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Interpretazione giuridica

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Interpretazione giuridica
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Filosofia del diritto

Interpretare vuol dire cercare di cogliere il significato di certi segni. Attività tipica dell’essere umano. Il segno è convenzionale: creato dall’uomo veicolante significati. L’importante è la stabilità e l’univocità per salvaguardare progetti di vita.

A causa dell’incontro fra sistemi giuridici diversi è importante il tema della traduzione di concetti giuridici: per esempio il regime contrattuale è ben diverso fra civil e common law. Ogni traduzione presuppone l’interpretazione della lingua a quo per veicolare il significato estrapolato nella lingua ad quem.

In generale dobbiamo distinguere l’interpretazione come attività e come prodotto.

L’interpretazione giuridica si distingue in giudiziale (con applicazione) e dottrinale (senza applicazione), oltre a quella autentica (che in quanto legge va interpretata!).

Il giudice deve interpretare la norma alla luce del caso concreto: lo applica, finalità pratica.

Il giurista invece non applica il diritto: coglie solo il significato astratto ma comunque indirettamente aiuta il momento applicativo.

L’art 12 delle disposizioni preliminari è l’unica norma che riguarda in generale l’interpretazione, di derivazione napoleonica, rivolta ai giudici (bocche della legge). Le preleggi riguardavano tutto il sistema delle fonti, prima della Cost. l'art 12 parla di applicazione della legge ed elenca metodi interpretativi: per renderlo più fedele all’intento del legislatore (sogno fallito). Uno dei primi a riflettere sui metodi interpretativi fu Savigny che sostiene che facessero parte di un percorso unitario. I metodi elencati sono:

  1. letterale o esegetico,
  2. logico-grammaticale,
  3. (manca il sistematico),
  4. teleologico: sorge il problema negli organi collegiali rappresentativi della separazione dell’intenzione soggettiva del legislatore dall’intenzione oggettiva della legge (intentio legislatoris-intentio legis, ratio che si estranea dalla volontà del legislatore: la legge deve essere razionale, non giusta)
  5. (manca l’estensivo)
  6. analogia legis e iuris (tranne che nel penale perché la somiglianza deve essere significativa).

Ogni atto interpretativo deve essere mosso da una questione pratica, non è mai meramente contemplativa. Lo stesso ricorso all’analogia sottolinea che obiettivo dell’art 12 è risolvere il caso concreto. Il giudice deve fare un giudizio di somiglianza che presuppone larga discrezionalità, laddove l’opera del legislatore è carente, degenerando talvolta in arbitrio. Per questo vi sono criteri oggettivi: la ratio legis deve essere applicabile al caso, la somiglianza deve essere rilevante ecc.

Alcuni vedevano nell’analogia iuris il ricorso al diritto naturale!

L’attività interpretativa coglie significati che preesistono all’interprete? La domanda riguarda l’oggettività della conoscenza interpretativa, che ovviamente ha risvolti pratici (certezza del diritto, principio di legalità ecc).

Le teorie tradizionali illuministico - ottocentesche sono cognitive o formalistiche: il giudice deve riprodurre il significato insito nella legge. Bocca di legge. Il giudice deve solo trovare questo senso oggettivo presupposto. Attività formale, in cui non ha discrezionalità. Ovviamente è impossibile, perché la legge è per sua natura indeterminata: il giudice avrà sempre dubbi e dovrà scegliere. Giurisdizione: dire il diritto che già c’è, ma si perderebbe la giustizia del caso concreto diventando giustizia astratta.

Le teorie scettiche sostengono che i giudici manipolano il testo: il significato non preesiste, ma è quello che gli danno i giudici. Vi è massima discrezionalità, per il giudice la legge è solo un pretesto. In questo senso riconoscere vuol dire attribuire. Se tutto fosse interpretazione, tuttavia, non ci sarebbe niente da interpretare! Le teorie intermedie sono quelle più logiche.

Kelsen e Viola

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Potrebbe sembrare che Kelsen sia un formalista o uno scettico, ma la sua teoria dell’interpretazione è legata al principio di delegazione del potere.

  • L’interprete si trova di fronte a una norma frutto della delegazione di un potere; ci sono più interpretazioni della norma, tutte legittime (altre no).
  • Ogni norma è suscettibile di un ventaglio d’interpretazione e ne esclude altre.
  • L’opera del giudice è individuale.
  • Il giurista che fa dogmatica giuridica quando espone le norme nel contenuto deve elencare le possibili interpretazioni; il giudice invece sceglie l’interpretazione che ritiene più adatta.
  • Il giudice è libero di scegliere, quindi produce diritto come il legislatore (è nella stessa catena della normativa): è un atto arbitrario (all’interno di un ventaglio più selezionato di quello del legislatore).

