impero e che cercano il consenso dell'esercito attraverso forti donazioni. I secondi sono invece militari provenienti dalle zone periferiche e che durante la loro carriera hanno già guadagnato il consenso del loro esercito. Nel 192 riesce ad acquistare il titolo di imperatore Pertinace. Tre mesi dopo Didio Giuliano riesce a farlo eliminare dai pretoriani in cambio di forti donazioni. Intanto dalle periferie arrivano Clodio Albino, Pescennio Nigro e Settimio Severo, tre militari che aspirano a prendere il posto di Giuliano. Sarà Severo, fondatore di una nuova dinastia, a essere nominato nuovo imperatore dal Senato.

Settimio Severo[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Lucio Settimio Severo.
Busto di Settimio Severo presso i Musei Capitolini.

Settimio Severo passerà i primi quattro anni di regno a eliminare gli altri aspiranti imperatori. Muore nel 211. Egli cercherà l'appoggio del Senato e dei Pretoriani e tenterà di ridare autorità all'Impero partendo per una spedizione contro i Parti e cercando di pacificare le provincie dell'Italia, dando inoltre ai provinciali posti di rilievo. Morirà nel tentativo di difendere la Britannia, dove il confine finirà per limitarsi al Vallo di Adriano (Britannia settentrionale).

Caracalla[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Caracalla.

Nel 211 succede a suo padre Settimio Severo ed è imperatore Caracalla. Nel 212 egli promulga la constitutio antoniana de civitate, l'editto con il quale estende la cittadinanza romana a tutti i sudditi dell'impero, con rare eccezioni. Tra i vari motivi di tale decisione vi è sicuramente un'esigenza finanziaria: con tale editto non solo vengono estesi i diritti, ma anche i doveri. Del resto tutti i sudditi dovevano pagare le tasse per la successione o per la manumissione (l'atto con cui si affrancano gli schiavi). Muore nel 217.

Macrino[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Marco Opellio Macrino.

Nominato da Caracalla Prefetto del pretorio, complottò contro di lui e l'11 aprile 217, dopo la sua uccisione, Macrino si autoproclamò imperatore. Egli fu il primo a divenire imperatore senza essere prima membro del Senato. Dovette affrontare i Parti e lo scontento delle legioni. La famiglia di Caracalla aizzò una rivolta contro Macrino, in favore di Eliogabalo (descritto come figlio naturale ed erede di Caracalla). Macrino fu catturato in Asia Minore e giustiziato come usurpatore.

Eliogabalo[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Eliogabalo.

Succede a Macrino il quattordicenne Eliogabalo, grazie alla nonna Giulia Mesa, la quale sostiene tra le milizie orientali una campagna a suo favore. Inoltre si pone come continuatore dei Severi, in quanto parente di Settimo e Caracalla. Ciò che lo caratterizza è un progetto di rinnovamento religioso e di classe dirigente, motivo per il quale verrà assassinato dai pretoriani nel 222.

Alessandro[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Alessandro Severo.

Succede a Eliogabalo suo cugino Alessandro, quasi della stessa età, che lo ha adottato. Costui governerà poco più a lungo del suo predecessore, in quanto si piegherà agli interessi della classe dirigente romana e occidentale.

La crisi del III secolo e l'anarchia militare[modifica]

Busto di Massimino Trace.
Per approfondire questo argomento, consulta le pagine Crisi del III secolo e Anarchia militare.

I cento anni che seguono la morte di Alessandro segnano la sconfitta dell'idea di impero che vi era stata sotto la dinastia giulio-claudia e antonina. Tale idea si basava sul fatto che l'Impero era fondato sulla collaborazione tra l'imperatore e le forze politico-economiche interne. Ora tutte le energie dello Stato venivano spese per difendere i confini dalle invasioni barbare. Nei primi trent'anni del III secolo si succedettero ben 28 imperatori acclamati dall'esercito, quasi tutti morti assassinati.

Da Massimino a Gordiano III (235-244)[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta le pagine Massimino Trace, Gordiano I, Gordiano II, Balbino, Pupieno e Gordiano III.

Nel 236 diviene imperatore Massimino, proveniente dalla Tracia: fu il primo tra gli imperatori a poter vantare solo umilissimi origini. Il fatto che la sua carriera sia legata esclusivamente all'esercito dimostra come nobili senatori o ricchi finanzieri stanno perdendo il loro potere. Si crede addirittura che facesse parte di una famiglia dediticia, cioè di quelle famiglie che anche dopo l'editto di Caracalla non era stata riconosciuta la cittadinanza romana. Il suo regno avrà una vita breve, giusto il tempo di difendere i confini nella zona del Danubio.

Nel 238 le province africane (un "feudo" di nobili senatori) in rivolta contro la politica fiscale di Massimino, volta a compiacere l'esercito, eleggono nuovo imperatore Gordiano I, il quale affianca alla guida dell'impero suo figlio Gordiano II. Dopo pochi mesi verrà assassinato da uomini fedeli a Massimino. Dopo l'assassinio di Gordiano I il Senato elegge due imperatori: Balbino e Pupieno. Sarà quest'ultimo a sconfiggere definitivamente Massimino e nominare suo successore Gordiano III.

Poco dopo essere stato nominato imperatore dall'esercito e con il consenso del Senato, Gordiano III decide di affrontare l'impero persiano, rinato sotto la nuova dinastia dei Sasanidi. Gordiano III affianca come suo consigliere il prefetto Temesiteo. Tuttavia muore durante il conflitto e verrà sostituito da Giunio Filippo, figlio di un cittadino romano dell'Arabia.

Da Filippo l'arabo a Gallieno (244-268)[modifica]
L'imperatore Gallieno.
Per approfondire questo argomento, consulta le pagine Filippo l'Arabo, Decio, Valeriano e Gallieno.

Nel 244 il prefetto Giunio Filippo, chiamato Filippo l'Arabo per le sue origini, tradisce il suo imperatore e ne prende il posto, affrettandosi a stipulare una pace con i Persiani. Poi raggiunge immediatamente la zona del Danubio per affrontare e sconfiggere i Carpi. Filippo l'Arabo viene ricordato come l'imperatore che organizzò e celebrò, nel 248, i giochi e gli spettacoli per i mille anni dalla fondazione di Roma. L'imperatore (paradossalmente un "non-romano") predispose che tale festività dovesse essere celebrata con giochi grandiosi (lotte gladiatorie ed esibizioni di animali esotici) sia per celebrare nel modo più solenne l'evento, sia per dimostrare la forza e la grandezza dell'Impero. Una grandezza oramai del tutto apparente se si pensa che a distanza di pochi mesi dall'evento i goti forzeranno il limes mettendo la Grecia a ferro e fuoco, devastando Atene e Sparta. Nel 249 verrà assassinato dal suo successore, Treboniano Gallo.

