Palazzo della Vallée
CENNI STORICI SULL'ORIGINE DEL PALAZZO DELLA VALLEE
NOTAZIONI
La storia del palazzo “De la VALLEE” sede attuale del Comando Militare Esercito della Sardegna, inizia con la nascita del Convento di Santa Rosalia dei Frati Minori di Cagliari, che, per varie vicissitudini belliche dovettero definitivamente abbandonare il grande Convento di S. Maria di Gesù, nell'attuale Manifattura Tabacchi, ed “extra muros”, per occupare il nuovo plesso Conventuale “intra moenia”, accanto alla Chiesa di Santa Rosalia, in affidamento alla Confraternita dei Siciliani.
Dietro i buoni servizi della Casa Savoia, tale Chiesa fu concessa in uso, allargandola alle dimensioni attuali, ai Frati Minori, che la presero in possesso fin dal 1740, iniziarono a costruirvi l'attuale complesso conventuale con la posa della prima pietra il 27 aprile 1741 e vi si trasferirono, ufficialmente, dal S. Maria di Gesù al nuovo, il 26 aprile 1749, pur essendo ancora incompleto. A piena efficienza poteva accogliere fino a 80 frati.
I FRATI MINORI
L'Ordine dei Frati Minori, come i frati Minori conventuali e i Frati Minori Cappuccini, si rifanno a San Francesco d'Assisi (+1226), che ha fondato l'Ordine dei Frati Minori, sic et simpliciter, unico e indiviso.
Tale Ordine, il cui carisma ed ispirazione evangelica aveva sposato la povertà individuale e corporativa dei suoi membri, cammin facendo, nella sua non sempre corretta evoluzione, sviluppò una tendenza ammorbidente sul terreno della povertà corporativa in rottura col dettato del cap. VI della Regola del 1223, ove vien ordinato “che i Frati non si approprino nulla, né casa, né luogo, né alcuna altra cosa”. Tale tendenza, che assunse la storica denominazione di “conventuale”, dal possesso dei grandi conventi, e “conventualismo” la tendenza lassista che condusse al rifiuto della povertà corporativa o comunitaria, fu sempre contrastata da S. Francesco e dai suoi primi Compagni, dalla corrente degli Spirituali nella seconda metà del XIII secolo e soprattutto dall'ala vincente così detta dell'Osservanza che, pur non essendo mai venuta meno in molti membri dell'Ordine, divenne vittoriosa, a partire dal XIV secolo, in Italia, Francia e Spagna, fino a divenire maggioranza nell'Ordine, allorché il 29 maggio 1517, Papa Leone X (1513-1521) separò in due Ordini le due anime in contrasto dando ai Frati Minori dell'Osservanza il sigillo dell'Ordine e all'altro il nome, in una subalternanza giuridica al primo, di Frati Minori Conventuali. Nel 1525 sorsero i Frati Minori Cappuccini come una riforma, ancora più severa ed esigente, nella riforma.
L'Osservanza, come riforma dell'Ordine, si diffuse rapidamente in Sardegna con i Conventi di Santa Maria Maddalena in Oristano (1458), S. Pietro in Silchi a Sassari (1467), S. Maria degli Angeli a Santulussurgiu (1470), S. Francesco ad Ozieri (1470), San Saturnino a Cagliari (1479), S.Maria degli Angeli a Torpè (1483), S.Maria di Gesù a Cagliari nel 1487, inaugurato nel 1508, e tante altre fondazioni nei decenni successivi. L'Osservanza sarda, dipendente dall'Osservanza italiana fin dalle origini, divenne Provincia autonoma nell'Ordine fin dal 1511 col titolo di Vicaria Provinciale e con quello di Provincia di S.Maria delle Grazie nel 1517. Nel 1511 passò temporaneamente all'area d'influenza spagnola dell'Ordine, denominata Osservanza Ultramontana, ma nel 1526 nuovamente apparteneva all'Osservanza Cismontana o italiana. Nel 1581, per pressioni di Filippo II, la Provincia di S.Maria delle Grazie di Sardegna fu nuovamente aggregata tra le Province Ultramontane spagnole, ma non fece mai parte della Provincia di Valenza, giacché è stata sempre Provincia autonoma come quella.
