Protagora (superiori)
Protagora (c. 490 - c. 420 a.C.) fu tra i primi e più importanti sofisti. Originario di Abdera in Tracia, giunse ad Atene nel 444-443 a.C. e strinse amicizia con Pericle, che lo incaricò di scrivere la costituzione per la colonia panellenica di Turi. Compì molti viaggi e scrisse diverse opere, tra cui le Antilogie, la Verità, Intorno all'essere e Intorno agli dèi. Stando alle fonti, quest'ultima gli valse un'accusa di empietà, poiché vi affermava che delle divinità non si può dire nulla, nemmeno se esistano oppure no. Sempre secondo la tradizione morì durante un naufragio, e le sue opere furono date al rogo nell'agorà di Atene.
Il pensiero di Protagora può essere riassunto dalla celebre massima secondo cui «l'uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono».[1] Il sofista propone una nuova nozione di verità, considerata a partire dalla sua connessione con l'esperienza e priva di qualsiasi significato sacrale. L'individuo può conoscere solo ciò che cade nel suo orizzonte di esperienza, e la distinzione tra vero e falso avviene all'interno della relazione tra uomo e mondo - quest'ultimo inteso sia come realtà sensibile sia come ambiente creato dall'uomo stesso attraverso le tecniche, e in particolare la politica. Ciò comporta che la verità non può essere assoluta, e la sua ricerca avviene a partire dall'uomo e dal suo ambiente (cioè la polis).
Per Protagora infatti c'è uno stretto nesso tra verità e prassi, e conoscere il mondo significa migliorarlo. La stessa retorica ha un decisivo ruolo educativo nella polis democratica, perché è in grado di rendere i cittadini più giusti facendo accettare loro le opinioni migliori, cioè più utili alla vita civile della comunità. A questo aspetto formativo della sua attività di sofista si associa l'interesse per la comunicazione e il linguaggio. Come afferma nelle Antilogie, riguardo ciascun argomento esistono due logoi (intesi come «discorsi, ragionamenti»), uno a favore e uno contro. Il logos non è in grado di stabilire la verità dell'una o dell'altra tesi tra loro contraddittorie, e la conseguenza è che l'uomo non potrà conoscere la natura profonda della realtà, ma solo valutare la validità delle opinioni in base alla loro utilità e universalità, cioè alla loro diffusione nella comunità degli uomini.[2]