Utente:Samuele2002/Sandbox/87

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Samuele2002/Sandbox/87
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Economia e politica agroalimentare: le politiche UE

I principali trend evolutivi del settore agricolo[modifica]

L’agricoltura non è più l’unico soggetto fondamentale della produzione agro alimentare, questo poteva essere vero negli anni ’50, oggi non è più vero. Il funzionamento delle imprese agricole dipende sempre di più dalle relazioni con i soggetti a monte e a valle. Il meccanismo della filiera è un meccanismo molto integrato.

1970 1980 1990 2000 2014
Agricoltura (AGR)
VA AGR/VA tot. (%) 8.1% 5.9% 3.3% 2.4% 2.2%
Occupanti AGR/Occupanti tot. (%) 20.1% 13.4% 7.5% 4.6% 3.7%
Industria alimentare (IA)
VA IA/VA tot. (%) 3.8% 2.8% 2.6% 2.7% 1.8%
VA IA/VA industria (%) 11.6% 8.5% 9.1% 10.4% 11.4%
Occupati IA/Occupati tot. (%) 2.2% 2.2% 2.2% 2.1% 1.8%
Occupanti IA/Occupanti industria (%) 7.8% 7.4% 8.4% 9.2% 11.2%
VA AGR/VA (AGR+IA) (%) 68.3% 67.9% 56.4% 47.5% 55.0%
Consumi alimentari (CA)
CA/Consumi tot. (%) 36.7% 27.8% 20.3% 16.2% 18.5%
VA (AGR+IA)/CA (%) 49.5% 47.6% 44.7% 44.6% 31.2%

L’agricoltura ha un peso sempre meno importante nell’economia complessiva (2% del PIL). Quindi è un settore che si sta restringendo ma che acquisisce importanza perché è fortemente integrato con i settori a monte e a valle. Altri aspetti importanti da evidenziare è il fatto che il peso del valore della materia prima sul prodotto finale è sempre meno importante (VA AGR/VA (AGR + IA)): il peso dell’industria alimentare sale e il peso della trasformazione cresce sempre di più. Il contenuto in servizio dei prodotti è un trend in crescita. La distribuzione del valore aggiunto tende a favorire i soggetti a valle della filiera. Oggi non siamo più di fronte all’esigenza dell’autosufficienza alimentare, perché vi è l’importazione. Se un paese che non è specializzato nella produzione di un certo alimento, lo acquista dall’estero al posto di produrlo internamente questo può generare dei vantaggi per i produttori.

Le politiche dei prezzi e dei mercati[modifica]

Le politiche dei prezzi e dei mercati sono stati il cuore della PAC fino agli anni ’90. Fare politica agricola fino agli anni ’90 ha voluto dire incidere sui prezzi dei prodotti agroalimentari e quindi intervenire sul funzionamento dei mercati. Questa politica dei prezzi e dei mercati è stata concepita come naturale applicazione degli obiettivi del Trattato di Roma. Nei primi anni di applicazione della politica agricola, le politiche dei 6 paesi membri sono state adeguate a questo modello, ma soprattutto mentre i paesi aderenti all’UE armonizzavano le politiche di sostegno al settore agricolo, liberalizzavano il commercio interno abbattendo le barriere interne. Questo è un processo che continua ancora oggi perché l’UE continua ad allargarsi. La gradualità era necessaria per il processo di abbattimento delle barriere doganali tra gli SM.

I principi base della PAC[modifica]

Le politiche dei prezzi e dei mercati si basavano su tre principi sanciti dal Trattato di Roma, che valgono ancora oggi, anche se le politiche sono profondamente cambiate:

  • Unicità del mercato: abbattimento totale di qualunque barriera doganale tra i paesi all’interno dell’UE, il che significa che vi è libera circolazione dei prodotti agro – alimentari tra gli SM.
  • Preferenza comunitaria: i prodotti UE vengono favoriti rispetto ai prodotti importati, attraverso l’applicazione di barriere doganali comuni.
  • Solidarietà finanziaria: gli stati membri contribuiscono al budget comune indipendentemente dal fatto che ne beneficino nella stessa misura oppure no.

Lo schema classico delle politiche di mercato[modifica]

Le OCM furono realizzate per tutti i prodotti agricoli principali, seppure con livelli di protezione/supporto diversi. Oggi si parla di OCM unica, nel senso che le regole di funzionamento dei meccanismi di sostegno alle aziende agricole sono gli stessi indipendentemente da quello che le aziende producono. Come funzionavano le organizzazioni comuni di mercato? L’elemento comune più importante era il cosiddetto prezzo obiettivo: era un prezzo politico che veniva deciso dai ministri dell’UE, un prezzo che veniva considerato equo in termini di remunerazione di attività per gli agricoltori. Quindi si fissava un prezzo che doveva essere il prezzo per quel prodotto nell’UE e poteva essere slegato dai prezzi di mercato, quindi essere esageratamente alto. Tutti gli strumenti di funzionamento del mercato venivano modellati intorno a questo prezzo. Come? Se il prezzo obiettivo era più alto del prezzo mondiale bisognava mettere una barriera alla frontiera, per impedire l’ingresso di prodotti da paesi terzi a prezzo più basso, e questa barriera non era una tariffa ma un prelievo variabile, cioè il prezzo obiettivo portato alla frontiera che è la differenza tra prezzo soglia e il prezzo mondiale. Il prezzo soglia era pari al prezzo obiettivo meno i costi di trasporto tra il porto principale di accesso e la zona più deficitaria. Un prelievo variabile stabilisce un prezzo soglia fisso molto più alto che non cambia mai, questo vuol dire che se il prezzo mondiale sale in realtà il prezzo soglia scende e il prezzo di ingresso dei prodotti nell’UE non cambia. Con un meccanismo di questo genere i prodotti entrano a prezzo stabile, con il meccanismo delle tariffe le importazioni entrano a prezzo variabile. Quindi i prezzi dei prodotti agro – alimentari oggi sono molto più volatili. Per mantenere questa differenza, se c’è eccesso di offerta, tra il prezzo interno e il prezzo mondiale bisognava versare un sussidio all’export. Gli esportatori potevano quindi godere di una restituzione all’export (sussidio) in tutti i casi in cui il prezzo mondiale era inferiore al prezzo interno. L’unico meccanismo che non esiste più è quello dei prelievi variabili. Come si fa a mantenere il prezzo interno? Il prezzo interno perché non scendesse al di sotto di un certo minimo, veniva garantito attraverso un prezzo di intervento, che è un prezzo minimo garantito che in ogni paese membro attivava gli acquisti pubblici. Quando il prezzo scendeva sotto questo livello minimo, gli agricoltori al posto di vendere sul mercato vendevano alle agenzie dell’UE. I costi di stock venivano sostenuti anche mediante aiuti allo stoccaggio privato.


Le politiche dell’UE fino agli anni ’90 sono state politiche di prezzo, per mantenere il prezzo interno alto con strumenti come tariffe, prelievi variabili, sussidi.