Nel 249 diviene imperatore Decio. Egli avvia una feroce repressione verso i cristiani: questo soprattutto per una politica di rafforzamento dell'autorità imperiale attraverso il culto dell'Imperatore, collante fondamentale per un Impero che sta crollando. Morirà assassinato, mentre combatte contro i Goti in Mesia, dal suo luogotenente, Treboniano Gallo. È il 251 quando Treboniano Gallo è proclamato imperatore. Anch'egli verrà assassinato dal suo luogotenente Emiliano due anni dopo, nella stessa regione. Nel 253 diviene imperatore Emiliano. Tre mesi dopo l'esercito pone termine al suo mandato.

Succede Valeriano. Appena eletto, Valeriano nomina Augusto d'Occidente suo figlio Gallieno, mentre per sé manterrà il controllo della parte orientale, dove deve affrontare i Goti. Dopo averli sconfitti, nel 260, comincia una guerra contro il regno persiano. Tuttavia Valeriano cadrà prigioniero del re dei persiani, Sapore, lasciando tutto l'impero al figlio Gallieno.

Gallieno, divenuto imperatore, troverà difficoltà a mantenere il territorio unito. Nelle zone occidentale è nato il Regnum Gallicum, di cui Postumo è il re. Nelle zone orientali, un certo Macriano, un ufficiale dell'esercito stanziato in Oriente, cerca di prendere il potere. Gallieno allora chiede aiuto a Odenato, un nobile di Palmira, città carovaniera, punto di incontro tra l'Impero romano e le zone interne dell'Asia. In cambio Odenato otterrà una specie di sovranità sulla parte orientale dell'Impero, ricevendo il titolo di Dux Orientis, anche se in realtà questo porterà alla nascita di una nuova potenza, il Regno di Palmira, a causa dell'ambizione della moglie di Odenato, Zenobia, e quindi ritornerà in sostanza alla situazione di Macriano. In campo amministrativo decide di reclutare i prefetti non più solo tra i senatori, ma anche dai centurioni, uomini di umili origini la cui carriera è legata all'esercito. Morirà assassinato nel 268 da ufficiali illirici.

Gli imperatori illirici (268-284)[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta le pagine Claudio il Gotico, Aureliano, Marco Aurelio Probo e Marco Aurelio Caro.

Nel 268 è imperatore di nuovo un militare: Claudio II detto il Gotico, proveniente dalle zone illiriche. Nelle zone balcaniche si impegna nell'arginare le incursioni gotiche. Morì a Sirmio a causa della peste che in quegli anni falciò l'Illiria.

Nel 270 è imperatore Aureliano. Intanto i due regni di Gallia e Palmira sono passati rispettivamente a Pio Tetrico e a Zenobia. Primo obiettivo di Aureliano è la riconquista di Palmira, che avviene tra il 271 e il 273. Tornando in Occidente riconquisterà anche il regno gallico, riunificando l'Impero romano e guadagnandosi il titolo di restitutor orbis. Succede Marco Claudio Tacito, imperatore dal 275 al 276. Diventa imperatore Marco Annio Floriano imperatore nel solo 276. Di rilievo furono: Marco Aurelio Probo, imperatore dal 276 al 282 che si fece notare per aver sconfitto ripetutamente i barbari sul Reno e il Danubio, Marco Aurelio Caro imperatore dal 282 al 283, Numeriano e Carino. Numeriano fu imperatore dal 283 al 284. Riesce a dare vita ad un brevissimo periodo di recupero economico e culturale, inaugurando più di 50 giorni di festività un po' dappertutto nell'impero, da Nimes a Roma, da Olympia a Antiochia. Carino fu imperatore dal 284 al 285.

Tardo o basso impero (284-476)[modifica]

Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Tarda antichità.

La crisi del III secolo viene in qualche modo frenata dall'imperatore Diocleziano istituendo la tetrarchia, un regime collegiale di due Augusti e due Cesari che amministrano raggruppamenti distinti di province dell'Impero, accresciute in numero e riunite in diocesi. In questa circostanza anche l'Italia viene suddivisa in province. Più in generale si verifica in questi anni una progressiva marginalizzazione delle aree più antiche dell'impero a vantaggio di un oriente, forte di tradizioni civiche più antiche e di un'economia mercantile maggiormente consolidata, assai più prospero quanto a politica, amministrazione e cultura.

La tetrarchia (284-305)[modifica]

Busto di Diocleziano.
Per approfondire questo argomento, consulta le pagine Diocleziano e Tetrarchia.

La struttura dell'Impero romano si è evoluta, partendo dal percorso augusteo fino a Diocleziano, in una specie di dualismo tra la città di Roma, amministrata dal Senato, e l'Imperatore, che invece percorre l'impero e ne amplia o difende i confini. Il rapporto tra Roma e l'Impero è ambivalente, se essa è il punto di riferimento ideale della "romània", pure il potere passa gradualmente al monarca (l'Imperatore) che sposta il suo luogo di comando man mano si sposta nell'Impero, e si assiste ad un chiaro decadimento di Roma. Nel tardo impero autori come Jones calcolano che con l'Imperatore si spostassero qualcosa come 12.000 persone, compresi i funzionari, i dignitari, perfino la zecca. Un istituto particolare è quello del "comitatus". Dai "comites" (coloro che accompagnano l'Imperatore) deriva (con altro significato pratico) il titolo di "conte".

L'imperatore stabilisce le quattro "residenze imperiali" due in Oriente e due in Occidente: Nicomedia (poi spostata a Costantinopoli da Costantino) fu la residenza di Diocleziano, Augusto d'Oriente. Sirmio, fu la residenza di Galerio, Cesare d'Oriente. Milano divenne la residenza di Massimiano, Augusto d'Occidente. Costanzo Cloro infine, Cesare d'Occidente si stanziò a Treviri. Nel 305 Diocleziano e Massimiano abdicano, probabilmente per mettere alla prova il sistema tetrarchico: Galerio e Costanzo Cloro divenivano augusti, scegliendo come cesari Massimino e Severo.

