Il Nome (superiori)

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Il Nome (superiori)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Grammatica italiana per le superiori 1
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

Il nome (dal latino nomen = "denominazione") o sostantivo (dal Latino substantivum = substantia = "sostanza, ciò che esiste") è la parte variabile del discorso che indica una persona, un luogo, una cosa o, più in generale, qualsiasi entità animata, inanimata o immaginata. Il termine sostantivo è da preferire a quello nome, poiché il primo termine ha un significato maggiormente pregnante: significa infatti provvisto di una propria sostanza, ossia un elemento caratteristico di cui possiamo parlare, sia esso definibile quale cosa concreta (ad esempio quadro), sia che esista esclusivamente come concetto astratto (ad esempio amore). I nomi, insieme con i verbi sono gli elementi primari di una lingua e costituiscono il pilastro su cui la frase si costruisce. Il nome può essere astratto e concreto.

I nomi, in sintesi, quindi, svolgono due funzioni estremamente importanti:

  1. Permettono di indicare tutti gli aspetti della realtà
  2. sono, insieme con i verbi, i pilastri su cui la frase viene costruita.

I nomi possono essere classificati e analizzati in base al significato, alla forma o alla struttura.

La classificazione e l'analisi in base al significato[modifica]

I nomi in base al significato, cioè dal punto di vista semantico, si possono dividere tra nomi comuni e nomi propri, tra nomi concreti e nomi astratti, tra nomi individuali e nomi collettivi e tra nomi numerabili e nomi non numerabili.

I nomi comuni e i nomi propri[modifica]

I nomi comuni indicano persone, animali, cose, luoghi, in modo generico come appartenenti a una classe; il nome libro può indicare uno qualsiasi dei possibili libri esistenti, se non viene a esso aggiunto qualche maggiore elemento di identificazione:

  • il mio libro
  • il libro di matematica che ho lasciato sul tavolo

I nomi propri, invece, sono nomi o cognomi di persone, appellativi geografici, storici, letterari, culturali e sociali; indicano non ciò che è generico ma ciò che è individuale, non la classe ma l'elemento singolo, e questa singolarità viene evidenziata con l'uso della lettera maiuscola:

  • Parigi
  • Puglia

I nomi concreti e i nomi astratti[modifica]

I nomi concreti sono quei nomi che si utilizzano per indicare elementi tangibili come:

  • ragazza, sedia, profumo, superficie, fragore, casa, albero, ospedale...

I nomi astratti sono quei nomi che esprimono elementi intangibili come:

  • bontà, bellezza, male, paura, fede, giustizia...

I nomi individuali e i nomi collettivi[modifica]

I 'nomi individuali designano un'entità singola che può essere una persona, un animale, una cosa o un concetto, indicandola con il nome proprio o con il nome comune della classe a cui questo appartiene. Questa categoria comprende la maggior parte dei nomi:

  • Luisa, donna, lupo, tazza, virtù...

Per indicare una pluralità di individui, questi nomi devono essere usati al plurale.

I nomi collettivi, invece, pur essendo al singolare designano gruppi o insiemi di persone (folla), cose (fogliame) o animali (mandria). Quando il nome collettivo è in funzione di soggetto, il verbo di solito va al singolare; si potrebbe considerare corretto l'uso del plurale nel solo caso in cui il nome collettivo sia seguito da un complemento di specificazione:

  • Uno stormo di uccelli volava/volavano nel cielo.

I nomi numerabili e i nomi non numerabili[modifica]

Si dicono Nomi Numerabili le cose che si possono contare:

  • un libro, dieci libri...

Si dicono nomi non numerabili i nomi che indicano quantità indistinte di una certa sostanza (acqua, miele...); questa quantità indistinta infatti non può essere contata: in genere non possiamo dire un'acqua, due acque, ecc. I nomi non numerabili richiedono, per indicare una quantità, l'articolo partitivo o una locuzione:

  • Maria ha chiesto del sale
  • Maria ha chiesto un po' di sale

Spesso, sono presenti entrambe le accezioni in uno stesso nome:

  • Prendo del caffè (non numerabile)
  • Prendo due caffè (numerabile)

La classificazione e l'analisi in base alla forma[modifica]

I nomi in base alla forma, cioè dal punto di vista morfologico, presentano solitamente diverse forme per esprimere due tratti molto importanti: il genere (maschile e femminile) e il numero (singolare e plurale).

