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Le Associazioni Riconosciute

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Le Associazioni Riconosciute
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Diritto privato
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

La Libertà di Associazione

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Già lo Statuto albertino, all'art. 32, garantiva la libertà di riunione, cioè di radunarsi pacificamente, alla quale la dottrina riconduceva anche la libertà di associarsi, che però in concreto era cospicuamente limitata da varie leggi ordinarie.

La vigente Costituzione repubblicana è stata innovativa sul punto, esplicitamente ammettendo e disciplinando il diritto di associarsi liberamente. L'art. 18 della Costituzione dispone che "I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare". Tale norma è basata sulla garanzia di poter perseguire in maniera collettiva ogni fine "lecito al singolo", in quanto manifestazione dello sviluppo della personalità individuale.

Dalla lettura testuale della disposizione, sembrerebbe che il diritto di costituire associazioni spetti solo ai "cittadini", ad esclusione perciò degli stranieri e degli apolidi (che tutt'al più potrebbero aderire ad associazioni già costituite da "cittadini"), e ad esclusione degli enti collettivi (che non sarebbero titolari del diritto di associarsi riferito al solo cittadino in quanto persona fisica).
Questa tesi, tanto rigida quanto minoritaria, è contestata dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, orientate ad ammettere sia le associazioni formate (anche in via esclusiva) da stranieri e apolidi, sia le cd. «associazioni di 2° grado» (formate cioè a loro volta da altre entità associative).
L'art. 18 va letto insieme all'art. 2 della Costituzione, per avere una corretta ricostruzione del fenomeno associazionistico: la libertà di associarsi è un «diritto fondamentale» della persona, cioè un diritto che compete al singolo in quanto tale, sia esso individuo isolato, sia esso gruppo di individui (ente collettivo).
Quanto a quest'ultimo aspetto, si può fare l'esempio delle cd. «organizzazioni di massa»: si pensi ad un partito politico o ad una federazione sindacale, che operano in ambito nazionale e sono costituiti da associazioni minori o periferiche (sezioni locali di partito, sindacati territoriali), con competenze più limitate e ciascuna collegata alla propria struttura di vertice.

Dalla lettura testuale dell'art. 18, emerge altresì che l'unico limite alla libertà di associarsi sia il divieto di formare associazioni illecite dal punto di vista penale, essendo vietato perseguire in forma collettiva ciò che è vietato al singolo. Difatti, se non ricorrono gli estremi per l'applicazione di leggi penali, la portata dell'art. 18 si riespande in tutta la sua pienezza e la libertà di associarsi resta sottoposta al solo vaglio di meritevolezza degli interessi di cui all'art. 1322 del Codice civile.

Cenni Storici sulle Associazioni

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È nota la tradizionale diffidenza del legislatore italiano nei confronti degli enti e dei «corpi morali», diffidenza derivata dall'ordinamento francese, dove erano addirittura osteggiati i raggruppamenti sociali, al contrario del sistema tedesco che ammetteva sia le persone giuridiche riconosciute che quelle non riconosciute. La diffidenza del legislatore italiano si tradusse in indifferenza legislativa nei confronti delle formazioni sociali.

È altresì noto che il Codice civile del 1865 seguiva ancora la teoria della finzione di Savigny, per cui solo l'uomo è soggetto di diritto ma l'ordinamento può operare una fictio ed attribuire ad un gruppo la capacità di diritto: l'art. 2 del Codice civile abrogato affermava che «i corpi morali sono considerati come persone».

Inoltre, era molto sentita l'esigenza di ordine pubblico di evitare la formazione della cosiddetta "manomorta", cui si tentava di porre rimedio con una marcata invasività dei poteri dell'Amministrazione statale nelle manifestazioni di autonomia privata attraverso due canali: la concessione del riconoscimento della personalità ed il regime autorizzatorio dei controlli sugli acquisti (in funzione di controllo).

