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Menandro

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Menandro
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Per Commedia Nuova (o Commedia Nea) si intende, secondo la suddivisione ideata dalla tradizione filologica alessandrina, l'ultima fase della commedia attica dopo la commedia antica e la commedia di mezzo. Storicamente coincide pressappoco con l'età ellenistica, in cui il cittadino è ridotto al rango di suddito, ininfluente dal punto di vista politico. I temi della commedia si adattano alla nuova realtà, spostandosi dall'analisi dei problemi politici all'universo dell'individuo. I personaggi non riproducono che dei "tipi" secondo uno schema poi divenuto classico e adattato dalla commedia romana, con Plauto e Terenzio, e, più tardi, dalla commedia dell'arte: i giovani innamorati, il vecchio scorbutico, lo schiavo astuto, il crapulone.

Il maggior esponente della commedia nuova pervenutoci è Menandro.

Differenze con il teatro del V secolo: Non c'è più legame tra Polis e Teatro, anche perché non c'è più vivacità politica e si privilegia più la storia dell'individuo (aspetto pre ellenistico). Non c'è più l'eroe comico dalle imprese straordinarie, ma persone comuni, rappresentate nella loro sfera privata, con i loro atti minimi, mossi da motivazioni etiche. Non si realizzano progetti grandiosi. Il lieto fine è l'esito di un'azione difensiva contro gli imprevisti della Τυχη, e ad esso partecipano tutti i personaggi, animati da una forza nuova: la solidarietà umana. inoltre la commedia può essere definita "Commedia borghese" a causa di personaggi semplici, legati alla famiglia. Infine La comicità rinuncia al linguaggio scurrile e all'oscenità e perde aggressività, cedendo a un riso più moderato

Contesto storico

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Menandro, scrisse ad Atene settant'anni dopo la morte di Aristofane: la società greca aveva in quel lasso di tempo subito cambiamenti di portata storica enorme.

Fu il massimo esponente della Commedia Nuova.

Vivendo in un periodo in cui la πόλις (polis) e la sua centralità egemonica erano divenuti un mero ricordo del passato, per il commediografo Ateniese è difficile riprendere i temi di una commedia farsesca e satirica in termini politici, l'Ellenismo era un periodo in cui il ruolo predominante dell'intellettuale non si concretizzava nella partecipazione attiva alla vita della comunità, bensì nell'intrattenimento di un pubblico elitario e selezionato.

La produzione menandrea, quindi, mal si adatta all'interesse politico, bensì intende attuare un'indagine sull'uomo, non attraverso il lanternino di Diogene, ma attraverso uno squarcio nel quotidiano da cui possiamo tutti noi trarre i tratti più veri e autentici dell'individuo comune, "uno dei tanti", che costituisce però la quasi totalità del genere umano.

Biografia

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Fu il demo ateniese di Cefisia a vedere, nel 342/1 a. C., la nascita di Menandro.

Di origine nobile, frequentò gli ambienti dei filosofi: fu compagno di efebia di Epicuro e, probabilmente, allievo di Teofrasto. Fu inoltre amico di Demetrio Falereo, filosofo e allievo di Teofrasto, che, dal 317 al 307, per volere di Cassandro, sarà anche governatore di Atene sotto il protettorato macedone.

Nel 322 scrisse l'Orgé; nel decennio seguente si affermò definitivamente come commediografo.

Cacciato il Falereo, riuscì ad evitare di essere processato grazie all'intercessione di un parente di Demetrio Poliorcete, nuovo signore di Atene.

Venne invitato presso la corte di Alessandria da Tolomeo Sotere, ma decise di rimanere nella sua città natale, dove morì nel 292, mentre nuotava nelle acque del Pireo.

Il modello della commedia di Menandro

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Una commedia greca ha una valenza ben diversa da quella che noi moderni intendiamo oggi. Il termine "comico", secondo noi, intende un momento in cui il nostro riso - nel senso fisiologico del termine, che viene definito da Kant come una "discordanza discendente" - esplode, liberando la nostra forza nervosa (non più sostenibile dal metabolismo) accumulatasi in un'unica, scrosciante risata.

Per noi, il comico è quello che ci fa ridere, che ci stupisce per la sua paradossalità - di gran lunga distinta dal quotidiano - al punto che ci sembra quasi irreale.