Il genere del nome: il maschile e il femminile[modifica]

Il genere del nome (maschile e femminile) è normalmente arbitrario, nel senso che non è strettamente legato al significato di un nome. Non esiste infatti una logica stringente per cui il sostantivo domenica debba essere femminile e fiore debba essere maschile (in francese, ad esempio è esattamente il contrario: le dimanche, la fleur, anche se in questa lingua la maggior parte delle volte il genere dei sostantivi coincide con quello in italiano).

Il genere grammaticale, sia come sia, coincide il più delle volte con il sesso nel caso dei nomi di persona.

Il maschile e il femminile si distinguono solitamente senza difficoltà grazie al morfema grammaticale alla fine della parola, dunque alla terminazione.

Prima di passare all'esame per comprendere come si comportano i nomi a seconda che ci si trovi nel caso di una cosa, di una persona o di un animale, è possibile compiere una classificazione preliminare in base a come i nomi si comportano. Si avrà qui:

  • nomi mobili: cioè nomi che variano la desinenza con l'aggiunta di un suffisso quando passano dal maschile al femminile o viceversa (esempio: zia ---> zio).
  • nomi indipendenti: cioè nomi che presentano forme completamente differenti tra il maschile e il femminile (esempio: re ---> regina).
  • nomi di genere comune: Cioè nomi che hanno la stessa forma sia per il maschile sia per il femminile (esempio: nipote).
  • nomi di genere promiscuo: ciò accade soprattutto per i nomi di animale che hanno un'unica forma per il maschile e il femminile (esempio: leopardo).

Il femminile e il maschile nei nomi di cosa[modifica]

Un tipico caso di idioma che attribuisce il genere secondo criteri semantici (dunque secondo il significato) è la lingua inglese. Il maschile e il femminile stanno per persone di sesso maschile e femminile, mentre il neutro sta per le cose. In italiano coppie di sostantivi che esistono al maschile e al femminile (dunque nomi dello stesso tipo lessicale) vengono considerate come coppie di sostantivi differenti, anche se spesso hanno un legame di significato:

  • Il porto (l'accesso a un paese con la nave) non coincide con la porta (l'accesso a una camera o città)
  • Il buco (foro) non coincide con la buca (buco di una strada o nel terreno)
  • il cassetto (tiretto) non coincide con la cassetta (contenitore)

Altre volte, non vi è alcun legame tra la versione maschile e quella femminile: il baleno, la balena, il panno, la panna, il caso, la casa.

In alcuni casi, il genere interferisce con il numero: avremo quindi dei sostantivi maschili che, come l'uovo, danno al plurale le uova diventando così femminili. Si tratta di irregolarità dovute a sostantivi di genere neutro in latino, il cui plurale andava regolarmente a terminare per -a (per questi casi, vedi il paragrafo su "Il numero del nome: singolare e plurale").

La maggior parte delle parole astratte sono femminili.

Il femminile e il maschile nei nomi di persona[modifica]

L'unico tipo di sostantivo il cui genere è dato da considerazioni logiche è il nome di persona, come ad esempio professore e professoressa. Questo vale tanto per i nomi comuni che per quelli propri.

Spesso si hanno sostantivi completamente differenti per il maschile e il femminile: la nuora, il genero.

Altre volte, il sostantivo maschile viene usato normalmente anche per indicare una donna: l'avvocato, il chirurgo. Spesso è il contesto storico o linguistico a determinare se il sostantivo femminile esiste: se una volta il sostantivo ministra era considerato come inesistente, adesso si sta diffondendo grazie a un movimento storico-culturale femminista, anche per via dell'influsso del neologismo francese la ministre. D'altro canto, per indicare il maschile di parole come prostituta o casalinga non esiste un sostantivo corrispondente a meno che non si ricorra al meccanismo del neologismo nella maniera più scherzosa o comunque deliberata (casalingo? prostituto?).

L'adattamento dal maschile al femminile si fa normalmente secondo flessione, dunque secondo accordo del morfema grammaticale finale: il bambino la bambina. In questo caso, le regole di adattamento al genere rispecchiano a grandi linee quelle degli aggettivi.

