Diritto soggettivo
Il diritto soggettivo è un legame di spettanza fra il soggetto e il bene. I Romani non avevano il concetto pieno di diritto soggettivo, perché usavano il termine iura per indicare un insieme di situazioni personali (anche sfavorevoli). Per noi i diritti sono momenti di affermazione del soggetto, per questo sono in generale umani. Quindi soltanto il concetto di uomo ci può dire cosa è favorevole.
Le origini storiche del diritto soggettivo
[modifica]Negli stoici, Socrate, Aristotele, Platone vi era l’idea che i beni della terra appartenessero a tutti, indipendentemente dal proprio credo. Essi condividevano la visione di una originaria proprietà comune delle cose. Come si passa da una spettanza comune dei beni al regime attuale di divisione, in maniera giuridica, ragionevole?
Ugo Grozio (giurista olandese del ‘500, fondatore del diritto internazionale col De iure belli ac pacis) sostiene che all’origine c’è qualcosa che possediamo: il corpo e beni spirituali, che costituiscono un piccolo patrimonio personale sul quale abbiamo un diritto. Il rapporto che si instaura fra l’io e il mio è di disponibilità: il soggetto ha facultas moralis o potere morale di disposizione della res, e suscita obblighi negli altri. Il diritto soggettivo quindi è un potere morale sugli altri in relazione alle cose. Se io ho diritto al mio corpo ho anche diritto a tutto ciò che è collegato al mio suum. Tutto ciò è fondamentale a mantenere il mio patrimonio personale e oggetto di mio diritto. Fa sorgere dei titoli validi per poter rivendicare una cosa come mia (che prima avevano tutti), che si ottengono partendo dal titolo valido del suum. Bisogna ribadire che il riconoscimento del titolo valido per la spettanza è la questione centrale in questo dibattito.
Come faccio a dire che un’azione è mia? Se compio un’azione utile nei confronti tuoi, è anche tua. Quindi l’idea del diritto di proprietà è originaria e tra proprietà e libertà per Grozio c’era uno stesso rapporto.
Il carattere matrimonialistico del diritto soggettivo sulle azioni. Allora posso vendere le mie azioni, il mio potere morale sulla cosa: alienatio particulae nostrae libertatis. Quindi la libertà è alienabile. Quindi questa concezione non si applica ai diritti umani, oggi (prima si inseriva nel dibattito sulla schiavitù). Far corrispondere forzatamente il diritto mio al dovere tuo è compito dello Stato, fondato su un patto sociale tra proprietari, ciò produce individualismo possessivo. Il diritto di proprietà è un diritto perfetto, perché fa corrispondere al diritto un dovere.
Quindi non solo Dio crea obblighi morali, ma anche la società, e sono obblighi immanenti.
Teorie dell’origine del diritto soggettivo
[modifica]- La garanzia del mio diritto è quindi lo Stato, grazie al diritto perfetto (titolo valido accompagnato da pena in caso di sanzione). Secondo Grozio, i proprietari fanno un patto sociale, creando lo Stato fondato sul diritto soggettivo. I giusnaturalismi seguono quest’interpretazione.
- Ma col tempo il ruolo dello Stato è diventato sempre più importante: è la volontà dei governanti a determinare i titoli validi! Un romanista tedesco fornisce una definizione dogmatica: il diritto soggettivo è potestà della volontà conferita dall’ordinamento giuridico. In questa visione non esistono diritti per natura e si sfocia nello statalismo.
- Locke si pone il problema del passaggio da una comunanza dei beni ad un regime di proprietà per titoli validi. Sostiene che all'origine ognuno aveva diritto su tutto, ma col lavoro aggiungo qualcosa alla natura, acquisendo un diritto maggiore rispetto agli altri. Il surplus, il valore aggiunto, viene ripreso dall’economia classica e da Marx.
- Non ho il diritto di sprecare il frutto del mio lavoro: divieto di accumulare cose imperiture (visione cristiana). Però si passa ad un regime di mercato grazie all’uso del denaro come merce di scambio. Il pericolo di questa teoria è che si inneschi una disuguaglianza eccessiva, tipica del regime liberale.