Le guerre civili (306-324)[modifica]

Per approfondire questo argomento, consulta le pagine Galerio, Massimino Daia, Massenzio, Licinio e Costantino I.

Nel 306, alla morte di Costanzo Cloro, scoppiarono una serie di rivalità, che sfociarono in lunghi anni di guerre civili, interrotte da alcune tregue. Costantino I combatté per lunghi anni, contro Massenzio (acclamato imperatore dai pretoriani e dalla plebe di Roma), vincendolo nella battaglia di Ponte Milvio del 312. Massenzio a sua volta era stato costretto a combattere contro Lucio Domizio Alessandro negli anni 308-310.[1] Divenuto unico imperatore in Occidente, Costantino nel 313 proclama a Milano l'editto di tolleranza verso i cristiani. La guerra civile si protrasse negli anni successivi, risultando in pratica uno scontro tra Occidente romano (Costantino) ed Oriente greco (dove regnava Licinio dal 308). Alla fine Costantino ebbe la meglio su Licinio, ottenendo di poter riunire nuovamente l'impero romano sotto un unico comando (nel 324). L'anno successivo il nuovo imperatore d'Occidente ed Oriente partecipò al Concilio di Nicea.

Costantino ed i costantinidi (324-363)[modifica]

Costantino I detto il Grande, primo imperatore cristiano.
Per approfondire questo argomento, consulta le pagine Costantino I e Dinastia costantiniana.

Nel 324 iniziano invece i lavori per la fondazione della nuova capitale, Costantinopoli. Alla morte di Costantino, gli succedono i tre figli, che divengono presto due: si evidenzia così la separazione tra le due parti dell'impero, con Costanzo II in Oriente e Costante in Occidente. Nel 361 viene proclamato Augusto Giuliano, cesare in Gallia. Il suo impero dura solo tre anni, eppure ha grande importanza, sia per il suo tentativo di ristabilire un sistema religioso politeistico (e per questo sarà detto l'Apostata), sia per la campagna militare condotta contro i Sasanidi.

Da Valentiniano a Teodosio (364-395)[modifica]

Nel 364 viene incoronato imperatore Valentiniano; quest'ultimo, su richiesta dell'esercito, nominò un collega (il fratello Valente) a cui assegnò la parte orientale dell'Impero. Se dobbiamo credere allo storico antico Ammiano Marcellino, Valentiniano fu un sovrano crudele, che lanciò una violenta persecuzione contro tutti coloro accusati di stregoneria (una persecuzione così violenta che, usando le parole del Gibbon, pare che «nelle province meno piacevoli i prigionieri, gli esuli e i fuggiaschi costituissero la maggioranza degli abitanti»[2]) e godeva nel vedere la sua orsa Innocenza sbranare i condannati a morte nella sua camera da letto.[3] Pur con i suoi difetti, Valentiniano si dimostrò comunque un buon sovrano: egli infatti mise fine a molti degli abusi che avvenivano ai tempi di Costanzo, promulgò alcune leggi a favore del popolo (condannò l'esposizione dei neonati e istituì nei quattordici quartieri di Roma altrettanti medici), e favorì l'insegnamento della retorica, una scienza ormai in declino.[4] Inoltre istituì l'ordine dei Difensori, una sorta di avvocati che difendevano i diritti del popolo.[5] Inoltre ottenne anche alcuni successi contro i Barbari. Durante una guerra contro i Quadi, alcuni ambasciatori quadi si recarono dall'imperatore per chiedere clemenza; l'Imperatore si arrabbiò talmente tanto che gli scoppiò un grosso vaso sanguigno e morì.[6]

Venne nominato suo successore in Occidente Graziano. Nel frattempo orde di barbari (soprattutto Goti), pressati dagli Unni che invasero le loro terre, chiesero ai Romani di potersi stanziare in territorio romano; alla fine i Romani decisero di accettare ma a condizione che i Barbari consegnassero tutte le loro armi e si separassero dai figli; una volta entrati in territorio romano, i Goti vennero talmente maltrattati che decisero di rivoltarsi, dando così inizio alla Guerra Gotica. Nel tentativo di fermare i Barbari, l'Imperatore Valente morì nel corso della Battaglia di Adrianopoli, che fu una disfatta per i Romani. Alla fine l'Imperatore Teodosio (successore di Valente in oriente) fu costretto a riconoscere i Goti come foederati.

Nel 382 l'imperatore Graziano abolirà definitivamente ogni residuo di paganesimo: il titolo di pontefice massimo, i finanziamenti pubblici ai sacerdoti pagani, la statua e l'ara della Vittoria ancora presenti nella curia.

Bisogna tener presente che gli imperatori provengono spesso dalle zone periferiche dell'Impero (in gran parte dall'Europa Orientale di lingua latina) ma proprio per questo pervasi da un più profondo sentimento di romanità (come Aureliano, Diocleziano o Costantino I). Molti Imperatori quasi non conoscono Roma, la vita militare li costringe a vivere (e spesso a morire) in prossimità della frontiera danubiana, in Siria, Mesopotamia o Britannia. Le loro visite all'Urbe si faranno sempre più sporadiche ed effettuate in taluni casi per celebrare un trionfo, o per esercitare una forma di controllo su un senato sempre più esautorato.

È importante notare che la pressione dei barbari sull'Impero non sempre è distruttiva, nel senso che molti barbari non desiderano altro che entrare a far parte dell'Impero, stanziandosi sul territorio o offrendosi al servizio di questo (si vedano i generali barbari come il grande Stilicone, o il caso di Magnenzio, che tuttavia si autoproclamò imperatore, Arbogaste, che dopo una onorevole carriera in cui fece addirittura le veci dell'Imperatore in Occidente probabilmente fece assassinare l'imperatore Valentiniano II, etc.).

Tuttavia, quando si accorgono che il rapporto di forze è loro favorevole, a volte i capi barbari non esitano a rompere gli indugi e misurarsi in battaglia con le forze imperiali. A questo proposito è indicativa la clamorosa sconfitta subita da Valente da parte dei Goti che successivamente distruggeranno anche Milano o il sacco di Roma da parte di Alarico frustrato nella sua ambizione di venir nominato maresciallo dell'Impero e sentitosi tradito dai romani che lo avevano lusingato con fallaci promesse.

Due imperi[modifica]

Per approfondire questo argomento, consulta le pagine Impero romano d'Occidente e Impero romano d'Oriente.