Peraltro, il principio di autorità e centralismo sotteso alla legislazione monarchica determinava una scarsa considerazione dei valori del pluralismo. E questo si rifletteva anche nella Relazione al Codice civile del 1942, dove si definiscono gli enti collettivi come «contrattuale riunione di più persone», cioè come atto di autonomia privata. Veniva così accolta dal legislatore la teoria della realtà organica di Carnelutti, secondo cui l'ordinamento trova -nella realtà sociale- «volontari raggruppamenti» e concede loro personalità giuridica, consentendogli in questo modo di raggiungere le proprie finalità collettive. Ma in ogni caso la società civile doveva essere posta al riparo dal pericolo della formazione di patrimoni di dubbia origine: ecco spiegata la ratio dell'abrogato art. 17 del Codice civile, che in origine voleva evitare abusi ed accumuli di beni eccessivi o estranei allo scopo sociale.

L'Atto Costitutivo e lo Statuto

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L'Associazione prende vita da un atto di autonomi denominato Contratto Associativo. L'art. 14 c.c. prevede che l'associazione debba essere costituita con atto pubblico. Se l'associazione è non riconosciuta l'atto costitutivo può essere stipulato liberamente. I contratti associativi sono contratti consensuali, di durata, a titolo oneroso, che possono avere si efficacia reale che obbligatoria. Essi sono contratti plurilateriali cioè formati da più parti. Tipica del contratto associativo è anche la struttura aperta cioè che rende possibile l'ingresso di nuove parti e l'uscita di altre (volontariamente mediamente recesso oppure forzatamente tramite esclusione). Normalmente il Contratto è formato da due parti:

  • Atto Costitutivo: In cui le parti manifestano la volontà di dar vita al rapporto.
  • Statuto: In cui si trova la Regolamentazione dello stesso cioè le norme dedicate all'organizzazione e al funzionamento dell'ente.

I due documenti si compongono però in un unico negozio giuridico.

L'art. 16 c.c. dispone che l'atto costitutivo deve contenere la denominazione dell'ente, l'indicazione dello scopo, del patrimonio, della sede, le norme sull'ordinamento e l'amministrazione, che debba determinare i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione. L'atto può, inoltre, includere le norme relative all'estinzione dell'ente e alla devoluzione del patrimonio. Alcuni requisiti sono indispensabili anche per l'atto delle associazioni non riconosciute. Alla denominazione, sigla e simbolo dell'associazione riconosciute e non sono estese le stesse tutele delle persone fisiche. Gli enti sono tenuti anche ad indicare nell'atto costitutivo o nello statuto il luogo della propria sede nell'interesse dei terzi. Nelle associazioni riconosciute la sede risulterà anche nel registro delle persone giuridiche e anche le sue eventuali modificazioni.

Il Patrimonio e lo Scopo delle Associazioni

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L'Associazione ha un Patrimonio che va indicato nell'atto costitutivo o lo statuto ai sensi dell'art. 16 c.c.. Il Patrimonio deve essere adeguato per la realizzazione dello Scopo Associativo. Nelle Associazione Riconosciute esso è volto anche alla tutela delle ragioni dei creditori, infatti delle stesse risponde solo il patrimonio sociale (Autonomia Patrimoniale Perfetta). Nelle Associazioni non Riconosciute, invece, a rispondere è anche il patrimonio degli associati che hanno agito in nome e per conto dell'ente (Autonomia Patrimoniale Imperfetta). Esso è formato di solito dai contributi degli associati, da sovvenzioni statali e di enti pubblici, dalle libertalità dei terzi (la cui accettazione non è sottoposta ad alcuna formalità) e dai proventi di una eventuale attività dell'ente. Le Associazioni Non Riconosciute sono dotate di un "Fondo Comune" (art. 37 c.c.) la cui autonomia ne confronti del patrimonio dei membri è analoga a quella del patrimonio di cui è titolare l'associazione riconosciuta. I singoli associati, mentre l'associazione è in vita, non posso chiedere la divisione del fondo comune nè pretendere la propria quota in caso di recesso. Su esso pertanto non si potranno soddisfare neppure i creditori personali dei singoli associati. I creditori dell'associazione non riconosciuta non possono a loro volta agire sul patrimonio dei singoli associati ma solo del fondo comune. Se esso è insufficiente rispondono personalmente e solidalmente anche coloro che hanno agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta (art. 38 c.c.).