Kelsen non dà criteri di selezione (c’è solo differenza quantitativa fra legislatore e giudice): è la dottrina a fornirci le possibili interpretazioni a priori.

Per Viola questa visione è un po' artificiosa: è impossibile selezionare il ventaglio d’interpretazioni, soprattutto perché il significato della norma è colto solo quando si deve risolvere il caso concreto. La vita sociale mette in luce nuovi aspetti che il legislatore non pensava di aver messo (ermeneutica giuridica).

Hart, Dworkin, Ross

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Hart sostiene, con il suo buon senso, che il diritto è un open texture dove possiamo distinguere una zona di luce dove l’interpretazione è semplice e vincolata, e una zona di penombra dove il senso è poco chiaro e l’interpretazione è difficile: gli hard cases portano a un’incertezza interpretativa nella quale il giudice ha piena discrezionalità, come il legislatore. La tesi di Hart è discutibile perché affida troppo potere ai giudici. In una situazione di pluralismo i casi chiari diminuiscono e gli hard cases aumentano e l’attività legislativa del giudice diventa principale.

Dworkin: "se le norme hanno una ratio legis intrinseca, il giudice non è legislatore ma bocca di legge" da qui si evince l’importanza del profilo argomentativo nell’applicazione. Le teorie formalistiche giocano nell’ambito sia dell’essere sia del dover essere. Studi hanno confermato che sempre più i giudici manipolano la legge, soprattutto di recente poiché il parlamento formula male le leggi, oppure ci sono leggi complesse che abrogano o che hanno contenuti molto tecnici.

Ciò ha allontanato la legge dai cittadini, l'utopia napoleonica della bocca di legge s’inverte nell’importanza dell’interpretazione degli operatori giuridici in generale. Ciò scomparirebbe legiferando bene.

Fra le teorie scettiche rientra quella predittiva dell’obbligo di Ross: bisogna guardare all’interpretazione dei giudici di una determinata legge.

In entrambe le teorie intermedie è introdotta la distinzione fra casi chiari (in cui si applica direttamente la norma) e gli hard cases in cui aumenta la discrezionalità del giudice: libertà di decidere il significato. In questo il giudice è legislatore, non solo iusdice ma dice come il diritto deve essere.

Questo è il concetto forte di discrezionalità, il concetto debole sostiene che la discrezionalità è limitata dalla ratio legis: il giudice colma solo le lacune nella norma, prendendo in considerazione lo scopo della legge affinché copra la fattispecie concreta. Ciò non fa venir meno la fedeltà del giudice di fronte alla legge: una discrezionalità debole è inevitabile, ma certe volte la discrezionalità fronte sopravviene.

Il tema dell’argomentazione è in crescita. Chi interpreta trova un messaggio da decifrare, chi argomenta trae da un principio delle conseguenze o inferenze. Io deduco l’implicazione da un messaggio. Non si tratta solo di argomentazione fra le norme collegate; spesso la legislazione è alluvionale, ma spesso norme cronologicamente distanti interagiscono fra loro. I criteri che reggono l’interpretazione (la ricerca di un significato) sono diversi da quelli dell’argomentazione (in cui si sviluppa il significato). Posso risalire alle premesse della norma o alle conseguenze. I due processi sono interdipendenti: per capire il senso della norma debbo chiedermi il perché, per capire la ratio legislatori posso vagliare le carte preparatorie. Io argomento per interpretare. Ma una volta che ho trovato il senso della norma, ciò mi serve da premessa per sviluppare un ragionamento.

Però rimane sempre uno squilibrio fra l’attività generale e quella di supporto. La decisione del giudice è sempre frutto di argomentazione.

Interpretazione - argomentazione - deliberazione

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Nell’argomentazione si sente maggiormente il problema del fatto. Il sillogismo giudiziale è il tipo di argomentazione ideale (già aristotelico). Premessa maggiore: chi ruba va punito, premessa minore: Tizio ha rubato, conclusione: Tizio va punito.

La premessa maggiore è il risultato dell’interpretazione, ma anche nella fase interpretativa il giudice arriva al senso della norma tenendo conto del caso concreto.

Si assiste ad un declino dell’importanza della legge, una maggiore influenza delle corti costituzionali (USA, Canada, Sud africa ecc) le cui argomentazioni vengono usate anche in altri ordinamenti. L’interpretazione presuppone una volontà del legislatore e tanto è più debole la volontà, tanto più è importante argomentare il diritto.