Inflazione
Il termine inflazione, dal latino inflatio-onis, gonfiore, indica una crescita nell'utilizzo di un determinato oggetto o comportamento, precedentemente di uso sporadico.
L'uso più comune è quello utilizzato in economia, dove indica un incremento generalizzato e continuativo del livello dei prezzi nel tempo.
In economia
[modifica]Vi sono diverse possibili cause dell'inflazione. L'aumento dell'offerta di moneta superiore alla domanda, stimolando la domanda di beni e servizi e gli investimenti, è unanimemente considerata dagli economisti una causa dell'aumento dei prezzi nel lungo periodo. Altre cause sono l'aumento dei prezzi dei beni importati, l'aumento del costo dei fattori produttivi e dei beni intermedi, in seguito all'aumento della domanda o per altre ragioni. Nell'ambito dell'aumento del costo dei fattori produttivi, è significativo il ruolo svolto dall'aumento del costo del lavoro. Il costo del lavoro aumenta sotto la spinta della domanda, ma anche in seguito alle rivendicazioni salariali, a meccanismi automatici o semiautomatici di adeguamento di salari e stipendi a precedenti aumenti dei prezzi e al rinnovo dei contratti di lavoro.
L'aumento del livello generale dei prezzi determina una perdita di potere d'acquisto della moneta: con la stessa quantità di denaro si può cioè acquistare una minore quantità di beni e servizi. A titolo esemplificativo, 1 Lira italiana del 1861 (la Lira coniata al momento della proclamazione del Regno d'Italia) equivale ad oltre 6.000 lire del 1999]] e ad oltre 3 Euro del 2006.
Tuttavia bisogna riconoscere che il fenomeno dell'inflazione permette al sistema di raggiungere alcuni obiettivi importanti ai fini dell'equilibrio economico.
Generalmente infatti, questo processo risulta vantaggioso per i soggetti in posizione debitoria, ed in particolare per le imprese (che frequentemente attingono capitali per finanziamenti) ed anche per lo Stato, che trae beneficio poiché lo stesso denaro avuto in prestito in precedenza, al momento di effettuare la resituzione ha un valore reale minore.
Indicando con P(t) il livello generale dei prezzi, l'inflazione è la sua derivata prima rispetto al tempo, ovvero la velocità con cui il livello medio dei prezzi cresce:
La derivata può essere positiva, negativa, raramente nulla. L'opposto dell'inflazione, cioè la diminuzione continuativa del livello generale dei prezzi, prende il nome di deflazione.
L'incremento del livello generale dei prezzi espresso in termini percentuali è il tasso d'inflazione.
Il calcolo dell'inflazione
[modifica]Il livello generale dei prezzi viene misurato in economia attraverso l'utilizzo di numeri indice.
Viene definito un insieme di beni, detto paniere, rappresentativo dei beni e servizi di cui si vuol calcolare l'aumento dei prezzi. Si misura la somma di denaro necessaria per comperare tali beni e servizi. La misura viene ripetuta in un secondo tempo e quindi si procede al calcolo dell'aumento (o diminuzione) percentuale del valore del paniere.
L'uso di numeri indice prevede l'uso di proporzioni. Fatto pari a 100 il valore del paniere in un dato momento, si calcola il valore successivo dell'indice con la seguente proporzione:
dove e sono, rispettivamente, il valore del paniere al tempo 1 e 2, e è il valore dell'indice da calcolare.
Al tempo 3 si calcola con la proporzione:
e così via nei periodi successivi.
Calcolando X in occasione di ciascuna rilevazione dei prezzi si ottiene quindi una serie di valori che indicano l'aumento dei prezzi nel tempo. Così se il paniere vale 100 al momento della prima rilevazione, diventa, per esempio, 101,5 al momento della seconda rilevazione, 102 al momento della terza, eccetera.
La serie di numeri che si ottiene ha il vantaggio di essere facile da leggere, elaborare e rappresentare graficamente.
In Italia, così come accade nella maggior parte dei Paesi, l'Istituto centrale di Statistica (ISTAT) calcola le variazioni nel livello generale dei prezzi utilizzando l'indice dei prezzi di Laspeyres.
Il tasso d'inflazione è la variazione percentuale dell'indice dei prezzi al consumo, cioè l'indice dei prezzi di Laspeyres che fissa le quantità sulla base di un paniere rappresentativo della struttura media dei consumi delle famiglie valutati ai prezzi di acquisto.
Fino al 1999 il paniere era modificato dall'ISTAT ogni 4 anni, al fine di tenere conto del cambiamento nelle abitudini di consumo.