Il sostegno dei prezzi in autarchia[modifica]

File:Il sostegno dei prezzi in autarchia.png

In un mercato chiuso giudichiamo che per i produttori il prezzo Pc è troppo basso. Allora si stabilisce un prezzo minimo garantito superiore (Ps). Come funziona? Se noi non vogliamo far scendere il prezzo, cioè i consumatori possono comprare solo al prezzo Ps o superiore, la curva di domanda si modifica, diventando perfettamente elastica. Per diventare perfettamente elastica, bisogna che vi sia l’acquisto da parte dell’autorità dell’eccesso di domanda. Quanto costa l’acquisto? Il costo per il governo è rappresentato da Qds Qss (rettangolo fino alla domanda). Se le condizioni di mercato cambiano, questa spesa può essere parzialmente recuperata vendendo il prodotto immagazzinato. Dipende però dal livello del prezzo, se è molto alto, è molto facile che le scorte non si possano rivendere e quindi si accumulano nei magazzini. Se il prezzo è vicino al prezzo di mercato, allora può succedere che si creino le condizioni per rivendere le scorte che sono state accumulate.

Il sostegno dei prezzi in un’economia aperta[modifica]

File:Il sostegno dei prezzi in un’economia aperta.png

Sul mercato mondiale abbiamo un eccesso di offerta se il prezzo sta sopra al prezzo di equilibrio e un eccesso di domanda se il prezzo sta sotto al prezzo di equilibrio. Proviamo a immaginare una situazione in cui abbiamo un prezzo mondiale pari a Pw, se il mercato fosse libero il paese sarebbe un importatore. Se però l’autorità regolatoria stabilisce che il prezzo minimo garantito agli agricoltori è più alto del prezzo mondiale allora il paese diventa esportatore. Questo prezzo per mantenerlo da un lato attraverso una barriera alle importazioni (prelievo variabile o tariffa), la domanda diventa perfettamente elastica e l’eccesso di offerta diventa fisso. Se il prezzo si mantiene a questo livello, il surplus deve essere esportato. Il modo per coprire questo surplus è coprirlo con un sussidio. Il costo della spesa è il sussidio all’export moltiplicato per la quantità che voglio esportare (rettangolo export da ESw a ES). In un mercato aperto per mantenere il prezzo alto devo quindi avere una barriera per impedire che il prodotto a basso prezzo entri sul mercato, e avere dei soldi a disposizione per sussidiare l’esportazione del surplus che si crea.


Oggi i prezzi minimi garantiti sono molto più vicini ai prezzi mondiali.

Il significato economico dello schema classico[modifica]

Negli anni ’50 l’UE era un importatore netto di alimenti e aveva un’agricoltura piuttosto arretrata. Qual è l’impatto economico del sostegno dei prezzi? Dagli anni ’50 c’è stato un forte incentivo all’intensificazione della produzione e agli investimenti per nuove tecnologie (la meccanizzazione dell’agricoltura è di quel periodo). Questo incentivo all’innovazione tecnologica si è tradotto in una crescita della produttività (la resa è cresciuta). Ci sono stati però una serie di problemi associati a questa grande crescita e grande sviluppo.

  1. I prelievi variabili isolavano il mercato interno dalle fluttuazioni sui mercati internazionali: avere prezzi stabili a fronte di prezzi mondiali volatili.
  2. Siccome l’UE è un grande paese esportatore, i sussidi all’esportazione tendono a deprimere i prezzi mondiali, cioè se regolarmente usiamo questi sussidi, i prezzi mondiali tendono a scendere. L’UE quindi già dall’inizio era un grande paese esportatore, che con i volumi che esportava grazie ai sussidi, finiva per deprimere i prezzi mondiali, creando dei problemi per gli agricoltori degli altri paesi, che si trovavano a produrre a prezzi più bassi.
  3. In questo meccanismo fino agli anni ’90 non c’erano forme di pagamento diretto agli agricoltori, il sostegno al reddito degli agricoltori veniva praticato in modo indiretto attraverso i prezzi alti.
  4. Ci sono quindi sicuramente dei costi espliciti di questa politica: gestione dei magazzini, i costi dei sussidi all’export (se i prezzi mondiali scendono, i costi dei sussidi diventavano sempre più alti).
  5. I costi della politica sono nascosti: pagati dai consumatori sul mercato interno (prezzi alimentari più alti) e dagli agricoltori dei paesi terzi (producevano a prezzi più bassi).

L’impatto delle politiche degli anni ’60, ’70, ‘80[modifica]

L’UE diviene esportatore netto di quasi tutti i prodotti alimentari, questo vuol dire che l’offerta crebbe più velocemente della domanda cresce ma meno velocemente dell’offerta.

L’impatto del sostegno dei prezzi sull’agricoltura UE[modifica]

File:Impatto del sostegno dei prezzi sull’agricoltura UE.png

Se abbiamo un paese importatore netto con un deficit molto grande, con il sostegno dei prezzi negli anni ’60 il paese rimane importatore netto, con il risultato che l’UE da questa politica incassa dei soldi, perché i soldi versati sono da parte dell’importatore dell’UE. Se inizialmente avevamo un guadagno netto per il governo per i prelievi all’importazioni, quando la domanda cresce ma meno velocemente dell’offerta, quindi l’offerta si era spostata molto di più della domanda. Al nuovo prezzo mondiale il paese rimane importatore, ma con il sostegno dei prezzi diventa un paese esportatore e il ricavo netto diventa un costo.

Quindi:

  • La spesa UE per l’agricoltura crebbe drammaticamente, spesa fatta di sussidi e gestione delle scorte.
  • La distribuzione dei benefici di quella politica tendeva a favorire le grandi imprese (che producevano di più, quindi con i prezzi alti ci guadagnano di più) e i paesi del Nord Europa (perché erano produttori dei prodotti più protetti es. cereali). La politica UE ha protetto più i prodotti continentali (cereali, carne, latte) che quelli mediterranei (vino, olio e ortofrutta).
  • L’intensificazione della produzione amplificava l’impatto ambientale dell’attività agricola (si usavano più pesticidi, ecc.).
  • Le politiche commerciali erano fonte di forti tensioni commerciali con i paesi terzi, le guerre commerciali erano all’ordine del giorno. Non esisteva il WTO né regole comuni.


Per queste ragioni nel tempo l’UE è stata costretta a modificare la sua struttura della politica di sostegno dei prezzi.

Le riforme degli anni ‘80[modifica]

La cosa più ovvia da fare era ridurre i prezzi, però politicamente era molto difficile perché appunto siamo ancora in una situazione in cui la maggior parte della popolazione era occupata in agricoltura. Si dovettero quindi adottare dei provvedimenti diversi.