1) I sostantivi che terminano in -o formano il femminile cambiandolo in -a: il poliziotto, la poliziotta, il maestro, la maestra.

2) I sostantivi maschili che terminano in -e conservano in genere questa terminazione: il presidente, la presidente, il cantante, la cantante; normalmente, si tratta di sostantivi basati sul participio presente di un verbo.

Numerosi sono comunque i fenomeni devianti da questa regola:

  • I sostantivi che terminano in –tore formano il femminile normalmente cambiando la desinenza in –trice: il traduttore, la traduttrice. Si tratta di un paradigma derivante dal latino, che prevedeva la desinenza -tor al maschile e quella -trix al femminile. A volte la formazione del femminile presenta alcune varianti fonologiche: difensore, difenditrice. (molti verbi in -ere sono infatti irregolari, per cui la loro irregolarità si riflette anche in questi sostantivi). Soltanto la parola dottore fa eccezione a questa regola (dottoressa). Forme devianti come traduttora vengono considerate come errate, anche se alcuni sostantivi conoscono questa forma (l'impostora).
  • Una serie di sostantivi forma il femminile con la desinenza –essa: si tratta generalmente di titoli o parole che indicano un certo prestigio: il campione, la campionessa, il duca, la duchessa. Molti di questi sostantivi terminano per –a: il duca, la duchessa, il profeta, la profetessa.
  • I sostantivi che terminano in –ista rimangono invariati al singolare. Maschile e femminile si distinguono solo nelle forme plurali: il turista, la turista; ma i turisti, le turiste.
  • Altri nomi maschili che terminano in –a rimangono invariati: l'idiota, l'idiota; il collega, la collega. Le forme dei due generi si distinguono solo nelle forme del plurale: gli idioti, le idiote; i colleghi, le colleghe.
  • Alcuni sostantivi maschili che terminano per –e cambiano in –a: il signore, la signora, il marchese, la marchesa. Similmente: Daniele, Daniela, Simone, Simona. A questo gruppo appartengono tutti i sostantivi che terminano in –iere: il parrucchiere, la parrucchiera. Similmente avremo l'infermiera, la forestiera.
  • A volte la formazione del femminile interagisce con meccanismi di alterazione: infatti, capita che sia il diminutivo a determinare la forma femminile: re, regina, come l'accrescitivo può determinare quella maschile: la strega, lo stregone.
  • Non seguono alcuna logica particolare coppie come dio-dea .

Può accadere che il genere del nome di persona contrasti con il sesso della persona. Per il femminile, avremo la guardia, la sentinella, la recluta. Anche il sostantivo spia segue questo meccanismo. Per il maschile, si ricordano il contralto, il mezzosoprano e il soprano: non si tratta di un'irregolarità in tutti i sensi perché originariamente questi ruoli venivano interpretati da persone di sesso maschile. Scorretti sono usi non rari come la soprano, laddove l'articolo si riferisce al sesso femminile della persona, ma si trova in aperta contraddizione morfologica con il genere maschile del nome (e in assenza di casi inversi come il recluta).

Il femminile e il maschile nei nomi di animale[modifica]

Vi è normalmente una forma non marcata che indica una specie di animale: il gatto può indicare entrambi i sessi. La forma femminile gatta indica solo l'individuo femminile se necessario.

In ogni caso, normalmente i nomi di animale sono promiscui, nel senso che si ha una sola forma che indica sia individui di sesso maschile sia di sesso femminile. Per distinguerli, si dovrà ricorrere a una perifrasi: il maschio della scimmia, la femmina della scimmia; oppure la scimmia maschio e la scimmia femmina.

I fenomeni più eminentemente irregolari per quanto riguarda il genere nei nomi di animale sono i seguenti:

  • Alcune coppie di nomi indicano la stessa specie usando sostantivi (tipi lessicali) completamente diversi: il toro, la mucca, il porco, la scrofa.
  • A volte è il diminutivo a determinare la forma femminile: gallo, gallina; come del resto l'accrescitivo può determinare quella maschile: la capra, il caprone.
  • Altre coppie di sostantivi mostrano mutamenti morfologici di una certa importanza: il cane, la cagna.

