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Le Obbligazioni da Contratto in Diritto Romano

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Le Obbligazioni da Contratto in Diritto Romano
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materie:
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I Romani non avevano uno schema astratto di contratto, ma tentarono di classificare le fonti delle obbligazioni, tentativo da cui sono state estratte le varie categorie di contratti:

  • obligatio re (contratti reali): si aveva quando la cosa veniva ceduta materialmente
  • obligatio verbis (contratti verbali): si aveva quando la cosa veniva ceduta sulla base di una domanda del venditore e relativa risposta dell'acquirente
  • obligatio litteris (contratti letterali): si aveva quando la scrittura diventava obbligazione
  • obligatio ex consensu (contratti consensuali): si aveva quando i soggetti si impegnavano a fare o dare qualcosa

In realtà il termine contratto non va inteso come lo intendiamo oggi noi ma come il termine latino contrao' ctus cioè intendendolo come "contrattare" e in questa ottica si può comprendere la classificazione come obbligazioni "contratte".

Di seguito, per facilità, si userà il termine contratto in modo quindi indifferenziato con il termine obbligazione "contratta".

Il contratto preliminare

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Il contratto preliminare non era riconosciuto come autonoma fonte di obbligazioni, ma si configurava come nudum pactum che obbligava il solo promittente. Costui poteva essere condannato (in caso di inadempimento) al solo risarcimento del danno o a pagare la penale pattuita, ma non poteva essere costretto a prestare il futuro consenso.
In linea di massima, perciò, era esclusa la possibilità di esecuzione specifica. Se però il nudum pactum (obbligo di contrarre) era adiectum, cioè aggiunto ad un negozio, poteva essere eseguito coattivamente: nuda pactio obligationem non parit, sed parit exceptionem.
Che il preliminare impegnasse il solo promittente, era stabilito già nel diritto classico: pactum est pollicitatio offerentis solius promissum (in altre fonti si legge: nudo pacto fiet compromissum).
Nel diritto giustinianeo, il termine contractus indicava esclusivamente quei negozi consistenti in un accordo di volontà (cd. consensum in idem placitum) e in una causa.

Le obligatio re (contratti reali)

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Erano considerate obligatio re (contratti reali) tutte quelle che nascevano dalla consegna del bene, cioè dalla datio: mutuum (mutuo), fides (fiducia), commodatum (comodato), depositum (deposito) e pegnum (pegno).

Il mutuum (mutuo)

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Etimologicamente, mutuum (mutuo) deriva da mutare, cioè cambiare (padrone). Era essenzialmente un contratto unilaterale, in quanto da esso scaturiva il solo obbligo per il mutuatario di restituire, e poteva avere ad oggetto solo cose fungibili.
Per il suo perfezionamento era richiesta la datio rei: non aveva valore la promessa de mutuo dando, ma se questa era fatta in forma solenne allora dava titolo al mutuatario per il risarcimento in caso di mancato ottenimento del prestito.
Il mutuatario doveva restituire il tantundem eiusdem generis; non poteva pattuirsi la restituzione di una somma maggiore e la restituzione stessa era soggetta ad un termine, in mancanza del quale il giudice poteva accordare un'equa dilazione.
Per quanto riguarda gli interessi sulla somma mutuata, trattandosi di contratto essenzialmente gratuito, occorreva un'apposita stipulatio usurae: in tal caso, al mutuante erano date due azioni, una per la restituzione della sors (capitale) e l'altra per il pagamento delle usurae.
A partire dall'età repubblicana fu imposto un limite massimo agli interessi oltre il quale il contratto sarebbe risultato nullo. Secondo la Legge delle XII tavole questo tetto era fissato a 1\12 mensile (pari al 100% annuo). Solo alla fine dell'età Repubblicana si scese a 1\100 mensile (pari al 12% annuo). Ulteriore abbassamento fu dovuto a Giustiniano che impose un massimo del 6% annuo. Restò comunque sempre presente il divieto di anatocismo.