  1. Riduzione (limitata) dei prezzi minimi garantiti.
  2. Introduzione degli stabilizzatori di bilancio (riduzione automatica dei prezzi minimi garantiti quando la spesa cresceva oltre una certa soglia)
  3. Una cosa molto importante che è arrivata fino ai giorni nostri, sono stati gli strumenti di controllo dell’offerta, che sono strumenti che tendono a limitare l’offerta: quote di produzione per il latte che si sono esaurite solo lo scorso anno; le quote di produzione dello zucchero che si esauriranno il prossimo anno; riposo forzato dei terreni (set aside).

L’impatto di una quota di produzione[modifica]

L’impatto di una quota di produzione in autarchia[modifica]

File:L’impatto di una quota di produzione in autarchia.png

Si può senza dubbio scrivere che non si può produrre più di un tot, ma per renderlo efficace bisogna distribuire la quota alle singole aziende e multare la singola azienda che va oltre la propria quota (meccanismo quote latte). Ovviamente le aziende grandi avevano quote più grandi e le aziende piccole avevano quote più piccole. Se la quota veniva superata durante l’anno, l’azienda doveva pagare una multa, che era più o meno uguale al costo del latte, quindi è come se dopo la quota si producesse gratis. Questo è l’unico modo per far diventare l’offerta rigida, con il risultato che il surplus si riduce. Quindi una quota consente di ridurre il surplus.


Strumenti di questo tipo come le quote irrigidiscono il mercato in modo fortissimo, perché il mercato non può rimanere stabile per 30 anni perché ci sono aziende che entrano e che escono, aziende che si accorpano e quindi diventano di dimensioni più grandi, ma tutte queste operazioni implicavano avere la quota da produrre acquistandola sul mercato; dato che le quote erano commerciabili produrre latte implicava il costo d’acquisto o di affitto della quota latte, quindi aumentavano anche i costi e l’offerta si irrigidiva. la quota latte diventava un asset indispensabile per produrre (es. se ho quota latte di 80 e voglio produrre 100, la differenza di 20 la dovevo comprare o affittare sul mercato). Di fatto ci si dimentica il lato B della questione, che era che le quote erano state messe perché nel mercato UE i prezzi volevamo mantenerli più alti dei prezzi mondiali, quindi la quota era lo strumento per tenere i prezzi sul mercato europeo più alti di quelli mondiali.

L’impatto di una quota di produzione in un'economia aperta[modifica]

File:L’impatto di una quota di produzione in un'economia aperta.png

Il risultato di queste politiche non fu all’altezza delle attese, cioè controllare l’offerta ebbe sì dei risultati positivi nel controllo della spesa perché i surplus erano meno abbondanti, sia quelle delle colture vegetali su cui vi erano i set aside (che ora è stato abolito), sia i prodotti su cui vi erano le quote. Le guerre commerciali però continuavano, perché non è con la quota che si incide sul fatto che i surplus ci sono e vengono esportati deprimendo i prezzi mondiali. Non vi fu nessun impatto sulla distribuzione iniqua dei benefici, anche con le quote continuavano a guadagnare i paesi più grandi e le imprese più grandi. Nessun impatto in termini di riduzione degli effetti ambientali negativi, si continuava a produrre in modo intensivo.

Le riforme degli anni ’90[modifica]

Obiettivi[modifica]

Negli anni ’90 vi erano forte tensioni commerciali, forte impatto ambientale della crescita agricola, forte iniquità nella distribuzione dei benefici della politica. Nel ’92 e nel ’99 si ebbero due riforme molti importanti della politica agricola (MacSharry e Agenda 2000), quindi negli anni ’90 la politica cambiò notevolmente. Nuovi obiettivi, oltre ai già esistenti:

  • Enfatizzare i rapporti dell’agricoltura con la produzione di alimenti, quindi tener conto cosa succedeva nell’agricoltura, perchè se non c’era lavoro la valorizzazione della materia prima non ci poteva essere.
  • Impatto ambientale: movimenti ambientalisti sono una realtà degli anni ’90 e il fatto di prendere di mira l’impatto ambientale è sempre di quegli anni (es. contestare l’uso eccessivo dei prodotti chimici).
  • Impatto della politica sul mercato internazionale: le guerre commerciali iniziavano ad essere un problema
  • Riprendere un obiettivo della politica agricola originale, ma su cui le risorse erano state sempre esigue da non averlo mai fatto decollare, cioè guardare allo sviluppo delle aree rurali in modo complessivo (nelle campagne e sulle montagne si deve poter vivere).

Nei documenti ufficiali delle due riforme, si rendono espliciti i seguenti obiettivi:

  • Mantenere un numero adeguato di imprese agricole, confermando il modello UE dell’agricoltura familiare: l’impresa agricola tipica dell’UE è un’impresa familiare di piccole dimensioni.
  • Riconoscere il ruolo multifunzionale dell’agricoltura, che va oltre la produzione di cibo (es. conservazione dell’ambiente e del paesaggio, sviluppo rurale): dagli anni ’90 in poi bisognava trovare nuovi motivi se si voleva sostenere l’agricoltura, perché produrre di più era diventato un problema e non un obiettivo, ma si voleva continuare a sostenere l’agricoltura perché persegue obiettivi che vanno oltre la nutrizione, come la conservazione dell’ambiente e del paesaggio, lo sviluppo delle aree rurali, ecc.
  • Promuovere l’integrazione dell’agricoltura con altri settori produttivi nelle aree rurali (es. agriturismo, artigianato) per stimolare lo sviluppo economico e l’occupazione.
  • Promuovere la compatibilità ambientale dell’agricoltura attraverso tecniche produttive meno intensive (es. ridurre uso prodotti chimici) e l’attenzione al benessere animale.
  • Promuovere la qualità e la sicurezza degli alimenti: le certificazioni e le denominazioni d’origine nascono in questi anni, così come l’attenzione alla sanità degli alimenti.
  • Promuovere la competitività dei prodotti agricoli UE sui mercati internazionali: l’ammissione di riavvicinare i prezzi interni ai prezzi mondiali, che è l’unico modo di rendere più competitivi i prodotti UE.
  • Mantenere sotto controllo la produzione agricola e la spesa per le politiche

Strumenti[modifica]

La novità più importante di tutte è il passaggio dal sostegno dei prezzi al sostegno dei redditi, cioè dagli anni ’90 gli agricoltori intascano somme di denaro versate loro direttamente dalle casse dell’UE, prima non c’era nessun trasferimento di denaro dalle casse dell’UE agli agricoltori, quindi vi era un sostegno indiretto. Da allora c’è un sostegno diretto dei prezzi attraverso pagamenti erogati dalle casse dell’UE. Poi vi furono altre novità:

  • Programmi di valorizzazione della qualità alimentare: indicazioni geografiche DOP e IGP
  • Incentivi per i programmi agro ambientali volontari: veniva premiato chi produceva in modo meno intensivo, cioè dare incentivi a chi produce prodotti con un utilizzo più ridotto di prodotti chimici (es. prodotti a lotto integrato, dove i prodotti chimici vengono usati solo in casi particolari). Esempi sono: agricoltura biologica, conservazione razze animali rare, conservazione di habitat naturali e di elementi di paesaggio rurale.
  • Incentivi per i programmi di afforestazione: non molto importanti in Italia, quindi creare boschi e foreste dove prima si produceva in modo intensivo.
  • Incentivi per il pensionamento degli agricoltori e il ricambio generazionale.