Il genere dei nomi di origine straniera[modifica]

Nel caso del genere dei sostantivi di origine straniera non si possono formulare delle regole fisse, ma delle linee di tendenza che possono trovarsi in contraddizione reciproca:

  • Stando alla grammatica tradizionale, i sostantivi che terminano in consonante - che costituiscono una buona parte dei nomi di origine straniera - sarebbero quasi tutti maschili (Cfr. Serianni 1989): il film, il basket. Infatti, il maschile è il genere non marcato.
  • Per quanto riguarda il primo punto, non si tratta di una regola stringente. Ad esempio, diversi neologismi del campo delle comunicazioni e dell'informatica sono spesso femminili o attestabili in entrambi i generi. Il fenomeno riguarda tanto quelli che terminano in consonante quanto gli altri (una chat, un'e-mail, una directory). Questo fenomeno si può spiegare in vari modi: molto spesso, si tende anche a preferire il genere di quello che sarebbe il corrispondente italiano della parola presa in prestito. La parola italiana e-mail è talvolta traducibile con posta elettronica e questo può spiegare il genere femminile della parola. Come il primo, neanche questo secondo criterio può essere applicato sistematicamente, dato che è facile che il corrispondente italiano non esista, o che si preferisca semplicemente la regola esposta in precedenza (web è maschile malgrado rete sia femminile).
  • Può giocare un ruolo anche il genere delle parole nella lingua di provenienza (la toilette, il papillon, il samba, l'Oktoberfest); anche questo criterio può essere problematico dato che l'italiano non dispone del neutro, mentre la maggior parte dei prestiti linguistici riguarda nomi di cosa inglesi (e quindi di genere sistematicamente neutro). Generalmente, il neutro viene reso in italiano con il maschile, il genere non marcato. Comunque, i casi ambigui sono numerosi.

In casi del genere potrebbe essere di aiuto un dizionario, dato che si tratta di fenomeni molto difficilmente prevedibili: è infatti un problema di natura più lessicale che grammaticale.

Il numero del nome: il singolare e il plurale[modifica]

Rispetto al numero a maggior parte dei nomi hanno due forme:

  1. Il singolare che indica un solo essere o una sola cosa.
  2. Il plurale che indica più esseri o più cose.

Il passaggio tra singolare e plurale, o viceversa, avviene, solitamente attraverso la variazione della desinenza. Tali nomi sono detti nomi variabili. Prendendo come base il singolare vediamo come varia il nome al plurale.

Il plurale dei nomi nella lingua italiana differisce per formazione da quello di diverse altre lingue europee: se in spagnolo e in inglese si aggiunge una s al sostantivo, in italiano si cambiano, come detto, le desinenze. Albero al singolare diventa quindi alberi al plurale: con il cambiamento da o in i la lunghezza del nome resta invariata. Analoghe regole valgono per sostantivi e aggettivi.

Le principali desinenze dei nomi italiani sono le seguenti:

genere desinenza singolare desinenza plurale
maschile -o (gelato) -i (gelati)
femminile -a (oliva) -e (olive)
maschile -e (pesce) -i (pesci)
femminile -e (noce) -i (noci)

Abbiamo inoltre, meno frequenti, le desinenze:

genere desinenza singolare desinenza plurale
maschile -a (problema) -i (problemi)
maschile -i (l'alibi) -i (gli alibi)
femminile -i (l'oasi) -i (le oasi)

Un'altra caratteristica della lingua italiana è la complessità nella formazione del plurale del nome. Esistono infatti diversi casi particolari di formazione del plurale, di cui si riportano i principali (che corrispondono alla grande maggioranza sia dei sostantivi, sia degli aggettivi che presentano un comportamento deviante):