Forma particolare di mutuo era il foenus nauticum, o pecunia traiecticia: era un prestito diffuso nel commercio marittimo, con assunzione del rischio della navigazione da parte del creditore, il quale aveva diritto alla restituzione solo se la nave avesse compiuto felicemente il viaggio.
Date queste particolari caratteristiche, il creditore (faenerator) poteva chiedere interessi molto più elevati rispetto agli usi correnti, e le cd. usurae maritimae potevano arrivare fino al doppio del tasso normale. Inoltre, il faenerator aveva uno speciale diritto di pegno sulle merci trasportate; anzi, qualche studioso ritiene che egli avesse addirittura la proprietà delle suddette merci finché l'armatore non le avesse riscattate pagando capitale e interessi.

Anche le civitates potevano concedere mutui, ma in tal caso non si trattava di un contratto, bensì di una concessione amministrativa, soggetta alla cognitio extra ordinem.

La fides (fiducia)

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La fides (fiducia) era un contratto reale che poteva avere diverse cause: garanzia, deposito, ecc. Per questo motivo fu soppiantata da rapporti più specifici, come il pegno e l'ipoteca (per i contratti con causa di garanzia) e con il comodato e il deposito (per gli altri casi).
La fiducia costituiva un negozio di vasta applicazione e di grande interesse nel diritto classico, che per la sua struttura era ricompresa fra i contratti reali o le res creditae, ma il diritto giustinianeo la abolì.
La fiducia si può definire come una convenzione, per cui una delle parti (fiduciario), ricevendo dall'altra (fiduciante) una cosa nella forma della mancipatio o della in iure cessio, assume l'obbligo di usarne ad un fine determinato e di restituirla (una volta esaurito il fine).
Il fine, per cui la fiducia veniva impiegata, era di natura assai varia; o di fornire al creditore una garanzia reale (in tal caso si diceva fiducia pignoris iure cum creditore), o di costituire la cosa in deposito, o di concederla in comodato, o infine in un altro uso qualsiasi. Per esempio, veniva mancipato al fiduciario uno schiavo, perché questi lo manomettesse. In questo genere di applicazioni, la fiducia veniva detta cum amico.
La mancipatio eseguita per raggiungere il fine del pactum fiduciae era detta fiduciae causa.
L'obbligazione del fiduciario nasceva dal pactum fiduciae, convenzione scevra da forme e distinta dalla successiva mancipatio. La mancipatio dell'oggetto costituiva la causa giustificatrice dell'obbligo assunto e allo stesso oggetto si riferiva la prestazione (conformemente alla struttura classica dei contratti reali).

I diritti del fiduciario sulla cosa consistevano nel diritto di vendere la cosa stessa se non vedeva soddisfatto il suo credito, il diritto di usarne, il diritto di manomettere lo schiavo, ecc. Questi poteri derivavano al fiduciario dalla proprietà, che egli acquistava sulla cosa, ma in sostanza egli poteva fuire di essa solo in maniera conforme al pactum.

L'azione a garanzia del fiduciante era chiamata actio fiduciae; in origine, si trattava di un'azione bonae fidei, poi in ius. era un'azione infamante ed ammetteva l'actio fiduciae contraria a favore del fiduciario.
L'azione, generalmente stabilita per ottenere la restituzione dell'oggetto, venne via via estesa a garantire ogni violazione del patto e ogni uso illecito della cosa.

La fiducia scomparve col cessare delle forme della mancipatio e della in iure cessio, in quanto trovarono generale applicazione i contratti di pegno, deposito e comodato.

Il commodatum (comodato)

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Nel Corpus iuris civilis si parla del commodatum (comodato): "Parimenti, colui al quale fu data una cosa per usarla, cioè fu comodata, è obbligato reale ed è soggetto all'actio commodati. Ma egli è molto diverso da quello che accetta un mutuo: infatti la cosa non gli è data per diventare sua, è quindi tenuto a restituire la medesima cosa. La cosa è comodata se nessun compenso è stato pattuito; del resto, se fosse stato pattuito un compenso, sembrerebbe piuttosto una locatio. Quello che riceve in comodato è obbligato a restituire la stessa cosa, custodendola con esatta diligenza, e non basta adoperare tanta diligenza quanta si è soliti adibire alle proprie cose".
Queste, in buona sostanza, le regole sul comodato, o prestito ad uso.
Era altresì nota la figura del comodato ad pompam, che aveva ad oggetto cose inconsumabili o consumabili, ma soltanto per farne mostra (nei ricevimenti, nelle cene di gala, ecc.) e non per usarle.