Il passaggio al sostegno diretto dei redditi agricoli avvenne con i seguenti interventi:

  • I prezzi di intervento dei cereali sono stati ridotti del 30% nel 1992 e un altro 15% nel 1999, quindi quasi dimezzato. Già negli anni ’90 si era deciso di ridurre i prezzi dei prodotti lattiero – caseari; la differenza tra i prezzi mondiali e i prezzi interni dell’UE nel mercato del latte è sempre stata elevatissima, ma proprio perché è un mercato molto importante dato che il latte si produce dappertutto ed è la base di molte industrie di trasformazione. Per avvicinare i prezzi quindi si sarebbe dovuto agire dello stesso ordine di grandezza anche qui (40-50% di riduzione) ma negli anni ’90 si decise di ridurre del 25% il prezzo del burro e del 15% il prezzo del latte, applicato però solo nel decennio successivo.
  • Introduzione di pagamenti per ettaro per cereali (frumento, mais, orzo), oleaginose (soia, girasole) e proteaginose (piselli e fagioli), calcolati su base storica, ma differenziati per coltura e per regione (parzialmente disaccoppiati perché di fatto chi voleva guadagnare di più da questi aiuti poteva investire una superficie superiore; sostegno legato a cosa si produce).
  • Negli allevamenti inizialmente solo i bovini da carne e poi quelli da latte sono stati introdotti dei pagamenti per capo allevato su base storica, cioè quanto davano per ettaro dipendeva dalla resa media di una certa zona negli anni precedenti alla riforma.
  • Graduale estensione dei pagamenti diretti agli altri settori (dal 1999: lattiero – caseari, pomodoro, olio d’oliva, tabacco, zucchero, ecc.).

Risultati[modifica]

Le riforme degli anni ’90 portarono risultati solo parzialmente in linea con gli obiettivi dichiarati:

  • Riduzione delle tensioni commerciali: con quelle riduzioni di prezzo i prezzi europei si avvicinavano ai prezzi mondiali e questo ha reso possibile la conclusione dei negoziati commerciali. Inoltre l’introduzione delle tariffe rimuoveva il problema dell’isolamento del mercato europeo.
  • Riduzione minima dell’impatto ambientale delle attività agricole: ci fu un minimo di effetto ma non fu decisivo, nel senso che non ci fu l’abbandono dei prodotti chimici ma ci fu una certa riduzione.
  • Forti distorsioni dovute ai pagamenti differenziati per coltura/capo allevato (es. allocazione della terra).
  • Ci si proponeva di ridurre la spesa ma ci si accorse che sostituire un sostegno indiretto pagato dai consumatori con il sostegno dell’UE, fece crescere la spesa agricola UE per i settori interessati dai pagamenti diretti (sostegno al reddito più trasparente) al contrario quindi di quello che ci si era proposti.
  • Da questi anni ad oggi la PAC tende ad essere distinta in due componenti che in gergo vengono chiamati pilastri. Il primo pilastro sono le politiche di sostegno diretto agli agricoltori; il secondo pilastro sono le politiche di sviluppo rurale, i programmi per la riduzione dell’impatto ambientale, le politiche della qualità.

Le riforme degli anni 2000 (Parte 1)[modifica]

Motivazioni[modifica]

Cosa è successo negli anni 2000? In continuità con le riforme degli anni ’90, con la riforma Fischler, è stata rivoluzionata la struttura dei pagamenti diretti. Nel 2008 c’è stato un ulteriore aggiustamento della politica agricola che è stato chiamato Health Check. Le riforme erano motivate da fortissime ragioni politiche:

  • Rendere la PAC compatibile con l’allargamento ad Est dell’UE: negli anni 2000 c’è stato un allargamento ad Est dell’UE. Questo ha voluto dire incorporare paesi con una situazione economica molto diversa, paesi molto arretrati da un certo punto di vista (es. nuove tecnologie). I paesi più forti dovevano aiutare questi nuovi paesi per riequilibrare la situazione economica dell’UE.
  • Controllare la spesa, prevista in crescita come conseguenza dell’allargamento.
  • Bisognava creare consenso per continuare a sostenere il settore agricolo UE.
  • Preparare l’UE ad un nuovo round di negoziati commerciali (poi bloccati per varie ragioni).

Obiettivi[modifica]

Le riforme degli anni 2000 sono state costruite intorno a tre obiettivi principali, che riassumono e sintetizzano quanto già abbozzato nelle riforme precedenti:

  • Aumentare la competitività avvicinando i prezzi ai prezzi mondiali, e l’orientamento al mercato delle produzioni agricole, cioè riconoscimento che i meccanismi in vigore fino ad allora avevano creato delle distorsioni (es. incentivi in una certa area per un certo prodotto, tutti producevano quel prodotto in quell’area), quindi bisognava eliminare queste distorsioni.
  • Aumentare la sostenibilità ambientale della produzione agro – alimentare.
  • Rinforzare le politiche del secondo pilastro della PAC (politiche strutturali, politiche agro – ambientali, politiche di sviluppo rurale, qualità e sicurezza degli alimenti).

Strumenti del primo pilastro[modifica]

Per quanto riguarda il primo pilastro della PAC, il cuore della riforma del 2003 è stato il disaccoppiamento del sostegno, attraverso:

  • Trasformazione dei meccanismi di sostegno dei prezzi in reti di sicurezza (safety net): continua ad esserci la possibilità di intervenire sul mercato ed acquistare le eccedenze a prezzo minimo garantito che quindi c’è ancora ma è molto basso e funziona solo in presenza di gravi crisi di mercato e non genera eccedenze, perché anche quando entra in vigore le scorte che si sono accumulate vengono rivendute tranquillamente.
  • Conversione di tutti i pagamenti diretti (pagamenti per il frumento, girasole, ecc.) in un Pagamento Unico Aziendale (PUA/SFP in inglese). Il PUA è totalmente svincolato dalla quantità prodotta ma inoltre è totalmente svincolato dal tipo di prodotto.
  • Obbligo di ottemperare ad una serie di obblighi per ottenere il PUA: mantenere i terreni in condizioni adeguate, cioè i terreni non devono essere abbandonati anche se non si produce in un determinato periodo; dimostrare di seguire le norme per il benessere animale, uso del lavoro (no lavoratore in nero). In gergo queste condizioni che devono essere rispettate si chiamano cross – compliance.
  • Eliminazione di alcuni strumenti di controllo dell’offerta:
    • Abolizione del set – aside obbligatorio (dal 2005)
    • Aumento graduale quote latte (dal 2008) fino all’abolizione nel 31 marzo 2015
  • Semplificazione delle regole delle varie OCM, fino a giungere alla cosiddetta OCM unica, con regole comuni riguardanti tutti i prodotti:
    • Intervento pubblico mediante safety – net
    • Aiuti allo stoccaggio privato (tipicamente stagionale): si continuano a dare aiuti agli immagazzinatori per tenere i prodotti in magazzino nei mesi in cui le vendite sono più basse
    • Erogazione dei pagamenti diretti
    • Funzionamento degli strumenti di politica commerciale (tariffe all’importazione, quote a tariffa ridotta, sussidi all’export).