  • Diverse parole maschili che terminano per -a (generalmente termini astratti) formano il plurale in -i: il problema, i problemi; il dilemma, i dilemmi. Si tratta soprattutto di parole di origine greca. Restano invariate le parole boa e boia.
  • Le parole provenienti da altre lingue, se non italianizzate, sono generalmente invariabili; il numero è indicato quindi dall'articolo (il film, i film; il computer, i computer). Questo vale anche quando la forma base usata è al plurale (il murales, i murales).
  • Sono invariabili in italiano i sostantivi che terminano in vocale accentata (la virtù / le virtù), i sostantivi (quasi tutti di origine straniera) che terminano in consonante (il bar / i bar), i sostantivi che terminano in -i (il bikini / i bikini, la crisi / le crisi).
  • I sostantivi che terminano per -io non formano un gruppo omogeneo. Se la i è accentata, il morfema -o viene semplicemente sostituito da -i, per cui si avrà: lo zìo, gli zìi. Se l'accento cade altrove, la forma al plurale si scriverà con una sola i: l'armadio, gli armadi. In altre parole, il numero di sillabe che compone il sostantivo dovrà restare invariato. In passato vigeva la regola di mettere una i con accento circonflesso, oppure una doppia i, nei casi in cui il plurale di sostantivi terminanti in -io portassero ad ambiguità. Per esempio: principe diventa principi; principio può diventare, per chiarezza, principii o principî (la prima forma però è sconsigliabile perché suggerisce una doppia i che nella pronuncia non c'è). Comunque, al giorno d'oggi questa forma è obsoleta. Per distinguere tra il plurale di principio quello di principe, al più si usa segnare l'accento tonico: princìpi e prìncipi; normalmente si ritiene superflua questa attenzione, dato che solitamente il contesto in cui queste parole si trovano impedisce quasi sempre situazioni di ambiguità.
  • La coppia uomo, uomini si distingue da altre per la variazione del numero di sillabe. Il fenomeno si spiega con i diversi etimi: mentre la forma singolare deriva da homo, quella plurale viene da homines.
  • Le parole femminili in -o, generalmente abbreviazioni, restano invariabili: la radio, le radio (corrisponde a radiotrasmettitrice, radiotrasmettitrici); similmente: la moto, le moto. Fanno eccezione la mano, le mani, l'eco, gli echi (quest'ultima voce cambia addirittura di genere).
  • Le parole in -cio e -gio formano il plurale in -ci e -gi (laccio, lacci).
  • Le parole in -co e -go hanno il plurale in -ci e -gi oppure in -chi e -ghi in funzione di diversi fattori, fra i quali il più importante è la posizione dell'accento. Se la parola ha l'accento sulla penultima sillaba, come la maggior parte dei sostantivi italiani, si avrà il più delle volte -chi e -ghi: sacco, sacchi, lago, laghi. In caso contrario, il plurale è di solito in -ci e -gi: medico, medici, psicologo, psicologi. Restano in ogni caso diverse eccezioni (es. amico, amici). Spesso si usa spiegare, ma solo a titolo di ricetta, che i nomi di persone hanno normalmente il plurale in -ci e -gi, e gli altri (nomi di cosa ed animale) in -chi e -ghi.
  • Le parole in -cia, -gia formano il plurale mantenendo la 'i' se l'ultima lettera prima della desinenza è una vocale (la camicia, le camicie), e perdendola se è una consonante (la frangia, le frange; la roccia, le rocce). La regola ha validità solo per la -i- non accentata. Nel caso di parole come allergìa, è chiaro che la i sarà conservata: allergìe. Fra le eccezioni principali, ricordiamo ciliegia e valigia, per le quali sono diffuse e accettate entrambe le forme (anche se le varianti conformi alla regola sono di gran lunga più frequenti; studiosi conservatori preferiscono attenersi a criteri di natura etimologica).
  • Le parole in -cie, -gie o -glie sono variabili al plurale (la superficie, le superfici o equivalentemente le superficie (il che rende la parola sovrabbondante (vedi sotto)); l'effigie, le effigi; la moglie, le mogli), con l'eccezione di specie (le specie).
  • Le parole che finiscono per -ista sono sia maschili che femminili: il turista, la turista; le forme del plurale sono però diverse a seconda del genere: i turisti, le turiste
  • I sostantivi che indicano le parti del corpo non seguono regole precise.
  • Molti hanno una forma maschile al singolare ed una forma femminile al plurale: il braccio, le braccia. Similmente: il ginocchio, il dito, il labbro, il ciglio; appartiene a questa categoria il sostantivo uovo. In questi casi, è possibile che esista anche una forma plurale maschile i bracci che però non indica la parte del corpo in sé (i bracci di una croce; i cigli delle strade).
  • Oppure, nel caso del sostantivo osso, la forma plurale femminile (le ossa) si riferisce ad un insieme specifico di una parte del corpo (le ossa del cranio, le ossa di una gamba), mentre la forma plurale maschile (gli ossi) si riferisce a gruppi non appartenenti ad una sezione specifica del corpo (la clavicola e il femore sono due ossi).
  • Per il sostantivo orecchio esiste anche una forma femminile: orecchia; mentre al singolare si usa soprattutto quella maschile, al plurale si preferisce quella femminile (le orecchie).
  • Buona parte dei nomi che indicano le parti del corpo prevedono solo forme regolari: il gomito, i gomiti; la fronte, le fronti.
  • Costituiscono un caso a parte i sostantivi arma (le armi) ed ala (le ali).
  • Anche alcune parole non indicanti parti del corpo sono sovrabbondanti, ossia hanno più di un plurale (per esempio legno, che al plurale fa legna quando riferito a un quantitativo di legname, legni se s'intendono gli strumenti orchestrali); un sostantivo (pomodoro) ha addirittura tre possibili plurali: pomidoro, pomidori e pomodori (quest'ultimo è oggigiorno di gran lunga il più usato).
  • Vi sono delle parole con due forme plurali: maschile e femminile. In tal caso, ai diversi generi corrisponderà in genere un diverso significato: Braccio: «i bracci» (del mare, del fiume, di una croce), «le braccia» (del corpo). Si tratta di un caso abbastanza diffuso.
  • Alcune forme sono difettive, vale a dire dispongono di una sola forma basilare (anche se è possibile, in determinati casi, riscontrare anche l'altra forma): i pantaloni, gli occhiali, la peste, il ferro.

