Prontuario di diritto romano/I soggetti e le persone
I soggetti e le persone
[modifica]In Roma, era soggetto di diritto la persona fisica intesa nel senso di uomo, e veniva indicata con il termine caput che significa testa, ovvero individuo. Non esiste traccia di persone giuridiche intese in senso moderno: vi erano solo associazioni ed enti cui non veniva mai riferito il termine persona. Di conseguenza, solo gli uomini avevano capacità giuridica ed erano ritenuti soggetti di diritto.
Per essere soggetto di diritto, occorrevano determinati requisiti: che il neonato fosse nato vivo, che il parto fosse perfectus (cioè maturo, di almeno sette mesi) e che avesse forma umana. I monstra, neonati deformi, venivano esposti e comunque non avevano alcuna capacità giuridica. Il frutto dell'aborto non era considerato nato a nessun titolo.
Per i Romani, non aveva importanza il solo momento della nascita, ma anche il momento del concepimento: infatti, in relazione allo status libertatis, nasceva libero il figlio di chi -al momento del concepimento- era libero, anche se successivamente il genitore perdeva la libertà.
Giustiniano stabilì che per determinare lo status libertatis si doveva avere riguardo al momento della nascita o a quello del concepimento a seconda dei vantaggi che ne potevano derivare all'individuo.
L'estinzione della persona fisica avveniva con la morte. Per il caso di commorienza, il diritto classico presumeva iuris et de iure che tutti fossero morti nello stesso istante, mentre il diritto giustinianeo applicò il principio della maggior resistenza fisica, considerando morti dapprima i più deboli (impuberes), poi i vecchi (seniores) e infine i puberes.
Lo status libertatis
[modifica]Importante era, nella terminologia romana, il termine status, che indicava la posizione dell'individuo nei confronti dell'ordinamento: uomo libero, cittadino, membro della famiglia.
Il diritto romano conobbe nei tre suddetti status altrettanti requisiti, o meglio condizioni necessarie per l'acquisto della capacità.
In relazione allo status libertatis, Roma distingueva gli uomini in liberi e schiavi; la libertà si acquistava per nascita (liberi ingenui) o per manumissione (liberti). Solo i liberi ingenui potevano avere la cittadinanza, la capacità giuridica, lo ius connubii e lo ius commercii.
Lo ius civile conosceva diverse forme di manumissione (=affrancazione) degli schiavi; Giustiniano affermò il principio del favor libertatis, in base al quale aveva effetto qualsiasi manifestazione di volontà in tal senso espressa dal padrone per liberare lo schiavo, a prescindere dalla forma.
Lo status civitatis
[modifica]Lo status civitatis era la cittadinanza di cui godevano solo i cives Romani.
In età arcaica, erano cives Romani solo i nati in Roma e gli appartenenti ad una delle 31 tribù rustiche, mentre gli altri erano latini o peregrini o apolides.
La cittadinanza si acquistava per nascita da padre o madre cittadini, e si perdeva per capitis deminutio
Il possesso della cittadinanza comportava la piena capacità giuridica consistente nello ius commercii, ius connubi, ius testamenti factio (attiva e passiva), ius suffragi e ius honorum. A parte veniva considerato lo ius militiae.
Lo status familiae
[modifica]In rapporto allo status familiae si avevano persone sui iuris e persone iure alieno.
Era sui iuris il paterfamilias, incarnazione dell'autorità, assoluto dominus della propria casa, con poteri pressoché illimitati sui figli, familiari e schiavi.
Nel diritto classico si formò una terza categoria di persone quelle in causa mancipi, cioè quelli che erano stati trasferiti ad altri soggetti a titolo di proprietà, in posizione quasi servile, per aver commesso delitti o a garanzia di obbligazioni assunte.
Al possesso dello status familiae seguiva la patria potestas, ius nuptiae, adoptio, adrogatio, tutela, tutela, emancipatio.
Limitazioni alla capacità giuridica
[modifica]Al cittadino che si trovasse in determinate condizioni, veniva limitata la capacità giuridica, pur rimanendo egli libero, cives e sui iuris.
