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Emocromatosi ereditaria

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Emocromatosi ereditaria
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Gastroenterologia

L'emocromatosi ereditaria è una patologia di origine genetica caratterizzata dall'accumulo di ferro all'interno di vari organi, essenzialmente fegato, pancreas, cute e cuore.
Rappresenta una delle cause principali di accumulo di ferro, assieme ad alcuni quadri acquisiti come il sovraccarico orale e post-trasfusionale, ed il più diffuso tra quelli ereditari.

Epidemiologia

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La prevalenza raggiunge il 30% circa nella popolazione europea, dove la mutazione genetica è presente in eterozigosi in circa il 10% della popolazione, mentre in omozigosi diminuisce al 0,3-0,5% in omozigosi.
La patologia tende a manifestarsi soprattutto nella fascia d'età 40-60, con un interessamento a maggioranza largamente maschile (rapporto di 5-10 a uno), in quanto il sesso femminile ha una sorta di "protezione" dovuta alle perdite ematiche durante il ciclo mestruale. L'espressione genetica della malattia risulta modulata da vari fattori, come l'assunzione di ferro nella dieta.
Si è rilevato che l'alcolismo tende ad associarsi fortemente ad un quadro clinico più grave, con un precoce avanzamento del danno epatico; tale associazione risulta invece meno netta nelle epatiti virali e nella steatosi epatica.
È interessante notare come la distribuzione dell'emocromatosi ereditaria abbia in Europa un gradiente nord-sud, dovuta forse alle migrazioni delle popolazioni celtiche: risulta avere infatti una maggiore prevalenza in Norvegia, Svezia e Irlanda, mentre tende a essere meno diffusa nell'area mediterranea; a sua volta, in Italia la malattia è più diffusa al nord che al sud (nelle isole, scarsamente colonizzate dai celti, è praticamente assente).

Eziopatologia

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Caratteristica dell'emocromatosi ereditaria è un aumentato assorbimento del ferro a livello intestinale, che porta ad un suo accumulo eccessivo rispetto alle reali necessità fisiologiche, ed un eccessivo rilascio di ferro nel torrente ematico da parte delle cellule del sistema reticolo-endoteliale.
La forma più diffusa di emocromatosi è correlata ad una mutazione della proteina HFE, simile per struttura ai recettori di MHC di classe I, deputata a legare alla transferrina (che trasporta il ferro nel circolo ematico) il ferro assorbito a livello intestinale. In caso di carenza di ferro, la ferritina stimola la produzione di transferrina a livello epatico aumentandone la quantità nel sangue: HFE corrabola quindi ad aumentare proporzionalmente la quantità di ferro trasportata nel sangue. La mutazione di HFE determina una rottura del feedback, in quanto la quantità di ferro assorbita dall'intestino diventa indipendente dal segnale dato dalla transferrina e raggiunge livelli massimali, accumulandosi nell'organismo.
Questa forma è più diffusa nell'adulto, ha esordio tardivo, clinica più moderata ed interessa soprattutto il fegato.
Altre forme interessano altre proteine coinvolte nel metabolismo del fegato: epcidina[1], emogiuvelina (queste prime due sono forme giovanili, ad esordio brusco, clinica aggressiva e coinvolgimento soprattutto di pancreas e cuore) , recettore della transferrina 2, ferroportina.

La proteina HFE

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Come si è accennato, assomiglia molto ad un recettore MHC di classe I: è una proteina transmembrana costituita da due anse, che contengono da una parte la beta2-microglobulina, e dall'altra cisteina 282.
La mutazione C282Y interessa proprio questo amminoacido, con una trasformazione dell'aminoacido da cisteina a tirosina, la quale causa un'alterazione nella struttura della proteina ed un suo malfunzionamento, dando gli effetti noti.
Un'altra mutazione, H63D, meno diffusa, porta ad una trasformazione dell'istidina in aspartato.
Abbiamo vari quadri di malattia a seconda delle mutazioni presenti:

  • l'omozigosi C282Y/C282Y è la forma più importante, ha una penetranza del 20%.
  • la mutazione composta C282Y/H63D ha una penetranza bassa, circa l'1-2%.
  • l'omozigosi H63D/H63D è assai rara, tende a manifestarsi solo in presenza di altri fattori di rischio, tanto che alcuni sono contrari a definirla una vera e propria emocromatosi.
  • l'eterozigosi in entrambe le forme C282Y/wt e H63D/wt non dà mai malattia, dato che l'allele sano ha una buona compensazione.

