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Patristica (superiori)

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Patristica (superiori)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Filosofia per le superiori 1
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 75%

In Europa la diffusione del Cristianesimo all'interno dell'impero romano segnò la fine della filosofia ellenistica e l'inizio della Patristica, dalla quale si svilupperà la filosofia medievale.

La Patristica, cioè il pensiero dei antichi padri della Chiesa, rappresentò il primo tentativo di fusione fra la tradizione ebraica e la filosofia greca, di cui costoro cercarono di assimilare profondamente il senso del logos, concetto chiave della filosofia greca: logos significava la ragione e il fondamento universale del mondo, in virtù del quale la realtà terrena veniva ricondotta a un principio intellettivo ideale, in cui risiederebbe la vera dimensione dell'essere. Soprattutto in Plotino, l'ultimo dei grandi filosofi greci, si avvertiva il tema della trascendenza dell'Idea platonica, da lui concepita come la forza spirituale che plasma gli organismi viventi secondo un progetto prestabilito.

Se i primi cristiani accolsero con accenti diversi la filosofia pagana, senza identificare automaticamente i suoi sistemi di pensiero con il messaggio evangelico, e anzi con una certa coscienza critica che in Tertulliano si tramuta in aperta diffidenza,[1] Giustino fu invece tra i primi a identificare il Cristo incarnato con il logos dei greci, termine che egli trovava adoperato nel prologo di Giovanni.

Almeno fino al 200, la Patristica si dedicò essenzialmente alla difesa del cristianesimo contro i suoi avversari. Tra costoro vi erano i cosiddetti "padri Apologisti". Solo in seguito cominciarono invece a sorgere i primi grandi sistemi filosofici. Un importante contributo in tal senso venne da Clemente Alessandrino; come Giustino, anche Clemente arrivò a sostenere che Dio aveva dato la filosofia ai greci «come un Testamento loro proprio».[2] Per lui la tradizione filosofica greca, quasi al pari della Legge mosaica per gli Ebrei, è ambito di "rivelazione": sono due rivoli che in definitiva vanno verso lo stesso Logos.

Agostino d'Ippona

Il maggiore esponente della Patristica fu Agostino di Ippona: questi conciliò la filosofia greca con la fede cristiana riprendendo dal neoplatonismo il tema delle tre nature o ipostasi divine (Uno, Intelletto e Anima) e identificandole con le tre Persone della Trinità cristiana (Padre, Figlio e Spirito Santo), ma concependo il loro rapporto di processione non più in senso degradante, ma in un'ottica di parità-consustanzialità. Secondo Agostino ci sono dei limiti oltre i quali la ragione non può andare, ma se Dio illuminerà la nostra anima con la fede riuscirà placare la nostra sete di conoscenza. Agostino riprese da Plotino anche la concezione del male come semplice "assenza" di Dio: esso è dovuto perciò alla disobbedienza umana. A causa del peccato originale nessun uomo è degno della salvezza, ma Dio può scegliere in anticipo chi salvare; ciò non toglie che noi possediamo comunque un libero arbitrio.

Con Agostino emerse tuttavia, su questo punto, una differenza peculiare della filosofia cristiana rispetto a quella greca, nella quale era certamente presente l'idea della contrapposizione tra bene e male, ma era assente la nozione del peccato, per cui non c'era una visione lineare della storia come percorso di riscatto verso la salvezza. Agostino invece ebbe presente come la lotta tra bene e male si svolge soprattutto nella storia. Ciò comportò anche una riabilitazione della dimensione terrena rispetto al giudizio negativo che ne aveva dato il platonismo. Ora anche il mondo e gli enti corporei hanno un loro valore e significato, in quanto frutti dell'amore di Dio. Si tratta di un Dio vivo e personale che sceglie volontariamente di entrare nella storia umana. All'amore ascensivo tipico dell'eros greco, Agostino affiancò pertanto l'amore discensivo di Dio per le sue creature, proprio dell'agape cristiano.

La valorizzazione della storia e dell'esistenza terrena portò nel V secolo a una novità rispetto ai modelli orientali incentrati sull'esperienza mistica, e cioè alla nascita dell'attività monastica istituita da Benedetto da Norcia, autore della celebre regola «prega e lavora»: il lavoro manuale divenne un elemento importante nel percorso di salvezza del cristiano. Accanto alla vita spirituale c'è anche la vita quotidiana: si affaccia così l'idea del progresso, di un'evoluzione universale a cui ognuno è chiamato a contribuire, e che sarà un elemento centrale di tutta la filosofia medievale.

L'opera dei benedettini risultò tanto più importante anche per le ore dedicate allo studio: il loro lavoro di copiatura di testi antichi, non solo religiosi, ma anche scientifici e letterari, salvò infatti numerose opere dell'età greca e romana che poterono così attraversare i secoli e giungere all'età moderna. Il sapere allora diffuso dai monasteri e dalle abbazie poté inoltre facilmente ottenere il monopolio sull'insegnamento anche a seguito della definitiva chiusura dell'Accademia di Atene nel 529.

Boezio
Scoto Eriugena

Dal V al VIII secolo vi fu quindi l'ultimo sviluppo della Patristica, che consistette più che altro nella rielaborazione di dottrine già formulate, ma in parte anche in nuove riflessioni. Tra i più originali vi fu Boezio, ritenuto uno dei precursori della Scolastica e della disputa sugli universali, riguardante la definizione delle essenze attribuibili a generi e specie universali. Nello Pseudo-Dionigi l'Areopagita si trova invece la prima esplicita distinzione tra teologia negativa e teologia affermativa: mentre quest'ultima arriva a Dio tramite un progressivo accrescimento di tutte le qualità finite di ogni singolo oggetto, la prima al contrario procede per decrescita e diminuzione fino ad eliminare ogni contenuto dalla mente, poiché Dio, essendo superiore a tutte le realtà possibili e immaginabili, non è identificabile con nessuna di esse.

Anche l'irlandese Scoto Eriugena, teologo di epoca carolingia e autore del Periphyseon (o De divisione naturae), riprese la riflessione agostiniana sul rapporto dualistico e complementare tra fede e ragione che in Dio necessariamente coincidono, risolvendolo in un cerchio; privilegiando la via negativa, egli vedeva Dio come superiore sia all'essere che al non-essere, come il punto in cui il dualismo della realtà si ricompone in unità. Egli seguì pertanto l'interpretazione di Dionigi l'Areopagita, del quale tradusse in latino il Corpus Areopagiticum, e del quale ribadì la concezione che le idee platoniche sussistono nel Verbo ma non coincidono con esso: sono infatti opera del Padre.


Note

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  1. Tertulliano, che si domanda: «Che cosa hanno in comune Atene e Gerusalemme? Che cosa l'Accademia e la Chiesa?» (De praescriptione haereticorum, VII, 9).
  2. Clemente Alessandrino, Stromata 6, 8, 67, 1.