Cause minoratrici della capacità giuridica erano la cosiddetta infamia, derivante da:
- esercizio di mestieri infamanti (lenocinio, attività teatrale o gladiatoria, ecc.)
- inosservanza del tempus lugendi
- aver commesso un delictum
- esclusione dall'esercito per ignominia
Gli infami erano privati della capacità di postulare pro aliis (di diritto pretorio), dello ius suffragi e dello ius honorum.
Anche gli addicti (coloro che erano caduti nelle mani dei propri creditori insoddisfatti) ed i nexi (coloro che si consegnavano volontariamente ai propri creditori a garanzia del proprio debito, con facoltà di riscattarsi) rimanevano formalmente liberi, ma subivano di fatto delle limitazioni in campo patrimoniale.
Le donne, a parte l'incapacità di partecipare alla vita pubblica, non potevano adottare né essere tutrici di impuberes, avevano limitata capacità di succedere e non potevano contrarre obbligazioni.
La capacità giuridica era nettamente distinta dalla capacità di agire. Erano incapaci di agire gli infantes, gli impuberes, i minori di XXV annorum, le donne, i furiosi, i prodighi e gli affetti da infermità mentali, incapaci di gestire i propri beni. Di regola, tali soggetti venivano assistiti da tutori, scelti fra gli adgnati o parentes, o anche fra estranei.
Le persone giuridiche
[modifica]Fin dal periodo classico, si riconobbe una certa soggettività giuridica agli enti associativi; ma soltanto dopo l'epoca giustinianea si ammise la possibilità di personificare un patrimonio avente un proprio autonomo scopo, giungendo così a configurare le fondazioni.
Il modello su cui i giuristi elaborarono la figura dei corpora vel universitates fu fornito dalla maggiore organizzazione esistente all'epoca: il Populus Romanus Quiritium.
Infatti, "Populus Romanus" era il nome con cui si indicava lo Stato come persona giuridica, anche se ad esso non fu mai riconosciuta una capacità giuridica di diritto civile.
Oltre al Populus, vi erano altre persone giuridiche quali le coloniae, le provinciae, i collegia, le piae causae e le sodalitates.
I collegia e le sodalitates erano consociazioni di antichissima tradizione; i primi erano formati in prevalenza a scopo di culto, mentre le seconde erano costituite a fini di ricreazione e mutua assistenza ai soci.
La regolamentazione di questi enti fu opera di Augusto, il quale rese obbligatoria un'autorizzazione del Senato per la costituzione di nuovi collegia e sodalitates.
Argomentando da Gaio, sembra che per la costituzione di in nuovo collegium occorresse la voluntas di almeno tre persone, la creazione di una arca communis (patrimonio sociale distinto da quello dei soci), e la richiesta di autorizzazione al Senato. Solo se l'autorizzazione era rilasciata, il collegium veniva costituito, altrimenti non esisteva neanche di fatto: invero, il diritto romano non conosceva la categoria delle associazioni non riconosciute e degli enti di fatto.
Anche le fondazioni erano ignote ai Romani fino all'epoca giustinianea; solo in questo periodo, infatti, vennero riconosciute le piae causae (associazioni con fini di beneficenza), alle quali fu attribuita anche la testamenti factio passiva, cioè la capacità di ricevere per testamento.
Un notevole progresso nel riconoscimento della personalità ai patrimoni autonomi si ebbe con la figura della eredità giacente, che fu considerata dapprima come res nullius (suscettibile quindi di occupazione), poi domina delle cose ereditarie.
In età arcaica, si considerò retroattiva l'accettazione dell'eredità da parte dell'erede; successivamente, si preferì fingere che la vita del de cuius si protraesse fino all'accettazione, sostenendo che l'eredità giacente «personae defuncti vicem sustinet». Partendo da questa considerazione, si arrivò infine a considerare l'eredità giacente come domina delle cose ereditarie.
Il fiscus non fu mai considerato persona giuridica: anzi, essendo aerarium Populi Romani, era soggetto al potere del Principe.
Per volontà degli imperatori, il fiscus in seguito assunse l'insolita struttura di cassa generale dello Stato, ma non si giunse mai a considerarlo come persona giuridica autonoma.