La volatilita’ dei prezzi nel mercato del latte[modifica]

File:La volatilita’ dei prezzi nel mercato del latte.png

Siamo nei primi anni 2000, la riduzione dei prezzi di intervento è stata applicata dal 2004. Il prezzo di intervento che è la linea blu, negli anni 2000 era ancora più o meno agli stessi livelli di fine anni ’80. L’intervento (immagazzinaggio) non si può fare sul latte ma solo per il burro e il latte in polvere scremato. Il latte che non si riesce a vendere viene quindi trasformato in burro o latte in polvere, ma i prezzi di intervento del burro e del latte in polvere sono fissati tenendo conto di quanto burro e quanto latte in polvere si può fare da un litro di latte, quindi si può calcolare implicitamente da quanto è il prezzo di un litro di latte. Questo prezzo era 283 per tonnellata (28 cent. a litro) negli anni 2000. Nel 2004 il prezzo è iniziato a scendere fino ad arrivare a oggi che vale 21 cent. a litro. Grazie all’abbassamento del prezzo di intervento si vede che quando i prezzi mondiali vanno su, i prezzi europei più o meno si adattano. Quando però i prezzi a livello mondiale crollano (2009) i prezzi europei vanno giù di molto (circa 15 cent. a litro e un‘azienda per sopravvivere deve avere un prezzo di 30). Il prezzo mondiale si è poi ripreso, e l’UE ha acquistato molte scorte di latte in polvere che poi è stato subito rivenduto.

Il funzionamento del PUA[modifica]

Chi ne ha diritto? Ne hanno diritto gli agricoltori attivi, cioè i soggetti che dimostrano di essere proprietario della terra e di coltivarla o un affittuario della terra e di utilizzarla. Di fatto, se vi è un proprietario terriero che non è coltivatore e affitta la terra, gli affittuari ricevono gli aiuti e i proprietari aumentano gli affitti. Ogni stato membro ha avuto a disposizione un budget calcolato su una base storica (periodo di riferimento) che è il periodo 2000 – 2002. Dopo di che ogni agricoltore ha ottenuto nel 2005 dei titoli di credito il cui valore è stato calcolato dividendo un valore individuale di riferimento per il numero di ettari eligibili (cioè che potevano ricevere l’aiuto), perché ogni titolo fa riferimento a un ettaro (10.000 m2). Perché questo meccanismo? Perché l’idea era che questi titoli per essere riscossi ogni anno, dovevano essere in qualche modo associati a un ettaro coltivato. Questi ettari eligibili escludevano l’ortofrutta, le colture permanenti (frutteti e vigneti), la superficie boschiva; successivamente sono stati tutti inclusi tranne i terreni boschivi, perché non sono stati considerati come attività agricola.

Gli stati membri avevano tre opzioni per calcolare il valore dei titoli:

  • Modello storico: applicato da più paesi e prendeva a riferimento le erogazioni individuali. Ogni azienda se aveva ricevuto un certo ammontare, riceveva titoli in proporzione a quell’ammontare.

Es. azienda da latte riceve 10.000 euro di pagamenti con 10 ettari di superficie tra il 2000 e il 2002, aveva diritto ad avere 10 titoli da 1000 euro. L’ammontare individuale era pari esattamente alla media degli aiuti ricevuti dall’agricoltore nel periodo di riferimento. In questo modo, per ogni agricoltore il valore di ciascun titolo era omogeneo, ma agricoltori diversi potevano avere titoli di valore molto diverso.

  • Modello regionale: invece di fare riferimento alle singole aziende, si identificava una regione omogenea dal punto di vista agricolo, si prendevano i valori di tutte le aziende e se ne faceva una media, quindi si calcolava il budget complessivo e si divideva per gli ettari complessivi, e i titoli avevano valore identico per tutte le aziende, quindi si livellavano gli aiuti. Questo modello è stato adottato da pochissimi paesi, anche se nel tempo molti paesi son passati dal modello storico al modello regionale. L’ammontare di riferimento quindi era calcolato a livello regionale e distribuito tra gli aventi diritto in modo che tutti gli agricoltori di una regione avessero lo stesso valore ad ettaro dei titoli.
  • Modello ibrido: regionalizzare ma mantenendo una distinzione a seconda del budget individuale precedente.

Il problema è che questi titoli, erano e sono ancora oggi, commercializzabili, anche senza la terra. Questo vuol dire che se un agricoltore cessa l’attività o cambia il diritto produttivo o fa qualcosa per cui non è più interessato ad avere quei titoli, li può vendere sul mercato realizzando un valore di mercato che dipenderà dal diritto per un certo numero di anni di avere quelle erogazioni.

Il PUA puo’ essere considerato realmente disaccoppiato?[modifica]

Con questo meccanismo, erogare dei soldi a delle aziende è davvero un elemento neutrale rispetto alle loro scelte o no? Questi meccanismi sono regolati dalle regole del WTO, dove vi è una corrente importante di paesi (emergenti in particolare, che hanno un’agricoltura molto importante, ma che non hanno un finanziamento delle proprie aziende fatto in questo modo) che sostengono che questi aiuti dovrebbero essere abbattuti perché creano distorsioni alla concorrenza. Anche erogando aiuti che non alterano le scelte produttive come era in passato, c’è da capire se questi aiuti creano condizioni di business diversi tra agricoltori europei o americani che utilizzano meccanismi simili. Questo è un tema che dal punto di vista economico è piuttosto interessante; aiutare gli agricoltori attraverso aiuti non è totalmente neutrale rispetto alle loro scelte cognitive. Bisogna capire se sono rilevanti oppure no. Motivi:

  1. Effetti strutturali: gli agricoltori inefficienti (quelli che hanno costi superiori ai ricavi di mercato, e che quindi nel lungo periodo chiuderebbero la loro attività) possono essere mantenuti sul mercato grazie al PUA.
  2. Effetti legati al rischio: il PUA è un reddito sicuro, ma per gli agricoltori i ricavi normalmente non sono molto sicuri (causa volatilità dei prezzi e resa dei prodotti), quindi avere un pezzo di ricavo sicuro può stimolare gli agricoltori a produrre di più.
  3. Effetti legati al mercato del credito: la garanzia del PUA (reddito sicuro) può facilitare l’accesso al credito degli agricoltori
  4. Effetti sugli investimenti: siccome c’è reddito sicuro e facilità di accesso ai crediti, questo può stimolare investimenti delle aziende e incrementare la produttività
  5. Effetti sul prezzo della terra: il valore degli aiuti viene in parte capitalizzato nei prezzi dei terreni

