Giusnaturalismo (superiori)
Le prime riflessioni sul diritto naturale sono rinvenibili già nel pensiero greco classico e, specificamente, nello stoicismo, dunque nel cristianesimo antico e medievale. Però, per antonomasia, s'intende per giusnaturalismo la corrente di pensiero filosofico-giuridica maturata fra il Seicento e il Settecento[1] che ha rielaborato il concetto classico di diritto naturale interpretandolo in chiave razionalistica e umanistica.[2]
A seguito della rottura dell'unità religiosa causata dalla Riforma protestante [3] il giusnaturalismo si svincola da ogni fede ispirandosi al razionalismo cartesiano [4] e concentrando l'analisi filosofica sulla ricerca delle leggi generali in grado di realizzare la convivenza sociale.[3] La nuova interpretazione del diritto naturale prese le mosse dalla necessità di formulare un nuovo diritto internazionale in grado di assicurare una pacifica convivenza fra le nazioni europee.[3]
I primi tentativi di formulare un nuovo concetto di diritto naturale partendo dall'interrogativo sulla liceità della guerra sono rinvenibili nell'opera del 1588 di Alberico Gentili intitolata De iure belli. Gentili sostiene l'illiceità della guerra, poiché tutti gli esseri umani costituiscono un'unica sostanza e sono legati insieme da una consonanza affettiva. Il diritto naturale si riviene nell'istinto ancestrale e immutabile che conduce ogni essere umano all'unità.[5] Dunque, l'uomo per natura non è nemico del suo prossimo e nello Stato di natura non vi sarebbe alcuna guerra. Quest'ultima, al contrario, nascerebbe quando gli uomini si rifiutassero di seguire la natura. Gentili però distingue due tipi di guerra: una guerra giusta rappresentata dalla guerra di difesa, poiché la difesa è un diritto innato dell'uomo; una guerra ingiusta costituita dalla guerra di offesa e di religione, perché nessuno può essere astretto a professar un culto, dunque, la religione dev'essere libera. Ciononostante, in guerra non vengono meno i diritti naturali, perché essi sono propri dell'umanità.[5]
Coevo di Gentili, Johannes Althusius, richiamando Jean Bodin, formula nella sua opera del 1603, intitolata Politica methodice digesta, il principio della sovranità popolare (qualificandolo come unico, indivisibile e intrasmissibile), elevandolo a criterio di legittimità vitale dello Stato.[5] Althusius sostiene che ogni comunità umana s'istituisca tramite un contratto (pactum unionis), sia esso tacito o espresso, che comporta la nascita di un organismo vivente. Tale contratto si fonda su un sentimento naturale e viene regolato dalle leggi, le quali si distinguono in leges communicationis, regolanti i rapporti fra i consociati, e leges directionis et gubernationis, regolanti i rapporti fra i consociati e l'autorità governativa.[5] Althusius definisce lo Stato come «una comunità pubblica universale per la quale più città e province si obbligano a possedere, costituire, esercitare e difendere la sovranità mediante la mutua comunicazione di cose e di opere e con forze e a spese comuni».[5] Nella interpretazione della sovranità popolare di Althusius il principe è un mero magistrato il cui potere proviene dal contratto sociale. Affiancano il principe gli efori che esercitano i diritti popolari nei suoi confronti. Nel caso in cui il popolo venisse meno ai patti, il principe si riterrebbe liberato dai suoi obblighi; ma se fosse il principe a rompere il patto, al popolo spetterebbe di scegliere un nuovo principe o di redigere una nuova costituzione. Ancorché Althusius conferisca larghi poteri al popolo, egli nega ogni libertà religiosa. Ciò è dovuto alla sua intransigenza calvinista che lo porta a ritenere che solo lo Stato può farsi promotore della religione, condannando all' ostracismo gli atei e i miscredenti.[5] Questi temi sono ricorrenti anche nel pensiero del francese François Hotman, ugonotto e avversario della Chiesa . Come Althusius, Hotman ritiene che i poteri pubblici provengano da un originario patto sociale e non da Dio.[6]
Il maggior impegno volto alla formulazione di un nuovo diritto internazionale, però, è rinvenibile nel pensiero dell'olandese Ugo Grozio, il quale, riprendendo le argomentazioni del suo connazionale Erasmo da Rotterdam[7] e della seconda Scolastica spagnola (specialmente di Francisco Suárez e Gabriel Vásquez), può considerarsi il vero iniziatore del giusnaturalismo moderno.[3]
Nell'opera del 1625 intitolata De iure belli ac pacis, Grozio, dovendo discutere dello ius gentium e della liceità della guerra, premette alcune considerazioni sul diritto positivo. Tali considerazioni, inserite nei Prolegomeni (considerati la parte filosoficamente più importante dell'opera)[2], contengono la ripulsa nei confronti della riduzione del diritto positivo a mero sistema di norme arbitrarie e relative, nonché l'auspicio che il diritto positivo si fondi su princìpi universalmente validi, scaturiti dalla natura razionale dell'uomo.[2] Questi princìpi universali, derivanti dalla natura razionale dell'uomo, costituiscono il diritto naturale, definito da Grozio come «una norma della retta ragione, la quale ci fa conoscere che una determinata azione, secondo che sia o no conforme alla natura razionale, è moralmente necessaria oppure immorale, e che per conseguenza tale azione è da Dio, autore della natura, prescritta oppure vietata».