Teorie del diritto soggettivo
[modifica]- I diritti come scelte giuridicamente protette (Hart). La scelta è protetta sia nell’esercizio sia nel risultato. L’individuo è come un piccolo sovrano delle sue cose del resto il Codice napoleonico definisce il diritto di proprietà come ius utendi ac abutendi. Però questa teoria riduce la capacità della persona alla scelta: e i bambini non hanno diritti soggettivi anche se non sono in grado di scegliere?
- Diritto come interessi giuridicamente protetti (Jhering). L’interesse, che non è un potere ma un’utilità, può essere il fondamento del diritto soggettivo. Però è una visione paternalistica, perché è lo Stato che decide cosa è nell’interesse di chi.
Queste concezioni sono tutte di carattere patrimonialistico, perché i diritti soggettivi sono rapportati a beni materiali e immateriali collegati all’Io. Lo stesso corpo è visto come bene posseduto, da cui deriva un’idea materialistica della libertà come proprietà del proprio corpo. Ma questa scissione cartesiana dell’io dal corpo è rispettosa? Esistono dei diritti che abbiamo per il solo fatto di essere uomini? La categoria del diritto soggettivo non può essere usata per i diritti della personalità, perché troppo segnata da una visione paternalistica che conduce ad una materializzazione dell’io.
Alcuni sostengono che i diritti siano solo degli individui, perché temono che la sopravvivenza di un diritto collettivo subordini l’esigenza di diritti individuali. D’altra parte non si può negare l’esistenza del diritto all’autodeterminazione dei popoli, importante per la fine del colonialismo e sancito nei primi atti dell’ONU.
I caratteri dei diritti umani sono:
- universalità: appartengono a tutti gli uomini
- indisponibilità: sottratti al potere del titolare
- inviolabilità: non sono sopprimibili ma solo limitabili a certe condizioni e non tutti (la tortura è inammissibile)
- imprescrittibilità: non ci sono prescrizioni contro la violazione di diritti umani.
I diritti fondamentali sono quei diritti umani costituzionalizzati, fondamentali per un dato ordinamento. È una nozione tecnica. I diritti configgono perché sono applicazione di valori contrastanti. Sorge il problema del bilanciamento di diritti paritari. Il diritto che effettivamente si ha è sempre una limitazione di quello astrattamente proclamato.
I diritti sono insieme particolari e universali. Devono valere per tutti ma per essere rispettati hanno bisogno di sanzioni erogate dai regimi politici, dagli stati in concreto. La particolarizzazione è necessaria perché esista il diritto; la sfida delle carte regionali è concretizzare e declinare i diritti umani nelle varie culture interessate.
Quale antropologia c’è dietro i diritti umani? Per quelli soggettivi è l’homo oeconomicus. Ve n’è una pluralità, alla quale si collegano valori basilari.
L’antropologia individualistica concepisce l’individuo in quanto tale, completo prima di entrare in società (atomista). Per primo difende il valore dell’autenticità: avere la libertà di esprimere la propria identità, essere riconosciuto per quello che si è, senza discriminazioni, anche se non lo si è scelto. È la libertà di esprimere il proprio pensiero. È collegato alla libertà religiosa concepita dai puritani: lo stato non deve impedire di espletare la missione che Dio mi ha affidato. L’art 1 della Cost. degli USA è il divieto di una chiesa di stato, che sancisce la libertà di compiere il proprio dovere.
Oggi si va riscoprendo, con i diritti culturali, delle donne, degli omosessuali … son tutti diritti identitari. Poi sorge l’autonomia, che è il diritto di essere legge a e di se stessi, di poter scegliere ed essere rispettato nelle proprie scelte.
L’antropologia relazionale sostiene che scopriamo noi stessi solo nel rapporto con gli altri. Homo socialis, che spinge alla solidarietà, al valore della cooperazione.
L’antropologia situazionale sostiene che l’uomo non è un essere neutro, non esistono diritti legati ad un uomo astratto: l’uomo è sempre in situazione e i diritti sono di modelli qualitativi: diritti del bambino, del malato, dell’anziano … pur condividendo tutti la stessa dignità. Questa è la sfida dell’uguaglianza nella differenza: trattati come uguali anche se diversi.