Ai tempi della costruzione del Convento di Santa Rosalia, ora “Palazzo De La Vallee”, la Provincia di Sardegna era stata, già dal 1639, divisa in due Province Religiose, Santa Maria delle Grazie a Sassari e centro-nord dell'Isola e quella di San Saturnino a Cagliari e centro sud della Sardegna. La Provincia di San Saturnino, di cui il Convento di S.Maria di Gesù era il più importante e sede del governo della Provincia, aveva in totale 10 case: S.Maria di Gesù e San Mauro a Cagliari, Santa Lucia a San Gavino, San Michele Arcangelo a Villasor, Santa Maria Maddalena e San Giovanni Evangelista ad Oristano, San Sebastiano a Genoni, S.Maria degli Angeli a Gadoni, Madonna dei Martiri a Fonni, L'Immacolata Concezione a Lanusei.
Questi son dunque i Frati Minori dell'Osservanza anche in Sardegna e, in modo eminente a Cagliari, col S.Maria di Gesù, capace di 80 frati e con la Chiesa dotata di 16 Cappelle, una delle più belle e più grandi dell'Isola, ma che fu demolita per le esigenze militari dell'epoca.
LA SARDEGNA PASSA AGLI AUSTRIACI
Queste sono date che noi italiani dobbiamo ricordare, perché per un secolo e mezzo l'atto costitutivo del nostro paese era rimasto quello stabilito dal trattato di Cateau-Cambresis del 1559 che aveva fatto dell'Italia una colonia spagnola, ora quello di Utrecht (1579) l'avrebbe fatta diventare una colonia Austriaca sino al 1918.
Tornando ai risultati del trattato di Utrecht, per apprezzarne la portata, dobbiamo dividere gli interessi del paese da quelli delle dinastie regnanti. Vediamo così che la Francia come paese perse molto poiché fu cancellata come potenza marittima, avendo perso la flotta, uscita decimata e scompagnata dalla guerra, e avendo dovuto cedere all'Inghilterra Terranova, i possedimenti canadesi e le teste di ponte del Nord dell'America. La dinastia ci aveva guadagnato, perché riuscì a piazzare sul trono di Spagna uno dei suoi Principi Borbone, Filippo V.
La Spagna da parte sua aveva un re Borbone, fatto poco interessante per il Popolo, e conservava il suo immenso impero latino-americano, ma perdeva tutti i possedimenti europei, il che non era cosa da poco.
In fatti perdeva le Fiandre con le sue industrie, il Ducato di Milano, la Sardegna, Napoli, lo Stato dei Presidi (Orbetello e dintorni), la Sicilia e, cosa più grave, dovette cedere all'Inghilterra Gibilterra e Minorca. Perdendo questi due possedimenti la Spagna cedeva il controllo del Mediterraneo agli Inglesi. All'Austria andò molto bene perché, seppur il Casato aveva perso la corona di Spagna, (ricordiamo che all'epoca la posta principale era proprio questa), aveva però acquisito le Fiandre, il Ducato di Milano, il Regno di Napoli, la Sardegna e lo Stato dei Presidi. E' importante ora prestare attenzione all'Italia.
Dei sonnecchianti staterelli in cui era divisa, solo il Piemonte aveva partecipato a questa guerra di successione. Il titolare, Vittorio Amedeo II si era gettato in quel conflitto per ambizioni di rango, da Duca qual era voleva diventare Re, e ad Utrecht c'era riuscito. Infatti, gli era riconosciuto, in aggiunta ai suoi titoli di Duca di Savoia e Principe di Piemonte, quello di Re di Sicilia.
Grazie a questo nuovo assetto e al loro corpo diplomatico, i Savoia, pur non assurgendo a potenza europea, poterono restare agganciati alla politica delle grandi Nazioni. Queste in fatti, li considerarono un elemento attivo del proprio equilibrio e gli affidarono la mansione di contrappeso all'Austria.
