Sofisti (superiori)
I cinquant'anni che seguirono la fine della seconda guerra persiana (479 a.C.) furono per la Grecia un'epoca di crisi e allo stesso tempo il periodo di maggior splendore. Le città rivali di Sparta e Atene estesero progressivamente la propria egemonia sui territori circostanti, esacerbando i contrasti che portarono allo scoppio della guerra del Peloponneso (431 a.C.). Atene in particolare, durante il governo di Pericle (461-430 a.C.), carismatico leader democratico, divenne un fiorente centro economico e culturale, che richiamava mercanti, artisti e pensatori da tutto il Mediterraneo. Con la parità di diritti (isonomia) e la libertà di parola (parresia) che la polis democratica riconosceva a tutti i cittadini si diffuse, soprattutto tra i ceti più elevati, la necessità di apprendere le tecniche che consentissero di essere persuasivi di fronte all'assemblea pubblica, capacità indispensabile per amministrare il potere e ottenere il successo politico. Fu in questo contesto che i sofisti, maestri di retorica itineranti, trovarono terreno fertile.[1]
Caratteri generali della sofistica
[modifica]Il termine sophistés inizialmente significava «sapiente» ed era sinonimo di sophos, «saggio». Nel corso del V secolo, però, la parola cambiò significato e assunse il valore negativo con cui è usata anche nel linguaggio moderno. I sofisti erano insegnanti di retorica che viaggiavano da una regione all'altra tenendo lezioni a pagamento, e amavano definirsi «maestri di virtù». Per lo più provenienti dalle colonie greche, concentrarono la propria attenzione sull'uomo, dedicandosi agli aspetti legati alla filosofia morale e giungendo a un sostanziale relativismo etico e gnoseologico. Attraverso i loro viaggi, questi pensatori entrarono in contatto con tradizioni molto differenti da quelle greche, e poterono osservare come determinati comportamenti giudicati empi da alcuni popoli erano invece accettati presso altri. Inoltre la pratica della retorica, che consente all'oratore di trionfare in un agone verbale indipendentemente dal fatto che abbia ragione, li portò a negare l'esistenza di verità assolute, attribuendo al contrario grande importanza all'opinione (doxa) e alla capacità di far mutare di parere mediante la persuasione (peitho).
Particolarmente rappresentativo del pensiero sofistico – e in generale della riflessione politica del V secolo a.C. – è il dibattito attorno all'antitesi nomos/physis. Con il primo termine, tradotto genericamente con «legge», si intende l'insieme delle norme etiche, religiose e giuridiche, variabili a seconda delle diverse tradizioni. Alla convenzionalità del diritto positivo si contrappone la natura, intesa come sede stabile dell'ordine. Su questo tema ciascun autore giunse a conclusioni differenti, indice del fatto che la sofistica non fu una scuola filosofica ma piuttosto un movimento estremamente variegato al suo interno.[2] La stessa virtù che vantavano di insegnare si riduceva in ultima analisi alle norme etiche in vigore nella città in cui si operava, la cui conoscenza era necessaria per comporre discorsi persuasivi e quindi riuscire ad avere successo nella vita pubblica. In più, oltre al campo della morale, il relativismo interessava anche la gnoseologia: se le sensazioni variano da persona a persona e di uno stesso fenomeno ciascuno ha percezioni differenti, allora non è possibile dire che ci sono verità conoscibili e nemmeno insegnarle per mezzo del linguaggio, il quale potrà essere usato solo per ottenere la vittoria in un agone retorico.
Una simile concezione della virtù (areté) e della verità (aletheia), come si vedrà, non poteva essere accettata da Socrate e dai filosofi successivi, che gettarono discredito su questo movimento. Per secoli la pessima nomea dei sofisti, che li dipingeva come personaggi infidi e dediti a ragionamenti capziosi, fece sì che questi autori non fossero considerati nemmeno filosofi. La loro rivalutazione si è avuta solo nel XIX secolo con Hegel (si vedano le sue Lezioni sulla storia della filosofia) e Nietzsche, e oggi la storiografia attribuisce alla sofistica un'importanza cruciale nello sviluppo della filosofia antica.
Sofisti Minori
[modifica]Protagora e Gorgia furono i più importanti ma di certo non gli unici sofisti. Le fonti danno notizie anche di altri autori, molti dei quali furono celebri in tutta la Grecia, ma di cui non ci sono giunti che pochi frammenti. Vediamo i principali.