Sotto Teodosio I l'Impero fu per l'ultima volta unito. Con la morte di quest'ultimo nel 395 l'Impero venne suddiviso definitivamente in due parti, ognuna delle quali andò ai figli dell'imperatore: l'Impero romano d'Occidente al figlio Onorio mentre l'Impero romano d'Oriente o Impero bizantino (da Bisanzio, la sua capitale) al figlio maggiore Arcadio.

Declino e caduta dell'Impero d'Occidente (395-476)[modifica]
Per approfondire questo argomento, consulta le pagine Impero romano d'Occidente, Invasioni barbariche e Caduta dell'Impero romano d'Occidente.
L'Impero romano nel 476

Dopo il 395, gli Imperatori d'Occidente erano di solito imperatori fantoccio, i veri regnanti erano generali che assunsero il titolo di magister militum, patrizio o entrambi—Stilicone dal 395 al 408, Constanzo dal 411 al 421, Ezio dal 433 al 454 e Ricimero dal 457 al 472.

Il 31 dicembre del 406 molte popolazioni barbariche attraversarono il Reno e conquistarono nel corso degli anni sempre più territori. Nel 410, dopo l'assassinio di Stilicone, Roma venne saccheggiata dai Goti; un avvenimento del genere non accadeva da secoli. Sempre nel 410 la Britannia venne abbandonata; Franchi, Burgundi e Visigoti si erano stanziati in Gallia, Suebi e Vandali in Spagna; l'Africa intorno al 430 venne invasa dai Vandali di Genserico, che in seguito conquistarono anche Sicilia, Sardegna, Corsica e Isole Baleari e saccheggiarono nuovamente Roma nel 455. L'impero si ridusse all'Italia, alla Dalmazia e alla Gallia settentrionale, nonostante i vani tentativi di risollevarne le sorti da parte di Ezio e Maggioriano.

L'anno 476 viene di solito indicato come fine formale dell'Impero d'Occidente: Ravenna, la capitale dell'Impero, cadde e l'ultimo imperatore Romolo Augusto venne deposto. Tutta l'Italia era in mano a Odoacre, che mandò le insegne Imperiali all'imperatore d'Oriente Zenone. Odoacre richiedeva che il suo controllo sull'Italia fosse formalmente riconosciuto dall'Impero, mentre Giulio Nepote (deposto pochi anni prima da Oreste) gli chiedeva aiuto per riavere il trono. Zenone garantì a Odoacre il titolo di patrizio e Nepote fu dichiarato formalmente imperatore; tuttavia, Nepote non ritornò mai dalla Dalmazia, anche se Odoacre fece coniare monete col suo nome. Dopo la morte di Nepote nel 480, Zenone rivendicò la Dalmazia per l'Oriente; J. B. Bury considera questa la fine reale dell'Impero d'Occidente. Odoacre attaccò la Dalmazia, e la guerra finì con la conquista dell'Italia da parte di Teodorico il Grande, Re degli Ostrogoti, sotto l'autorità di Zenone.

Sopravvivenza dell'Oriente: la trasformazione nell'Impero bizantino (395-1453)[modifica]
Impero Bizantino sotto Giustiniano nel 550.
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Impero bizantino.

Mentre l'Impero d'Occidente declinò durante il V secolo, il più ricco Impero d'Oriente attraversò un periodo di prosperità e nella metà del VI secolo, sotto l'imperatore Giustiniano I, riconquistò l'Italia e l'Illiria strappandole agli Ostrogoti, il Nord Africa sottratta ai Vandali, e la Spagna meridionale tolta ai Visigoti. La riconquista della Spagna meridionale fu effimera, ma il Nord Africa rimase in mano bizantina per un altro secolo, l'Italia (o parte di essa) per altri 5 secoli, e l'Illiria per un millennio.

All'epoca di Giustiniano, la mentalità e i costumi bizantini quasi nulla avevano di romano; le influenze orientalistiche, e la religione cristiana, avevano infatti impresso all'Impero tendenze nuove, da quando gli Imperatori avevano deciso di interferire negli affari di Chiesa, tentando di porsi al di sopra del Papa (cesaropapismo). In questo modo l'Impero d'Oriente si trasformò ben presto in una teocrazia e l'Imperatore aveva assunto un carattere sacro.[7]

Nonostante questa evoluzione del potere imperiale, fino all'epoca di Eraclio (610-641) l'Impero romano d'Oriente/bizantino era ancora romano per leggi, esercito, istituzioni (il sistema provinciale era ancora quello di Diocleziano e Costantino, mentre varie cariche (proconsole, console, prefetto del pretorio, Augusto, Cesare) caratterizzanti l'Impero romano erano ancora presenti nell'Impero bizantino) e lingua (il latino rimase lingua ufficiale fino a Eraclio anche se va detto che il greco era la lingua più diffusa); per questo motivo alcuni storici[8] definiscono l'Impero bizantino fino a Eraclio con l'appellativo di "Tardo Impero Romano" (ing. "Later Roman Empire").

Tuttavia ben presto si ebbe un graduale processo di perdita della romanità: Giustiniano nel 541 abolì il consolato[9], considerato troppo dispendioso, e nel corso del suo lungo regno riformò il sistema provinciale (tale riforma provinciale, secondo J.B. Bury, anticipa la riforma dei temi di Eraclio, in quanto i molti casi si aveva l'accentramento delle autorità civili e militari nelle mani di un'unica persona); Maurizio (582-602) negli anni 580 abolì le Prefetture del Pretorio in Italia e Africa trasformandole in esarcati, con un'autonomia maggiore rispetto alle altre province (si pensi al fatto che gli esarcati dovevano provvedere da se alla loro difesa, con l'utilizzo di truppe locali); e Eraclio (610-641) ellenizzò l'Impero, trasformandolo profondamente per sempre. Egli (o forse uno dei suoi successori, Costante II, come afferma il Treadgold nella sua opera History of the Byzantine State and Society) abolì l'antico sistema provinciale romano di Diocleziano e Costantino, rimpiazzando province (o eparchie) e diocesi con distretti militari detti temi (themata). La riforma dei temi consisteva nell'assegnazione dell'autorità civile e militare del tema al comandante dell'esercito (strategos) e nell'assegnazione di terre da coltivare ai soldati (stratioti); tale riforma permise di tagliare le spese militari dei 2/3 e rese più motivati i soldati, poiché nella provincia da difendere dai nemici vi erano la loro famiglia e tutti i loro possedimenti. Grazie ai temi, Bisanzio riuscì a resistere per molto tempo a nemici molto forti come Arabi e Bulgari. Eraclio inoltre, oltre a rendere il greco la lingua ufficiale dello Stato, al posto del latino (ormai parlato da pochissimi), ellenizzò tutte le cariche politiche: l'Imperatore non veniva più chiamato Imperator Caesar Augustus ma Basileus (Βασιλεύς, re); anche il senato, i titoli di magister militum, curopalate ecc. vengono tradotti in greco; un cambiamento nel titolo non vuol dire necessariamente che sia avvenuto un cambiamento della funzione ma esso indica come la romanità dell'Impero d'Oriente si stesse man mano affievolendo.

