Lucilio (superiori)
C. Lucilio era di Sessa Aurunca. Non si sa molto della durata della sua vita ma dovrebbe stabilirsi tra gli anni 180-114 a.C. se non accettiamo le parole di S. Girolamo secondo cui sarebbe nato nel 148-147 a.C. e morto nel 103-102 a.C.. Nel 134-133 militò da cavaliere nella guerra di Numanzia sotto Scipione Emiliano. Tornato a Roma visse nella famiglia di Scipione Emiliano e di Lelio minore. Scrisse trenta libri di satire che avrà iniziato a comporre prima della guerra di Numanzia anche se li pubblico solo dopo aver ricevuto la protezione di Scipione Emiliano temendo la repressione di cui subiva la sua invettiva. Nelle satire di Lucilio si nota un processo di trasformazione che può essere ricondotta all'ambiente aristocratico. Prima di lui la satira era coltivata da Ennio e Pacuvio nella forma di componimenti polimetrici di vario argomento. Lucilio fu il primo a darle carattere di critica ai vizi altrui e a ridurre la polimetria (trimetri giambici e settenari trocaici propri della vecchia satura drammatica) per introdurre prima il distico elegiaco e poi l'esametro dattilico. Questa evoluzione non corrisponde alla numerazione dei libri. L'esametro è metro fisso nei libri I-XXI e nel libro XXX e comincia a comparire nei libri XXVIII-XXIX ma in questi e nei libri XXVI-XXVII prevalgono i metri usati da Ennio. Incerta è la forma metrica dei libri XXII-XXV. Evidentemente o Lucilio o un suo ordinatore postumo hanno ordinato i libri tenendo conto dell'evoluzione tecnica e spirituale del poeta. L'abbandono della polimetria, quindi, va di pari passo con l'abbandono della vecchia satura. L'adozione dell'esametro dattilico a metro della satira è dovuta sia al carattere didascalico di questa poesia sia dalla poesia cinicia all'avanguardia nello stoicismo caro al circolo degli Scipioni. Dell'opera di Lucilio sono rimasti poco più di 1300 versi ma grazie a notizie indirette pervenuteci riusciamo a ricostruire la sua idea poetica sufficientemente. Egli, più di Terenzio, fu il poeta del circolo degli Scipioni dei cui ideali interpretò fedelmente solo l'aspetto negativo. Criticava tra i morti Nevio, Ennio e perfino Terenzio, tra i contemporanei invece Pacuvio e Accio (contro cui la critica si fece davvero molto pungente soprattutto perché quest'ultimo faceva parte della scuola analogista che era opposta alla cultura scipionica connessa allo stoicismo anomalista della scuola pergamena). Proclamava la fine degli eroici furori e l'inizio di un tempo in cui la poesia doveva essere tenue e sincera che parli con voce dismessa. In un certo senso anticipava il programma del circolo di Catullo. Sposò tutte le inimicizie della cerchia a cui era collegato. Da un lato attaccava i plebei e affiliati al partito democratico come C. Cassio e M. Papirio Carbone dall'altro attaccava anche aristocratici di fazioni diversa da quella scipionica come A. Opimio e L. Aurelio Cotta, Scevola l'augure e molti altri. Egli attaccava anche usando attacchi personali. In lui si ripropone in pieno la tradizione aristofanea. Al di là della vena polemica, in Lucilio troviamo anche il grande desiderio di non sentire estranea a sè nessuna umana sollecitudine. Egli aveva uno spirito arido ed egoista (non volle neppure sposarsi e attacco Q. Metello Macedonico che aveva emanato una legge contro il calo demografico). Questa sua aridità si ritrova anche nella sua temperie stilistica. La lotta ideologica del programma Emiliano lo obbligo ad usare forme plebee del sermo familiaris in un caleidoscopio di graziosi quadretti. La facezie, la sorpresa, il gioco di parole c'erano sempre ma erano meno vive di quelle di Plauto. La poesia di Lucilio non poteva non suscitare l'interesse dei contemporanei e dei posteri. I contemporanei lo lessero, lo commentarono e scrissero delle recensiones alla sua opera. Orazio ammirò la sua schiettezza, arguzia e capacità icastica ma lo rimproverò di non essere capace nel labor lime ma lo usò anche come ispirazione alla poesia programmatica antieroica e per il racconto del viaggio a Brindisi nella sua opera (dal viaggio in Sicilia di Lucilio). Il giudizio di Orazio creò scandalo perché Lucilio, inventor di un genere schiettamente romano e membro del circolo degli Scipioni, era sempre stato un tabù della cultura romana. Nell'età dell'alto Impero ebbe i suoi adoratori: lo imitarono Persio e Giovenale, Seneca e Quintiliano lo lodarono, Valerio Probo ne fece una recensio. Nell'età degli Antonini venne preferito ad Orazio; quindi, dopo l'interesse di grammatici ed eruditi, lo avvolse il buio della dimenticanza.