[8] Nell'impostazione teorica di Grozio il diritto naturale, derivando dall'essenza razionale comune a ogni uomo, ha una valenza assoluta, eguale a quella dei princìpi matematici. Sulla base di questa eguaglianza Grozio asserisce che, come Dio non può mutare i princìpi matematici, così non potrebbe mutare i princìpi del diritto di natura e questi ultimi rimarrebbero validi e intangibili anche nell'esecranda ipotesi in cui Dio non esistesse o non si curasse delle cose umane. Partendo da tali presupposti, Ugo Grozio costruisce la nuova impostazione laica del giusnaturalismo, giacché il fondamento universale del diritto naturale è adesso rinvenibile non in un ordine trascendentale, ma entro la natura razionale umana.[2] Contenuto essenziale del diritto naturale, per Grozio, è mantenere i patti da cui deriva il rispetto della proprietà, l'obbligo di mantenere le promesse, il poter essere soggetti a pene fra gli uomini. Ma, tralasciando il contenuto del diritto naturale, ciò che rileva nella nuova visione giusnaturalistica è il fondamento del diritto sulla natura umana intesa come razionalità (dunque, può parlarsi di una posizione soggettivistica da cui scaturisce il diritto).[2]
Due dei più noti giusnaturalisti furono Thomas Hobbes (1588-1679) e John Locke (1632-1704). Il primo dei va ricordato essenzialmente per essere stato uno dei maggiori sostenitori della dottrina secondo cui, bisognerebbe conferire "pieni poteri" (rinunciare allo ius in omnia, ma non al diritto alla vita) nelle mani di un unico individuo. I tre poteri (giudiziario, esecutivo e, legislativo) sono da intendersi, dunque, come una sorta di strumento nelle mani del sovrano per assicurare l'ordine in una data società. Nella fattispecie Hobbes ritiene che l'uomo, affinché riesca a uscire da quello stadio della vita definito "stato naturale" o "di natura" caratterizzato dalla bellum omnium contra omnes, debba necessariamente stipulare un pactum leonino, ovviamente immaginario, secondo cui ognuno dei membri rinuncia al suo diritto naturale nei confronti dell'altro contraente, mantenendo il Leviatano terzo rispetto al patto. Trattasi quindi, di assolutismo puro entro il quale opera il principe che, essendo fonte della legge, non è tenuto a rispettarla: si parlerà quindi di solutus legibus.
Poco dopo Locke nel suo Secondo trattato sul governo civile illustrerà il suo pensiero al riguardo, partendo sempre dal suddetto "stato di natura". Si percepisce subito una filosofia che si distacca dalla concezione dell'homo homini lupus per approdare invece ad un'altra ipotesi che vede l'uomo calato in uno stato di natura retto dalla pacifica coesistenza e, soprattutto, uno stato naturale governato da tre principi "nuovi": ragione, eguaglianza, libertà. L'uomo possiede dei diritti innati (diritto alla vita; alla libertà; alla proprietà; alla salute) la cui custodia spetta al principe; è il sovrano a dover salvaguardare tali diritti. Ancora una volta, tra il governante e i governati si deve stipulare un patto sociale che soprattutto deve essere rispettato da ambedue le parti (pacta sunt servanda cit. Grozio). A tal proposito il filosofo inglese pone in evidenza il fatto che, la ribellione non è altro che la conseguenza della mancata conservazione di tale pactum. In aggiunta Locke preferisce vedere il potere legislativo e quello esecutivo separati e attribuiti ad organi diversi, non è difficile intuire che il medesimo avesse come modello di riferimento la situazione recente dell'Inghilterra. In Locke trovano quindi le loro fondamenta il costituzionalismo e il garantismo moderni.
Altri progetti
[modifica]- Wikiquote contiene citazioni di o su giusnaturalismo
- Wikibooks contiene testi o manuali su giusnaturalismo
- Wikipedia contiene informazioni su giusnaturalismo
Note
[modifica]- ↑ Norberto Bobbio, Nicola Matteucci; Gianfranco Pasquino, Il dizionario di politica, 1ª ed., Utet, 2004, pp. 390-394, voce Giusnaturalismo
- ↑ 2,0 2,1 2,2 2,3 2,4 Francesco Adorno, Tullio Gregory, Valerio Verra, Storia della filosofia, vol. II, 12ª ed., Editori Laterza, 1983, pp. 218-221.
- ↑ 3,0 3,1 3,2 3,3 A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto, 6ª ed., Giuffrè Editore, 2008, pp. 46-49.
- ↑ Nicola Abbagnano, Giovanni Fornero, Dizionario di filosofia, 3ª ed., Utet, 1998, pp. 621-641, voce Diritto
- ↑ 5,0 5,1 5,2 5,3 5,4 5,5 Nicola Abbagnano, Storia della filosofia. Volume 2. Il pensiero medievale e rinascimentale: Dal Misticismo a Bacone: Sezione quarta - La filosofia del Rinascimento. Capitolo II - Rinascimento e politica: § 348. Il giusnaturalismo. Pagg. 494-502; Gruppo Editoriale L'Espresso, 2006.
- ↑ Ennio Cortese, Le grandi linee della storia giuridica medievale. Parte seconda - L'età del diritto comune. I: Scuole e scienza. Capitolo VIII - Questioni di metodo e svolte culturali. L'umanesimo giuridico. § 7. Francesco Hotman e l'antitribonianismo. Pagine 409-411; Il Cigno GG Edizioni, 2007. ISBN 88-7831-103-0
- ↑ Salvatore Guglielmino/Hermann Grosser, Il sistema letterario. Guida alla storia letteraria e all'analisi testuale: Cinquecento e Seicento. Capitolo 1. L'età della Controriforma. 1.2. Nasce l'Europa moderna. Pagine 9-14; Casa Editrice G. Principato S.p.A., 1988.
- ↑ U. Grozio, De iure belli ac pacis, I, I, X, 1.