Gli Scopi Perseguibili dalle associazioni (e dalle fondazioni) non sono stati indicati dal legislatore che indica come unica caratteristica la impossibilità di distribuire utili tra gli associati. La non lucratività è una caratteristica che permette di distinguere le associazioni dalle società in cui invece è permessa la distribuzione degli utili. Unici requisiti dello Scopo sono la Possibilità e la Liceità. Il fatto che le associazioni (e le fondazioni) non possono avere scopo lucrativo non significa che non può compiere Attività Imprenditoriale purché i proventi non siano distribuiti tra gli associati ma siano destinati a finanziare lo scopo stesso dell'ente. Alle lacune normative sopperisce la nuova disciplina sull'impresa sociale (D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155).

La Vecchia Procedura del Riconoscimento delle Associazioni

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Con l'atto di riconoscimento, abrogato dal d.P.R. n. 361/2000, l'ordinamento assumeva nel suo ambito il substrato sociale preesistente e gli conferiva (alla stregua di un autentico privilegio) l'attitudine e la capacità di essere soggetto autonomo nel mondo giuridico. La regolamentazione codicistica del riconoscimento prevedeva che le istituzioni di carattere privato acquistavano, ai sensi dell'art. 12 cod. civ., la personalità giuridica attraverso un d.P.R.; per gli enti pubblici, il riconoscimento era disposto per legge. Il procedimento era regolato dal Libro I° e dalle disposizioni di attuazione:

  • Redatto l'atto costitutivo secondo le modalità descritte dall'art. 16 cod. civ. e nella forma dell'atto pubblico, si allegava la documentazione comprovante la liceità dello scopo e l'idoneità del patrimonio a perseguire lo scopo stesso, poi si inviava il tutto alla Prefettura territorialmente competente, dove s procedeva ad una prima verifica formale e al successivo inoltro al Ministero di riferimento;
  • Il Ministero procedeva ad una "delibazione discrezionale" circa lo scopo ed i mezzi economici, al fine di accertare se il nuovo ente era in grado di perseguire con stabilità ed in via autonoma i suoi fini (dichiarati nell'atto costitutivo), cioè se era tale da giustificare la creazione di un nuovo autonomo centro di interessi con base patrimoniale adeguata. Se nell'atto costitutivo si riscontravano vizi, il Ministro non poteva modificarlo neanche per renderlo conforme alla legge. In caso di modifiche non autorizzate o di rifiuto immotivato del decreto di riconoscimento, era previsto il ricorso al giudice amministrativo.
  • Veniva infine adottato il decreto, previo parere del Consiglio di Stato, che dal 1942 al 1991 aveva veste formale di d.P.R.; la legge n. 13/1991 ha poi elencato tassativamente gli atti amministrativi da adottarsi con d.P.R. e non vi ha incluso il decreto di riconoscimento, sicché la concessione di tale decreto è passata al Ministro competente (che fino al 2000 lo ha adottato con decreto ministeriale oppure ha delegato per l'emanazione il Prefetto). Il decreto aveva natura costitutiva di personalità giuridica e veniva pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
  • L'ultimo adempimento era dato dalla registrazione (iscrizione nel Registro delle Persone Giuridiche, tenuto nella Cancelleria commerciale del Tribunale) degli estremi del decreto e degli altri connotati della persona giuridica.

Oggi il Riconoscimento non è più necessario per l'esistenza dell'Associazione ma serve al solo fine di ottenere la Personalità Giuridica e la Piena Autonomia Patrimoniale dell'Associazione rispetto al Patrimonio dei singoli associati, oltre che le agevolazioni statali, ecc..

L'Organizzazione dell'Associazione

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Due sono gli organi necessari sia alle Associazioni Riconosciute che Non:

  • Gli Amministratori.
  • L'Assemblea.