Il depositum (deposito)

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Il depositum (deposito) era un contratto reale con cui il depositante consegnava la cosa e il depositario si impegnava a custodirla ed a restituirla su richiesta. Durante questo periodo di tempo però non avrebbe potuto disporne.
Elemento essenziale era la gratuità, ma il diritto giustinianeo ammise un modesto compenso.
Il deposito non è un istituto antichissimo, e fu riconosciuto e tutelato per la prima volta dal diritto pretorio. Il depositario doveva restituire la cosa insieme ai frutti; il depositante doveva risarcire i danni che la cosa avesse causato al depositario, nonché le spese da questi sostenute.

Figure anomale di deposito erano:

  • il deposito miserabile, fatto in occasione di calamità pubbliche o private;
  • il sequestro: è il deposito presso un terzo della res litigiosa fino alla sentenza;
  • il deposito irregolare (es. deposito di denaro): era considerato più come un mutuo, perché sorgeva l'obbligo di restituire il tantundem e non le stesse monete.

Il pegnum (pegno)

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Per il pegnum (pegno) si rinvia alla lezione sui I Diritti Reali di Garanzia in Diritto Romano dove è tratto in modo approfondito.

Le obligatio verbis (contratti verbali)

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Le Obligatio verbis (contratti verbali) erano contratte con parole tramite domanda e risposta, stipulando di dare o di ricevere qualcosa. Da ciò nascono due azioni, la condictio se la stipulazione è certa, e l'actio ex stipulatu se è incerta. Essa era chiamata con questo nome poiché l'impegno era detto stipulum presso gli antichi, forse provenendo da stipite (ceppo, tronco).
L'obligatio verbis era fonte di contratti verbali, così detti in quanto perfezionati esclusivamente mediante formule orali (eventuali documenti scritti avevano solo valore probatorio).

Requisiti necessari erano:

  • la presenza di ambo le parti
  • la capacità di disporre
  • l'unitas acti.

Mediante i contratti verbali si poteva dare vita a stipulationes certae ed incertae: quelle certae si caratterizzavano per il fatto che da domanda e risposta si ricavavano il quid, il quale e il quantum della prestazione.

I contratti verbali erano:

  • Sponsio (promessa/giuramento)
  • Stipulatio (stipulazione)
  • Dotis Dictio (dote detta)
  • Promissio iurata liberti (promessa giurata del liberto)

La sponsio (promessa/giuramento)

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Il termine sponsio (promessa/giuramento), che deriva dal verbo greco spendo, costituisce una forma di giuramento compromissorio valente nella società romana sia in ambito giuridico che religioso e la base attraverso cui si sono sviluppate le obbligazioni in senso moderno.

Inizialmente sulla base di Varrone (lingua lat. 6,69) e Valerio Flacco (Fest. 440) gli si attribuì origine latina da sponte (spontaneamente), ma i linguisti moderni (Ernout et Meillet; Walde-Hofman) ritrovano la radice del termine proprio nel greco spendo per quanto riguarda la sua valenza religioso-sacrale, poiché indicante l'atto di offerta agli dei di materiali liquidi come vino e latte. La sponsio venne utilizzata difatti per gli scopi più vari (come promessa di matrimonio, come modalità di trasferimento o acquisto di merce o denaro, nei trattati internazionali ecc.) per via della sua ecletticità e plurivalenza, caratteristiche che gli permisero di sopravvivere ad altri tipi di obbligazione come i nexi e nello stesso tempo di far sorgere la prima obligatio in senso puro conosciuta dai romani. Si pensa inoltre che la sponsio originariamente, visto il suo carattere sacro (e per questo la derivazione greca risulterebbe corretta), fosse affiancata da un'invocazione alla divinità, quale testimone dell'atto di giuramento che si stava compiendo, affinché si potesse ottenerne la protezione.