La vera trionfatrice fu l'Inghilterra che non pretese nessun titolo ma, come abbiamo detto sopra, impadronendosi dei punti strategici in mediterraneo e dei possedimenti oltreoceano, divenne la prima potenza mondiale, garante della pace di Utrecht e del famoso balance of powers. Per tornare alla nostra isola ed ai nostri frati, dobbiamo interessarci della corte di Filippo V nuovo re di Spagna, e più precisamente di un suo consigliere politico, il Cardinale Giulio Alberoni (suddito di casa Farnese Duchi di Parma), e della seconda moglie di Filippo, Elisabetta Farnese.
Il Cardinale Alberoni è passato alla storia come uno dei personaggi politici più intrigante e doppiogiochista, tanto che nelle cancellerie europee era chiamato comunemente "l'avventuriero italiano".
Secondo alcuni storici è l'antesignano del Risorgimento italiano. In effetti, costui voleva sì la cacciata degli Asburgo, ma non per unificare l'Italia e farla assurgere a Nazione, bensì per farla diventare un possedimento dei Farnese.
Fu lui che, al momento del decesso di Maria Luisa Savoia, prima moglie di Filippo V, convinse il monarca a sposare in seconde nozze Elisabetta Farnese, erede del Ducato di Parma. Subito dopo il matrimonio e i due italiani iniziarono un gioco politico teso a riconquistare alla corona spagnola i possedimenti italiani, col segreto intento di passarli poi ai Farnese per via dinastica.
Degno di menzione è il modo in cui i due convinsero il debole Filippo V ad avallare il loro gioco, vale a dire facendo leva sulla sua forte sensualità e golosità. Alla prima ci pensava Elisabetta, alla seconda l'Alberoni. Infatti, in questo periodo le valigie diplomatiche tra Spagna e Ducato di Modena furono frequentissime e molto veloci, ma non portavano documenti, bensì specialità parmigiane (formaggi, culatelli etc.).
LA RICONQUISTA SPAGNOLA DELLA SARDEGNA
Tra le varie azioni diplomatiche che contraddistinsero l'operato del Cardinale Alberoni una in particolare riguarda la Sardegna ed i nostri Frati. Nel suo tentativo di isolare l'Austria, provò dapprima ad inserirsi nella Triplice Alleanza (anglo-franco-olandese) poi, non essendoci riuscito, tratto con i turchi perché riprendessero l'offensiva nei Balcani. Contemporaneamente, siccome aspirava al cappello cardinalizio, offriva al Papa la restaurata flotta spagnola per una crociata contro i turchi. In effetti, il Vaticano cercava alleati per sbaragliare definitivamente i musulmani approfittando del fatto che questi ultimi avevano appena subito una pesante sconfitta a Petervaradino da parte dell'esercito Austriaco condotto da Eugenio von Savoy (così si faceva chiamare Eugenio di Savoia).
Il doppio gioco si ritorse contro di lui perché il Papa accettò la proposta e gli inviò il cappello cardinalizio in cambio delle navi.
L'Alberoni si sarebbe dato la zappa sui piedi, poiché la definitiva sconfitta turca avrebbe permesso all'Austria di impiegare tutta la forza delle sue armate nel settore europeo Perso per perso l'Alberoni decise di giocare anche il Papa e, visto che Cardinale ormai lo era, deviò verso la Sardegna la flotta armata per il Papa posta al comando del Marchese di Lejda, assegnando a questi il nuovo compito di riconquistare la Sardegna. Lì per lì parve che il colpo di mano riuscisse, perché l'Austria, temibilissima a terra, non aveva valenza navale.
Il suo appello all'Inghilterra ed Olanda andarono a vuoto giacché queste ultime, tese a mantenere inalterata la già ricordata balance of powers, non vedevano di buon occhio la crescita del potere austriaco conseguente alla schiacciante vittoria di Petervaradino. Questa azione non ottenne quindi la reazione delle nazioni garanti cui, tra l'altro, non dispiacque la mossa del Cardinale.
Le stesse nazioni però reagirono poco dopo, quando Elisabetta Farnese, imbaldanzita dal successo dell'azione in Sardegna, decise di rifare lo stesso gioco con la Sicilia. A questo punto, la Triplice Alleanza (anglo-franco-olandese), preoccupata da questa nuova aggressività spagnola, accetto l'Austria come alleata. Diventata Quadruplice Alleanza(austro-anglo-franco-olandese), senza consultare Filippo V Re di Spagna, ridistribuì i possedimenti coloniali. Riassegnò all'Austria Milano, Napoli e la Sicilia. Il Piemonte in cambio della Sicilia avrebbe avuto la Sardegna, in modo da permettere ai Savoia di mantenere la corona reale. I piemontesi che avevano più volte chiesto il regno di Napoli, accettarono il cambio a denti stretti e presero possesso della Sardegna col timore di un altro colpo di mano spagnolo.