Dal gennaio 1999 il paniere viene modificato annualmente. Se il paniere dei beni di riferimento, o il metodo di calcolo cambiano, i dati dei diversi anni non sono più confrontabili, a meno che le variazioni dei beni di riferimento avvengano comunque all'interno di famiglie di prodotti/servizi che restano presenti in tutti i panieri.
L'inflazione nella storia economica
[modifica]Nella storia antica sono numerosi i periodi inflativi. Il primo di tali periodi storicamente attestati risale all'Antico Regno dell'Egitto ed al Periodo Sumero Tardo, intorno al 2100 a.C., ma ne ignoriamo le cause scatenanti. Ancora durante il regno del faraone eretico Amenothep IV Akhenaton e dei suoi successori il venir meno dello sfruttamento delle miniere nubiane (la Nubia, attuale Sudan, era ricca di miniere aurifere, tanto che il termine Nwb in antico egizio significava appunto "oro"). L'indebolimento del potere interno egizio di questo periodo si ripercosse sulla fuga centrifuga delle province lontane quali la Nubia, la Siria e la Palestina.
Anche durante la guerra del Peloponneso (431 - 404 a.C.) tra Atene e Sparta si verificò un periodo di grave inflazione associata a recessione a causa del perdurare della guerra che sottraeva artigiani ed agricoltori al lavoro ed al commercio. Un'inflazione molto grave si verificò durante il tardo periodo repubblicano nell'antica Roma quando lo Stato, per poter continuare a finanziare le campagne militari, alterò la lega metallica delle monete abbassando il titolo (la quantità) di metallo prezioso in esse contenuto.
Nel periodo di conquista dell'Impero Persiano da parte di Alessandro Magno (334 - 323 a.C.), le ingenti quantità di metalli preziosi sottratte ai paesi assogettati e dirottati in Grecia, in Macedonia ed in Epiro determinarono un decremento del valore intrinseco dell'oro contenuto nel Darico persiano e dell'argento della Dracma greca.
Una situazione ancora peggiore si verificò tra il II secolo d.C. e la definitiva caduta dell'Impero romano d'occidenteImpero romano d'occidente, nel 476: durante il corso del basso impero, si verificarono alterazioni talmente marcate dei titoli di metallo prezioso che molti commercianti si rifiutarono di esser corrisposti in moneta per i beni posti in vendita ed anche molti militari preferirono il pagamento in natura per i servizi resi. Ad esempio, all'epoca del regno di Costantino il Grande (312 - 337 d.C.), l'Asse bronzeo era ridotto a dimensioni pari ad 1/4 di quello repubblicano di trecento anni prima. Analoghe alterazioni subirono il denario argenteo ed il sesterzio argenteo e l'aureo. Costantino, per pagare i soldati, fu costretto a far coniare il solido aureo (da cui i termini in lingua italiana "Soldo", "Soldato", "Assoldare", etc.): una moneta contenente un buon titolo aureo. Precedentemente, trent'anni prima, l'imperatore dalmata Diocleziano introdusse un paniere di beni calmierati (fu la prima esperienza del genere nella storia): beni di prima necessità che non potevano, per legge, aumentare di prezzo oltre una soglia fissata dall'autorità politica, col risultato che tali beni non vennero più ad esser reperibili sul mercato, a meno di non venire pagati a prezzi assai più elevati rispetto a quelli politicamente imposti (con la creazione, quindi, di un mercato nero).
Durante l'Alto Medioevo l'economia europea era un'economia di sussistenza, ove prevalevano l'autarchia ed il baratto. Con la riforma monetaria di Carlo Magno, attuata intorno al 770 - 780 d.C., venne introdotta la lira (dal termine latino libra, ovvero peso) sia come unità di misura (di peso) ed unità di conto: con tale "moneta virtuale", in un'epoca di grave indigenza e di povertà assai diffusa, si potevano comprare circa 47 appezzamenti di terreno.
Nel Basso Medioevo i comuni italiani iniziarono a batter moneta aurea (il fiorino fiorentino, il genovino genovese, etc.), ed anche altri stati europei s'incamminarono su questa strada, basti ricordare il penny argenteo di Enrico II Plantageneto re d'Inghilterra. Ma iniziarono presto anche la contraffazione delle monete (si ricordi l'episodio di Mastro Adamo, citato da Dante nell'Inferno, che falsificò il fiorino fiorentino), la tosatura (limatura) e l'adulterazione (alterazione del titolo aureo) con una conseguente ripresa dell'inflazione. Per coloro i quali alteravano la moneta - in qualsiasi modo e sotto qualsiasi forma - era prevista la pena di morte.