Ad essi si possono aggiungere altri eventuali organi di controllo o di giustizia interna come il Collegio dei Probiviri.

Gli Amministratori

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Gli Amministratori hanno compiti di gestione e rappresentanza dell'ente nei confronti dei terzi. Ad essi spetta anche l'obbligo di eseguire le attività previste dalla legge quale la convocazione annuale dell'assemblea per l'approvazione del bilancio (art. 20 c.c.). Lo Statuto stabilisce la composizione dell'Organo Amministrativo, indica coloro cui steppa la rappresentanza dell'ente, le modalità di nomina e la durata in carica dei componenti. La funzione rappresentativa può essere attribuita anche ad altri organi quali il Presidente dell'Associazione. Lo Statuto di regola indica anche la carica a cui è connessa la Rappresentanza in Giudizio (art. 75 c.p.c.). Quando si tratta di Associazione Non Riconosciuta tale funzione compete a chi detiene la Presidenza o la Direzione (art. 36 c.c.). L'Organo Amministrativo può essere composto anche da una sola persona ma di norma vi è un Consiglio di Amministrazione cioè un Organo Collegiale che delibera a maggioranza. L'art. 18 c.c. dispone che per le Associazioni Riconosciute gli amministratori sono responsabili verso l'ente secondo le norme del Mandato (art. 1710 c.c.). L'art. 19 c.c. dispone che se ci sono limitazioni al potere di rappresentanza esse devono risultare nel registro delle persone giuridiche, se ciò non accade i poteri si reputano generali e le eventuali limitazioni contenute nello statuto non possono essere opposte ai terzi salvo che si provi che ne erano a conoscenza. L'attività negoziale degli amministratori è imputata all'associazione che risponde delle obbligazioni assunte col proprio patrimonio (se è una associazione non riconosciuta con il fondo comune).

L'Assemblea

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L' Assemblea è un organo collegiale con funzione deliberante a cui partecipano, in linea di principio, tutti gli associati. Ad esse competono tutte le decisioni sulla vita, la discipline e l'attività dell'associazione e in particolare, approva il bilancio, modifica l'atto costitutivo e lo statuto, decide sullo scioglimento dell'associazione la devoluzione del patrimonio (art. 21 c.c.), decide la nomina e la revoca degli amministratori, l'azione di responsabilità contro questi ultimi (art. 22 c.c.), l'esclusione degli associati (art. 24 c.c.) e gli altri compiti che l'atto costitutivo o lo statuto non attribuiscono ad altro organo. L'Assemblea decide secondo il Principio Maggioritario principio che è subordinato all'adozione del Metodo Collegiale. La delibera dell'Assemblea è infatti un atto unilaterale collegiale alla cui formazione concorrono le singole manifestazioni di volontà degli appartenenti al gruppo e deve essere formata mediante un procedimento che si attua in varie fasi progressive: la convocazione, la riunione dei membri, la discussione e la votazione. Al Metodo Collegiale è data la proprietà di trasformare una pluralità di dichiarazioni individuali nella volontà collettiva o meglio l'espressione della volontà dell'ente che vincola anche i dissidenti. Se la delibera è adottata in violazione delle norme di legge, o dell'atto costitutivo o dello statuto, si può chiederne l'annullamento all'autorità giudiziaria. L'annullamento opera ex tunc e la deliberazione si considera come mai esistita. Sono salvi eventuali rapporti sorti a seguito della delibera poi annullata se i terzi sono in buona fede (art. 23 c.c.). Nei casi di associazioni con un forte numero di associati, come partiti ed sindacati, l'organo assembleare è formato da delegati eletti da assemblee parziali ed è frazionato in una pluralità di organi. Nella pratica è diffuso anche il Voto per Corrispondenza.