In casi singoli può essere d'aiuto l'uso del dizionario.

Oltre a questi Nomi, però, esistono anche altri Tipi di Nomi quali i Nomi Invariabili, i Nomi Difettivi e i Nomi Sovrabbondanti. Vediamoli:

I Nomi Invariabili[modifica]

Si dicono Invariabili o Indeclinabili i sostantivi che mantengono la stessa desinenza sia al singolare sia al plurale (modificano soltanto l'articolo che li precede).

  • Ecco alcuni esempi:
I nomi che terminano con la vocale accentata
Singolare Plurale
età età
caffè caffè
città città
virtù virtù
I nomi che terminano con la vocale "i"
Singolare Plurale
analisi analisi
brindisi brindisi
crisi crisi
ipotesi ipotesi
metropoli metropoli
oasi oasi
sintesi sintesi
tesi tesi
Alcuni nomi maschili che terminano con la vocale "a"
Singolare Plurale
boia boia
cinema cinema
cobra cobra
gorilla gorilla
vaglia vaglia
Alcuni nomi femminili che terminano con la vocale "o"
Singolare Plurale
auto auto
dinamo dinamo
foto foto
radio radio
Alcuni nomi che terminano con il dittongo "ie"[1]
Singolare Plurale
serie serie
specie specie
Le parole di origine straniera e i nomi che terminano con consonante
Singolare Plurale
autobus autobus
bar bar
bazar bazar
film film
gas gas
goal goal
sport sport
Alcuni nomi composti da una sola sillaba
Singolare Plurale
gru gru
re re
sci sci

I Nomi Difettivi[modifica]

Si dicono Nomi Difettivi quei sostantivi usati solo al singolare o solo al plurale.

Ad esempio, hanno solo la forma singolare:

  • nomi di mesi o festività: aprile, maggio, Pasqua
  • nomi di malattie: la varicella, l'Alzheimer, la peste
  • elementi chimici o metalli: l'idrogeno, l'uranio, il rame
  • nomi di alimenti: l'orzo, il latte, il grano
  • nomi astratti: la pazienza, la costanza, il coraggio
  • nomi collettivi: il fogliame, la prole
  • nomi di elementi unici: il sud, l'occidente, l'equatore
  • nomi di sensazioni fisiche: la sete, la fame, il sonno

Esempi di nomi difettivi solo plurali sono:

  • nomi che indicano una pluralità di cose: le congratulazioni, le nozze, le ferie
  • nomi che indicano due elementi che stanno insieme: le bretelle, i pantaloni, le forbici.