Ippia
[modifica]Ippia (443? - 399? a.C.) nacque a Elide nel Peloponneso, e svolse varie ambascerie in molte città della Grecia. Ebbe grande fama nell'antichità per la sua capacità mnemonica e per la polymathia: vantava infatti di riuscire a ricordare un'intera lista di nomi dopo averla ascoltata una volta sola, e coltivava interessi in varie arti e scienze, dalla tessitura alla pittura, dall'oreficeria alla musica. Fu astronomo, mitologo e un valente matematico (a lui si deve la quadratrice), e compose un'opera di carattere enciclopedico intitolata Synagoghé (Raccolta). Per quanto riguarda la sua riflessione politica, oppose alla convenzionalità della legge della polis l'universalità e la necessità del diritto naturale, e sostenne l'introduzione nella vita civile di norme comuni coincidenti con quelle non scritte della physis.
Antifonte
[modifica]Sull'identità di Antifonte è in corso un dibattito tra i filologi, intorno all'ipotesi se il sofista debba essere identificato con Antifonte di Ramnunte, il retore e oligarca di cui parla Tucidide. A ogni modo, dai frammenti giunti fino a noi, sappiamo che il sofista Antifonte coltivò interessi naturalistici, e in particolare studiò la medicina ippocratica. Inoltre, sulla scorta della riflessione di Protagora, entrò nel merito dell'antitesi tra nomos e physis, sostenendo che la legge impedisce all'uomo di soddisfare appieno i propri bisogni naturali, negandogli quindi il raggiungimento del suo utile e della felicità. Non per questo, però, è lecito dare libero sfogo ai propri istinti; al contrario si deve sfruttare la propria intelligenza per compiere, a seconda delle situazioni, la scelta migliore.
Trasimaco
[modifica]Poco o nulla sappiamo di Trasimaco (fl. 427 – 413 a.C.), se non che nacque a Calcedonia in Bitinia e fu un brillante oratore, che introdusse l'uso dello stile medio. Gran parte della sua fama si deve a Platone, che lo sceglie come interlocutore di Socrate nel Libro I della Repubblica. Qui il sofista sostiene la tesi secondo cui «il bene è l'utile del più forte», dalla quale deduce per via retorica che rispettando la legge i cittadini fanno del bene a chi governa e non a se stessi. Ogni forma di governo, infatti, promulga leggi allo scopo di conservare il proprio potere, e rispettandole i cittadini non fanno altro che rafforzare chi governa.[3] La questione se queste teorie politiche risalgano al Trasimaco storico o siano state a lui attribuite da Platone è ancora aperta. Dai frammenti del suo scritto Sulla costituzione, in cui auspica un ritorno ai valori dell'epoca di Solone, sappiamo comunque che era vicino agli ambienti dell'oligarchia ateniese.[4]
Crizia
[modifica]Sebbene non possa considerarsi propriamente un sofista, visto che non insegnò mai retorica, Crizia (460 - 403 a.C.), zio di Platone e leader dei Trenta Tiranni, fu molto vicino alla riflessione politica di questi pensatori. Autore di opere teatrali, anch'egli criticò aspramente il nomos, mostrandone la fragilità e opponendolo alla necessità della physis e alla forza di un carattere nobile. La legge può infatti essere distorta e aggirata da un abile oratore, mentre un saldo carattere (chrestos) resiste a qualsiasi tentativo di corruzione. La sua critica arrivava a colpire anche la religione: celebre è la sua tesi secondo cui gli dèi sarebbero un'invenzione dei governanti, usata per controllare i cittadini anche nei momenti più privati della vita, laddove lo Stato non può arrivare per fare rispettare le leggi.
Callicle
[modifica]Scarse sono le notizie che abbiamo di Callicle, un giovane ateniese che ci sarebbe ignoto se non fosse stato scelto da Platone come interlocutore di Socrate nel Gorgia, dialogo nel quale è portavoce di tesi politiche influenzate dalle riflessioni dei sofisti, in particolare Antifonte. Callicle afferma che per natura i più forti, in quanto migliori, dominano sui più deboli. Tuttavia questi ultimi, essendo più numerosi, si sono tutelati attraverso le leggi, che impediscono ai pochi migliori di elevarsi. I «migliori» vengono paragonati a giovani leoni (immagine poi ripresa da Nietzsche) incantati tenuti a bada attraverso l'educazione, che però un giorno si libereranno dalle costrizioni della morale e si imporranno secondo la legge di natura.[5] Inoltre, incalzato da Socrate, il giovane arriva a sostenere che il bene coincide con il piacere, e che la felicità consiste nel soddisfare ogni desiderio, per quanto grande possa essere. La moderazione è invece, ancora una volta, un'invenzione dei deboli, che non sono in grado di raggiungere il piacere al massimo grado.[6]