Gli alimenti (medioevo)

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Gli alimenti (medioevo)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Storia dell'alimentazione
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Cereali[modifica]

Un fornaio sorpreso ad imbrogliare i clienti viene punito venendo trascinato per il paese su una slitta, con delle fette di pane legate attorno al collo.

Nei primi secoli del Medioevo il tradizionale modello cerealicolo dell'età classica perse, in alcune aree dell'Europa, quella centralità produttiva che aveva costituito il fondamento alimentare durante l'Impero romano. In particolare nell'Italia del nord si verificò "un crollo clamoroso della produzione del frumento" a vantaggio di cereali minori come segale, spelta, orzo, grano saraceno, miglio, avena e sorgo. Almeno fino al XIII secolo il grano tenero resterà appannaggio dei ricchi mentre nell'Italia del sud il frumento continuò ad essere, senza soluzione di continuità con la romanità, il cereale di riferimento sia per le classi ricche sia per i ceti meno abbienti.[1]

Dal farro dell'antichità si inizia lentamente a produrre grano tenero, più facile da raccogliere e di maggior resa, mentre sul modello barbarico continentale ebbe un forte impulso l'attività silvo-pastorale. Bisogna attendere l'età comunale per assistere all'aumento generalizzato della produzione di frumento[1] a cui verrà dedicata una crescente quantità di terreno, divenendo unitamente alle verdure, predominante sull'alimentazione di origine animale come carne e latticini.[2]

Prima del XIV secolo il pane non era un alimento molto diffuso tra le classi inferiori, specialmente nel nord dove il grano cresceva con maggior difficoltà. La dieta basata sul pane diventò gradualmente più comune nel corso del XV secolo e quest'alimento sostituì i pasti intermedi che fino ad allora erano basati su farinate e polente. Il pane lievitato era più comune nelle regioni del sud in cui il grano cresceva più facilmente, mentre al nord o nelle zone di montagna si usava pane non lievitato di orzo, cereale che era comunemente usato anche per nutrire gli animali[1] e pane di segale o avena; questo tipo di pane era usato comunemente anche come rancio per le truppe.[3]

Il riso per tutto il Medioevo rimase un costoso prodotto d'importazione e si iniziò a coltivarlo nell'Italia settentrionale soltanto verso la fine dell'epoca. Il grano era comune in tutta Europa ed era considerato il più nutriente di tutti i cereali e di conseguenza il cereale più prestigioso e più caro. La farina bianca e finemente raffinata comune al giorno d'oggi era riservata alla produzione del pane delle classi superiori. Scendendo dalla scala sociale il pane diventava più grezzo e scuro, e il suo contenuto di crusca aumentava.

Quando il grano scarseggiava o c'era una vera e propria carestia, i cereali potevano essere sostituiti con alimenti più economici e meno pregiati come castagne, legumi secchi, ghiande, semi di felce e un'ampia varietà di vegetali più o meno commestibili.[4]

Una delle portate più comuni di un pasto medievale, sia che si trattasse di un banchetto che di un semplice spuntino, erano gallette o crostini, pezzi di pane secco che potevano essere fatti rinvenire inzuppandoli in un liquido come il vino, il brodo, una zuppa o una salsa e quindi mangiati. Sulle tavole medievali si poteva vedere altrettanto frequentemente la pappa di frumento, una farinata molto densa spesso preparata con brodo di carne e insaporita con spezie. Le farinate venivano preparate con ogni tipo di cereale e potevano essere servite anche come dessert o come pietanza per i malati se preparate con latte o latte di mandorla e addolcite con lo zucchero. In tutta Europa erano comuni torte salate farcite con carne, uova, verdure o frutta, così come pastine, frittelle, ciambelle e altri dolcetti simili. Nel tardo Medioevo si cominciarono a mangiare per dessert biscotti, specialmente di tipo simile al wafer, che diventarono un alimento particolarmente prestigioso. I cereali, sia sotto forma di briciole di pane che di farina, erano usati anche come addensanti per zuppe e stufati, sia da soli che insieme al latte di mandorle.