I Nomi Sovrabbondanti[modifica]

I Nomi Sovrabbondanti sono quelli che presentano:

  • due singolari e un plurale (per esempio) singolari arma / arme, plurale armi; singolari nocchiero / nocchiere plurale nocchieri; singolari scudiero / scudiere, plurale scudieri)
  • un singolare e due plurali (per es. singolare braccio, plurale bracci / braccia; singolare corno, plurali corni / corna; singolare filo , plurali fili / fila)
  • due singolari e due plurali (per es. singolari orecchio / orecchia, plurali orecchi / orecchie)[2]

La seconda categoria è molto importante perché le due forme del plurale hanno spesso un significato diverso: le due forme non sono interscambiabili in tutti i contesti. In genere una delle due viene utilizzata maggiormente per indicare un oggetto concreto, l'altra viene prediletta per il senso figurato (per es. i gesti / le gesta).

Quasi tutti i nomi di questo tipo derivano da sostantivi neutri della seconda declinazione latina.

La Classificazione e l'Analisi In Base alla Struttura[modifica]

I Nomi In Base alla Forma, cioè dal mondo in cui si è formato, si distinguono in:

  • Nomi Primitivi: Cioè quei nomi che Non Derivano da alcuna altra parola e sono composti dalla sola Radice e dalla Desinenza indicante Genere e Numero (Ad Esempio: "Fior-e"). Essi sono la Base da cui si Formano tutti gli altri Tipi di Nomi.
  • Nomi Derivati: Cioè quei Nomi che si formano dalla Radice di Altri Nomi (Ad Esempio: "Fiorario", "Fioriera" , "Fioritura"). La Derivazione avviene attraverso l' Aggiunta alla Radice del Nome Primitivo Partcoalri Elementi Linquistici detti Morfemi Modificanti che possono essere inseriti o Davanti al Nome in questi casi si parla di Prefissi (Ad Esempio: "In-Coscienza") o Dopo la Radice e in questi casi si parla di Suffissi (Ad Esempio: "Fior-iera" o "Fior-aio"). Questi Prefissi e Suffissi portano un Proprio Significato in grado di far Cambiare il Significato anche al Nome. Per Conoscere il Significato dei Prefissi e dei Suffissi Bisogna Consultare il Vocabolario.
  • Nomi Alterati: Cioè Nomi che, per effetto di Appositi Suffissi, esprimono particolari sfumature qualitative del significato del nome (Ad Esempio: "Ragazzino", "Ragazzone", "Ragazzaccio"). I Nomi Alterati a loro volta, in base al Suffisso Usato, si dividono in:
    • Nomi Alterati Diminutivi: Cioè Nomi che Danno un Senso di Più Piccolo (Ad Esempio: "Tavolino").
    • Nomi Alterati Accrescitivi: Cioè Nomi che Danno un Senso di Più Grande (Ad Esempio: "Tavolone").
    • Nomi Alterati Vezzeggiativi: Cioè Nomi che Danno un Senso di Più Bello (Ad Esempio: "Tavoletto").
    • Nomi Alterati Peggiorativi: Cioè Nomi che Danno un Senso di Più Brutto (Ad Esempio: "Tavolaccio").
  • Nomi Composti: Cioè Nomi Composti dal'Unone di Due o Più Parole (Ad Esempio: "Pescespada"). Ogni Parola ha un Proprio Significato e dall'Unione degli Stessi il Nome che ne Deriva ha un suo ulteriore Significato.

Sui Nomi Composti c'è da riflettere riguardo alla Formazione del Plurale. C'è prima di tutto da segnalare che i Nomi Composti possono essere formati da:

  • Nome + Nome (Ad Esempio: "Arcobaleno").
  • Nome + Aggettivo (Ad Esempio: "Cassaforte").
  • Aggettivo + Nome (Ad Esempio: "Francobollo").
  • Aggettivo + Aggettivo (Ad Esempio: "Pianoforte").
  • Verbo + Nome (Ad Esempio: "Cavatappi").
  • Verbo + Verbo (Ad Esempio: "Lasciapassare").
  • Verbo + Avverbio (Ad Esempio: "Buttafuori").
  • Preposizione + Nome (Ad Esempio: "Soprannome").
  • Avverbio + Nome (Ad Esempio: "Dopopranzo").