Clinica

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Solitamente le manifestazioni cliniche compaiono attorno ai 40-50 anni, soprattutto nel maschio. Nella donna come si è detto le mestruazioni rappresentano un fattore protettivo, per cui la malattia tende ad evidenziarsi dopo la menopausa.
La malattia ha scarsa penetranza, molti individui possono avere una predisposizione genetica ma essere totalmente asintomatici.
Nei soggetti con manifestazioni cliniche invece si hanno quadri aspecifici, oppure sintomi e segni dipendenti dagli organi colpiti:

  • fegato: tutti i tipi di danno possibili, fino alla cirrosi e quadri neoplastici.
  • cuore: disturbi nella conduzione, cardiomiopatie. Tipico soprattutto nei quadri giovanili.
  • cute: deposizione di ferro a livello della cute, che danno un caratteristico aspetto grigio-brunastro (motivo per cui una volta, vedendo anche i danni a livello pancreatico, ci si riferiva a questa malattia col nome di diabete bronzino).
  • gonadi: si evidenzia un ipogonadismo primario (con perdita dei caratteri secondari, perdita di pelo e della fertilità).
  • ghiandola pituitaria: di solito porta a ipogonadismo secondario.
  • tiroide: ipotiroidismo primario
  • pancreas: diabete, meno frequentemente pancreatite cronica
  • articolazioni: soprattutto le grandi articolazioni, con dolori e artriti, e le metacarpo-falangee.

Diagnosi

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Occorre inizialmente capire se c'è un sovraccarico di ferro:

  • una saturazione della transferrina superiore al 45% è patologica.
  • aumento della ferritina, che però è anche una proteina di fase acuta e aumenta pertanto anche durante le infezioni. I valori patologici sono >200 µg/L nella donna e >300 µg/L nell'uomo.
  • dosaggio del ferro sierico.

La biopsia epatica è indicata soprattutto nelle omozigosi C282Y/C282Y e nei quadri avanzati di malattia. Permette il calcolo dell'indice di ferro epatico, ossia il rapporto tra quantità di ferro presente negli epatociti e nelle cellule di Kupffer e l'età: questo indice permette di differenziare un'emocromatosi ereditaria da un sovraccarico di ferro secondario ad epatopatia alcolica.

Terapia

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La terapia principe è stata per molti anni la flebotomia (ossia il semplice salasso), che permetteva di ridurre le quantità di ferro nell'organismo in maniera assai efficace (nell'uomo con un salasso di 400ml si rimuovono circa 200 mg di ferro; nella donna si tolgono 350ml, circa 175 mg di ferro). Si inizia con una seduta settimanale, poi meno frequentemente, finché la ferritina raggiunge un valore di 100 µg/L, o ancora meglio 50 µg/L. Una diagnosi precoce della malattia, attraverso screening familiari, permette di evitare che la patologia raggiunga uno stadio avanzato consentendo quindi un'aspettativa di vita normale per il soggetto.
Se per vari motivi non è possibile effettuare il salasso (il paziente diventa troppo anemico o è troppo fastidiosa, presenza di cardiopatia, ecc) si può somministrare la deferoxamina, una sostanza chelante che lega il ferro e ne permette l'escrezione nella bile e nelle urine. Ha tuttavia una maggiore difficoltà d'impiego, si utilizza per via intramuscolare o con pompa sottocute per 8-12 ore, e può dare febbre e cefalea.

Note

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  1. L'epcidina è un ormone secreto dal fegato che regola l'omeostasi del ferro: quando la quantità di ferro nell'organismo aumenta, l'epcidina giunge nel circolo ematico dove lega la ferroportina, la quale regola il passaggio del ferro contenuto in eritrociti, macrofagi e cellule placentali all'esterno (nel torrente ematico), degradandola; in questo modo il ferro viene ritenuto all'interno di queste cellule. Quando invece la quantità di ferro nei tessuti cala, l'epcidina non viene rilasciata, la ferroportina aumenta le quantità del metallo in circolo permettendone la distribuzione nei vari organi.
    Come si può intuire, una mutazione del gene dell'epcidina (ed un conseguente blocco della produzione della proteina) determina un'incontrollato rilascio di ferro in circolo, che tende ad accumularsi nei tessuti dando danno d'organo.

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