Commedie

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Misantropo

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In greco Δύσκολος / Dyskolos, è stata rappresentata nel 316 a.C. ed è la sua unica commedia rimasta integra. Il vecchio Cnemòne vive in campagna con la figlia e la vecchia ancella Simìche, detestando tutti gli altri uomini. Un giovane cittadino, Sòstrato, è innamorato di sua figlia e minaccia la sua solitudine. Nonostante l'aiuto di Gòrgia, il figlio di primo letto della moglie, che era stata scacciata da Cnemone, Sostrato non riesce ad avvicinare il vecchio bisbetico. A Simiche cadono nel pozzo un'anfora e una zappa e Cnemone, nel tentativo di recuperarle, cade nel pozzo e rischia di annegare. Viene salvato da Gorgia e Sostrato. Cnemone affida a Gorgia la figlia, la quale viene data in sposa a Sostrato ormai divenuto amico di Gorgia. Sostrato, inoltre, chiede al padre di poter sposare la sorella all'amico Gorgia; questi, però, inizialmente titubante a causa della misera condizione economica del pretendente, nega il permesso. Gorgia, avendo sentito la discussione tra padre e figlio, rifiuta umilmente di prendere in moglie la fanciulla. Alle insistenze di Callippide che apprezza il buon animo del ragazzo, Gorgia accetta con gioia la proposta. Si combinano le nozze tra le due coppie.

La comicità di Menandro

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Menandro è comico molto sottile: non genera momenti di pura ilarità, ma sorrisi, tramite un senso del comico che coinvolge lo spettatore. Il senso del comico mette in risalto i caratteri veri dell'individuo e non è usato necessariamente per prendere in giro il personaggio in questione.

Un esempio ci è dato dallo Scudo, in cui viene fatto risaltare - soprattutto all'inizio - l'avarizia del vecchio Smicrine. Costui, di fronte alla notizia - che poi si rivelerà fasulla - della morte del nipote Cleostrato, accenna molto più interesse al bottino accumulato e portato in patria dal fedele servo Damo piuttosto che alla descrizione del fatto e al πάθος (páthos) dell'evento. Persino noi moderni non possiamo fare a meno quanto meno di sorridere di fronte a una così sfrenata sfacciataggine che non si limita nemmeno in un momento così triste.

DAVO: Giaceva con accanto lo scudo, ridotto in pezzi (…) Il nostro buon comandante ci ha vietato di piangere i morti uno per uno, dicendo che si sarebbe perso troppo tempo a raccogliere i cadaveri. Li ha fatti bruciare (…) Ora sai tutto.
SMICRINE: Seicento stateri d'oro, hai detto?

Si può, dunque, notare che la funzione "derisoria" è praticamente assente: benché il momento comico ci sia, lo spettatore non può non trovare la condotta del vecchio molto immorale, che in questo contesto così diverso dalla vita di tutti i giorni risalta nettamente.

Questa caratteristica fondamentale del teatro Menandreo è ricordata da Aristotele nella sua Poetica. Il filosofo afferma che la commedia - a differenza della tragedia, con cui condivide il senso della μίμησις ("mimesis") - culmina non nella κάθαρσις}}, bensì nel γελοῖον (ghelóion), ossia nel ridicolo. Il ridicolo che non ride delle disgrazie altrui, ma solo di una certa tipologia di persone che - in un modo o nell'altro - se la meritano. Chi viene messo alla berlina non è certo il servo Davo, l'etera Criside (Σαμία) o il ricco Sostrato (Δύσκολος, i quali sono i modelli positivi delle vicende, ma l'avaro, il misantropo e l'iroso, i cui comportamenti deplorevoli vengono in qualche modo "esorcizzati" attraverso la funzione apotropaica ed etica del riso. In qualche modo, tutto si potrebbe semplificare con "non comportarti come lui, o ti ricoprirai di ridicolo".

Malgrado questa sia la tematica principale, vi sono anche altre caratteristiche della commedia menandrea. Esse sono:

  • Struttura confusa degli eventi.

