Pomponazzi (superiori)

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Pomponazzi (superiori)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Filosofia per le superiori 2

La vita[modifica]

Nato a Mantova il 16 settembre 1462 da una famiglia nobile, Pietro Pomponazzi venne anche conosciuto come "Peretto", per la sua bassa statura. Si laureò in Arti nel 1487, fu professore di filosofia in varie università e successivamente ottenne una seconda laurea in medicina nel 1495. L'anno seguente si trasferì alla corte di Carpi come precettore di Alberto III Pio; quando il principe venne esiliato a Ferrara, il filosofo lo seguì fino al 1499. Qui conobbe e sposò Cornelia Dondi dalla quale ebbe due figlie. Rimase però vedovo e nel 1507 si risposò con Ludovica di Montagnana. Rimase vedovo una seconda volta e sposò Adriana della Scrofa. Si trasferì a Bologna dove compose la maggior parte delle sue opere e si ammalò di calcoli ai reni. Si pensa che sia morto suicida il 18 maggio del 1525.[1]

Il dibattito sull’anima[modifica]

Pomponazzi espresse la sua posizione originale all’interno del dibattito, in corso da secoli, sulla dottrina aristotelica dell’anima. In questo periodo vigevano due dottrine discordanti, quella di Alessandro di Afrodisia e quella di Averroè. Alessandro di Afrodisia (vissuto nel II-III secolo d.C), i cui trattati iniziarono a circolare nel XV secolo, aveva una concezione naturalistica della realtà e affermava che l’anima fosse mortale; Averroè (filosofo arabo, interprete di Aristotele vissuto nel XII secolo), partendo da una concezione idealistico-platonica, riteneva l'anima immortale. Pomponazzi riprese la teoria alessandrista, ma discostandosene leggermente poiché voleva dimostrare la non completa immortalità dell'anima, affermando che essa "profuma di immortalità".[2]

Opere[modifica]

Pomponazzi compose il De immortalitate animae (Sull’immortalità dell’anima) nel 1516, il De Incantationibus (Gli Incantesimi) e il De fato, de libero arbitrio et de praedestinatione (Fato, libero arbitrio e predestinazione) nel 1520.

De Immortalitate animae[modifica]

Nello scritto "Sull'immortalità dell’anima", pubblicato nel 1516, è combattuta l’opinione di Averroè, secondo cui l’intelletto è separato dal corpo ed è sostenuta la tesi secondo cui l’anima è mortale. L'intelletto secondo Pomponazzi non può essere indipendente dal corpo, perché per funzionare ha bisogno che la fantasia gli offra delle immagini, che sono di origine materiale e quindi corporee. Senza il corpo infatti l'anima non potrebbe agire, per questo Pomponazzi considera l’anima uno degli enti materiali più importanti. Tramite una metafora spiega infatti che l'anima, aspirando alla perfezione e al ritorno a Dio, suo creatore, "profuma di immortalità"; si trova cioè al confine tra ciò che è materiale a ciò che è immateriale. Ricevette però alcune critiche in merito alla morale, in quanto per il Cristianesimo se l'anima non fosse stata immortale, la minaccia dell'Inferno e la promessa del Paradiso non avrebbero avuto senso. Lui invece riteneva che la sua dottrina fosse in grado di rafforzare la morale, perché, comportandosi in modo virtuoso, al pari di quanto sostenuto dal Cristianesimo, si sarebbe giunti ad una vita tranquilla. Proponeva infatti una morale prettamente terrena e naturale, in cui la virtù e il vizio avrebbero avuto il loro premio e la loro pena in sé stessi.[3]

De Incantationibus[modifica]

L'intento fondamentale è giustificare l’ordine razionale del mondo, come disse già Aristotele, considerando il mondo come un puro sistema razionale di fatti. Ciò metteva in discussione l'esistenza dei miracoli e dei demoni. Pomponazzi ritiene che non esistono cause soprannaturali e, in ogni evento, compresi quelli straordinari come i miracoli, possa essere spiegato dalle leggi naturali. Naturale, però, non significava scientifico, perché la scienza moderna non esisteva ancora; Pomponazzi riteneva che il cosmo fosse suddiviso in due mondi distinti: il mondo terrestre, in cui ogni corpo è soggetto a generazione e corruzione e il mondo celeste incorruttibile dotato di movimento circolare. Proprio da questo mondo dipendono tutti i fenomeni naturali e gli eventi inspiegabili.[4]

De fato, de libero arbitrio, de praedestinatione[modifica]

In quest'opera Pomponazzi riconosce la concezione deterministica del mondo, che di conseguenza esclude la libertà umana. Inoltre espone tutte le difficoltà e i dubbi riguardo il rapporto tra prescienza e onnipotenza divina con la libertà dell'uomo. La prescienza divina non esclude in modo assoluto la libertà umana perché Dio prevede l’azione umana sul fondamento della sua causa e quindi sa che l’uomo può agire in un modo o nell’altro. Riprende poi il pensiero degli stoici secondo i quali il fato era stabilito da Dio e collegandosi all'onnipotenza di dio dice che l’unico modo per correlare onnipotenza e libertà è la fede.[5]

Fonti[modifica]

  1. Nicola Abbagnano, "Storia della filosofia", Unione Tipografico Editrice Torinese, Torino (1974)
  2. Ludovico Geymonat, “Storia del pensiero filosofico e scientifico”, Aldo Garzanti Editore, Torino (1970)
  3. Ludovico Geymonat, “Storia del pensiero filosofico e scientifico”, Aldo Garzanti Editore, Torino (1970)
  4. Ludovico Geymonat, “Storia del pensiero filosofico e scientifico”, Aldo Garzanti Editore, Torino (1970)
  5. Ludovico Geymonat, “Storia del pensiero filosofico e scientifico”, Aldo Garzanti Editore, Torino (1970)