Un fornaio con il suo aiutante. Come si vede dall'illustrazione, la forma più comune per il pane era quella rotonda.

L'importanza assunta dal pane come alimento quotidiano implicò che i fornai ricoprissero un ruolo cruciale in tutte le comunità medievali. Entro il XIV secolo il consumo di pane nella maggior parte dell'Europa occidentale diventò molto elevato. Le stime del consumo pro capite nelle varie regioni sono piuttosto simili: circa 1-1,5 kg di pane a persona ogni giorno. Quella dei fornai fu una delle prime gilde ad essere organizzate nelle città e furono emanati leggi e regolamenti per mantenere stabile il prezzo del pane. L'Assize of Bread and Ale inglese del 1266 fissava lunghe tabelle in cui erano regolati la misura delle pagnotte, il peso e il prezzo in relazione al costo dei cereali. Il margine di profitto del fornaio stabilito dalle tabelle fu in seguito progressivamente aumentato grazie alle pressioni della Worshipful Company of Bakers, che fece compensare ogni tipo.

Le eventuali truffe da parte di persone come i fornai, a cui le comunità affidavano un compito di tale importanza, erano considerate un grave crimine. I fornai sorpresi a frodare sul peso o ad adulterare l'impasto con ingredienti meno costosi, ricevevano dure punizioni. Questo diede origine all'usanza della Dozzina del fornaio: il fornaio in genere dava 13 pani al prezzo di dodici, per essere certo di non essere sospettato di imbrogliare.[5]

Frutta e verdura[modifica]

La raccolta dei cavoli; Tacuinum Sanitatis, XV secolo.

Anche se i cereali rappresentavano la base di ogni pasto, verdure come cavoli, barbabietole, cipolle, agli e carote erano anch'esse cibi molto comuni. Molti di questi ortaggi venivano consumati quotidianamente da contadini e lavoratori manuali, pertanto erano considerati alimenti meno prestigiosi della carne. I libri di cucina, scritti soprattutto per chi poteva permettersi un simile lusso e che cominciarono a fare la propria comparsa verso la fine del Medioevo, riportano un modesto numero di ricette che prevedono una verdura come ingrediente principale. La carenza di ricette per molti diffusi piatti a base di verdura, come le zuppe, è stata interpretata non tanto nel senso che tali piatti fossero assenti sulle tavole della nobiltà, quanto che erano considerate così elementari da non richiedere di essere messe per iscritto.[6] Durante il Medioevo erano disponibili diverse varietà di carote: tra queste una rosso-violacea molto saporita e una di minor valore tendente al giallo-verde. Anche legumi come ceci, fave e piselli erano di consumo comune e rappresentavano un'importante fonte di proteine, soprattutto per le classi inferiori.

Fatta eccezione per i piselli, i legumi spesso erano visti con sospetto dai dietisti dell'epoca, che li consigliavano agli appartenenti alle classi superiori, in parte per la loro tendenza a provocare flatulenze, ma anche perché venivano associati alla rozza alimentazione dei contadini.

L'importanza delle verdure per la gente comune è attestata da racconti tedeschi del XVI secolo che sostengono che molti contadini mangiavano crauti anche tre o quattro volte al giorno.[7]

Anche il consumo di frutta era molto diffuso ed essa veniva servita in vari modi: fresca, essiccata, o conservata. Era anche un ingrediente piuttosto comune, presente in molti piatti.[8] Dato che sia lo zucchero che il miele erano alimenti costosi, si usava aggiungere la frutta a molte pietanze per addolcirle in qualche modo. Nel sud dell'Europa si consumavano prevalentemente limoni, cedri, arance amare (la varietà dolce venne scoperta solo secoli dopo), melograni, mele cotogne e, naturalmente, uva.