Le riforme degli anni 2000 (Parte 2)[modifica]

Strumenti del secondo pilastro[modifica]

Gli interventi in questo settore sono in qualche modo stati reinventati negli anni 2000. Il primo punto è quello che i pagamenti diretti agli agricoltori sono stati ridotti, per trasferire soldi dai pagamenti diretti erogate a tutte le aziende senza criterio alle modalità di erogazione previste dal secondo pilastro. Oggi il secondo pilastro vale un quarto del budget complessivo (all’inizio ne valeva solo il 5%). È stato stabilito di

delegare agli stati membri la redazione di questi Piani di Sviluppo Rurale (PSR) contenenti le misure di incentivo a tutti i programmi del secondo pilastro.

Fino al 2015 c’erano quattro aree di intervento nei piani di sviluppo rurale. Una delle cose più anomale di questi piani di sviluppo rurale era che l’UE aveva fissato in modo rigido le % di erogazione dei fondi.

  1. Competitività (35% del budget): investimenti aziendali, infrastrutture, prodotti di qualità, formazione, assistenza tecnica, ricambio generazionale
  2. Ambiente e spazio rurale (45%): programmi agro – ambientali, programmi per le aree svantaggiate
  3. Diversificazione e qualità della vita (14%): servizi di base, creazione d’impresa (in particolare di trasformazione), agriturismo
  4. Programmi LEADER (6%): sviluppo della comunità attraverso iniziative bottom – up, tipicamente concentrate sull’asse 3

Risultati[modifica]

Rispetto a quello che era stato fatto in passato, queste nuove politiche dell’UE hanno in qualche modo raggiunto dei risultati più confortanti. Oggi l’agricoltura europea e quella italiana è più orientata al mercato, nel senso che sono state superate le distorsioni più importanti; c’è stata una stagione in cui gli agricoltori sceglievano cosa produrre in base agli aiuti che ricevevano. Questo tipo di distorsioni sono state superate, quindi gli aiuti non influenzano più i tipi di produzione che fanno. Grazie ai nuovi meccanismi di sostegno dei prezzi che avvengono a prezzi più bassi, il mercato interno dell’UE è molto più integrato con quello internazionale, non c’è più l’isolamento che c’era un tempo anche se la volatilità dei prezzi è diventato un problema e questo ha riflessi importanti su tutta la filiera (prezzi volatili delle materie prime vogliono dire prezzi volatili dei prodotti finali). C’è stata inoltre una sostanziale uscita senza traumi dalle misure di controllo dell’offerta. c’era molta paura che togliere le quote potesse voler dire un crack del mercato. Ora, se parliamo con gli agricoltori vi dicono che il mercato del latte oggi è al disastro perché è successo che il prezzo europeo è sceso ancora e questo ha creato il panico, ma non è legato al problema delle quote.

Rapporto tra produzione di latte e quota latte nella UE[modifica]

File:Rapporto tra produzione di latte e quota latte nella UE.png

Oggi ancora nell’UE si produce molto meno di quello che era la quota complessiva. Vediamo che nel 2015 producevamo ancora meno della quota che è stata tolta, e le previsioni dicono che si raggiungerà il livello di produzione della quota dopo il 2020. In termini aggregati siamo lontani dalla produzione massima prevista già dal giorno in cui le quote son state tolte.

Altra questione sono i cambiamenti nell’impatto ambientale dell’agricoltura, un obiettivo sempre dichiarato delle politiche agricole. Misurare l’impatto ambientale è difficile, ma non c’è dubbio che alcune misure agro ambientali che fanno parte dei piani di sviluppo rurale, hanno avuto grande successo (25% della superficie agricola UE è sotto programmi agro ambientali). Se gli agricoltori si impegnano ad applicare

tecnologie con impatti meno forti verso l’ambiente vengono premiati con ulteriori aiuti. Rimane il problema della spesa agricola, che non si è ridotta ma si è solo stabilizzata negli ultimi anni, anche se è cambiata la sua composizione.

Evoluzione della spesa e della composizione della spesa per la pac nel’UE[modifica]

Evoluzione della spesa per la pac nel’UE[modifica]

File:Evoluzione della spesa per la PAC nel’UE.png

Fino agli anni ’80 la spesa agricola era nell’ordine di grandezza di 40 miliardi di euro all’anno, oggi è diventata quasi 60 miliardi di euro. La scelta di erogare direttamente agli agricoltori ha avuto un forte aumento di budget, anche se la quota budget è calata del 30% dagli anni ’80 ad oggi. Il bilancio però si è ampliato, l’incidenza della spesa agricola si è ridotta.

Evoluzione della composizione della spesa per la pac nell’UE[modifica]

File:Evoluzione della composizione della spesa per la PAC nel’UE.png

Negli anni ’80 vi erano solo sussidi all’esportazione e sostegno del mercato (acquisto delle eccedenze) e vi era una piccola fetta di spesa per lo sviluppo rurale. Oggi i sussidi all’export si sono praticamente azzerati, la spesa per la gestione delle eccedenze si è ridotta. Per anni il grosso della spesa sono stati gli aiuti accoppiati alla produzione, quindi pagamenti diretti differenziati per coltura e regione, che sono stati sostituiti dal 2005 in avanti con gli aiuti disaccoppiati.


Cosa è stato deciso alla luce di questi risultati?

La pac 2014 – 2020 (Parte 1)[modifica]

Obiettivi[modifica]

Ci sono adattamenti e cambiamenti in cui la guida fondamentale è stata quella di capire se si riusciva a controllare meglio la spesa. Il 2014 è stato un anno in cui non si è fatto nulla, e nel 2015 si è iniziato ad applicare qualcosa e ci è voluto quasi un anno affinché gli agricoltori vedessero queste differenze. I primi aiuti erogati con i nuovi meccanismi sono stati erogati a dicembre 2015.

L’ultima riforma della PAC ripropone, aggiornandoli, i tre obiettivi di fondo delle riforme del 2000:

  • Competitività della produzione agro – alimentare:
    • Quantità, qualità e sicurezza degli alimenti
    • Funzionamento efficiente della filiera agro – alimentare
  • Gestione sostenibile delle risorse naturali
    • Preservare la quantità/qualità dei terreni e delle acque
    • Affrontare la sfida dei cambiamenti climatici
  • Sviluppo sostenibile del territorio rurale

Il punto fondamentale è che tutto questo avrebbe dovuto essere fatto con un budget più ridotto, dato che l’agricoltura conta sempre meno sul PIL.