Fu per questo, più che per difendersi dalle scorrerie dei pirati saraceni, che si diedero un gran da fare a fortificarne la Piazzaforte principale, in altre parole CAGLIARI. Per dovere di cronaca ricordiamo che la Spagna non accetta questo trattato di Londra, a questo punto la Quadruplice passò alle vie di fatto e distrusse la flotta spagnola nella battaglia di CAPO PASSERO lasciando le truppe sbarcate in Sicilia tagliate fuori della madre patria, alla mercé dell'esercito Austriaco.
LA DISTRUZIONE DEL MONASTERO DI S. MARIA DE JESUS
Abbiamo ricordato, il Cardinale Alberoni, che aveva ricostruito la flotta spagnola e un valido esercito, sperava di poter riconquistare i perduti possedimenti spagnoli attraverso rapidi colpi di mano.
Assegnò quindi al Maresciallo di Campo D. Juan Francisco de Bette marchese di Lede (o Leyda) il compito di riconquistare la Sardegna impiegando l'armata che aveva promesso al Papa. Questa era costituita da "8.000 fanti, 600 cavalli, 62 pezzi di artiglieria di piccolo e grosso calibro comprendenti cannoni di breccia, di campagna e mortai, gran copia di attrezzi e munizioni, nonché viveri per tre mesi". Il tutto imbarcato su 12 vascelli e 100 legni da trasporto scortati da numerose galere.
In quell'epoca la piazzaforte di "Caller" (Cagliari), benché mancante di opere esteriori, era considerata inespugnabile se opportunamente presidiata.
Ricordiamo però che gli austriaci, forti della copertura inglese, avevano lasciato a presidio solo 600 fanti e 200 cavalli, quindi; anche presentando ricorso alle milizie paesane costituite da autoctoni, la guarnigione era sottodimensionata.
Dal punto di vista orografico la piazzaforte, circondata da strapiombi rocciosi, era espugnabile solo dal lato della Marina, costituito da terreno paludoso e difeso dalla cinta di Jesus e quella di N.S. di Monserrato.
L'azione ebbe inizio il 22 agosto 1717, quando le truppe spagnole presero terra sulla spiaggia di S. Andrea a Quartu.
Successivamente i “marines” (così erano chiamate le truppe di marina) sbarcarono l'artiglieria nella baia della capitale e, preso possesso del sovrastante colle di Bonaria, piazzarono davanti alla chiesa una batteria di quattro cannoni e subito dietro un'altra costituita da otto mortai.
Con questi pezzi e con l'appoggio di una batteria navale, iniziarono a battere la piazzaforte per dare copertura alle truppe da sbarco che si accamparono nella piana dominata dalla chiesa della Vergine di Lluch.
Da questa postazione si intendeva iniziare l'attacco alla roccaforte con il metodo giudicato meno dispendioso e sanguinoso, quello delle parallele. Per i meno addentrati nelle strategie di assedio, ricordiamo in cosa consisteva questa metodologia d'assedio, inventata e perfezionata dal ingegnere militare francese Sébastian Le Preste di Vauban (1633 - 1707).
Il metodo “delle parallele” era così detto perché consisteva nell'avvicinarsi agli spalti scavando una serie di trincee parallele al fuoco degli assediati in modo da impedire ai difensori di colpirle d'infilata.
In pratica si procedeva nel modo seguente: le truppe e le artiglierie dell'assediante si schieravano fuori portata degli assediati.
Durante la notte gli "zappatori" scavavano una prima trincea perpendicolare alla direzione di tiro dei difensori, a una distanza di circa 1000 m. dalle mura.
Terminata l'escavazione della prima parallela, che a volte durava intere settimane, si riforniva questa di uomini e di materiali e si dotava di batterie.
