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Il Diritto nel Primo Novecento

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Il Diritto nel Primo Novecento
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Diritto moderno e contemporaneo
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

Prospetto Temporale: 1900 d.C. - 1917 d.C.

La Crisi dello Stato

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Il Novecento si apre con l'opera "Lo Stato Moderno e la Sua Crisi" del 1909-1910 scritto da un giurista italiano dell'Università di Pisa, Santi Romano, che dopo aver analizzato lo Stato Moderno arriva alla convinzione che esso viva una profonda crisi. La crisi si fondava sull'appiattimento dei cittadini compiuto dalla classe dominante borghese. Solo i borghesi erano distinti nello Stato. Tutti gli altri cittadini erano uguali e piatti e questo rappresentava una crisi di sistema dato che lo Stato non riusciva più a soddisfare le esigenze di una massa sempre più volenterosa di avere un proprio ruolo nella politica.

Ma la crisi oltre che politica era anche strettamente connessa all'idea dello Stato Liberale stesso dato che la richiesta che viene dal popolo è uno Stato attivo nel campo dei diritti sociali cosa che lo Stato Liberale non prevedeva anzi opponeva lasciando liberi i cittadini di svilupparsi e gestirsi in quei campi.

Il Popolo ottiene la sua rivincita sulla classe dominante sul piano dell'effettività del Diritto. I Codici, di stampo borghese, non sono attuati nella realtà e pertanto si ha un diritto reale difforme da quanto scritto nelle leggi. A fianco a questo diritto reale vi è un diritto speciale fatto di leggi speciali emanate per soddisfare le richieste sociali le quali derogano ai Codici. Ed è proprio in questo dato che si realizza la consapevolezza del giurista che il Diritto esprime la Società ed è essa a dettarne la forma e a modificarlo anche se il diritto posto non varia.

Il Corporativismo Europeo

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Il sentimento di svalutazione delle individualità che il popolo percepiva grazie all'opera classista della borghesia al potere viene affrontato dal corporativismo che l'Europa, nel primo Novecento, vive. Il popolo, trasformato in massa, a sua volta si unisce in associazioni e corporazioni per far sentire la propria voce e il proprio ruolo nella società.

L'idea corporativistica, in realtà, nasce già a metà ottocento come forma di unificazione delle istanza anche ad opera della stessa borghesia che cercava emancipazione sia dal popolo come massa sia dalla nobiltà. È proprio a metà dell'Ottocento che Georg von Beseler maestro di Gierke ad indicare nel suo libro "Diritto Popolare e Diritto dei Giuristi" l'obiettivo dell'associazionismo che si schierava proprio contro all'individualismo di tradizione romana. Non mancarono chiaramente reazioni a questa spinta corporativista con un idea individualista come quella di Gerber e Laband. Un tentativo di trasformare in Stato il Corporativismo fu fatto da Hugo Press durante la Repubblica Weimeriana mentre altri giuristi tedeschi, come Albert Schaffle, sociologo e amante delle scienze biologiche, affermava l'indivisibilità del soggetto dal gruppo. In Francia, il sociologo Emile Durkheim consolidava tale idea valorizzando proprio il ruolo del gruppo come mediazione tra massa e potere e enfatizzando questo proprio nella dimensione del gruppo religioso. Su questo ultimo aspetto fu vivo l'interesse del Vescovo di Magonza, Wilheilm Emmanuel von Kettler, con il ruolo che poteva avere la chiesa come gruppo che riuscisse ad affrontare le esigenze del corpo industriale depurandosi dalle nostalgie aristocratiche. E proprio in questo senso si muove il "Rerum Novarum" di Leone XIII.

Toniolo arriverà ad affermare che il corporativismo è l'unico antidoto al conflitto sociale che lo Stato Liberale inevitabilmente vivrebbe dato che la sua evoluzione non può non trasformarsi o in uno Stato onnipotente o in piena anarchia. E fu proprio questa idea del corporativismo come antidoto a dare man forte ai totalitarismi che vedevano proprio l'idea del gruppo politico che si identifica con lo Stato e lo guida in base ai suoi ideali che diventano ideali dell'intero popolo. Ma prima dei totalitarismi si va creando l'idea di uno Stato Partitico dove ogni individuo fa parte di un gruppo o partito politico che afferma le sue idee nelle istituzioni. Sul campo economico si fa avanti invece l'idea dell'impresa dove al singolo imprenditore si affianca un gruppo più o meno ampio di lavoratori uniti in un superiore obiettivo che è il benessere economico dello Stato appianando così le divergenze tra datori di lavoro e prestatori di lavoro.

La Prima Codificazione del Diritto Canonico

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Fin dall'origine della Chiesa il Diritto Canonico ha mostrato la sua netta particolarità nel fatto che esso è stato da sempre visto come un diritto proveniente dall'ispirazione divina e pertanto con il compito della salvezza delle anime. Ecco perché lo stesso diritto è rivolto e persegue l'idea della equità ma questo significa un diritto poco chiaro e molto variabile da situazione a situazione.