Il Rapporto Associativo

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La qualità di associato si acquisisce con la stipulazione dell'accordo associativo o tramite una successiva adesione allo stesso se l'ente è già costituito. L'art. 16 c.c. deve contenere le indicazioni dei requisiti per poter far parte dell'associazione. Ciò però non significa che all'esaudimento di tali requisiti i terzi abbiano un Diritto di Ingresso nell'Associazione già costituita. Alla titolarità del rapporto associativo, cioè alla qualità, o posizione, o situazione giuridica di associato, sono ricollegati diritti e obblighi, che variano a seconda della natura dell'ente. La determinazione del contenuto della situazione giuridica trova la sua fonte nell'atto costitutivo e nello statuto (art. 16 c.c.). L'obbligo maggiore che sono in capo agli associati è quello di concorrere utilmente al perseguimento dello scopo dell'associazione con conferimenti patrimoniali o più raramente di tipo personale. Per lo più i contributi di carattere economico consistono nel pagamento periodico o una tantum di una somma di denaro (la quota associativa) ma può trattarsi del conferimento di un diritto di proprietà o di qualsiasi altro diritto (credito, diritto d'autore, ecc.), o della costituzione di un diritto reale di godimento. I diritti invece consistono generalmente nella partecipazione all'amministrazione dell'ente (mediante l'esercizio del Diritto di Voto, di Discussione, di Intervento in Assemblea, di Rivestire Cariche Sociali) e alla facoltà di fruire dei servizi dell'associazione. La qualità di associato, data la natura personale, è solitamente intrasmissibile, si per atto tra vivi che per successione mortis causa, ma l'art. 24 c.c. salva la possibilità che l'atto costitutivo o lo statuto preveda diversamente.

L'Esclusione e il Recesso degli Associati

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Lo statuto spesso prevede clausole che stabiliscono Sanzioni a carico dell'associato che contravvenga alle sue norme o pregiudizi gli interessi comuni. La sanzione massima dell' Esclusione può essere deliberata dall'assemblea solo in presenza di gravi motivi. Contro la delibera è ammesso ricorso all'autorità giudiziaria per chiederne l'annullamento (art. 24 c.c.). La norma è applicata anche alle Associazioni di Fatto. L'Associato Escluso non può ripetere i Contributi Versati né vantare diritti sul patrimonio dell'ente (art. 24 c.c.). L'Atto Costitutivo non può escludere il ricorso all'autorità giudiziaria da parte dell'associato né l'associato può rinunciarvi in alcun modo. È ammessa la Clausola Compromissoria anche se l'arbitrato è libero salvo che il terzo a cui è rimessa la decisione non sia un organo dell'associazione stessa poiché l'equità del procedimento sarebbe evidentemente compromessa. A fianco all'Esclusione vi è il Recesso che è una facoltà di ogni associato (art. 24 c.c.) a meno che non si sia obbligato a far parte di una associazione a tempo determinato. Nulla è la clausola statutaria che esclude la facoltà di recesso lo rende troppo complesso ed è nullo anche il patto con cui ci si impegna a rimanere in associazione definitivamente (la rinuncia a recedere e valida solo se a tempo determinato ai sensi dell'art. 24 c.c.). La misura del periodo in cui ci si vincola a far parte del gruppo deve essere ragionevole tale a non trasformare il patto in un'abdicazione definitiva e valutata con riguardo alla natura dell'associazione. Anche l'impegno di non recedere per un periodo di tempo limitato è da alcuni considerato nullo se per l'indole del gruppo (ad esempio politica o religione) si debba interpretare nel senso di un vincolo a non mutare le proprie convinzioni. in ogni caso, sia che venga stipulato un patto di non recedere, sia che il contratto associativo abbia durata limitata nel tempo, è sempre ammissibile un recesso per giusta causa: sebbene la norma non lo preveda l'associato potrà abbandonare l'associazione nel caso di modificazioni rilevanti apportate allo statuto senza il suo consenso, o di violazione sistematica dei diritti associativi. La dichiarazione di recesso è negozio unilaterale e recettizio, che deve essere indirizzato per iscritto agli amministratori. L'effetto non è immediato, ma si verifica allo scadere dell'anno sociale in corso, purché la comunicazione abbia luogo almeno tre mesi prima (art. 242).