L'artiglieria, protetta da rinterri e gabbionate, consisteva in mortai che servivano per colpire l'interno della piazza, ed in cannoni con i quali si battevano i fianchi e le facce dei bastioni.
Là si sostava, battendo continuamente la Piazza per dare copertura ai genieri che scavavano la seconda parallela distante circa 600 m. dal nemico.
Le operazioni si ripetevano spostando in avanti le artiglierie e scavando un'altra parallela a 300 m. e i finali distante soli 60 m. dalle mura. Le trincee erano collegate tra loro da camminamenti zigzaganti che permettevano gli spostamenti di uomini e artiglierie al riparo del fuoco nemico.
Allora l'assediato tentava di contrastare l'implacabile avanzata del nemico con sortite improvvise o col tiro di “controbatteria”, che però era sempre impreciso nonostante l'impiego di razzi illuminanti e “pentole incendiarie”.
Giunto alla terza o quarta parallela, l'assediante, sempre al coperto e fuori tiro utile dei moschetti dei difensori, protetto dalle batterie di accompagnamento, metteva in azione le batterie di breccia per aprire un varco nel muro della fortificazione. Quando l'attaccante era in grado di forzare la breccia aperta nel baluardo ed irrompere nella Piazza era chiesta la resa.
Nella prassi corrente la resa all'assediante si considerava onorevole e la battaglia dentro il centro abitato si reputava disumana.
Questa fu dunque la metodologia usata dal Maresciallo spagnolo.
Fu così che durante l'assedio fu distrutto il convento, che sorgeva fuori mura a ridosso delle stesse. La casa conventuale, fu incendiato dalle palle arroventate delle artiglierie, e la chiesa distrutta dagli zappatori per fare posto ai cannoni da breccia.
I frati rimasti senza casa, furono accolti nel convento di San Mauro, e lì rimasero sino al momento di trasferirsi nel loro nuovo convento.
Sempre per completezza di informazione si ricorda che il 18 settembre gli spagnoli iniziarono a battere la piazza di Cagliari dalla prima parallela con 40 cannoni e 20 mortai. Misero in azione i cannoni di breccia alla fine di settembre, aprendo un varco considerevole Bastione di Monserrato.
La resa fu firmata la sera del 29 settembre, dopo che gli spagnoli durante i bombardamenti, ebbero scagliate sulla città più di 5000 tra palle e bombe. La conquista delle altre due Piazze sarde, Alghero e Castellaragonese, fu indolore per gli invasori.
Dette città si arresero senza colpo ferire quando seppero che i rinforzi che aspettavano, costituiti da 420 tedeschi sbarcati a Terranova, erano stati bloccati e fatti prigionieri da 60 partigiani sardi in una angusta gola della Gallura.
La riconquista della Sardegna costò agli spagnoli la perdita di 600 uomini, morti più per la malaria che per il fuoco nemico. Il miglior difensore fu quindi la zanzara anofele.
L'EDIFICAZIONE DEL NUOVO CONVENTO DI S. MARIA DEL JESUS
A questo punto entrano in scena i piemontesi.
Vittorio Amedeo II di Savoia, preso possesso del regno di Sardegna, che aveva accettato a malincuore in cambio della Sicilia, si preoccupò per prima cosa di ripristinare ed incrementare le fortificazioni della piazzaforte e, a questo scopo, si avvalse del famoso ingegnere militare piemontese Antonio Felice Devincenti.
La prima opera che i piemontesi eressero nella Piazza di Cagliari fu La Mezzaluna di Jesus Per tornare ai nostri Frati, dopo la distruzione del loro convento avvenuta nel 1717, furono ospitati in quello di S.Mauro per tre anni, fino al 1720.
Intanto però, costoro avevano già chiesto al Viceré, Barone di S. Remy, il permesso di riedificare il loro convento sulle rovine del precedente.
La ricostruzione sarebbe dovuta avvenire proprio sulle rovine della precedente chiesa in quanto nel pavimento riposavano le spoglie dei loro fratelli e vi era il sepolcro del Beato Salvatore da Horta (che sarà poi proclamato Santo) il cui corpo incorrotto era stato nel frattempo trasferito nel convento di S. Mauro.