Il primo grande episodio inflativo della storia moderna fu determinato dallo sfruttamento spagnolo dell'oro del Nuovo Mondo: in seguito alle depredazioni dei conquistadores a spese delle popolazioni Maya e Inca e all'estrazione mineraria dai giacimenti del Nuovo Mondo, le casse reali spagnole si trovarono a disporre di ingenti quantità di oro, argento e merci preziose che vennero riversate sui mercati europei sia per armare l'esercito e assoldare mercenari (il che rese la Spagna del XVII e XVIII secolo la più grande potenza europea) sia da parte della corte e dei nobili per comprare, importandoli dalle altre nazioni europee, beni e servizi di ogni genere in tale quantità da causare una loro (relativa) scarsità. Questo portò, sul finire del '500, ad un rialzo generalizzato dei prezzi in Europa.
Dopo la Guerra di indipendenza americana (1775 - 1783), la stampa di quantitativi di carta moneta al di fuori di qualsiasi controllo produsse una spirale inflazionistica tale per cui anche al giorno d'oggi, negli Stati Uniti, la locuzione "Non vale un Continentale" (dal nome del dollaro di allora detto "Dollaro Continentale") indica un oggetto di valore irrisorio.
Durante la Rivoluzione Francese, prima che Napoleone Bonaparte istituisse la banca centrale francese, la moneta semplicemente scomparve e venne sostituita da un titolo (una forma mista tra una cambiale ed un titolo di stato) denominata "Assegnato" (1792) e garantita con le proprietà immobiliari confiscate alla nobiltà ed al clero. A causa dell'eccesso di stampa il valore dell'Assegnato, nel giro di pochi anni, colò a picco costringendo il governo ad imporne il corso forzoso, per poi sopprimere del tutto tale forma di pagamento.
Un ulteriore famoso episodio inflazionistico si ebbe poco dopo la prima guerra mondiale in Germania, durante la Repubblica di Weimar, tra il 1919 ed il 1933: un'errata gestione del diritto di battere moneta e la confusione sociale favorirono una spirale perversa che portò l'inflazione a tassi stratosferici (iperinflazione: salari e stipendi venivano pagati ogni giorno affinché il loro valore non venisse azzerato a livelli tali da annullare, nei fatti, il valore della moneta). Nel 1923 i francobolli vennero a costare miliardi di Reichsmark e per comprare un uovo occorreva una quantità notevole di carta moneta priva di qualunque valore. La spirale inflazionistica fece sì che la gente, appena veniva pagata correva a comperare qualsiasi tipo di merce prima di trovarsi con denaro privo di valore reale in mano, aggravando così la scarsità di beni in circolazione. L'iperinflazione associata alla stagnazione di quel periodo contribuirono non poco all'ascesa del Terzo Reich di Hitler che porteranno, in seguito, alla Seconda Guerra Mondiale.
Il 15 luglio 1939 il Governo tedesco approvò il Reichsbank Act[1], la legge di riforma che limitava l'autonomia decisionale della Banca Centrale e la vincolava ad eseguire le indicazioni di politica monetaria, che tornavano nei poteri dell'esecutivo. Il Consiglio di Amministrazione della Reichsbank reagì al provvedimento con le dimissioni in blocco, mentre il Giappone recepì la legge praticamente tale e quale nel suo ordinamento giuridico.
Nel secondo dopoguerra, la Reichsbank venne sostituita dalla Bundesbank e svincolata totalmente dal potere politico, in totale autonomia. Il marco tedesco divenne la moneta di riferimento europea, tanto che lo scellino austriaco, la corona danese ed il fiorino olandese vennero "agganciati" ad esso, ovvero legati da un rapporto di cambio fisso.
Negli ultimi vent'anni una situazione di rapida perdita di valore della moneta si è verificata, in Russia e nei paesi dell'Europa dell'Est, dopo il 1991 con la fine del comunismo: in un mercato essenzialmente chiuso e privo di concorrenza, statalizzato e politicamente calmierato quale quello dell'Unione Sovietica e dei paesi satelliti, l'apertura al regime di libero mercato avvenuta tra il 1991 ed il 1995, ha provocato in alcuni casi il ritorno al regime del baratto in natura ed il rifiuto del pagamento con le monete nazionali.
La deflazione
[modifica]La deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi. Le imprese, non riuscendo a vendere a determinati prezzi parte dei beni e servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori.
La riduzione dei prezzi si ripercuote per le imprese sui ricavi, anch'essi generalmente in calo. Ne deriva il tentativo da parte delle imprese di ridurre i costi, attraverso la diminuzione dei costi per l'acquisto di beni e servizi da altre imprese, del costo del lavoro e tramite un minor ricorso al credito.