Più a nord invece erano più diffuse mele, pere, prugne e fragole. Fichi e datteri venivano mangiati in tutta Europa, ma nel nord restavano comunque costosi prodotti d'importazione.[9]

Alcuni ingredienti comunissimi, e talvolta fondamentali, delle cucine europee contemporanee come patate, fagioli, cacao, vaniglia, pomodori, peperoncini e mais non furono conosciuti dagli europei fino alla fine del XV secolo, quando venne scoperta l'America, e anche in seguito ci volle spesso molto tempo perché questi nuovi cibi fossero diffusamente accettati dalla società.

Latte e latticini[modifica]

Il latte e i suoi derivati erano un'importante fonte di proteine animali per coloro che non potevano permettersi la carne. Generalmente si consumava quello di pecora o di capra, ma era diffuso anche il latte di vacca. Il semplice latte fresco veniva raramente consumato dalle persone adulte, tranne i poveri e i malati (medicamento suggerito sin dall'antichità da Ippocrate e Galeno[10]), e generalmente era considerato un alimento per bambini e anziani. I poveri talvolta bevevano latticello o siero di latte oppure latte inacidito o annacquato[11]. Contrariamente all'Europa del nord, con il suo clima freddo, nell'area mediterranea il latte fresco era un alimento meno diffuso rispetto ai prodotti caseari a causa della mancanza di tecnologie adatte alla sua conservazione. Nel consumo abituale di latte gli scrittori medievali riconoscono usi e costumi attribuiti alle società barbariche[12], individuando il discrimine tra le "società pastorali primitive" che ne facevano abbondante uso, e le "società agricole evolute" che privilegiavano l'utilizzo di cibi elaborati "inventati dall'uomo come il pane e il vino". Fra i vari tipi di latte, si riconoscevano con molta prudenza le principali virtù terapeutiche al latte di capra e questo farà dire all'umanista Platina: "ottimo quello di capra perché aiuta lo stomaco, elimina le occlusioni del fegato, lubrifica l'intestino; per secondo viene quello di pecora, per terzo quello di mucca"[13]. Talvolta in cucina le classi superiori si servivano del latte aggiungendolo agli stufati, ma sempre a causa delle difficoltà di conservazione veniva più spesso usato al suo posto il latte di mandorla.[14]

La preparazione del formaggio; Tacuinum Sanitatis, XIV secolo.

Il formaggio era un alimento di gran lunga più importante, specialmente per la gente comune, e alcuni hanno suggerito che sia stato per lunghi periodi la principale fonte di proteine animali per gli appartenenti alle classi inferiori.[15] Sia il Platina sia Pantaleone di Confidenza lo raccomandano a conclusione del pasto «finché la bocca non sa di formaggio», consuetudine rimasta inalterata fino ai tempi odierni e presente sin d'allora nei più celebri ricettari di cucina come in quello di Maestro Martino che prescrive il "caso in patellecte" caldo a fine pasto. I formaggi erano prevalentemente di pecora o di capra, meno frequenti di mucca, e almeno fino al XII secolo, costituivano il principale sostentamento per le classi inferiori e l'abbellimento delle tavole dei ricchi.[13]

Ma fu proprio nel Basso Medioevo che si assisté ad un lento rovesciamento di valori, grazie all'influenza culturale del "modello alimentare monastico", di fatto inclusivo sempre più spesso dei formaggi nella dieta dei monaci, che intravide nei derivati del latte un ottimo alimento sostitutivo della carne, unitamente al pesce e alle uova. Infatti nei monasteri, grazie all'apporto dei "rustici" residenti nelle pertinenze, si iniziò quel processo di sperimentazione e affinamento dei prodotti caseari così che, afferma Massimo Montanari "la cultura della rinuncia diventava essa stessa generatrice di una nuova cultura gastronomica, di uno spirito curioso e creativo da cui presero avvio molte future acquisizioni del gusto." Sempre più spesso gli affittuari riconosceranno, in pagamento ai monaci, quote di formaggio sia a peso sia nel numero di forme, come nel caso dell'Abbazia di San Colombano di Bobbio, sull'Appennino emiliano e del Monastero di Santa Giulia di Brescia.[13]