Il Viceré negò loro il permesso “dovendosi erigere nello stesso sito una grande mezzaluna per la difesa della Porta Jesus e della cortina omonima”.
I Padri Osservanti ottennero il permesso di riedificare il convento si impegnarono a costruire a loro spese la mezzaluna considerandola un muro del nuovo convento. Allora il S. Remy accordò, ricordandogli che occorreva l'approvazione del re. I PP inviarono a Torino una delegazione composta da fra Ambrogio Carta e fra Pietro Maria Loy, latori di una petizione diretta al Re Vittorio Amedeo II reputò saggio accattivarsi le simpatie di un Ordine e concesse la ricostruzione del convento.
L'autorizzazione fu concessa a patto che il convento fosse casamattato a spese dei frati, che, dal canto loro, si impegnarono a pagare la costruzione della mezzaluna. Questo, tra l'altro, significava un risparmio per le casse dello Stato compreso tra gli 8.000 e i 10.000 scudi Il Devincenti incaricato della costruzione sia del convento sia del Rivellino (così si chiama quel tipo di fortificazione), iniziò per prima l'opera difensiva, battezzata "Mezzaluna di Jesus" o meglio il "Rivellino di Jesus".
Questa, che fu la prima opera eretta dai piemontesi nella piazzaforte di Cagliari, era una costruzione imponente, un triangolo alto 8 - 9 metri dal suolo, con uno spessore di 6 -8 metri che aveva tre corpi di guardia, posizionati alle estremità e al centro, che controllavano le tre porte che davano accesso al bastione.
Nella sua gola fu riedificato il convento, i cui lavori iniziarono nel 1719. Questo fu occupato dai frati nel 1720, prima che fosse terminato, ma già nel 1722 dovettero abbandonarlo in quanto la costruzione fu dichiarata di preminente interesse militare e i frati ricevettero l'ordine di sfratto.
La ricostruzione costò ai Frati ben 45.895 pesos, pari a 19.893 lire piemontesi, ma non era quello di prima, infatti, a causa del Rivellino, aveva perso l'orto, il frutteto ed il pozzo. In aggiunta a quanto detto, la ventilazione nella gola del Rivellino era alquanto stentata. I padri Osservanti trovarono asilo presso l'ospizio dei Domenicani di S. Lucifero, ma dopo soli sei mesi furono sfrattati anche da qui. I nostri, sapendo dove andare si spostarono ed i Domenicani ricorsero alla Santa Sede.
Qui fu riconosciuta la legittimità dello sfratto, di contro i PP. Osservanti trovarono ricovero in alcune case in affitto ubicate nei pressi della chiesetta di Santa Rosalia, centro religioso della colonia di pescatori siciliani, di cui erano cappellani. La mancanza di un convento pesò moltissimo ai Frati, fino al punto che decisero di ritrasferirsi nel loro convento del Jesus.
Così il 7 luglio 1726 tornarono in processione nel Convento di Maria e Gesù con il proposito di occuparlo definitivamente.
Ma i loro guai non erano finiti.
Nel 1728 l'ingegner De Guibert unì il Rivellino al corpo della Piazza costruendo una Comunicazione in muratura. Successivamente, intorno l'anno 1732, essendo le facciate del Rivellino visibili dalla piana, venne circondato da una strada sopraelevata coperta da terrapieni. A questo punto il convento divenne in vivibile.
Oltre ad avere perso gli orti ed il pozzo, ora la ventilazione naturale era completamente impedita dalle fortificazioni.
Le cronache narrano che a causa di questa degenerazione ambientale, (le celle erano sempre umide, torride in estate e gelide in inverno), tutti i frati si ammalarono e molti morirono. Raggiunsero il triste primato di quattro decessi in una settimana.
Fu inevitabile per i PP Osservanti cercarsi un altro alloggio. Vennero a conoscenza che il Padre Priore dei Benedettini di Monserrate (MONSERRATO) aveva ottenuto dall'Abate di Barcellona il permesso di alienare l'ormai deserto ospizio e chiesa del loro monastero in Cagliari Questo convento con chiesa, chiamato della Vergine di Monserrate, era sito in fondo alla breve discesa detta “Calle de S. Rosalea”, corrispondente all'attuale via Torino.
