Storia del signoraggio
Storia del signoraggio
[modifica]In passato, quando la base monetaria consisteva di monete in metallo prezioso, il signoraggio era un'imposta sulla coniazione. Quando le monete venivano coniate, una parte del metallo prezioso (argento, oro o rame) veniva trattenuta, in parte per coprire i costi di produzione ed in parte per essere destinati al sovrano (o al signore)[1][2][3][4][5]. L'imposta sulla coniazione veniva quindi usata per le esigenze del sovrano.
Già con i romani, da Settimio Severo si può parlare di signoraggio: questo imperatore dimezzò la quantità di metallo prezioso contenuto nelle monete, mentre lasciò invariato il valore nominale{senza fonti}.
Nell'alto medioevo, un'ordinanza di Pipino il Breve del 754-755 stabiliva: «De moneta constituimus, ut amplius non habeat in libra pensante nisi XXII solidos, et de ipsis XXII solidis monetarius accipiat solidum I, et illos alios domino cuius sunt reddat» (Monumenta Germaniae Historica, Capitularia, I, 32). Benché non sia chiara l'identità del "dominus", gli storici ritengono che vi fosse effettivamente una tassa da signoraggio, e che questa fosse di almeno il 5-10%[6].
Tra l'800 e il 1200, il sistema monetario europeo era semplice, basato quasi esclusivamente sul denarius introdotto da Carlo Magno[7][8]. Con la caduta di Costantinopoli, le signorie europee, a partire da Genova e Firenze, tornarono a battere moneta (1252)[7]. Essendo in circolazione tanti diversi tipi di moneta, con diverse denominazioni, coniate in differenti metalli (oro, argento, rame) e con diversi standard di purezza, si pose il problema giuridico se il monarca potesse imporre una tassa di signoraggio sulla produzione delle monete. La scuola giuridica dei canonisti elaborò un orientamento favorevole; quella dei romanisti sostenne che il signoraggio avrebbe dovuto essere nullo[9].
Sebbene non esista alcuna evidenza certa, alcuni autori[10] ritengono plausibile che, già a partire dal 1158, la corona inglese, sotto Enrico II d'Inghilterra, abbia introdotto una tassa da signoraggio sul conio delle monete metalliche: questi impose tra l'altro la centralizzazione del conio. È certo invece che tale tassa venisse imposta tra il 1180 e la prima metà del XIII secolo[11]. Tra il XIII e il XIV secolo, in Inghilterra le procedure per coniare le monete e per estrarvi il relativo signoraggio vennero affinate e standardizzate: per una sterlina d'argento il signoraggio del re corrispondeva a circa 6 denari[12][13].
Nella storia spesso il ricorso al signoraggio ha avuto il ruolo di finanziare le guerre: ad esempio la monarchia di Spagna, tra il 1597 e il 1650, vi ricorse per finanziare le guerre contro l'Inghilterra l'Olanda del nord e i protestanti francesi[14].
Con la rivoluzione industriale e, nel XX secolo, con la Conferenza di Bretton Woods si assiste al graduale abbandono dei sistemi monetari fondati sui metalli preziosi e sulla convertibilità delle monete in metalli preziosi. La crescita degli scambi economici provocata dalla rivoluzione industriale rese necessario l'uso di monete la cui offerta non fosse vincolata dalla limitata disponibilità di metalli preziosi. Inoltre l'affermarsi di talune monete, sempre più diffuse e accettate negli scambi internazionali, rese obsoleto il ricorso ai metalli preziosi per regolare tali scambi. Infine l'affermazione del biglietto di banca e di altre forme di pagamento svincolate dall'uso di metalli preziosi si spiega con la praticità dei sistemi di pagamento che non obbligano a trasferire ingenti quantità di pesante metallo prezioso.
Storia del ricorso al signoraggio in Italia
[modifica]La storia d'Italia, sin dalla sua unificazione politica, è stata caratterizzata da uno straordinario[15][16][17] livello di dominanza fiscale, cioè dall'asservimento[18] delle autorità monetarie al governo (il signoraggio italiano può essere considerato una variabile proxy del grado di dominanza fiscale[19]): tanto dal punto di vista quantitativo quanto dal punto di vista dell'indagine storica, gran parte della politica monetaria è stata modellata sulle decisioni di politica fiscale del governo[19][20].