Tra Trecento e Quattrocento i formaggi verranno più volte menzionati nei ricettari con descrizioni accurate, entrando a pieno diritto nelle tavole imbandite delle classi agiate: "formaggio duro, grasso, tomini, pecorino, sardesco; marzolini, provature e ravogliuoli" dirà Cristoforo di Messisbugo, cuoco alla corte degli Estensi. Per il confezionamento delle torte e dei pasticci dolci o salati ormai il "cascio fresco" diviene un ingrediente abituale: si unisce alle uova, alla carne e alle verdure, in ricette che preludono a quelle dell'era moderna e in voga ancor oggi: «crispelli di carne, o vero tortelli e ravioli», la spalla di pecora ripiena di «cascio fresco, bene pesto con ova, in bona quantità»; nel «pastello romano», nella «torta parmesana» con il formaggio fresco e stagionato, nelle «ova piene» e nelle «lasagne» assieme all'uso di arrostirlo sul fuoco infilzato in un legno.[13]

Molte varietà di formaggio attualmente in produzione e commercio erano disponibili e ben conosciute già durante il Medioevo, come l'edam olandese, il brie del nord della Francia oltre ai già citati pecorino e parmigiano molto apprezzato anche nelle varianti lodigiane e piacentine. È al parmigiano, che allude Salinbene da Parma per le lasagne di cui era ghiotto frate Giovanni da Ravenna e famoso è il Paese di Bengodi di Giovanni Boccaccio con la «montagna tutta di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan, che fare maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi» tanto che sulla fine del Medioevo comincerà ad entrare in crisi la tradizionale superiorità del pecorino sul parmigiano, un lento declino che per contro farà assurgere il parmigiano alle vette incontrastate dei tempi odierni.[13]

Oltre ai formaggi c'erano anche latticini fatti con il siero, come la ricotta, ottenuti con i sottoprodotti della lavorazione di formaggi più duri e stagionati che entrano sempre più spesso nelle ricette tardo medievali. Un altro importante prodotto era il burro, molto popolare nell'Europa settentrionale dove, nella seconda metà del Medioevo, ci si era specializzati nell'allevamento del bestiame, specialmente nei Paesi Bassi e nella Scandinavia meridionale. In queste zone il burro fu il principale grasso di cottura, mentre in altre regioni si usavano altri grassi come l'olio o il lardo. Inoltre, dal XII secolo in poi da tali regioni nacque un lucrativo commercio di esportazione di tale prodotto.[16]

Carni[modifica]

La bottega di un macellaio del XIV secolo. Dalla rastrelliera pendono la carcassa intera di un maiale e altri pezzi di carne, mentre il commerciante prepara dei tagli per il cliente.

Anche se tutte le varietà di selvaggina erano molto popolari, perlomeno tra quelli che se le potevano permettere, la maggior parte della carne che veniva consumata proveniva da animali domestici. La carne bovina non era diffusa come al giorno d'oggi, perché allevare le mandrie era molto impegnativo, richiedeva abbondanti pascoli e grandi quantità di foraggio e buoi e vacche erano considerati molto più utili come animali da lavoro e come produttrici di latte. I capi che venivano macellati perché vecchi e non più adatti al lavoro non erano particolarmente appetibili e di conseguenza la loro valutazione era piuttosto bassa. Molto più usata era la carne di maiale, dal momento che si tratta di un animale che richiede meno cure e si nutre di alimenti più economici. I maiali domestici spesso venivano lasciati razzolare liberamente anche nelle città e si nutrivano di ogni tipo di rifiuti organici provenienti dalle cucine, mentre il maialino da latte era considerato una vera leccornia. Molto diffuse erano anche le carni di montone o di agnello, soprattutto nelle zone in cui era più sviluppata l'industria della lana, così come quelle di vitello.[17] A differenza di quanto oggi accade nella maggior parte del mondo occidentale, tutte le parti dell'animale venivano mangiate, incluse orecchie, muso, coda, lingua e interiora. L'intestino, la vescica e lo stomaco venivano impiegati per rivestire salsicce e salumi oppure venivano utilizzati dai cuochi per dare al cibo forme fantastiche e artificiali come quella di uova giganti. Tra i tipi di carne allora usate ma rare al giorno d'oggi o considerate inadatte all'alimentazione umana c'erano quelle di riccio e di istrice, occasionalmente menzionate in ricettari del tardo Medioevo.[18]