L'edificio è ancora esistente ed è riconoscibile da un piccolo bassorilievo della Vergine posto su una delle più alte finestre della sua facciata.
Il Viceré del tempo, Marchese D. Carlo Amedeo Battista S. Martino d'Agliè e di Rivarolo, accordò che i frati si trasferissero, trovando vantaggioso disfarsi di quei religiosi e di sopprimere un convento sito nelle fortificazioni della Piazzaforte.
I Frati Minori incaricarono il Sindaco Apostolico di scrivere al Re che la Provincia di S. Saturnino (dei frati MINORI) era disposta a cedere al Reale Patrimonio il Convento di S. Maria del Gesù. In cambio volevano i denari necessari ad acquistare l'edificio dei Benedettini al prezzo convenuto dai periti delle due parti, cioè di 4.400 scudi.
All'ultimo momento i Benedettini, senza apparente motivo, si rifiutarono di vendere. Il motivo si conobbe a posteriori, quando si seppe che l'ospizio fu venduto dal Superiore dei Benedettini di Spagna al Re piemontese . La trattativa si concluse nel 1750 per la notevole cifra di scudi 7974, reali sei, soldi due, denari sei.
In effetti i Benedettini non si accontentarono del prezzo definito dai due periti. A questo punto dalla documentazione epistolare tra il Re ed il Conte D'APREMONT viceré della SARDEGNA, datata 29 luglio 1739, si evince che, forse per un senso di colpa (molto difficile) o forse per acquistare benemerenze presso i Frati Minori di CAGLIARI, Amedeo III concesse ai Frati Minori il permesso di stabilirsi nella Chiesa di Santa Rosalia della Confraternita Siciliana di cui erano cappellani, furono altresì autorizzati ad allargare detta chiesa ed a acquisire le case viciniori per "....POTERVI EDIFICARE UN CONVENTO CAPACE DI SESSANTA RELIGIOSI, OLTRE AI NOVIZI ED OBLATI DA FABRICARSI CON LE LIMOSINE DE' LORO BENEFATTORI, COME PURE DI RICEVERE IL NUOVO CONVENTO E CHIESA E DI PERMETTERE CHE SULL'ALTARE MAGGIORE, E SULLE PORTE PRINCIPALI DI QUESTA, E DEL CONVENTO SI PONGANO LE NOSTRE ARMI....USERETE LE VOSTRE ATTENZIONI AFFINCHÉ SI OTTENGANO SIN D'ORA IL SITO NECESSARIO A TAL COSTRUZIONE, ANZI VI PERMETTIAMO D'IMPEGNARVI SINO ALLA SOMMA DI SEI MILLA LIRE...".
Lo sforzo a lire seimila era dettato dall'estimo catastale per l'acquisizione del convento di S. Maria del Gesù fatto dai periti reali di lire piemontesi 19.893 .
Inizio così la Fabbrica del Convento di S: Rosalia, sotto la direzione del ingegnere militare Capitano Augusto de LA VALLEE, attuale sede del COMANDO MILITARE ESERCITO DELLA SARDEGNA.
L'EDIFICAZIONE DELL'ATTUALE CONVENTO.
Il nuovo comprensorio doveva essere composto da una nuova Chiesa da edificare al posto della precedente piccola Chiesa di Santa Rosalia e da una casa conventuale che doveva sorgere dall'altro lato della strada, ma che sarebbe stata unita alla chiesa non tramite passi sotterranei, bensì da un grande arco. Intanto, nelle more dell'edificazione, i nostri frati continuarono caparbiamente a occupare il Convento di S. Maria di Gesù, impedendone di fatto l'appropriazione da parte della corona sabauda.
E bene fecero, in quanto la fabbrica incontro numerosi ostacoli, non ultimi l'acquisto a caro prezzo degli stabili viciniori o i risarcimenti da pagare a bottegai ed affini per i danni derivanti dalla costruzione di una chiesa più grande e alta che toglieva il sole alle case vicine e danneggiava i traffici tagliando fuori le botteghe dalla strada principale..(attuale via Duca Amedeo).
Primo Mar. Adriano Pilia
Direttore Biblioteca Militare di Presidio di Cagliari