Ciò è avvenuto sin dai tempi della Banca Nazionale degli Stati Sardi (1850), della Banca Nazionale del Regno d'Italia (1867) e di Banca d'Italia (1893): ciascuna banca cercava di ottenere il monopolio dell'emissione della moneta, e le buone relazioni con la politica venivano percepite come un elemento essenziale della loro strategia[18]. Il ricorso al signoraggio da parte del governo aumentò in maniera sorprendente dopo che la Banca d'Italia ottenne il monopolio nell'emissione della moneta (1926)[19]. Per capire fino a che punto il signoraggio e la tassa da inflazione si radicarono nell'economia italiana si noti che prima del 1926 il signoraggio rappresentava l'1,7% del reddito e la tassa da inflazione rappresentava lo 0.4% del reddito; dopo il 1926 il signoraggio salì al 5.5% del reddito e la tassa da inflazione salì al 5.3% del reddito[19]. Queste statistiche confermano ulteriormente che se vi è una caratteristica distintiva dell'economia italiana, questa riguarda l'atteggiamento eccessivamente accomodante delle autorità monetarie[19][21].
L'apice di tale dominanza fiscale avvenne sotto il governatorato di Guido Carli (1960-1975), periodo in cui, oltre a monetizzare larga parte del deficit pubblico, Bankitalia si mostrò accomodante nei confronti del governo anche attraverso una serie di misure regolamentari-amministrative[22][23]. L'obiettivo fu quello di canalizzare il risparmio nazionale dal settore privato a quello pubblico, mantenendo i tassi d'interesse artificialmente bassi[22]. Il mantenimento dei tassi d'interesse ad un livello molto basso rese semplice, per il governo, posticipare le necessarie politiche di aggiustamento ma causò un ulteriore incremento del deficit[22]. Furono altresì introdotte misure amministrative restrittive sul mercato dei cambi allo scopo di limitare l'accesso degli operatori - famiglie, imprese e banche - alle condizioni più favorevoli presenti sui mercati esteri. Ciò causò pertanto l'isolamento internazionale finanziario dell'Italia in quegli anni[24].
Solo l'ingresso dell'Italia nel Sistema Monetario Europeo, e il conseguente divorzio di Banca d'Italia dal Tesoro (1981), restituì credibilità alla Banca centrale[22]. Sotto la spinta dell'Unione Monetaria Europea e del Trattato di Maastricht, Bankitalia intraprese infine ulteriori passi per migliorare la propria indipendenza dal governo[22][25][26].
Note
[modifica]- ↑ Benjamin J. Cohen, The Seigniorage Gain of an International Currency: An Empirical Test, The Quarterly Journal of Economics, Vol. 85, No. 3, pp. 494-507, 1971.
- ↑ Harry A. Miskimin, Two Reforms of Charlemagne? Weights and Measures in the Middle Ages, The Economic History Review, New Series, Vol. 20, No. 1, pp. 35-52, 1967.
- ↑ N. J. Mayhew, From Regional to Central Minting, 1158-1464, in C.E. Challis (ed), A new history of the Royal Mint, Cambridge University Press, 1992, ISBN 0521240263 (pp. 89-90, pag. 95).
- ↑ T. F. Reddaway, The King's Mint and Exchange in London 1343-1543, The English Historical Review, Vol. 82, No. 322 (Jan., 1967), pp. 1-23.
- ↑ C. G. Crump and A. Hughes, The English Currency Under Edward I, The Economic Journal, Vol. 5, No. 17 (Mar., 1895), pp. 50-67.
- ↑ Harry A. Miskimin, Two Reforms of Charlemagne? Weights and Measures in the Middle Ages, The Economic History Review, New Series, Vol. 20, No. 1, pp. 35-52, 1967.