Si mangiava poi un'ampia varietà di volatili tra cui cigni, pavoni, quaglie, pernici, cicogne, gru, allodole e praticamente qualsiasi uccello che potesse essere cacciato. Cigni e pavoni spesso erano addomesticati, ma venivano consumati solo dalla classe più elevata e in effetti apprezzati più per il loro magnifico aspetto (li si usava per creare piatti molto appariscenti da servire in tavola) che per la bontà delle carni. Come succede anche oggi oche ed anatre erano animali domestici piuttosto diffusi, ma non raggiungevano la popolarità di cui godeva il pollo, che in pratica era l'equivalente pennuto del maiale.[19] Curiosamente, si credeva che l'oca facciabianca, una specie nordica e selvatica, non si riproducesse deponendo le uova come gli altri uccelli, ma che nascesse dai cirripedi marini che si trovavano sulle scogliere e di conseguenza era considerata un alimento accettabile per i periodi di penitenza e digiuno.

La carne era un cibo più caro rispetto a quelli di origine vegetale e poteva raggiungere un costo anche quattro volte superiore a quello del pane. Il pesce poteva invece costare anche sedici volte di più, ed era quindi troppo caro anche per le stesse popolazioni costiere. Questo significava che nei giorni di digiuno la dieta, per coloro che non potevano permettersi alternative alla carne e ai prodotti di origine animale come uova e latte, poteva essere piuttosto povera.

Fu solo dopo l'epidemia di peste nera che uccise quasi la metà della popolazione europea che la carne diventò un alimento comune anche per le persone più povere. La drastica riduzione di abitanti di molte aree provocò una carenza di manodopera che significò di conseguenza un aumento dei salari. Inoltre vasti appezzamenti di terreno rimasero incolti, rendendoli disponibili per il pascolo, fatto che immise una maggiore quantità di carne sui mercati.[20]

Pesce e frutti di mare[modifica]

La pesca della lampreda in un ruscello; Tacuinum Sanitatis, XV secolo.

Anche se considerati meno prestigiosi della carne di altri animali, e spesso considerati semplicemente l'alternativa alla carne per i giorni di magro, pesci e frutti di mare rappresentavano comunque la base dell'alimentazione di molte popolazioni costiere. "Pesce" per l'uomo medievale era una categoria che ricomprendeva qualsiasi animale non venisse considerato propriamente un animale di terra, tra cui i mammiferi marini come le balene e i delfini. Rientravano nella definizione anche i castori, per la loro coda squamosa e per il fatto che passano molto tempo in acqua, e le oche facciabianca perché non si sapeva nulla delle loro migrazioni. Tutti questi animali erano considerati un cibo accettabile per i giorni di penitenza.[21] Sulle coste dell'Oceano Atlantico e nel Mar Baltico erano molto importanti la pesca e il commercio di aringhe e merluzzi. L'aringa ebbe un impatto senza precedenti nell'economia del Nord Europa, e fu uno dei beni di consumo più comuni tra quelli trattati dalla Lega Anseatica, una potente alleanza di compagnie commerciali dell'area germanica. Le aringhe affumicate preparate con il pescato del Mare del Nord si potevano trovare anche in mercati lontanissimi come quello di Costantinopoli.[22]

La maggior parte del pesce veniva consumato fresco, ma una discreta quantità veniva invece salato, essiccato o, in misura minore, affumicato. Lo stoccafisso, il merluzzo aperto a metà, appeso ad un palo e lasciato a seccare, era molto comune anche se la sua preparazione richiedeva molto tempo e che il pesce venisse lungamente battuto con una mazza prima di essere fatto ammollare in acqua. Le popolazioni che vivevano lungo le coste del mare o dei fiumi consumavano anche una certa varietà di molluschi, come ostriche, cozze e cappesante, oppure crostacei come i gamberi di fiume. Si consumavano comunemente anche pesci d'acqua dolce come lucci, carpe, lamprede, trote e pesci persici.[23] Rispetto alla carne il pesce per le popolazioni dell'entroterra era molto più costoso, specialmente nell'Europa centrale e per molti era fuori dalla loro portata.