Tradizione dei diritti naturali
[modifica]I diritti naturali devono avere una positività come tutti gli altri, ma esiste un diritto naturale non prodotto dalla volontà umana? Non parliamo di valori come la dignità e i moral rights, ma di diritto, norme giuridiche non create né da diritto legislativo né dalla consuetudine.
Nel processo di Norimberga ai gerarchi nazisti, essi si difendevano dicendo d’aver ubbidito alla legge dello stato, ma sono stati puniti perché non hanno disobbedito a leggi ingiuste, in nome di un diritto naturale.
L’immagine storica dei diritti naturali si fa risalire all’Antigone di Sofocle. Creonte pone la legge che vieta la sepoltura dei nemici di Tebe, ma la nipote Antigone seppellisce il fratello nemico dello zio. Viene condannata, ma lei si difende in nome della legge naturale della pietà religiosa. Creonte deve punirla in nome della legge naturale che impone il rispetto dello Stato. La legge di Antigone riguarda i fini dell’umanità, quella di Creonte dei mezzi di mantenimento della convivenza sociale.
Il giusnaturalista sostiene l’esistenza di una legge naturale all’interno del diritto positivo o addirittura in posizione superiore. I giuspositivisti sostengono che i valori morali sono estranei al diritto, non sono giuridici. Diritto e morale sono connessi o no?
La comprensione dei d. naturali è storica: ogni epoca giuridica, ogni concezione del diritto positivo è accompagnata, come un’ombra, da una del diritto naturale.
Nel Corpus giustinianeo è presente il d. naturale in tutta la compilazione, ma soprattutto nella parte fra ius gentium e ius civilis: nello ius naturalae (anche se non ben descritto). Tutta la stratificazione sociale per i romani era un ordine naturale.
Ancora oggi la famiglia è chiamata società naturale. Normalità dei rapporti sociali, non normatività, non artificialità, ma naturalità. Perciò la scienza del diritto è lo ius iusti e iniusti. Il diritto positivo è contingente, quello naturale rispetta la normalità. Per i romani quindi è una legge immanente, non divina: è la natura delle cose.
A questa visione oggettiva riguardante l’ordine sociale, si oppone una visione soggettiva condotta dal giurista e filosofo stoico Ulpiano, che definisce la legge naturale come ciò che la natura ha insegnato a tutti gli animali: è legge istintiva, psicologica, biologica che preserva l’esistenza (forse il primo protettore dei diritti degli animali!).
Ma prima ancora lo stoico Cicerone parla di una legge della ragione che ci guida nel comportamento; nel De legibus (prima trattazione di filosofia del diritto) l’inclinazione naturale (diversa dall’istinto animale) è iscritta nella nostra vita biologica e sociale.
Per primo Cicerone individua tre sfere di inclinazione naturale che individueranno tre libelli di istituzionalizzazione:
- inclinazione alla vita e alla sopravvivenza (come Ulpiano) che dà luogo a istituti giuridici volti alla protezione della vita (divieto di omicidio …);
- desiderio della continuazione della specie, che ci distingue dagli altri animali poiché il piccolo umano ha bisogno di cure: nasce così il diritto di famiglia;
- esigenza della socialità e di ordine sociale attraverso la cooperazione, opera della ragione dalla quale scaturisce il diritto pubblico.
Questo è il pensiero della legge naturale fino al Medioevo, influenzato dal Cristianesimo. Nel 1140 il monaco Graziano raccolse le decretali dei papi, alla base del diritto canonico. I commentatori della raccolta, i decretasti, erano i giuristi che si confrontavano con i glossatori, commentatori del Corpus giustinianeo nell’università di Bologna.
Graziano dice che la legge naturale è ciò che è contenuto nella Bibbia; anche se legato alla rivelazione cristiana, ma non voleva sottolineare il profilo della fede: in un passo delle lettere di S. Paolo ci si chiedeva se i pagani si possono salvare se non conoscono la legge mosaica. Risponde di sì, perché con la loro ragione possono capire i precetti della legge mosaica. La legge è scritta nei loro cuori: fare il bene ed evitare il male.