- ↑ 7,0 7,1 La stabilità dei prezzi: perché è importante per te, Banca centrale europea, pag. 19.
- ↑ Carlo M. Cipolla, Currency Depreciation in Medieval Europe, The Economic History Review, New Series, Vol. 15, No. 3, pp. 413-422, 1963.
- ↑ Daniel A. Schiffman, The Valuation of Coins in Medieval Jewish Jurisprudence, Journal of the History of Economic Thought, Volume 27, Number 2, June 2005
- ↑ N. J. Mayhew, From Regional to Central Minting, 1158-1464, in C.E. Challis (ed), A new history of the Royal Mint, Cambridge University Press, 1992, ISBN 0521240263 (pp. 89-90, pag. 95).
- ↑ N. J. Mayhew, From Regional to Central Minting, 1158-1464, in C.E. Challis (ed), A new history of the Royal Mint, Cambridge University Press, 1992, ISBN 0521240263 (pag. 102).
- ↑ T. F. Reddaway, The King's Mint and Exchange in London 1343-1543, The English Historical Review, Vol. 82, No. 322 (Jan., 1967), pp. 1-23.
- ↑ C. G. Crump and A. Hughes, The English Currency Under Edward I, The Economic Journal, Vol. 5, No. 17 (Mar., 1895), pp. 50-67.
- ↑ Akira Motomura, The Best and Worst of Currencies: Seigniorage and Currency Policy in Spain, 1597–1650, The Journal of Economic History, 54, pp. 104-127, 1994.
- ↑ Michele Fratianni, Franco Spinelli, Anna J. Schwartz, A Monetary History of Italy, Cambridge University Press, 1997. ISBN 0521443156 (pp. 42-49).
- ↑ Vedi anche Stefano Battilossi, Capital mobility and financial repression in italy, 1960-1990: a public finance perspective, Universidad Carlos III de Madrid, Working Paper 03-06, Economic History and Institutions Series 02, 2003.
- ↑ Per un'interpretazione alternativa vedi anche Bertocco Giancarlo, Is inflation a Monetary Phenomenon Only? A Non Monetarist Episode of Inflation: the Italian Case, Studi Economici, 2002, 3, pp. 19-44, 2002.
- ↑ 18,0 18,1 Michele Fratianni, Franco Spinelli, Anna J. Schwartz, A Monetary History of Italy, Cambridge University Press, 1997. ISBN 0521443156 (pag. 46).
- ↑ 19,0 19,1 19,2 19,3 19,4 Michele Fratianni, Franco Spinelli, Anna J. Schwartz, A Monetary History of Italy, Cambridge University Press, 1997. ISBN 0521443156 (pag. 44).
- ↑ Michele U. Fratianni, Franco Spinelli, Fiscal Dominance and Money Growth in Italy: The Long Record, Explorations in Economic History, Vol. 38, pp. 252-272, 2001.
- ↑ Michele Fratianni, Franco Spinelli, Anna J. Schwartz, A Monetary History of Italy, Cambridge University Press, 1997. ISBN 0521443156 (pp. 214-215).
- ↑ 22,0 22,1 22,2 22,3 22,4 Michele Fratianni, Franco Spinelli, Anna J. Schwartz, A Monetary History of Italy, Cambridge University Press, 1997. ISBN 0521443156 (pag. 47).
- ↑ Michele Fratianni, Franco Spinelli, Anna J. Schwartz, A Monetary History of Italy, Cambridge University Press, 1997. ISBN 0521443156 (pag. 48).
- ↑ Michele Fratianni, Franco Spinelli, Anna J. Schwartz, A Monetary History of Italy, Cambridge University Press, 1997. ISBN 0521443156 (pp. 222-225).
- ↑ Carlos Vieira, Are Fiscal deficits inflationary? Evidence for the EU, Department of Economics, Loughborough University, Economic Research Paper No. 00/7, 2000.
- ↑ Roberto Ricciuti, The quest for a fiscal rule: Italy, 1861–1998, Cliometrica, Issue Volume 2, Number 3, pp. 259-274, 2008.