L'Impero romano d'Oriente aveva ormai perso in massima parte le proprie connotazioni romane. Dal 610 l'Impero romano d'Oriente, che, come si è accennato, era ormai un'entità statuale più greca che romana, divenne quello che molti storici moderni chiamano Impero bizantino, anche se non venne mai definito sotto tale nome dai suoi abitanti (veniva chiamato Romania, Basileia Romaion o Pragmata Romaion, che significa "Terra dei Romani", "Impero dei Romani"), che si consideravano ancora romani (romaioi, si pronuncia romei) e consideravano il loro impero il successore di diritto dell'Impero romano. Varie popolazioni (come Arabi e Persiani) chiamavano effettivamente i bizantini "Romani". Il termine bizantino venne coniato da storici del cinquecento che essendo rinascimentali disprezzavano tutto ciò che riguardava il Medioevo, visto come un'età di declino, e non volendo chiamare gli abitanti dell'Impero romano d'Oriente "Greci" o "Romani" in quanto non li ritenevano degni di essere chiamati così, coniarono il termine "bizantino" dall'antico nome della capitale Costantinopoli. Tale termine venne poi diffuso dagli illuministi che non vedevano di buon occhio l'Impero bizantino, vedendolo come un'epoca di decadenza e di rovina[10].

Comunque, anche se il titolo basileus venne introdotto da Eraclio, solo più tardi con la dinastia isaurica viene introdotto nella monetazione, dove continua a essere usato il termine latino Augustus; questo fatto si può spiegare col fatto che la dinastia eracliana proveniva dall'Africa, dove si parlava latino, e dunque era poco propensa a ellenizzare i titoli sulle monete; con Costante II (641-668) si ebbe addirittura il tentativo di occidentalizzare l'Impero spostando la sede imperiale da Costantinopoli a Siracusa e di riconquistare l'Italia ai Longobardi; tuttavia gli ambiziosi progetti di Costante (anacronistici per l'epoca) fallirono e Costante morì assassinato a Siracusa nella sua vasca da bagno. Comunque la spedizione italiana di Costante II contribuì alla permanenza dei Bizantini in Italia fino all'XI secolo.

Con l'ascesa della dinastia isaurica (717) l'Impero si ellenizzò ulteriormente, e gradualmente tutti i titoli latini scomparvero dalle monete. Nel corso dell'VIII secolo, la controversia iconoclastica e le minacce dei Longobardi e dei Franchi contribuirono a separare l'Italia e la città di Roma dall'Impero romano d'Oriente, e nella seconda metà dell'VIII secolo l'intero centro Italia cadde in mano longobarda; il Papa, non potendo più contare sui Bizantini, chiese aiuto ai Franchi che scesero in Italia e annichilirono il regno longobardo, cedendo poi il Centro Italia ai Papi invece di restituirlo ai Bizantini; Roma, l'antica capitale, andò di nuovo perduta finendo in mano papale. Nel 797 Irene per impossessarsi del potere accecò, depose e uccise il figlio Costantino VI; questo atto venne condannato dall'Occidente latino, al punto che gli Occidentali consideravano il trono vacante con l'uccisione di Costantino VI; fu a quel punto che il Papa e l'Occidente latino decisero di conferire all'Imperatore dei Franchi Carlo Magno il titolo di Imperatore dei Romani, decidendo di riservare all'Imperatore bizantino (prima di allora considerato Imperatore romano) il titolo di Imperatore dei Greci. Da quel punto in poi i Latini negarono la romanità dei bizantini chiamandoli greci e dando il titolo di Imperatore dei Romani al Sacro Romano Imperatore. Essere chiamati greci per i bizantini equivaleva a un'offesa grave, in quanto per i bizantini greco significava pagano.

Bisanzio conobbe un periodo di rinascita sotto la dinastia dei Macedoni, nel corso della quale l'Impero riconquistò a spese di Arabi e Bulgari Cipro, parte della Siria e della Palestina, parti di Armenia e Mesopotamia, e tutti i Balcani; con la morte di Basilio II (noto come lo sterminatore di Bulgari, perché fu l'artefice della distruzione dell'Impero bulgaro) nel 1025 tuttavia iniziò un nuovo declino per Bisanzio dovuto soprattutto dalla disgregazione del sistema dei temi, causata dall'espandersi dei latifondi: con la scomparsa dei soldati-contadini (stratioti), sostituiti da truppe mercenarie, l'Impero si indebolì militarmente[11], e di questo ne approfittarono nuovi temibili nemici, come Normanni e Selgiuchidi, che inflissero un duro colpo all'Impero. Nel 1071 infatti i Normanni conquistarono Bari cacciando definitivamente i Bizantini dall'Italia mentre i Selgiuchidi annichilirono l'esercito bizantino nella Battaglia di Manzikert conquistando gran parte dell'Anatolia e della Siria; l'Impero, privo dell'Anatolia (principale fonte di truppe), sembrava sul punto di crollare ma seppe riprendersi con la dinastia dei Comneni. Il primo imperatore di questa importante dinastia, Alessio I, chiese infatti aiuti all'Occidente latino chiedendo loro di cacciare i Selgiuchidi dal Santo Sepolcro e dall'Anatolia e l'Occidente rispose organizzando alcune crociate contro gli Infedeli; nel corso delle Crociate si crearono tuttavia dei dissidi tra Crociati e Bizantini, che sfociarono nella Quarta Crociata (1204), che non fu volta contro gli Infedeli ma contro i Bizantini; e nel 1204 Costantinopoli, ritenuta inespugnabile, venne espugnata dai crociati, che posero momentaneamente fine all'Impero d'Oriente dando vita all'Impero latino.