Risorse finanziarie[modifica]

File:Risorse Finanziarie pac 2014-2020.png

È stato deciso un congelamento della spesa nominale, cioè a prezzi 2011 nei 7 anni saranno messi a disposizione del settore agricolo 362 miliardi di euro, dividendo per 7 anni fa 52 miliardi di euro medi. Quindi vuol dire che siccome più o meno si prevede un’inflazione media per l’UE in questi 7 anni intorno al 2%, cioè circa il 15% per 7 anni, vuol dire che avere gli stessi soldi spesi a fine periodo del 2014 a prezzi 2011 vuol dire perdere in termini reali il 13%. Quindi gli agricoltori perderanno il 13% dei fondi.

Principi[modifica]

Per realizzare questi obiettivi con meno soldi, il sostegno all’agricoltore deve essere giustificato. Quindi, si danno dei soldi chiedendo in cambio qualcosa in più alle aziende. Questo significa una struttura più complessa degli aiuti, ma con un sostegno più mirato. Inoltre vi è una maggiore flessibilità per i singoli stati membri nell’implementare questi strumenti, quindi in qualche modo si prende atto che l’agricoltura nei 28 stati membri è diversa.

I principi ispiratori della PAC 2014 – 2020 sono quindi:

  • La remunerazione dei beni pubblici prodotti dall’agricoltura (conservazione dell’ambiente e del paesaggio, biodiversità, stabilità del clima, …).
  • Una struttura più complessa, ma che dovrebbe garantire un sostegno più efficiente e più mirato agli obiettivi.
  • Maggiore flessibilità per gli SM nella gestione delle risorse e degli interventi, vista la diversità dell’agricoltura nei 28 SM.

Strumenti[modifica]

L’obiettivo della crescita della competitività verrà perseguito mediante:

  • Abolizione degli strumenti di controllo della produzione ancora in vigore:
    • Realizzazione dell’abolizione delle quote latte nel 2015
    • Conferma abolizione delle quote zucchero nel 2017
    • Conferma abolizione dei regimi di impianto dei vigneti nel 2016
  • Rafforzamento, attraverso nuove regole e sussidi specifici, degli strumenti di concentrazione dell’offerta e di gestione della filiera produttiva:
    • Organizzazioni dei produttori (OP) e loro associazioni (AOP)
    • Organizzazione interprofessionali (OI)
  • Mantenimento della safety net, rafforzata in caso di crisi di mercato
  • Strumenti assicurativi di gestione del rischio nel II pilastro (assicurazione del reddito attraverso fondi mutualistici): l’agricoltore si potrà assicurare pagando un premio e negli anni di crisi di mercato si potrà tutelare.
  • Misure specifiche finanziate dal II pilastro (investimenti aziendali, ricambio generazionale, consulenza, formazione).

Funzioni delle OP e delle OI[modifica]

Funzioni delle OP[modifica]

Sono strumenti attraverso cui gli agricoltori si mettono insieme per concentrare l’offerta, cioè per vendere il loro prodotto congiuntamente e quindi possibilmente strappare migliori condizioni di prezzo al momento della vendita. Le OP sono sempre esistite, ma hanno sempre funzionato male perché non c’era mai stato un obbligo di delega da parte dei soci all’organizzazione a vendere per conto loro. Adesso invece ci deve essere una delega forte ed esclusiva da parte dei soci all’organizzazione dei produttori a contrattare per conto loro, e se funziona così può godere dei sussidi pubblici. Le OP possono svolgere anche altre funzioni come: fornire informazioni di mercato e consulenza (raccolgono i dati di mercato, anticipano eventuali cali o crescita dei prezzi che possono influenzare le strategie dei soci); fanno formazione dei soci (es. quando in un mercato c’è volatilità dei prezzi, un bravo operatore di mercato ci guadagna, perché da tempo sui mercati finanziari di tutto il mondo sono disponibili strumenti di copertura come future e option); gestire problemi collettivi (es. logistica, organizzare la raccolta del latte per ridurre al minimo i costi di raccolta).

Funzioni delle OI[modifica]

Sono associazioni di tutti i soggetti della filiera agroalimentare (agricoltori, trasformatori, ecc.). Una cultura che in Italia è assolutamente inesistente. Ci sono alcuni tentativi di farle funzionare meglio. Es. in Emilia Romagna è nata per le attività di trasformazione e produzione del pomodoro. In queste organizzazioni si cerca di concordare modalità di funzionamento della filiera efficaci per tutti gli attori (es. definizione contratti quadro e stipula accordi interprofessionali); ricerche di mercato (es. adeguamento alla domanda) e stimolo alla ricerca tecnologica; diffusione informazioni di mercato; formazione operatori su tematiche filiera.

L’obiettivo della sostenibilità ambientale dell’agricoltura viene perseguito attraverso strumenti molto precisi:

  1. Semplificazione e migliore definizione delle regole della cross – compliance: mantenere in condizioni ecologiche adeguate i terreni e le aziende agricole.
  2. Incremento dei finanziamenti per il II pilastro, dove almeno il 30% del budget verrà dedicato agli agricoltori che si impegnano per i programmi agro – ambientali volontari (es. agricoltura biologica; pochi elementi chimici).
  3. Ristrutturazione dei pagamenti diretti del I pilastro, con un pagamento verde (greening) che vale almeno il 30% del budget: 30% degli aiuti viene dato solo se gli agricoltori attuano comportamenti di maggiori attenzione all’impatto ambientale dell’agricoltura. Questo pagamento condiziona di fatto un pezzo del pagamento che esisteva prima ad essere erogato sotto condizione.

La pac 2014 – 2020 (Parte 2)[modifica]

I nuovi pagamenti diretti[modifica]

Devono essere attuate due misure che penalizzano alcune aziende e alcuni paesi. Queste misure si chiamano convergenza esterna e regionalizzazione. L’obiettivo di un sostegno più efficiente e mirato viene perseguito con la ristrutturazione dei pagamenti diretti del I pilastro, che implica:

  • Convergenza esterna: avvicinare i valori dei pagamenti diretti per ettaro, attualmente molto differenziati tra stati membri: dai 95 euro per ettaro per la Lettonia ai circa 700 di Malta.

File:Prospettive di evoluzione della spesa PAC nell’UE 2014 - 2020.png

Oggi nell’UE le aziende agricole prendono soldi in misura molto diversa. La media europea è sotto i 300 per ettaro, ci sono molti paesi che stanno sopra come Olanda, Belgio, Italia, Grecia. Si è raggiunto un accordo per cui quelli che stanno sopra devono calare un po’ e quelli che stanno sotto vanno un po’ su. Entro il 2019, gli Stati membri con pagamenti al di sotto del 90% dovranno colmare almeno un terzo della differenza, a danno dei paesi che si trovano con pagamenti al di sopra del valore medio, raggiungendo almeno una media di 195 euro per ettaro.