Odori, spezie e condimenti[modifica]

La raccolta del pepe; edizione francese de Il Milione, data incerta.

Le spezie erano tra i prodotti più lussuosi tra quelli disponibili durante il Medioevo; le più comuni erano il pepe nero, la cannella (e la sua alternativa economica, la cassia), il cumino, la noce moscata, lo zenzero e i chiodi di garofano. Tutte dovevano essere importate dalle piantagioni dell'Asia e dell'Africa, fatto che le rendeva estremamente costose. Si stima che nel corso del tardo Medioevo ogni anno venissero importate in Europa occidentale circa 1.000 tonnellate di pepe e 1.000 di altre spezie. Il valore di tali prodotti equivaleva a quello del fabbisogno annuale di grano di un milione e mezzo di persone.[24]

Mentre il pepe era la spezia più comune lo zafferano, usato sia per il suo sapore che per il vivido colore giallo che conferisce ai piatti, era invece quella più esclusiva. Alcune tra le spezie allora in uso attualmente sono cadute quasi nel dimenticatoio come i grani del paradiso, semi di una pianta affine al cardamomo che nella cucina tardomedievale del nord della Francia avevano quasi completamente soppiantato il pepe, il pepe lungo, il macis, il nardo, il galangal e il cubebe.

Lo zucchero, a differenza di quanto facciamo oggi, era considerato un tipo di spezia, sia per il suo alto costo che per le sue qualità umorali.[25] In pochi piatti si usavano solo uno o due tipi di spezie, ma piuttosto una combinazione di molte di esse. Anche quando in una pietanza uno degli aromi era nettamente prevalente si usava combinarlo con un altro per generare un sapore composto, ad esempio unendo prezzemolo e chiodi di garofano, oppure pepe e zenzero.[26]

Comuni erbe aromatiche come salvia, senape nera, prezzemolo, carvi, menta, aneto e finocchio venivano coltivate in tutta Europa e venivano regolarmente usate in cucina. Molte di queste piante venivano fatte crescere in orti o giardini e rappresentavano un'alternativa economica alle spezie esotiche. In particolare la senape era particolarmente amata per il suo ottimo connubio con le carni e Ildegarda di Bingen la descrive come un alimento tipico dei poveri. Le erbe aromatiche erano considerate meno prestigiose delle spezie ma venivano comunque impiegate anche alla tavola dei ricchi, pur investite di un ruolo marginale o usate solo per colorare i cibi. L'anice era usato per insaporire i piatti a base di pesce o di pollo e i suoi semi usati per produrre confetti glassandoli con lo zucchero.[27]

Spremitura di uva verde per la preparazione dell'agresto;[28] Tacuina sanitatis, 1474.

I ricettari medievali giunti fino a noi frequentemente suggeriscono di insaporire i cibi con liquidi acidi o aspri. Vino, agresto,[28]aceto o succhi di diversi tipi di frutta, specialmente quelle il cui sapore è più aspro erano universalmente diffusi e rappresentavano un autentico tratto caratteristico della cucina tardo medievale. Uniti ad altre spezie e a sostanze zuccherine questi succhi conferivano ai piatti un caratteristico sapore tra l'agrodolce e il fruttato. Ugualmente comuni, e usate come contrasto al sapore piuttosto deciso di questi ingredienti, erano le mandorle dolci. Venivano impiegate in molti modi: intere, sgusciate o meno, a fettine, macinate e, impiego più importante, lavorate fino ad ottenerne il latte di mandorla. Questo era probabilmente l'ingrediente più usato di tutta la cucina tardo medievale e contrastava l'aroma delle spezie e dei liquidi di cottura aciduli con il suo sapore dolce e la sua consistenza cremosa.[29]