La sponsio si svolgeva attraverso un atto di richiesta del futuro creditore nei confronti dell'altro, lo sponsor, di una determinata "prestazione" (il termine per il periodo in questione è anacronistico), il quale si impegnava a far sì che il primo riuscisse ad ottenerla, anche se non propriamente da lui, vincolandosi a quest'ultimo mediante un «dare oportere», ossia una necessità sia materiale che psicologica di realizzare la promessa affinché il vincolo si spezzasse. Se questo non accadeva, se cioè lo sponsor mancava di realizzare la "prestazione", esso era soggetto alla manus iniectio da parte del creditore, il quale però, prima di ricorrere all'azione esecutiva doveva accertare l'esistenza del vincolo dello sponsor davanti a un giudice. Venne istituita infatti dalle XII Tavole la legis actio per iudicis arbitrive postulationem, la quale aveva tra le sue funzioni, quella di determinare l'esistenza del vincolo della sponsio. Una volta provato che il vincolo era presente il creditore poteva procedere con la manus iniectio e convertire il «dare oportere» in un asservimento corporale, scaduto il termine posto dal "Trinundium".

Nel caso in cui lo sponsor non riuscisse a far ottenere da sé la "prestazione" al creditore, poteva vincolarsi attraverso una seconda sponsio (che prenderà il nome di adpromissio) ad un garante, il quale eseguita la prestazione al posto del primo aveva il diritto di pretendere, poi, dallo sponsor principale un risarcimento. Se questo non perveniva allo sponsor garante questi poteva praticare direttamente la manus iniectio sul "suo creditore" (lo sponsor principale) senza alcun accertamento del vincolo mediante l.a.p.i.p., come se questo fosse già stato giudicato. Altra variante della sponsio era l'adstipulatio con cui un secondo creditore (l'adstipulator) poteva vincolare uno sponsor soggetto a un altro creditore attraverso una sponsio adiacente a quella già instaurata prima, pretendendo la stessa "prestazione" e avendo gli stessi diritti del creditore precedente, raddoppiando di conseguenza la "prestazione" da parte dello sponsor.

L'adempimento dell'obbligo nei confronti del creditore non era abbastanza per far sì che il vincolo da sponsio potesse cessare. Esisteva difatti un atto speculare alla sponsio che faceva sì che il soggetto fino ad allora vincolato fosse di seguito libero da tale vincolo provando che la "prestazione" era stata eseguita. Lo sponsor chiedeva al creditore se la "prestazione" era da lui stata compiuta, se cioè il creditore aveva ottenuto quel che aveva chiesto, il quale poteva rispondere semplicemente «habeo». Tale atto prese il nome di acceptilatio. Tuttavia abbiamo conferma che in epoca classica l'acceptilatio non aveva più questa funzione.

La Stipulatio (stipulazione)

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La stipulatio (stipulazione) era il più tipico contratto verbale del diritto romano.

La stipulatio (stipulazione) nasce dall'evoluzione del giuramento promissorio della sponsio, istituto tipico del diritto romano arcaico che, intorno al IV-III secolo a.C., vede l'introduzione di un diverso e meno rigido formalismo verbale nella creazione dell'istituto, con l'introduzione di una terminologia diversa rispetto al solenne utilizzo del verbo spondere su cui si basava la formazione dell'enunciato promissorio in epoca risalente. Così si venne ad introdurre la figura della stipulatio: che si manifesta tramite una domanda alla quale segue una congrua risposta fatta, utilizzando lo stesso verbo applicato alla domanda (congruenza verborum) il promissor assume così l'obbligazione consistente nell'adempimento di una determinata prestazione in favore dello stipulator.

La stipulatio trovò utilizzo in una moltitudine di casi, ad esempio in casi di costituzione e/o restituzione di dote, in casi in cui bisognava assicurare la presenza del convenuto in un processo, in casi in cui si doveva sostituire una obbligazione con un'altra (novazione) etc.

Inizialmente la stipulatio ha un forte carattere formale (utilizzo di parole precise) e una forma assolutamente orale alla quale poi venne affiancata una forma scritta inizialmente a titolo di pura funzione probatoria, con l'avvento dell'epoca Postclassica/Giustinianea il formalismo grazie a imperatori come Leone venne meno; Leone stesso infatti spiegò che era pronto ad accettare ogni tipo di stipulatio che non impiegasse parole solenni e formali purché fosse comunque in grado,tramite queste, di far comprendere la causa del negozio stesso. La forma scritta di questo negozio giuridico divenne sempre più importante spinta anche dalle ideologie interne agli imperi tra cui si ricordano quella ellenistica che aiutarono l'utilizzo della scrittura in contratti puramente orali (obligationes verbis contractae) come questo; GiustinianoI stesso parve convinto dell'utilizzo sempre più affermato della scrittura in epoca Postclassica.