Tuttavia nel 1261 i Bizantini riuscirono a riconquistare Bisanzio facendo rinascere l'Impero d'Oriente; sotto la dinastia dei Paleologhi tuttavia l'Impero non riuscì a recuperare l'antico splendore anche a causa dell'ascesa di un nuovo nemico, gli Ottomani, che seppero approfittare delle guerre civili che dilaniavano Bisanzio e nel 1453 espugnarono Costantinopoli ponendo definitivamente fine all'Impero romano. Anche se Maometto II, il conquistatore della città, si dichiarò Imperatore dell'Impero romano (Cesare di Roma / Qayṣer-i Rum) nel 1453, Costantino XI di Bisanzio viene generalmente considerato l'ultimo imperatore romano-orientale.

Cause della crisi e caduta dell'Impero[modifica]

Per approfondire questo argomento, consulta le pagine Regni romano-barbarici e Caduta dell'Impero romano d'Occidente (storiografia).

Le cause della crisi e della caduta dell'Impero furono sia interne che esterne.

Cause interne[modifica]

Le invasioni barbariche del II-VI secolo.

Le cause interne furono varie: l'anarchia militare e i conflitti interni tra i vari pretendenti al trono nel III e nel IV secolo, che distrussero l'unità imperiale; la crisi economica con l'inflazione che salì a livelli altissimi e i commerci che diminuirono, indebolendo notevolmente l'apparato produttivo-sociale nei territori dell'impero; lo stato di abbandono e spopolamento, che costrinse inoltre molti imperatori ad apporre leggi che anticipavano il Medioevo (come l'obbligatorietà dei cittadini a svolgere il mestiere dei loro padri); la perdita del carattere romano che secoli prima formò soldati disciplinati e induriti da mille battaglie, capaci di conquistare l'area mediterranea, ma che durante il periodo imperiale era progressivamente svanito al punto che gli stessi cittadini romani, se non volevano arruolarsi (come accadde con Stilicone) erano interdetti dagli stessi generali che preferivano rifornirsi nelle province (ciò ha generato inoltre un secolare dibattito riguardo alla diffusione del cristianesimo, da un lato visto come colpevole di aver ulteriormente indebolito, con il suo pacifismo e la credenza in una vita dopo la morte, la combattività dei soldati romani, dall'altro ininfluente su di una società divenuta decadente e impoverita da sola se non anzi artefice di una maggiore unificazione fra la popolazione).

Cause esterne[modifica]

Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Invasioni barbariche.

Le cause esterne furono: le invasioni barbariche. I barbari si fecero sempre più pressanti: i germani pressavano sul limes renico e danubiano e spesso compivano incursioni e saccheggi in territorio romano, mettendo spesso in difficoltà l'esercito romano. Le modalità di questi scontri erano molto diverse da quelle di secoli prima, non si trattava più di grandi spostamenti di individui a piedi ma di rapidi attacchi condotti da soldati a cavallo, per i quali le legioni non potevano rispondere in tempo (causando diverse riforme, come quella di Costantino, per farvi fronte). Lo stesso fece la nuova Dinastia Persiana dei Sasanidi, che nel 224 aveva causato la caduta dell'agonizzante (ma un tempo potente) Regno dei Parti, e che sognava di restaurare l'antico Impero achemenide di Ciro, Cambise e Dario strappando ai Romani le province orientali. Nel III secolo l'Impero perse la Dacia (odierna Romania) e gli Agri Decumati (in Germania). Nel IV secolo la crisi si stabilizzò ma nel V secolo l'occidente romano crollò; i vari popoli germanici (Vandali, Suebi, Alemanni, Visigoti, Ostrogoti ecc.) conquistarono vaste zone dell'Impero (Gallia, Spagna, Africa, Britannia) riducendo l'Impero d'Occidente a Italia e Dalmazia. E fu proprio un barbaro, il re degli Eruli Odoacre, a deporre l'ultimo imperatore d'Occidente, Romolo Augusto, ponendo formalmente fine all'Impero romano d'Occidente.

L'eredità di Roma[modifica]

L'Impero romano d'Occidente rischiò di rinascere nel corso del VI secolo. Infatti gli imperatori bizantini Tiberio II, prima, e Maurizio, poi, ebbero il progetto di dividere l'impero in due parti: una occidentale, con Roma capitale, e una parte orientale, con Costantinopoli capitale. Tiberio II ci ripensò e nominò unico successore il generale Maurizio. Lo stesso Maurizio, che aveva espresso nel suo testamento l'intenzione di lasciare in eredità la parte occidentale al figlio Tiberio, mentre la parte orientale sarebbe andata al primogenito Teodosio, venne ucciso insieme alla sua famiglia da una ribellione.[12]

L'impero romano d'Occidente rinacque de facto per un anno il 22 dicembre del 619, quando l'esarca eunuco di Ravenna, Eleuterio si fece incoronare dalle sue truppe imperatore d'Occidente con il nome di Ismailius.[13]. Su consiglio dell'arcivescovo ravennate decise di marciare su Roma per farsi incoronare nella antica capitale. Tuttavia, giunto a Castrum Luceoli (presso l'odierna Cantiano) venne ucciso dai suoi soldati.

Erede dell'impero romano fu Carlo Magno.
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Carlo Magno.

Oltre all'Impero bizantino, unico e legittimo successore dell'Impero romano dopo la caduta della sua parte occidentale, altre tre entità statuali ne rivendicarono l'eredità. La prima fu il Sacro Romano Impero, inizialmente un grande progetto di ricostituzione dell'impero in Occidente, che fu fondato il giorno di Natale dell'800 allorché papa Leone III incoronò il re dei Franchi Carlo Magno imperatore dei Romani. La seconda fu l'Impero ottomano. Quando gli Ottomani infatti, che basarono il loro stato sul modello bizantino, conquistarono Costantinopoli nel 1453, Maometto II stabilì nella città la propria capitale e si proclamò Imperatore romano. Maometto II compì anche un tentativo di impossessarsi dell'Italia in modo da "riunificare l'impero", ma gli eserciti papali e napoletani fermarono l'avanzata ottomana verso Roma a Otranto nel 1480. Il terzo a proclamarsi erede dell'Impero dei Cesari fu l'Impero russo che, nel XVI secolo, ribattezzò Mosca, centro del potere zarista, la "Terza Roma" (essendo Costantinopoli considerata la seconda).