  • Regionalizzazione o convergenza interna: avvicinare i valori per ettaro percepiti dai singoli agricoltori, tendenzialmente fino al totale livellamento. Vuol dire fare quello che pochissimi stati avevano già fatto prima del 2015. Quando sono stati introdotti gli aiuti indiretti, gli stati avrebbero potuto da subito eguagliare gli aiuti di tutti i produttori di una regione. Entro il 2020 all’interno dei singoli stati i valori che percepiscono gli agricoltori devono essere avvicinati, con un meccanismo che è diverso da paese a paese. Vi sono tre diversi criteri per raggiungere questo obiettivo: valore uniforme già dal 2015; convergenza graduale che permetta di arrivare a un valore uniforme di aiuto ad ettaro in un anno successivo al 2015 ma entro il 2020; criterio di convergenza parziale, consentito solo a chi ha applicato il modello storico, che permetta di avere aiuti più uniformi ma senza arrivare al completo livellamento. L’Italia ha scelto il terzo criterio, stabilendo che la riduzione massima subita da ciascun beneficiario sarà del 30%, mentre nessun diritto potrà avere un valore inferiore al 60% dell’aiuto medio del 2019 (60% di 350). Questa per alcuni è una buona notizia, perché ci sono agricoltori in Italia che non hanno mai ricevuto aiuti (produttori di ortofrutta e viticoltori). Ad essere penalizzati saranno i produttori di prodotti continentali (aziende zootecniche). Questo meccanismo quindi comporterà essenzialmente un riequilibrio tra settori produttivi.
  • Lo spacchettamento del PUA in diverse tipologie di pagamenti (fino a 7, di cui 3 obbligatorie)

La ridefinizione dei pagamenti[modifica]

Questi pagamenti saranno di meno, mediamente caleranno del 15%, però non sarà uguale per tutti perché sarà molto più forte per certe aziende e invece ci sarà qualcuno che prenderà finanziamenti che in passato non hanno mai ricevuto. Ma anche immaginando che si rimanga sullo stesso livello, questi soldi si potranno prendere solo in determinate condizioni.

  • Pagamento di base: obbligatorio (43 – 70% del budget)
    • Stesse condizioni del PUA (in Italia assorbirà circa il 58% del budget)
  • Pagamento verde: obbligatorio (min 30% del budget)
    • Presenza di almeno 2 colture nelle aziende tra 10 e 30 ettari, con minimo 25% della superficie per la seconda.
    • Presenza di almeno 3 colture nelle aziende oltre i 30 ettari, con minimo 5% della superficie per la terza.
    • Obbligo di mantenere almeno il 5% di aree di interesse ecologico (filari, aree di rispetto fiumi, …) per le aziende oltre i 15 ettari.
  • Pagamento giovani agricoltori: obbligatorio (max 2% del budget)
    • Agricoltori a titolo principale con età sotto i 40 anni per incentivare il ricambio generazionale
    • Pagamento di base aumentato del 25% per i primi 5 anni
  • Pagamento redistributivo: facoltativo (max 30% del budget)
    • Pagamento addizionale per i primi N ettari. Non applicato in Italia.
  • Pagamento per le aree svantaggiate: facoltativo (max 5% del budget)
    • Pagamento addizionale non applicato in Italia.
  • Pagamento semplificato per i piccoli agricoltori: facoltativo (max 10% del budget)
    • Chi sta sotto i 1250 euro all’anno, può accedere a un’erogazione semplificata senza nessuna burocrazia.
  • Pagamento accoppiato: facoltativo (max 15% del budget)
    • Destinato a produzione strategiche scelte dagli Stati membri, quindi alcune produzioni considerate strategiche verranno finanziate di più delle altre
    • Possono essere coinvolti molti prodotti (cereali, semi oleosi, colture proteiche, legumi da granella, riso, latte e prodotti lattiero – caseari, carni ovine e caprine, carni bovine, olio d’oliva, prodotti ortofrutticoli), mentre sono esclusi tabacco, vino, carni suine e carni avicole.
    • L’Italia destinerà queste risorse a bovini da carne e da latte, colture proteiche (pisello e soia), grano duro e olivo.

Sintesi: se un agricoltore lavora in uno di questi settori, è giovane, e fa ciò che è utile per la sostenibilità, prende il massimo degli aiuti.

Il secondo pilastro[modifica]

I nuovi piani di sviluppo rurale finanziano sei campi di attività, in cui c’è rispetto a prima flessibilità nell’allocazione dei soldi.

  1. Innovazione: promuovere il trasferimento di conoscenze e l’innovazione nel settore agricolo e forestale e nelle zone rurali
  2. Competitività: potenziare la redditività e la competitività dell’agricoltura attraverso tecnologie innovative e sostenibili, orientamento al mercato, diversificazione delle attività, ricambio generazionale
  3. Filiera: promuovere le filiere alimentari, il benessere degli animali e la gestione dei rischi nel settore agricolo
  4. Ambiente rurale: preservare, ripristinare e valorizzare gli ecosistemi connessi all’agricoltura e alla silvicoltura, con particolare riguardo a biodiversità, paesaggio, gestione delle risorse idriche, prevenzione dell’erosione e migliore gestione dei suoli
  5. Clima: incentivare l’uso efficiente delle risorse e il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio e resiliente al cambiamento climatico
  6. Aree svantaggiate: adoperarsi per l’inclusione sociale, la riduzione della povertà e lo sviluppo economico nelle zone rurali

=La nuova pac: un giudizio complessivo[modifica]

I nuovi strumenti danno ampi margini di flessibilità agli stati membri. Se l’esigenza di fondo è comprensibile (il settore agro – alimentare dei 28 stati membri è estremamente diversificato) ci saranno almeno due conseguenze importanti:

  • Agricoltori in condizioni simili in stati membri diversi potrebbero avere benefici molto diversi: in queste condizioni la politica dell’UE diventa quasi una politica nazionale
  • La complessità burocratica per la gestione rischia di aumentare

Nuovi vincoli esterni potrebbero spingere verso nuove modifiche piuttosto radicali. In particolare si è in attesa di un nuovo accordo WTO, che potrebbe avere conseguenze pesanti. Pagare gli agricoltori vuol dire mettere in condizioni diverse gli agricoltori che non ricevono gli aiuti.

Prospettive di evoluzione della spesa PAC nell’UE 2014 - 2020[modifica]

File:Prospettive di evoluzione della spesa pac nell’ue 2014 - 2020.png

A prezzi correnti si spende sempre la stessa cifra, questo vuol dire che si perde inflazione. Il peso dei programmi di sviluppo rurale (viola) è in crescita (con le linee nere si evidenziano i finanziamenti legati alle aziende che fanno attività eco – compatibili). I pagamenti diretti disaccoppiati viene data solo all’azienda che si comportano in modo eco – compatibile. Gli aiuti accoppiati tornano a crescere un po’, quindi si ritorna a finanziare singoli settori in modo discriminatorio. Infine è previsto di tornare a spendere un po’ per la gestione delle emergenze delle crisi di prezzo.