Etica aristotelica (superiori)
L'etica aristotelica
[modifica]Le opere che Aristotele dedica all’etica sono
- l’Etica Nicomachea o a Nicomaco, perché dedicata al figlio
- l’Etica Eudemia
Aristotele sostiene che tutti agiscono in vista della loro felicità. Quindi anche le azioni più banali, come svegliarsi la mattina o mangiare una mela, vengono compiute con il solo scopo di raggiungere la felicità o bene finale.
Potremmo quindi chiederci cosa sia questa felicità, che tutti gli uomini vogliono raggiungere. Se noi pensiamo a cosa sia la felicità ci verrebbe da dire che equivale al successo, ai piaceri fisici o al possedimento di beni materiali. Quindi una persona ricca e di successo dovrebbe essere la più felice del mondo. Aristotele non sarebbe d’accordo con questo concetto di felicità. La felicità non può dipendere da fattori esterni come l’approvazione della massa ma deve essere qualcosa più interiore e soggettivo. Inoltre non può portare a una vita primitiva o animalesca che mira solo alla ricerca dei piaceri e delle cose materiali.
Secondo Aristotele la felicità significa realizzare la propria natura. Quindi l’uomo è felice quando agisce il modo razionale, essendo questa la sua natura. Infatti ritiene che l’uomo più felice sia colui che si dedica alle attività intellettuali e contemplative, come per esempio il filosofo o lo scienziato.
L’agire razionalmente può essere tradotto come agire secondo virtù. Quindi la virtù è il mezzo attraverso il quale si può raggiungere il bene finale.
LE VIRTÚ
Le virtù sono suddivise in base alla tipologia di felicità che possono far raggiungere in due categorie: dianoetiche e etiche.
Le virtù dianoetiche, dal greco dianoia=pensiero, sono legate alla ragione e per questo sono tipicamente umane. Permettono di realizzare la massima felicità, dato che permettono all’uomo di seguire massimamente la sua natura razionale.
Parlando di virtù dianoetiche bisogna sottolineare un particolare: trattano del sapere possibile, soggettivo e che ha il fine di produrre qualcosa. Quindi è una conoscenza diversa rispetto a quella di cui si occupano le scienze teoretiche, il cui oggetto è ciò che è necessario, oggettivo e fine a sé stesso. Inoltre con il termine conoscenza non si intende il possesso delle nozioni, bensì la disposizione verso il sapere e il desiderio di ricerca. Quindi una persona volontariamente agisce in un determinato modo, perché ha voglia di scoprire e lo sente come bisogno interiore personale. Aristotele riconosce 5 virtù dianoetiche: intelligenza, scienza, sapienza, saggezza e arte. L’intelligenza è la capacità di intuire i principi primi ed è una conoscenza intuitiva, in greco nous. Secondo Aristotele quindi lo scienziato è intelligente per esempio. La scienza è la capacità di sviluppare attraverso il ragionamento i principi primi ed è una conoscenza deduttiva, in greco episteme. La sapienza è la virtù che possiede chi ha contemporaneamente la scienza e l’intelligenza, come per esempio il filosofo. La saggezza è la capacità di agire in vista del bene, qualità che caratterizza un giudice per esempio. L’arte o tecnica è la capacità applicare correttamente le diverse arti e quindi per esempio un artista sa come deve essere prodotto un oggetto.
Le virtù etiche riguardano l’ethos, cioè il costume, quindi il modo di essere, il comportamento e i valori sociali. Tutti le possono raggiungere mediante il controllo delle passioni. Si apprendono nella vita di tutti i giorni. L’individuo le interiorizza con il tempo seguendo un modello. Si raggiungono con l’abitudine e attraverso un giusto mezzo tra tendenze opposte. Come dicevano i latini “In medio stat virtus”, cioè nella medietà c’è la virtù. Per esempio il coraggio, una via di mezzo tra la temerarietà e la paura.
La giustizia è una virtù etica intersoggettiva, cioè intercorre tra più soggetti, e secondo Aristotele è la virtù etica per eccellenza. La definisce come il giusto mezzo tra fare e ricevere giustizia. Quindi è una via di mezzo tra quello che tu non vorresti ti sia fatto dagli altri e quello che tu vorresti fare agli altri. La giustizia può essere: distributiva, commutativa o correttiva e politica.
La giustizia commutativa riguarda i rapporti privati, volontari e involontari, tra i cittadini della polis. Gli accordi volontari sono per esempio i contratti di scambio oppure di vendita, invece quelli involontari sono furto o violenza. In entrambi i casi la giustizia mira a mantenere e ristabilire l’uguaglianza. Un esempio di rapporto involontario può essere il furto di gioielli: il ladro deve restituire il valore della merce al danneggiato e in certi casi gli può essere anche inflitta una pena. Un esempio invece di rapporto volontario può essere la vendita di un campo: tra l’acquirente e il venditore avviene uno scambio equo, cioè il terreno in cambio del valore cui vale pagato in moneta. La giustizia distributiva si occupa invece del rapporto tra cittadino e società. Stabilisce la modalità di distribuzione dei beni comuni come ricchezze e onori. La quantità destinata a ogni cittadino è proporzionale al merito e l’impegno per la comunità. Per esempio un bottino di guerra viene diviso tra i soldati in base alla loro in battaglia. Infine c’è una particolare tipo di giustizia che riguarda la politica. Il giusto senso politico può essere naturale, cioè che ha validità universale, e legale, che determina cosa è giusto all’interno di una singola polis. Quindi è diverso di città in città. La concezione di giustizia dipende in base al luogo e i greci dicevano: nei paesi a sud è in un certo modo, nei paesi a nord in un altro e in Grecia il modo di concepire la giustizia è il più equilibrato e corretto, perché geograficamente si trova nel mezzo. Persiste ancora la convinzione che la medietà rappresenta mezzo per raggiungere la perfezione e la felicità.
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