Escludendo questi tre ultimi Stati che sostenevano di essere successori dell'Impero, e dando per vera la data tradizionale della fondazione di Roma, lo stato romano durò dal 753 a.C. al 1461, anno in cui cadde l'Impero di Trebisonda (ultimo frammento dell'Impero bizantino che sfuggì alla conquista Ottomana nel 1453), per un totale di 2.214 anni.

il Sacro Romano Impero[modifica]

Per approfondire questo argomento, consulta le pagine Impero carolingio e Sacro Romano Impero.

Nel natale 800 l'Imperatore dei Franchi Carlo Magno venne incoronato Imperatore dei Romani dal Papa Leone III. in seguito Ottone I, nel X secolo, trasformò una parte del vecchio impero carolingio nel Sacro Romano Impero. I Sacri Romani Imperatori si consideravano, come i bizantini, i successori dell'Impero romano, grazie all'incoronazione papale, anche se da un punto di vista strettamente giuridico l'incoronazione non aveva basi nel diritto di allora; ma i bizantini erano allora governati dall'Imperatrice Irene, illegittima agli occhi degli occidentali[14], tale da giustificare il "colpo di mano" e in ogni caso Bisanzio non aveva alcun mezzo militare, né un reale interesse, per far valere le proprie ragioni.

Il Sacro Romano Impero conobbe il suo periodo di massimo splendore nell'XI secolo quando, insieme al papato, era una delle due grandi potenze della società medioevale. Già sotto Federico Barbarossa e le vittorie dei Comuni l'Impero iniziò a declinare, perdendo il reale controllo del territorio, soprattutto in Italia, in favore delle varie autonomie locali. Comuni, signori e principati comunque continuarono a vedere l'Impero come un sacro ente sovranazionale dal quale trarre legittimità formale del proprio potere, come testimoniano i numerosi diplomi imperiali concessi a caro prezzo. Dal punto di vista sostanziale l'Imperatore non aveva alcuna autorità e la sua carica, se non ricoperta da individui di particolare forza e determinazione, era puramente simbolica.

Nel 1648 con la Pace di Westfalia i principi feudali divennero praticamente indipendenti dall'Imperatore e il Sacro Romano Impero si ridusse in pratica a semplice confederazione di Stati solo formalmente uniti, ma de facto indipendenti. Esso continuò comunque a esistere formalmente fino al 1806, quando l'imperatore francese Napoleone Bonaparte obbligò l'Imperatore Francesco II a sciogliere il Sacro Romano Impero e a diventare Imperatore d'Austria.

Voltaire si prese gioco del Sacro Romano Impero con la celebre affermazione secondo cui non era «né sacro, né romano, né un impero».

Altri eredi[modifica]

Altri stati nel corso della storia si sono dichiarati eredi di Roma, come l'Impero Francese di Napoleone Bonaparte alla Russia zarista, anche l'Italia fascista di Mussolini si dichiarò "erede dell'Impero romano".

Note[modifica]

Bibliografia[modifica]

Fonti primarie[modifica]

Fonti epigrafiche[modifica]

Storiografia moderna[modifica]

  • Brown, P., Società romana e impero tardo-antico, Laterza, Roma-Bari 1986.
  • J.B. Bury, A History of the Roman Empire from its Foundation to the death of Marcus Aurelius, 1913
  • Carro, D., Classica (ovvero "Le cose della Flotta") - Storia della Marina di Roma - Testimonianze dall'antichità, Rivista Marittima, Roma, 1992-2003 (12 volumi)
  • Edward Gibbon, Storia del declino e della caduta dell'Impero romano (1776-1788)
  • Jacques, F. - Scheid, J., Roma e il suo impero. Istituzioni, economia, religione, Laterza, Roma-Bari 1992.
  • Jones, A.H.M., Il tardo impero romano. 284-602 d.C., Milano 1973-1981.
  • Le Bohec, Y., Armi e guerrieri di Roma antica. Da Diocleziano alla caduta dell'impero romano, Roma 2008, p. 274. ISBN 978-88-430-4677-5
  • Luttwak, E.N., La grande strategia dell'impero romano, Milano 1991.
  • Mazzarino, S., L'impero romano, Laterza, Roma-Bari 1995.
  • Rémondon, R., La crisi dell'impero romano, Milano 1975.
  • Rostovzev, M., Storia economica e sociale dell'Impero romano, Firenze 1980.
  • Saltini Antonio, I semi della civiltà. Frumento, riso e mais nella storia delle società umane., Prefazione di Luigi Bernabò Brea, Bologna 1995
  • Wacher, J. (a cura di), Il mondo di Roma imperiale, Roma-Bari 1989.
  • Wheeler, M., La civiltà romana oltre i confini dell'impero, Torino 1963.

Voci correlate[modifica]

Voci generali[modifica]

Società e costume[modifica]

Economia, finanza, monetazione e prezzi[modifica]

Pericoli esterni e difesa[modifica]

Cultura e arte[modifica]

La letteratura latina nei primi due secoli dell'Impero attraversò un periodo di grande splendore, grazie anche al mecenatismo degli imperatori (Augusto in primis) che finanziavano i letterati. Gli imperatori (in particolare Augusto) volevano usare la letteratura come propaganda, come mezzo per costruire il consenso. In cambio della protezione dei letterati, gli imperatori volevano in cambio essere esaltati nei componimenti encomiastici scritti da questi scrittori.

Uno dei primi esempi di letteratura encomiastica fu per esempio il celebre poema epico di Publio Virgilio Marone l'Eneide. Esso, narrando la storia di Enea dalla distruzione di Troia all'arrivo nel Lazio e all'uccisione di Turno, celebra non solo le antiche e gloriose origini di Roma (saranno infatti i discendenti di Enea a fondare l'urbe) ma anche la famiglia di Augusto, la gens Iulia (il cui fondatore e nientemeno che Iulo (o Ascanio), il figlio di Enea e nipote della dea Venere). Il poema di Virgilio ebbe un successo incredibile, tanto che ancora oggi e uno dei poemi epici più noti della storia. Altri esempi di letteratura encomiastica sono i panegirici, cioè dei componimenti encomiastici che esaltavano degli Imperatori o altri personaggi illustri. Uno dei panegirici più noti della letteratura latina è il panegirico di Traiano scritto dal letterato Plinio il giovane.