Oltre alle stipulationes convenzionali, nate dall'accordo delle parti, ve ne sono altre legali cioè predisposte dal pretore (dette anche "stipulazioni pretorie" ): un esempio è la cosiddetta cautio damni infecti, a tutela del proprietario per l'eventuale danno temuto.

Le azioni utilizzabili in ambito di stipulatio sono la actio ex stipulatu incerti se l'oggetto della stipulatio è incerto o consiste in un fare o in un non fare, se consiste per esempio in un dare predeterminato allora si utilizzerà una actio certae creditae pecuniae.

La dotis dictio (dote detta)

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Per la dotis dictio (dote detta) si rinvia alla lezione sui Il Matrimonio e gli "Sponsalia" dove è tratta in modo approfondito.

La promissio iurata liberti (promessa giurata del liberto)

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La promissio iurata liberti (promessa giurata del liberto) era il giuramento richiesto allo schiavo prima della manumissione con il quale prometteva di fornire al suo ex padrone alcune prestazioni che il più delle volte richiamavano quelle che era obbligato a fare da schiavo.

Le obligatio litteris (contratti letterali)

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Le obligatio litteris (contratti letterali) erano concluse quando la scrittura diventava obbligazione: ciò accadeva ad esempio con i nomina transcripticia (annotazioni fatte dal pater sul codex accepti et expensi, il libro delle entrate e delle spese familiari) e con i chirographa.

I nomina transcripticia potevano essere:

  • a re in personam, se obbligavano litteris chi si era già obbligato in altro modo;
  • a persona in personam, se si sostituiva il debitore con un altro.

Nello stesso codex (registro) si annotavano i nomina arcaria, che nullum facere obligationem sed obligationis factae testimonium praebere, cioè avevano la mera funzione di ricordare e testimoniare un'obbligazione preesistente.
I chirographa ed i syngrapha sono figure di origine greca: i primi erano documenti con funzione probatoria dell'obbligazione (cioè un'attestazione dell'obbligazione che restava nelle mani del creditore), mentre i secondi avevano funzione costitutiva dell'obbligazione.

Le obligatio ex consensu (contratti consensuali)

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Le obligatio ex consensu (contratti consensuali) hanno come elemento caratterizzante e costitutivo il 'consensum (sufficit eos, qui negotium gerunt, consensisse), per cui anche tra assenti, o per lettera, o tramite un messo, poteva essere stipulato un contratto consensuale.

Le quattro figure scaturite dallo ius gentium erano la emptio-venditio (compravendita), la locatio (locazione), la societas (società) e il mandatum (mandato).

La emptio-venditio (compravendita)

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È un contratto consensuale con effetti obbligatori. La emptio-venditio, secondo il diritto giustinianeo, "si perfeziona non appena sarà convenuto il prezzo, sebbene non sia stato ancora pagato e non sia stata data caparra. Ma occorre formalizzare quelle compravendite stipulate senza scrittura ... finché infatti manca qualche requisito, concediamo alle parti di recedere impunemente, se non fu data la caparra ... è necessario che anche il prezzo sia stabilito: infatti non può esserci compravendita senza prezzo, ed il prezzo deve anche essere certo ... deve consistere in denaro contante... Non appena viene pattuito il prezzo, il rischio della cosa venduta passa subito sul compratore, sebbene la cosa non sia stata ancora consegnata... la compravendita tanto puramente quanto sotto condizione può essere stipulata".
Queste le regole principali relative al contratto di compravendita; altre norme riguardavano la rescissione consentita al venditore che (senza raggiri) avesse venduto un immobile per meno della metà del suo valore.
Vi erano poi regole sull'esistenza di un naturale negotii quale la stipulatio habere licere (garanzia per l'evizione) eventualmente escludibile da un contrario patto, e l'obbligo per il venditore di custodire la cosa fino alla consegna e di garantire il trasferimento della vacua possessio.
Anche la responsabilità per i vizi della cosa fu considerata un naturale negotii, da far valere con l'actio empti.

