Seconda guerra punica
Fonti
[modifica]La maggior parte degli avvenimenti riguardanti il personaggio di Annibale sono stati annotati da Cornelio Nepote.
Se è pur vero che Polibio (201-120 a.C.) costituisce la fonte primaria delle guerre puniche, è da osservare per ragioni di completezza che egli si rifece all'opera andata perduta di Filino di Agrigento e degli Annali approntati fa Fabio Pittore, dei quali si servì largamente. Altri storici, di cui si servì Polibio, e che gli dettero un contributo rilevante di informazioni sulla seconda guerra punica, furono Sileno di Calacte, che tra l'altro fu vicino ad Annibale durante la sua campagna in Italia e Sosilo di Sparta.
Per gli anni successivi al 216 a.C., che segnano l'interruzione dell'opera di Polibio, le fonti per le guerre puniche ci vengono da Tito Livio, che per larga parte si rifà a Polibio, ma anche a storici romani, da Celio Antipatro a Valerio Anziate. Storici successivi, greci e romani, che ebbero per le mani le opere di Filino, Polibio e degli Annalisti, furono Diodoro, Appiano, Cornelio Nepote e Zonara.
Su tutta l'importante questione delle fonti per le guerre puniche e le discussioni storiografiche sull'argomento si rimanda all'opera fondamentale e propedeutica a ogni periodo di storia romana di Giulio Giannelli, "Trattato di storia romana", Bologna, Patron, 1976, pp. 299 sgg.
Le fasi della guerra
[modifica]I Romani si allearono con la città di Sagunto, con l'intenzione di provocare Cartagine: ciò viene ritenuto il casus belli.
Nel 222 a.C. Marco Claudio Marcello sconfisse i Galli Insubri e Boi a Clastidium (Casteggio) e fondò le città di Piacenza, Modena e Genova.
Nell 221 a.C., Annibale Barca, figlio di Amilcare Barca, abile condottiero e politico nato a Cartagine nel 247 a.C., successe nel comando ad Asdrubale. Viene considerato uno degli strateghi più grandi della storia: Polibio lo paragonò a Publio Cornelio Scipione l'Africano, altri ad Alessandro Magno, Gaio Giulio Cesare, Federico II e Napoleone Bonaparte. Nell'infanzia il padre gli aveva fatto giurare eterno odio contro i Romani, odio che unito alla sua abilità politica e strategica diventerà un ostacolo.
Il suo nome significa "dono", "grazia di Baal" (Hannibal) "fulmine" (in fenicio barak > Barca).
Il padre, dopo la sconfitta di Cartagine nella Prima guerra punica e dopo aver domato la ribellione dei mercenari e dei sudditi libici, in rotta con il partito aristocratico, cercava la rivincita. Convinse il Senato cartaginese a dargli un esercito per conquistare l'Iberia che alcune fonti indicano come un dominio cartaginese perduto. Cartagine fornì solo una forza relativamente ristretta e Amilcare accompagnato dal figlio Annibale, dopo avergli fatto giurare odio eterno a Roma sull'altare di Baal, intraprese nel 237 a.C. la marcia lungo le costa del Nord Africa fino alle Colonne d'Ercole. Gli altri due figli, Asdrubale e Magone, restarono a Cartagine. Pur con poche truppe e pochi finanziamenti, Amilcare sottomise le città iberiche scegliendo come base operativa la vecchia colonia punica di Gades, l'odierna Cadice. Egli riaprì le miniere per autofinanziarsi, riorganizzò l'esercito e iniziò la conquista.
Fornendo alla madrepatria convogli di navi cariche di metalli preziosi che aiutarono Cartagine nel pagamento dell'ingente debito di guerra con Roma, ottenne, finalmente, grande popolarità in patria. Sfortunatamente fu ucciso in un combattimento nel 229 a.C. Spirando designò il marito di sua figlia, Asdrubale, quale successore. Per otto anni Asdrubale comandò le forze cartaginesi consolidando la presenza punica, edificando una nuova città (Carthago Nova - oggi Cartagena). Egli non era però spinto dall'odio verso i romani e dalla voglia di rivincita del suocero e si sottomise ancora di più a Roma con un trattato che impegnava i cartaginesi a non oltrepassare il fiume Ebro. Asdrubale morì nel 221 a.C. pugnalato da un assassino indigeno e i soldati acclamarono loro comandante il giovane Annibale. Aveva ventisei anni e ne aveva passati diciassette lontano da Cartagine. Il governo cartaginese confermò questa scelta.
Egli aveva compreso che la forza di Roma risiedeva nel suo sistema di alleanze italiche e che quindi, per ottenere una vittoria, era necessario attaccare direttamente l'Italia per via terrestre (l'ultimo trattato dava ai Romani supremazia marittima) provocando una defezione dei socii.