All'interno della vicenda vi sono molti intrecci, causati molto spesso da incomprensioni. L'esempio più notevole è dato dalla Samia, in cui il figlio di Moschione viene attribuito - da parte di madre - all'etera Criside, che conduce inevitabilmente alla cacciata della donna dalla casa del proprio innamorato. Tale struttura confusa richiama un altro concetto fondamentale: quello della Τύχη. Nelle vicende delle commedie, non vi è un ordine razionale delle cose, perché tutto è dettato dal caso. Ogni tentativo per risolvere le difficoltà e sciogliere l'intreccio è destinato a fallire o a non avere alcun riscontro, perché il Caso o crea ulteriore confusione - una parola che viene equivocata dal pensiero umano che è facilmente fallace - o scioglie la vicenda in un modo che nessuno si era aspettato: la caduta in un pozzo (Δύσκολος o il ritorno inaspettato di un individuo creduto morto (Ἀσπίς). Non è una coincidenza, quindi, che sempre nell'Aspís è la Sorte stessa a rivelare il lieto risvolto della vicenda. Il concetto di Τύχη non è quindi negativo, perché ogni commedia ha un lieto fine, né tende a screditare la ragione umana. Menandro vuole solo far intendere che nella realtà non c'è nulla di certo, che anche nelle vicende più comuni può accadere di tutto: perciò, più che indagare il trascendente o esercitare l'ingegno in eventi più grandi di lui, si dovrebbe tendere ad esaminare l'uomo e la sua natura (e ciò coincide non solo con il pensiero ellenistico, ma anche con quello sofistico, che proliferava in quegli anni).

  • Indagine psicologica.

Menandro rappresenta nelle commedie un uomo autentico e comune, con i suoi pregi e difetti. Questi ultimi vengono (come abbiamo già avuto modo di dire) amplificati. Il commediografo sperimenta la reazione di questi caratteri e di questi uomini a diverse situazioni, mostrandoci come un individuo di quel genere avrebbe provato e vissuto quell'evento. Tuttavia, l'indagine non è completa, poiché gran parte delle vicende sono avulse da una serenità generale, in cui il sentimento più forte è la tristezza per la morte di un caro, per cui mancano quei grandi sentimenti che sconvolgono l'uomo.

  • Filantropia.

Menandro evidenzia ed auspica il sentimento di unione, fratellanza e amicizia tra gli uomini, i quali non devono combattersi tra di loro o odiarsi per il proprio pensiero, la patria di origine o la condizione sociale. Nelle commedie di Menandro, il ricco e il povero (basti vedere Demea e Nicerato nella Samia o Sostrato e Gorgia nel Dyskolos), il servo e il padrone (Davo e Cleostrato nell'Aspis) sono messi sullo stesso piano umano, ognuno di loro ha pari dignità e libertà di pensiero. Vi è anche il rispetto nei confronti delle opinioni altrui, come dice anche Cnemone nella parte risolutiva del Dyskolos:

CNEMONE: (…) Quanto a me, se vivo, lasciatemi vivere come mi piace

Confronto con Aristofane

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Leggendo una delle commedie di Aristofane, ne emerge evidente la differente concezione dell'arte comica rispetto a quelle menandrei.

  • La funzione del teatro: se in Aristofane esso serviva per esaltare e promuovere i valori civili della πόλις e per attaccare e mettere alla berlina gli avversari della stessa, in Menandro esso serviva per un'indagine o per dilettare gli spettatori.

Il teatro aristofaneo aveva una valenza prettamente politica: l'eroe comico si presenta nella scena come unico e indiscusso protagonista della vicenda, prevaricatore e portavoce della sua idea che è superiore rispetto alle altre, tutto è subordinato al suo pensiero e gli altri personaggi sono utili solo per farne risaltare ulteriormente la passionalità e il carattere. Così succede ad esempio nella Pace di Aristofane, in cui il contadino Trigeo libera di sua mano - o meglio, con l'appoggio del coro, mancante nella commedia di Menandro - la Pace, reclusa da Πόλεμος stessa, riportando la concordia tra Atene e Sparta (si era nel periodo della guerra del Peloponneso). E quando, tornato in patria vincitore, trova ancora chi giovava della guerra - il venditore di armi, ad esempio - Trigeo lo scredita e lo convince a trovare altra occupazione.

Insomma, il protagonista stesso risolve la situazione, la quale non è affatto intrecciata e dettata dal caso come in Menandro. In contrapposizione alla Τύχη, vi è invece un ordine razionale degli avvenimenti e delle cose, che coincidono strumentalmente con l'idea intesa dall'autore e protratta con passionalità dall'eroe comico.