La compravendita poteva essere corredata da clausole particolari, quali

  • il pactum de retrovertendo e de retroemendo (patto di riscatto),
  • il pactum displicentiae (cd. vendita ad arra)
  • il pactum degustationis (cd. vendita a prova)
  • il pactum addictionis in diem (clausola risolutiva della vendita se il venditore trova un terzo che gli offre un prezzo maggiore).

Dalle compravendita sorgevano le seguenti obbligazioni:

  • Il Compratore era obbligato a pagare il prezzo stabilito (con gli interessi se moroso)
  • Il Venditore era invece obbligato a far conseguire al compratore il pacifico godimento del bene e a garantire per l'evizione. Sarebbe inoltre stato responsabile del perimento del bene al momento della vendita.

La locatio (locazione)

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La locatio (locazione), più che un unico contratto, era un genus nel quale i Romani facevano rientrare figure diverse:

  1. la locatio rei
  2. la locatio operis
  3. la locatio operarum

Diceva Giustiniano: La locazione è simile alla compravendita ed è disciplinata dalle medesime regole di diritto. Infatti, la compravendita si contrae appena pattuito il prezzo, e così la locazione si contrae appena stabilito il fitto. Ed al locatore spetta l'actio locati, mentre al conduttore spetta l'actio conducti.

La locatio rei consisteva nel godimento di una cosa mobile o immobile per un certo tempo, diero pagamento di un "fitto".

La locatio operis era il contratto mediante il quale il conduttore si obbligava a raggiungere un determinato risultato col proprio lavoro e il locatore si obbligava a pagare la mercede.

La locatio operarum era il contratto con cui il locatore metteva a disposizione del conduttore i propri servigi, dietro corrispettivo (es. trasformazione dell'uva in vino). La locatio operarum era quindi sostanzialmente un contratto di lavoro, ma oggetto del contratto era sempre la cosa e non l'attività del locatario.

Mentre il contratto di locatio rei era trasmissibile all'erede o al successore universale (emptio non tollit locatum), la locatio operis e la locatio operarum si estinguevano alla morte del conduttore.

La societas (società)

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La societas (società) era un contratto consensuale bilaterale (o plurilaterale, se i soci sono più di due) con cui le parti si obbligavano a mettere in comune beni e attività al fine di dividersi i profitti e le perdite. Essendo un contratto, la societas non creava alcuna figura autonoma di persona giuridica o di ente collettivo, come accade negli odierni ordinamenti, ma si limitava a regolare i rapporti interni tra i soci (compito che oggi spetta all'atto costitutivo).

Era vietata la societas leonina, in cui taluno dei soci veniva escluso dai profitti o dalle perdite; non era però necessario che profitti e perdite fossero divisi in parti uguali, poiché in tal senso avevano valore le pattuizioni individuali.
Nei rapporti interni, ciascuno dei soci poteva agire contro gli altri con l'actio pro socio, nei limiti del beneficium competentiae.

Regole particolari si rinvengono nelle fonti giustinianee:

  • la società rimane in vita finché fra i soci rimane il consenso: ma se si rinuncia alla società, essa si scioglie
  • la società inoltre si scioglie per morte del socio, poiché chi stipula un contratto di società sceglie una certa persona (cfr. contratti intuitu personae). E anche se la società sia fondata con l'accordo di più persone, sebbene più siano i sopravvissuti, la morte di un solo socio la scioglie, a meno che un altro non pattuisca di entrare nella società.

Il mandatum (mandato)

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Il mandatum (mandato) entrò nel mondo giuridico romano relativamente più tardi rispetto alle altre figure dello ius gentium.

Infatti, quando i traffici commerciali erano poco estesi, il pater si serviva dei suoi sottoposti per concludee negozi. Con l'incrementarsi del commercio, gli operatori ebbero bisogno di persone fidate cui affidare la conclusione dei propri affari, e così si affermò il mandatum, contratto consensuale gratuito con cui il mandatario si obbligava a fare qualcosa di cui il mandante lo incaricava.