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Ruolo del diritto nella società

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Ruolo del diritto nella società
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Filosofia del diritto
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 75%

Come premesso nella presentazione del corso, l'esigenza di una disciplina della convivenza sociale è stata da sempre percepita ed affrontata in differenti modalità da svariati pensatori e filosofi. Di conseguenza, esistono svariati approcci per inquadrare il ruolo del diritto nella società.

  • Concezione funzionalista (Luhmann, sociologia del diritto): qual è il ruolo del diritto (in senso descrittivo, non prescrittivo)?
  • Pensiero conservatore, il diritto ha una funzione di stabilizzatore sociale che rende armonici i vari segmenti mutevoli della società.
  • Ma non è l’unico meccanismo: sistema politico, culturale … Luhmann ha costruito una teoria dei sistemi sociali in cui il diritto è uno dei sottosistemi del sistema sociale in generale e la svolge a suo modo attraverso criteri binari (lecito/illecito).
  • Concezione conflittualista (Marx): il diritto occulta i rapporti di forza tra le classi anche se vede la società come movimento, la funzione è simile a quella di Luhmann: il diritto ha sempre l’etichetta di stabilizzare, garantire e non di rivoluzionare (la rivoluzione permanente non è tollerabile per l’uomo).

Gli elementi da coordinare sono i tipi di azione (mezzi o fini), i tipi di beni che ne sono l’oggetto, le finalità (coordinazione o direzione sociale) e i valori comuni dei partecipanti (non si coordina l’uomo in astratto, con il pluralismo esasperato è diventato un dramma trovare dei valori fondamentali comuni).

  • Analisi economica del diritto: il diritto deve essere sottoposto a criteri economici: ogni diritto costa (per esempio processi lunghi).
  • Questo approccio può portare a una monetizzazione del diritto fino a vendere i propri diritti (disumano) ma ci sono settori, come quello commerciale, nei quali questa analisi è parzialmente pertinente.

Teorie di coordinazione sociale

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La teoria della scelta razionale, nata in ambito economico, in seno all’analisi economica del diritto, è costituita da schemi di logica che riguardano la coordinazione di persone con preferenze diverse; essa presuppone che l’uomo sia un massimizzatore dell’utilità (homo oeconomicus). Se ho un vantaggio compio l’azione, senno no, preferisco un’azione a vantaggio maggiore a una minore. Se due uomini vogliono negoziare devono rinunciare al massimo raggiungibile e accontentarsi del maxmin.

L’uso della teoria della scelta razionale che ordina le preferenze sociali in modo economico, si collega al più vasto problema dell’applicazione al diritto della teoria dell’interazione strategica. Chi ha delle preferenze cerca di capire le preferenze altrui, in modo da modificare le proprie per massimizzare il maxmin. La coordinazione sarebbe connaturata nella società, come gioco della previsione delle preferenze. Vi sono impercettibili aggiustamenti interni nei rapporti tra singoli.

Sono varie le critiche a questo modello:

  • Nash ribatte che anche l’uomo egoista preferisce cooperare. Dal dilemma del prigioniero emerge che, anche se non possiamo comunicare, conviene cooperare. È meglio non applicarla comunque al diritto perchè nella società reale la comunicazione è importante (la teoria strategica vuole eliminare qualsiasi distorsione nell’informazione, come gli imbrogli).
  • Del resto, esiste veramente solamente l’aspetto economico? Il diritto si occupa anche di aspetti non monetizzabili, come la famiglia, la vita, che trascendono l’unilateralità dell’uomo economico.
  • Il modello dell’homo oeconomicus rende tutti uguali (liberalismo) per poter analizzare il comportamento, sacrificando, come sostenne Arrow, la diversità dei partecipanti, tutelata dal diritto, che spesso non pensano in termini di massimizzazione dell’utile.

Perchè il diritto si occupa di coordinazione? Il diritto presuppone che ci sia la presenza di un interesse a cooperare in ogni atto di tipo collettivo. Il diritto è necessario sia nei problemi di coordinazione pura (in cui è sicuramente presente l’interesse a cooperare) sia di coordinazione non-pura, in cui non vi è interesse a cooperare (il caso dello sfruttatore).

Interdipendenza normativa

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La teoria della scelta razionale è una forma di interazione strategica di tipo descrittivo, fattualistico e sociologico.

Mentre essa si basa su ciò che di fatto i partecipanti vogliono, la teoria della interdipendenza normativa si basa su ciò che i partecipanti devono volere (prescrittiva).

Il diritto infatti afferma che ci sono problemi di coordinazione talmente seri da dover intervenire con normatività; il metodo dell’obbligo (artificiale, positivo) rende l’interazione normativa una teoria della regola e rende necessaria l’autorità che ponga il dover essere (assente nella teoria della scelta razionale). L’obbligo giuridico (diverso dalla costrizione) avvicina il diritto alla sfera della morale, cosicché i doveri normativi devono essere sentiti come obblighi morali e non come mero atto di forza; il diritto quindi si pone fra morale (ma autorevole) e forza (ma ritenuta legittima).