  • Il senso del comico è ben diverso da quello menandreo. Aristofane non concede pietà: chi è in perfetta antitesi con il suo eroe o è contro la sua idea viene screditato di fronte agli occhi della città intera. Nelle Nuvole la scuola socratica è rappresentata come un pensatoio di personaggi stravaganti e di truffatori che utilizzano l'arte della parola per raggiungere i propri scopi.

Non vi è, quindi, quella distaccata ironia presente in Menandro, quel riso apotropaico che scaccia le preoccupazioni, piuttosto un'enfatizzazione di quello che dal comico viene considerato "dannoso" (la guerra, il pensiero di Socrate che Aristofane riteneva destabilizzante per l'educazione dei giovani) che serve a rimediare alla situazione o a spingere la comunità intera a prendere dei provvedimenti, come fa appunto Strepsiade, protagonista delle Nuvole con un grande rogo.

In Menandro non ci sono eroi, non ci sono quelli che con la loro passionalità risolvono i problemi. Anzi, le passioni vengono viste come un pericolo per la tranquillità dell'animo, come un furor che sconvolge la serenità di un organismo fragile come quello della famiglia (basti vedere cosa comporti l'ira di Demea nella Samia); questo coincide anche con altri pensieri dell'epoca, quali l'epicureismo, il cui fondatore, commilitone di Menandro, operava ad Atene contemporaneamente a lui. All'eroe comico Aristofanesco viene quindi contrapposto "uno dei tanti" (τῶν πολλῶν τις ὦν), che vuole trascorrere la propria vita in serenità con i propri cari esercitando la φιλία nei confronti del prossimo che lo circonda.

Confronto con i comici latini

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Plauto e Terenzio presentano diverse analogie con il modello greco a cui si sono abbondantemente ispirati, basti vedere che tutte le loro produzioni sono molto simili a quelle di Menandro in fatto di trama e di intreccio. Sono sempre presenti i tipici topoi quali l'innamoramento contrastato, lo scambio di persona, il riconoscimento, il ritorno di una persona dopo tanto tempo che scioglie tutta la matassa, il lieto fine che culmina con il matrimonio. Alcune commedie, poi, riprendono addirittura gli stessi personaggi: un esempio è dato dall'avaro nell'Aulularia che viene ripreso dall'Aspis. Il concetto di Τυχη è predominante in tutti e tre gli autori e l'interesse per una realtà comune quali la famiglia è un altro aspetto utilizzato comunemente.

Ma in una società come quella romana, non tutti i concetti possono essere ripresi appieno; per lo più potrebbero essere simili o molto vicini, ma non equivalenti.

Plauto non riprende l'indagine psicologica o i riferimenti alle dottrine Epicuree, né tanto meno ripone quella speranza nel genere umano che aveva proposto Menandro o esamina l'uomo quale è. Plasma le commedie, semmai, per proporle agli uomini vissuti in un periodo storico differente e per renderle più congeniali al suo pensiero.

Terenzio, invece, è più vicino a Menandro perché riprende il concetto di filantropia, dal latino chiamato humanitas (Homo sum humanum nihil a me alienum puto). Ma se Terenzio promuove questo concetto a una ristretta élite - mentre il resto delle persone compie volenterosamente il male e tenta di distruggere i valori avvalorati dal commediografo - Menandro lo ripropone all'umanità intera, in cui ha fiducia e spera, sogna che essa potrà un giorno trovare quella concordia che, con l'impero di Alessandro Magno, ha raggiunto almeno in parte.

Opere

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  • Aspis ("Lo Scudo"; pervenuta per circa una metà)
  • Georgos ("L'Agricoltore")
  • Dis Exapaton ("Il Duplice Ingannatore")
  • Dyskolos (l'unica opera pervenuta nella sua interezza)
  • Encheiridion ("Il Manuale")
  • Epitrepontes ("L'Arbitrato"; pervenuta nella più gran parte)
  • Heros ("L'Eroe")
  • Hypobolimaios
  • Karchedonios ("Il Cartaginese")
  • Kitharistes ("Il Citaredo")
  • Kolax
  • Koneiazomenai
  • Leukadia
  • Methe
  • Misoumenos
  • Naukleros ("Il Capitano della Nave")
  • Orge
  • Perikeiromene
  • Perinthia
  • Plokion ("La Collana")
  • Pseudherakles ("Il falso Ercole")
  • Samia
  • Sikyonioi o Sikyonios
  • Synaristosai
  • Phasma ("Il Fantasma")
  • Theophoroumene
  • Trophonios

Testi

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in greco