Gli effetti negativi della deflazione tendono quindi a diffondersi nell'economia, provocando una situazione di depressione economica. Lede quelle fasce di lavoratori che si vedono ridotto il reddito a seguito della riduzione dei salari.
Tra le principali cause di deflazione vi è la scarsità di moneta.
Una situazione di deflazione recente si è verificata in Giappone fra il 2000 e 2006, con la Banca Centrale costretta a fissare un tasso d'interesse allo 0%, per favorire la liquidità circolante. La deflazione è una patologia negativa in economia sia perché associata a un periodo di stagnazione e recessione economica, sia perché la Banca Centrale deve tenere il tasso di interesse allo 0% o poco più, non potendo quindi utilizzare la politica monetaria per dare un impulso positivo all'economia, tramite emissione di nuova moneta.
La polemica sull'inflazione in Italia
[modifica]Con l'introduzione dell'euro, in Italia si è verificato un fenomeno particolare: alcuni indicatori economici segnalavano un aumento dell'inflazione, stimato intorno al 6% annuo, mentre le rilevazioni ufficiali dell'Istat si attestavano intorno al 2-3% annuo. Secondo alcuni il primo dato corrisponde all'inflazione percepita dai consumatori, e a quella rilevata da altri istituti, come l'Eurispes. Questo, secondo il parere di alcuni economisti, non tanto perché i dati siano falsificati, bensì in quanto il campione dell'Istat non è più rappresentativo dei consumi.
Il campione dell'Istat si basa su di un paniere di prodotti, tra i quali vengono monitorati esclusivamente i più venduti di ogni categoria. Ad esempio, per le auto, non si monitorano le auto di lusso, ma le più diffuse utilitarie, e non tutte, ma solo quella più venduta. Ora, mentre in un mercato con poche offerte il prodotto di punta facilmente raggiunge valori significativi, nei mercati attualmente vi sono decine, se non centinaia, di scelte per ogni prodotto: è dunque difficile che un singolo prodotto, anche se il più diffuso, sia un campione rappresentativo della categoria. Per fare un confronto, i dati dell'Eurispes monitorano, oltre al prodotto più venduto, anche il più caro ed il più economico di ogni categoria. Questo perché, anche se il prodotto più venduto non aumenta di prezzo, ma lo fanno tutti gli altri che possono facilmente essere più del 60% del mercato, l'inflazione misurata resta ferma, ma non quella percepita. Non va però dimenticato che i punti vendita rilevati dall'Eurispes sono in numero molto più basso rispetto a quelli dell'Istat.
Secondo alcuni, il tipo di rilevazione dell'Istat non misura il disagio delle classi medie, che, abituate a comprare prodotti di una certa qualità e dunque più costosi, non potendoseli più permettere, tendono a comprimere i loro consumi.Infatti si è notato un incremento del ricorso ai discount, aumentato del 10% dall'introduzione dell'euro, un appiattimento dei consumi alimentari, un crollo della spesa media pro capite per le vacanze: tutti indicatori di un aumento dell'inflazione ben al di sopra dell'ufficiale 2-3%.
Un ulteriore elemento di contestazione è il fatto che il tasso d'inflazione considera allo stesso modo beni durevoli e beni di consumo, che hanno vita utile e tempi di riacquisto molto diversi. L'impatto che un rincaro delle automobili ha sui redditi di una famiglia media si manifesta ogni 10 anni, mentre un aumento del prezzo della benzina ha effetti quotidiani. I prezzi vengono pesati rispetto alla quantità venduta del prodotto/servizio, ma non sono moltiplicati per coefficienti che tengono della loro durata.
Come in altri paesi, inoltre, il tasso d'inflazione non considera il prezzo degli immobili, e le altre uscite legate all'assicurazione di un reddito nella vecchiaia, come assicurazioni, spese di assistenza medica e contributi pensionistici, voci che costituiscono una spesa rilevante per i redditi da lavoro dipendente e autonomo. La misura attuale dell'inflazione è un indicatore dei prezzi al consumo, di beni venduti "al dettaglio" (retail goods in inglese), una categoria che non comprende le case o i servizi alla terza età.
In seguito alle polemiche sul livello dell'inflazione, è stata attivata una "Commissione di studio per il calcolo degli indici dei prezzi", composta da professori universitari, esperti Istat, rappresentanti delle parti sociali (sindacati e Confindustria) e rappresentanti delle associazioni dei consumatori.
Note
[modifica]Voci correlate
[modifica]- Deflazione
- Indice dei prezzi al consumo
- ISTAT
- Iperinflazione
- staginflazione
- tasso di inflazione
- Curva di Phillips
- Ralph Hawtrey
- capital deeping
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