Il sale era un altro elemento fondamentale e impiegato ovunque della cucina medievale. La salatura, insieme all'essiccazione, era uno dei metodi più comuni per conservare i cibi e ciò significava che spesso pesci e carni erano eccessivamente salati. Molti ricettari medievali specificano di fare attenzione all'eccessiva salatura e raccomandano di ammollare in acqua alcuni alimenti per liberarli dall'eccesso di sale,[30] Il sale era presente anche direttamente sulle tavole nel corso dei pranzi più importanti: più era ricco l'anfitrione o più prestigioso era l'ospite, più era ricco ed elaborato il contenitore del sale nonché il prezzo del sale stesso. I signori più facoltosi possedevano saliere di peltro, di metalli preziosi o altri materiali pregiati, spesso finemente decorate. Dal livello della cena dipendeva anche quanto finemente macinato sarebbe stato il sale, nonché la sua colorazione. Il sale usato per cucinare, per conservare e quello usato dalla gente comune era più grezzo; il sale marino, in particolare, aveva una maggior quantità di impurità, e veniva venduto in una gamma di colori che andavano dal nero al verde. Il sale più costoso e raffinato, invece, aveva un aspetto molto simile al sale fino attualmente in commercio.

Dolci e dessert[modifica]

Il termine "dessert" proviene dall'antico francese desservir, che significava sparecchiare la tavola o letteralmente il contrario di servire, ed è entrato in uso proprio durante il Medioevo. Originariamente consisteva in caramelle o confettini serviti con vino caldo speziato e pezzi di formaggio stagionato, mentre nel tardo Medioevo aveva iniziato ad includere frutta fresca ricoperta di zucchero, miele o sciroppi con dolcetti a base di frutta cotta.

Esisteva nel Medioevo un'ampia varietà di frittelle, crêpes zuccherate, budini, tortine e paste di sfoglia che talvolta potevano contenere della frutta, ma anche midollo o pesce.[31] Nei paesi germanofoni erano particolarmente amati i krapfen, che venivano anch'essi farciti in vari modi. In Italia e nel sud della Francia era molto diffuso il marzapane che si ritiene sia stato introdotto dagli arabi.[32] I libri di cucina anglo-w:normanni sono pieni di ricette per preparare budini dolci e salati, minestre, salse e torte con fragole, ciliegie, mele e prugne. I cuochi inglesi avevano un debole per l'impiego di petali di fiori come rose, violette e sambuco. Una prima versione della quiche si può trovare nel Forme of Cury, un ricettario del XIV secolo dove viene chiamata Torte de Bry ed ha una farcitura di formaggio e tuorlo d'uovo.[33]

Nel nord della Francia si consumava un vasto assortimento di cialde e wafer, mangiati con formaggio e hypocras oppure un malvasia dolce come issue de table (piatto preso prima di lasciare la tavola). L'onnipresente zenzero candito, il coriandolo, l'anice e altre spezie venivano definite épices de chambre (spezie da salotto) e venivano consumate come digestivi alla fine del pasto per "chiudere lo stomaco".[34] I conquistatori arabi della Sicilia introdussero sull'isola una certa varietà di nuovi dolci e dessert che finirono per diffondersi in tutta Europa. Così come Montpellier, la Sicilia un tempo fu celebre per i suoi confetti e per il suo torrone. Dal sud del Mediterraneo gli arabi portarono anche l'arte di preparare il gelato che si tradusse nella nascita del sorbetto e altri dolci come la cassata siciliana (che deve il nome all'arabo qas'ah, il termine che designava la ciotola di terracotta in cui veniva modellata) fatta di marzapane, pan di Spagna e ricotta dolce, e i cannoli alla siciliana (in origine cappelli di turchi) fritti, tubi di pasta dolce e fritta riempiti di ricotta zuccherata.[35]

Note[modifica]