Tuttavia i rapporti tra letterati e imperatori non sempre furono ottimi. Basti pensare alla vita di Seneca che non ebbe mai buoni rapporti con gli Imperatori (Caligola lo voleva uccidere, Claudio lo esiliò (e Seneca si vendicò prendendosi gioco di lui nella satira Apokolokyntosis) e Nerone (che era stato pure suo allievo) lo condannò a morte per aver congiurato contro di lui) oppure all'età di Domiziano. L'Imperatore Domiziano perseguitò infatti letterati e filosofi, che furono ben felici quando il tiranno morì e venne sostituito dai buoni princeps Nerva (96-98) e Traiano (98-117) e esaltarono i due nuovi imperatori nei loro componimenti (per esempio Plinio il giovane nel Panegirico e Tacito nella prefazione dell'Agricola).

Mentre il teatro conobbe un periodo di decadenza (l'unico autore teatrale di rilievo fu Seneca con le sue tragedie), altri generi (come la satira e la storiografia) attraversavano un periodo di splendore. La satira, genere che prendeva in giro con il risum le persone che si comportavano male, attraversò un periodo di grande splendore con grandi autori come Orazio, Persio e Giovenale. Essi però, piuttosto che fare attacchi personali (cosa alquanto rischiosa, in quanto le persone prese di mira, essendo potenti, potevano vendicarsi), condannavano per lo più i vizi e non le persone, con lo scopo pedagogico di far capire al lettore di non seguire l'esempio delle persone viziate presenti nella satira.

Anche la storiografia conobbe grande successo con autori come Tito Livio e Tacito. La storiografia rientra in un certo senso nel genere encomiastico nel senso che narrando le conquiste territoriali fatte dai romani nei secoli e nei decenni precedenti in questo modo si esaltava la grandezza di Roma. Ciò non significa però che gli storiografi latini non critichino talvolta per il loro atteggiamento gli imperatori, soprattutto gli imperatori tiranni. Gli storiografi latini spesso si ispiravano alle opere di Sallustio, soprattutto per la selettività degli avvenimenti da narrare.

La filosofia ebbe come suo maggiore esponenente il filosofo stoico Seneca, mentre l'oratoria attraversò un periodo di decadenza. Secondo l'oratore Quintiliano (autore tra l'altro dell'Institutio oratoria, la formazione dell'oratore) ciò era dovuto al fatto che non c'erano più buoni insegnanti e che per riprendersi bisognava ritornare a Cicerone. Per Tacito invece la decadenza dell'Oratoria era dovuta all'istituzione del principato. Infatti la "fiamma" dell'oratoria erano le lotte politiche; ora che il potere era di uno solo e non vi erano quindi più lotte politiche, l'oratoria necessariamente è decaduta.

In questo periodo si diffuse il romanzo, che era un genere di origine greca. Il primo autore di romanzi di rilievo fu Petronio, che forse era l'arbitro dell'eleganza di Nerone. Egli scrisse il Satyricon, un romanzo parodistico che narrava la storia d'amore pederasta tra Encolpio e Gitone parodiando in questo modo i romanzi greci che narravano spesso di storie d'amore. Altro autore di rilievo fu Apuleio, autore delle Metamorfosi, un romanzo che narra la storia di un giovane che viene trasformato in asino e per tornare normale doveva mangiare un particolare tipo di rose.

Nel III, IV e V secolo la letteratura latina declinò; non così il pensiero giuridico, filosofico e teologico che diede i propri frutti più alti in quel periodo. Ricordiamo fra i giuristi Ulpiano e Papiniano (inizi del III secolo) e, per ciò che riguarda la teologia e la filosofia, i Padri della Chiesa San Girolamo, Sant'Ambrogio e Sant'Agostino, massima espressione del pensiero cristiano del primo millennio dell'era volgare. Agostino, avvicinatosi alla filosofia leggendo l' Ortensio di Cicerone e le opere di Platone a dei neoplatonici, cercò di conciliare la classicità pagana con il nuovo messaggio cristiano. Sviluppò negli anni maturi un poderoso corpus dottrinario la cui influenza si è fatta sentire in età medievale (Abelardo, Ruggero Bacone, Duns Scoto ecc.), moderna (Martin Lutero, Giansenio, ecc.) e contemporanea (Soren Kierkegaard in particolare). Il IV secolo è anche il secolo di Ammiano Marcellino, un siro di madrelingua greca ma di espressione latina considerato il massimo storico romano di età tardo-imperiale.

Religione e Mitologia[modifica]

Istituzioni, amministrazione provinciale e legislazione[modifica]

Altri progetti[modifica]

Collegamenti esterni[modifica]

In Altre Lingue

Note[modifica]

  1. Y.Le Bohec, Armi e guerrieri di Roma antica. Da Diocleziano alla caduta dell'impero romano, Roma 2008, p.274.
  2. Gibbon, pag. 346. Nella nota del curatore a pag. 344 si legge che «La persecuzione contro i filosofi e le loro biblioteche fu condotta con tale furia che da quel momento il nome dei filosofi pagani quasi si estinse.»
  3. Gibbon, pag. 347.
  4. Gibbon, pag. 348.
  5. Gibbon, pag. 349.
  6. Gibbon, pag. 369.
  7. Enciclopedia Treccani, lemma Civiltà bizantina
  8. si potrebbero citare: J. B. Bury, autore di una History of the Later Roman Empire, from Arcadius to Irene, Jones, autore della The Prosopography of the Later Roman Empire (che considera "romano" l'Impero bizantino fino al 641), e George Finlay, che considera "romano" l'Impero bizantino fino al 717
  9. In realtà il consolato non fu abolito del tutto ma diventava una carica che poteva assumere solo l'Imperatore nel primo anno di regno. Cfr. J.B. Bury, History of the Later Roman Empire
  10. Per esempio si potrebbe citare il Gibbon che nella sua opera Storia del declino e della caduta dell'Impero romano scrisse che la storia del tardo Impero romano d'Oriente è «una monotona vicenda di debolezze e miseria», uno dei giudizi «più falsi e di maggiore effetto mai espressi da uno storico attento» secondo J.B. Bury (Fonte: Gibbon, Declino e caduta dell'Impero romano, prefazione del curatore Saunders, pag. 18).
  11. Georg Ostrogorsky, Storia dell'Impero bizantino, pag. 294-310
  12. Treadgold, History of the Byzantine State and Society, pag. 226-227; Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, pag. 978
  13. [1]
  14. Irene per impossessarsi del potere e regnare da sola uccise il figlio Costantino. Questo è il motivo per cui Irene era illegittima agli occhi degli occidentali. Ostrogorsky, Storia dell'Impero bizantino, pag. 165-168