La teoria convenzionalista dell’obbligo afferma che il diritto si fonda sull’accettazione da parte della società delle autorità giuridiche; quindi il potere è legittimo perchè la società si è auto-obbligata, attraverso un contratto sociale. È evidente l’accettazione delle regole dal comportamento degli utenti del diritto (visione realistica di pratica sociale di Hart e seguaci). La concezione dell’obbligo legittimato da accettazione per Viola è necessaria ma non sufficiente, perchè non chiarisce il profilo dell’applicazione delle regole. Infatti alcuni le interpretano correttamente, altri no (per questo sono necessari i giudici).

Questo può essere spiegato solo da una teoria normativa dell’obbligo giuridico che intende il diritto come fatto dall’uomo, ma che ha anche un significato in sé (amorale). La norma non ha il significato che le attribuiscono gli utenti. Bisogna quindi comporre le due teorie: per giustificare l’autorità ho bisogno del consenso (fondazione del sistema giuridico) ma poi si basa su quello che le norme dicono effettivamente (infatti IURISDICO non vuol dire fare il diritto ma dirlo). Quindi il diritto una volta creato ha una dimensione morale che implica un dover essere. Il diritto nasce con i giudici perché le liti giuridiche nascono sul modo d’intendere le regole e non si fa un referendum su come la società le intende, ma è il giudice a stabilire la corretta interpretazione.

Il diritto può essere quindi anche inteso come insieme di schemi normativi di interpretazione delle intenzioni dei partecipanti alla vita sociale. Per capire le intenzioni dei cittadini bisogna usare il diritto, non il contrario come sostiene il convenzionalismo. Per questo vengono creati standard d’interpretazione non modificabili, in modo da poterci coordinare ed aumentare l’affidamento sociale.

La teoria convenzionalista afferma che il diritto richiede l’accettazione attiva, il cum-sensum, implicando un’accettazione relazionale non propria dell’homo oeconomicus ma socialis.

Per Rawls il sistema di cooperazione deve essere equo, cioè basato sull’uguaglianza. Ma per Viola è fondamentale anche l’interdipendenza delle persone: il diritto esclude l’individualismo assiologico, dove il singolo è realizzato da sé; e la società è un mezzo per raggiungere certi fini, essa è irrealistica perché l’uomo è un animale sociale, interdipendente, ci sono relazioni sociali costitutive dell’uomo. Esiste anche l’homo socialis e il diritto contempla tutte e due gli aspetti, perché non ha una completa antropologia: mira all’ordine sociale senza imporre un tipo di uomo preciso, ma con il vago intento di umanizzare la società.

Per il diritto noi siamo trattati uguali poiché simili (ma non uguali). Ciò implica l’uguaglianza formale nella diversità sostanziale. Ciò è messo particolarmente in luce dalla formulazione positiva e negativa della regola aurea, che esplica il principio della reciprocità e suggerisce che la vita degli altri vale quanto la mia. Questo è a fondamento del metodo della ragionevolezza: non posso pretendere dagli altri cose che non possono accettare. Quindi la ragionevolezza è fondata sul principio d’eguaglianza e viene usato nei casi di conflitti fra diritti.

Quindi il diritto è un equo sistema di cooperazione sociale, secondo il principio della ragionevolezza, che porta alla reciprocità, base della cooperazione.

Il diritto e il conflitto sociale

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Il diritto aiuta a risolvere il conflitto sociale. Le ragioni del conflitto non sono meramente economiche, ma anche la fragilità e l’imperfezione dell’uomo, la scarsezza delle risorse, l’inconciliabilità dei bisogni. Questi conflitti possono essere fra individui, culture, religioni (spesso incarnate nei conflitti individuali).

Tipologie di conflitto:

  • Conflitto di interessi (spesso di logica economica) risolvibile con la negoziazione, col metodo dell’autorità, con l’argomentazione (richiede soggetti disposti alla dimensione della reciprocità), col voto (non dialogico), col sorteggio. La negoziazione riguarda sia il diritto privato sia quello pubblico (per esempio il parlamento).
  • Conflitti di riconoscimento della propria identità: è chiesto alla comunità politica e può non essere dato, ma sempre in una logica binaria, non esiste riconoscimento negoziabile. Ci sono delle identità che esistono in relazione ad altre (no global/global). Se non viene riconosciuto, si nega l’umanità del soggetto disconosciuto. Di solito è affrontato dal diritto Cost. che racchiude i principi generali di tutela dei diritti della personalità.
  • Conflitto ideologico: sono in questione concezioni generali sul mondo e sulla vita, e poiché ognuno è sicuro della propria ricerca del bene e del vero, è meglio mettere tra parentesi le concezioni omnicomprensive della vita e confinarle nel privato (Rawls). Quest’idea si accompagna a una concezione dello stato come neutrale rispetto ai valori, che implica che il conflitto deve essere tollerato nel privato e risolto con la liberta democratica nel pubblico (a maggioranza). Il diritto si astiene per quanto possibile. Ma lo stato deve coltivare dei valori e comunque deve prendere sempre più spesso posizione. E ovviamente il metodo democratico deve essere deliberativo, ovvero accompagnato da argomentazione: l’avere la maggioranza non dà ragione.