  1. 1,0 1,1 1,2 Massimo Montanari, Cereali e legumi, in Uomo e ambiente nel Mezzogiorno Normanno - Svevo. Centro studi normanno svevi dell'Università degli Studi di Bari
  2. Hans J. Teuteberg, "Periods and Turning-Points in the History of European Diet: A Preliminary Outline of Problems and Methods" in Food in Change, pp. 16–18.
  3. Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Kisban
  4. Adamson (2004), pp. 1–5.
  5. Scully (1995), pp. 35–38.
  6. Scully (1995), p. 71.
  7. I cavoli e gli altri cibi consumati frequentemente dalla maggior parte delle genti di lingua tedesca sono elencati nel dietario di Walther Ryff del 1549 e nel Deutsche Speißkamer (It. La dispensa tedesca) di Hieronymus Bock del 1550; vedi Melitta Weiss Adamson, "Medieval Germany" in Regional Cuisines of Medieval Europe, p. 163.
  8. Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Scully 1995, p. 70
  9. Adamson (2004), pp. 19–24.
  10. "Ippocrate e Galeno lo consigliano solo per uso medicinale, sottolineando i numerosi pericoli del latte sotto il profilo alimentare". In: Massimo Montanari, Ruolo del latte e dei formaggi nel Medioevo, mondimedievali.net. URL consultato il 20-01-2010.
  11. Scully (1995), p. 14.
  12. Scrittori del "primo Medioevo, come Giordane, [...] a proposito dei Goti Minori scrive che conoscono, sì, grazie ai contatti con i popoli vicini, quella meravigliosa bevanda di civiltà che è il vino, ma ciononostante restano fedeli al latte, loro bevanda tradizionale". In: Massimo Montanari, Ruolo del latte e dei formaggi nel Medioevo, mondimedievali.net. URL consultato il 20-01-2010.
  13. 13,0 13,1 13,2 13,3 13,4 Massimo Montanari, Ruolo del latte e dei formaggi nel Medioevo
  14. Adamson (2004), p. 45.
  15. Hans J. Teuteberg, "Periods and Turning-Points in the History of European Diet: A Preliminary Outline of Problems and Methods" in Food in Change, p. 18.
  16. Adamson (2004), pp. 46-7; Johanna Maria van Winter, "The Low Countries in the Fifteenth and Sixteenth Centuries" in Regional Cuisines of Medieval Europe, p. 198.
  17. Adamson (2004), pp. 30–33.
  18. Simon Varey, "Medieval and Renaissance Italy, A. The Peninsula" in Regional Cuisines of Medieval Europe, p. 89.
  19. Adamson (2004), pp. 33–35.
  20. Adamson (2004), p. 164.
  21. La classificazione piuttosto estemporanea dell'oca facciabianca come pesce non era universalmente accettata: l'Imperatore del Sacro Romano Impero Federico II esaminò i cirripedi e non vide alcuna prova del fatto che contenessero embrioni di uccelli; il segretario di Leone di Rozmital scrisse un resoconto della sua reazione piuttosto scettica quando gli venne servita l'oca come cena in un giorno di magro del 1456. Henisch (1976), pp. 48–49.
  22. Melitta Weiss Adamson, "The Greco-Roman World" in Regional Cuisines of Medieval Europe, p. 11.
  23. Adamson (2004), pp. 45–39.
  24. Adamson (2004), p. 65. A titolo di paragone, la popolazione stimata della Gran Bretagna prima della Peste nera era di solo 5 milioni di persone, che si ridusse a 3 milioni entro il 1450; vedi J.C Russel "Population in Europe 500–1500" in The Fontana Economic History of Europe: The Middle Ages, p. 36.
  25. Adamson (2004), pp. 15–19, 28.
  26. Scully (1995), p. 86.
  27. Adamson (2004), pp. 11–15.
  28. 28,0 28,1 Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore agresto
  29. Scully (1995), p. 111–12.
  30. Adamson (2004), pp. 26–27.
  31. Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Scully 1995, pp. 135–136
  32. Adamson (2004), p. 89.
  33. Adamson (2004), p. 97.
  34. Adamson (2004), p. 110.
  35. Habeeb Saloum, "Medieval and Renaissance Italy: B. Sicily" in Regional Cuisines of Medieval Europe, pp. 120–121.