La prima istanza di rinnovamento e di un diritto chiaro si ebbe nel 1870, durante il Concilio Ecumenico Vaticano, con una richiesta, proveniente soprattutto dai pastori da terre remote, della possibilità di unirsi e portare le istanze alla Chiesa di Roma uniti ma soprattutto che si creasse un diritto certo. Ci furono anni di forte scontro fino a quando nel 1904 Papa Pio X avvio i lavori per una codificazione con protagonista Pietro Gasparri, giurista e docente di diritto canonico, che sarà anche Segretario di Stato di Benedetto XY e di Pio XI e autore della conciliazione con il Regno d'Italia che porterà alla firma nel 1929 dei cosiddetti Patti Laternaensi. Si arrivò così nel 1917 alla Costituzione Apostolica "Providentissima Mater Ecclesia". Benedetto XV promulgo quindi il primo Codice di Diritto Canonico esprimendo la profonda soddisfazione di avere un diritto proprio senza collegamenti con il potere temporale anche se in questo modo il diritto canonico ne uscì irrigidito ma dal grande valore tecnico-giuridico.

Il Codice Canonico si presenta in piena continuità con le codificazioni statali e pone al suo centro la sua esclusività e completezza riprendendo in pieno la storia bi-millenaria della Chiesa e quindi tutto il patrimonio giuridico del passato soprattutto a scopo interpretativo. Nel caso di lacune si poteva, proprio come nel caso statale, ricorrere all'interpretazione analogica di eventuali norme di oggetto identico o similare contenute nel codice stesso. Caratteristiche proprie del Codice sono la visione propria del Diritto Canonico non molto fiduciosa dei principi generali ma è ispirata ad un diritto del caso particolare e inoltre perpetua l'antica eredità del diritto comune medievale.

Il Codice Civile Svizzero

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Durante il XIX secolo la maggior parte dei Cantoni Svizzeri si munì di un proprio codice civile. Tra quelli il preminente fu sicuramente il Codice del canton Zurigo, il "Privaterchtliches Gestezbuch" ad opera di Bluntschli. Nel 1848 si ebbe una Costituzione Federale Unitarie ma permasero le divisioni in materia di diritto privato. Solo nel 1907, infatti, si arriverà ad un codice unitario. L'autore di questo codice fu Eugen Huber, professore a Berna. Egli, ispirato dalla dottrina germanica, usa un linguaggio piano, intellegibile a tutti i cittadini che sono i suoi destinatari. Alla base vi è un solidarismo che apre le porte alla formazioni collettive e alle clausole generali. Il giudice è il protagonista della vita del diritto poiché è immerso nelle sue particolarità.

La Pesantezza Legislativa Francese

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Nel 1904 si celebrava a Parigi il Centenario del Codice Napoleonico. In questi 100 anni il codice aveva mostrato, in modo sempre più marcato, la sua tendenziale impossibilità a ricomprendere le tante novità della vita sociale ed economica che di volta in volta si erano presentati al legislatore e che aveva dato vita a legislazioni speciali. Il dramma del giurista che si trova da un lato il mito dell'unicità del codice dall'altro un diritto che non tiene conto della realtà è espresso in modo chiaro da Cruet nella sua opera "La Vita del Diritto e l'Impotenza della Legge". Si denunciava soprattutto lo stile pretorio dei giudici francesi e del Consiglio di Stato. Uno dei problemi discussi era quello della possibilità da parte dell'interprete di adattare il testo della legge alle evoluzioni storiche. A propugnare questa idea è Raymond Saleilles che vuole instaurare un regime più duttile e elastico del testo immaginato rigido e immobile da parte di Napoleone. Il giudice deve poter interpretare il diritto ed adattarlo sempre però nella cornice testuale. Altro autore che affronta il problema interpretativo è Francois Gény che nel 1899 pubblica l'opera "Metodo di Interpretazione e Fonti nel Diritto Privato Positivo". Per lui la legge è la rivelazione imperfetta della infinita ricchezza del diritto e quindi è insufficiente a ordinare l'intero universo del diritto. Lui ha come soluzione l'assumere la legge come un comando espressione di una volontà specifica nella sua prescrizione ma il codice resta un sistema incompleto.

Il Giusliberismo

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Saleilles e Gény sono le massime espressioni della crisi del codice francese, ormai invecchiato, e del tentativo di riforma di un nuovo codice più astratto come quello Germanico e rivolto al concettualismo della Pandettistica. Jhering anche si iscrivi su questa scia di un diritto contrassegnato da astrattezza e purezza ma lo affianca con una visione di piena valorizzazione delle forze e degli interessi. Anche qui il disaggio segnalato è di un diritto che non teneva conto delle mutazioni della società.

Nel primo decennio del Novecento si sviluppa così l'ideale del Giusliberismo. È un movimento di scienziati, pratici, giudici e avvocati uniti in un idea di rinnovamento che si rifa al diritto libero o dottrina del libero diritto dei movimenti tedeschi. Il manifesto sono gli scritti di Ernest Fuchs e Eugen Ehrlich, sociologo del diritto. Il Giusliberismo si muove nel segno di un netto contrasto alla sopravvalutazione della legge come fonte esclusiva del diritto, dato che la stessa aveva immobilizzato la realtà che ha natura mobile. Interessante è l'analisi di Kantorowick che pur indicando il codice come un sistema organico completo esso presenta comunque lacune, imprecisioni e genericismi o approssimazioni che devono essere coperti dall'interpretazione di scienziati e libera applicazione dei giudici che riassumono il ruolo di garanti della storicità del diritto avente come modello quello del giudice inglese. Il Giusliberismo si connota quindi per l'idea del recupero della dimensione valutativa dell'interpretazione, il recupero della dimensione fattuale e il recupero del primato dell'individuale.