I Nomi Composti Formano il Plurale a Seconda del Tipo di Parole che li Compongono:

  • I Nomi che derivano dall’Unione Nome + Nome:
    • Se Sono dello Stesso Genere: Il Plurale si Forma Cambiando Solo la Desinenza del Secondo Elemento (Ad Esempio: "L’Arcobaleno" –--> "Gli Arcobaleni").
    • Se Sono di Genere Diverso: Il Plurale si Forma Cambiando Solo la Desinenza del Primo Elemento (Ad Esempio: "Il Pescespada" –--> "I Pescispada"). Ma vi Sono anche Forme che Cambiano il Secondo Elemento (Ad Esempio: "La Banconota" ---> "Le Banconote" o "La Ferrovia" ---> "Le Ferrovie").
    • Le Parole Formate con Capo- si Comportano in Modo Particolare:
      • Quando i Composti, in Qualche Modo, sono Ormai Sentiti come Nomi Primitivi: Formano il Plurale come dei Normali Nomi Primitivi, cioè Modificando Solo al Desinenza Finale (Ad Esempio: "Il Capolavoro" ---> "I Capolavori" o "Il Capodanno" ---> "I Capodanni" o "Il Capogiro" ---> "I Capogiri" o "Il Capoverso" ---> "I Capoversi" o "Il Capoluogo" ---> "I Capoluoghi" o "Il Capostipite" ---> "I Capostipiti").
      • Quando il Composto è Maschile: Il Plurale si Forma Cambiando la Desinenza del Primo Elemento Se l'Elemento "Capo" Significa "Colui che è a Capo di..." (Ad Esempio: "Il Capoufficio" –--> "I Capiufficio"). Però Esistono Casi nei quali, Oltre a Questa Forma, ci può Essere un'altra forma nella quale si la variazione Avviene anche al Secondo Elemento e qQesta è una Soluzione che si sta Diffondendo Molto nell'Italiano Contemporaneo (Ad Esempio: "Il Capocuoco" ---> "I Capicuoco" Ma Anche "Il Capocuoco" ---> "I Capicuochi").
      • Quando il Composto è Femminile: In Genere il Plurale è Invariato Se l'Elemento "Capo" Significa "Colei Che è a Capo di..." (Ad Esempio: "La Capoclasse" –--> "Le Capoclasse") Mentre Se l'Elemento "Capo" ha la Funzione di Semplice Attributo Formano Cambiando la Desinenza del Secondo Elemento (Ad Esempio: "La Caporedattrice" –--> "Le Caporedattrici").
    • Alcuni, infine, sono Invariabili: Ad Esempio: "Il Cruciverba" –--> "I Cruciverba".
  • I Nomi che Derivano dall’Unione Nome + Aggettivo:
    • In Genere Prendono la Desinenza Plurale di Entrambi gli Elementi: Ad Esempio: "La Cassaforte" –--> "Le Casseforti".
    • Ma Possono Presentare Anche Diversi Tipi di Formazione del Plurale: Ad Esempio: "Il Palcoscenico" –--> "I Palcoscenici" o "Il Caposaldo" –--> "I Capisaldi" o "La Cartapesta" –--> "Le Cartapeste" o "Il Camposanto" –--> "I Camposanti").
  • I Nomi che Derivano dall’Unione di Aggettivo + Nome:
  • Se gli Aggettivi Sono Seguiti da un Nome Maschile: Modificano, al Plurale, Solo la Desinenza del Secondo Elemento (Ad Esempio: "Il Francobollo" –--> "I Francobolli").
  • Se gli Aggettivi Sono Seguiti da un Nome Femminile: Prendono la Desinenza del Plurale Entrambi gli Elementi (Ad Esempio: "La Mezzaluna" –--> "Le Mezzelune").

Note[modifica]

  1. Esistono comunque delle eccezioni. Ad esempio il plurale di moglie è mogli. Quindi, per evitare errori, è sempre buona norma controllare sul vocabolario.
  2. Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore schedario