La novità di Graziano non è l’aspetto della ragione (ripreso dallo stoicismo), ma che la legge viene da Dio. La legge naturale è divina, per questo ci obbliga. Nel Medioevo Dio era il legislatore dell’universo, secondo un piano: sia legge naturale sia legge della natura, entrambe leggi eterne. Avendo gli uomini la ragione, possono capire una parte di questo piano: a loro attraverso la ragione Dio ha messo la coscienza del bene e del male. Tommaso: la legge naturale è la partecipazione della legge eterna alla creatura razionale. Poiché questa coscienza è diffusa in tutti gli uomini, si può parlare di etica naturale, che non richiede fede. Esiste anche l’etica rivelata, esigenze di amore e di dedizione che trascendono la coscienza naturale.
Il volontarismo di Occam si secolarizza nell’imperativismo giuridico. Altri teologi si avvicinarono al razionalismo: Dio poteva creare come voleva il mondo, ma il quel tipo di mondo i rapporti dovevano essere definiti. Dio intelletto e non volontà. Comunque la legge naturale viene quasi esclusivamente invocata da chi ha una fede religiosa.
Con la modernità viene meno l’unità del cristianesimo, il che implica che i vari cristiani hanno un punto di vista comune solo nella legge naturale, e non sul piano teologico, proprio perché, come paradossalmente afferma Grozio, la legge naturale esisterebbe anche senza Dio. I valori fondamentali sono indipendenti da Dio, quindi sono obbligatori in misura minore. La legge naturale è la legge della ragione, non più divina! È vista più come mezzo che come fine. Più alla maniera di Creonte che quella di Antigone. Posto un fine (salvare la città) devi obbedire al mezzo (legge statale).
Hobbes: nello stato di natura (prima delle istituzioni), vige il bellum omnium contra omnes, dove neanche il più forte può farsi valere a lungo. Io ho per natura diritto a tutto ciò che è necessario alla mia autoconservazione. Si stipula un patto sociale che segue i teoremi della ragione (legge naturale): cercare la pace attraverso la cessione dei diritti.
Dimensione della pura utilità, homo oeconomicus. È una legge naturale (che va oltre la scelta di coscienza) ma dei mezzi (utilità) e non dei fini.
Come punto di riferimento nella modernità abbiamo il Codice napoleonico, che è il coronamento di 300 anni di riflessione. Esso segna anche la fine per tutto l’800 del giusnaturalismo. È all’origine dell’epoca della codificazione. Il diritto codificato è diritto positivo che non riguarda alcuni rapporti sociali, ma una concezione, un paradigma sociale che si riflette in un piano regolatore di tutti gli ambiti del vivere sociale. Napoleone aveva una convezione giusnaturalista che ha spazzato via lacune e antinomia del diritto stratificato, ora sostituito da un testo chiaro di riferimento. Napoleone, mentendo, disse che il codice non imponeva la sua volontà, ma esplicava leggi della ragione naturale.
È proprio nel 500-600 che nascono le facoltà di giurisprudenza moderna: iuris naturalis scientia, che si divideva in varie branche che studiavano il diritto naturale e il modo più razionale di organizzare la società.
Caratteristiche del giusnaturalismo moderno:
- condizioni empiriche della natura umana, come insieme di fatti che si verificano empiricamente (emerge il carattere utilitaristico) e non metafisica dell’umano. Il problema principale sono le scarse risorse, l’incertezza del futuro e l’imperfezione umana.
- Teologia: fini della natura umana; nascono sociologia e antropologia che individuano come carattere comune primario la self-preservation (fine conservatore).
Grazie a questi elementi si opera una costruzione razionale della società, contraria al concetto romano di normalità. Per Pufendorf, nel De iure naturale et gentium del 1672, l’uomo è afflitto da imbecillitas, è debole e ha bisogno della società. L’uomo non è animale sociale, non affermazione metafisica. Dall’osservazione empirica si evincono i principi generali del diritto civile, penale e internazionale tuttora seguiti.
Ci sono valori, principi, istanze, elementi fattuali che non sono alla merce della volontà del legislatore: c’è una legge naturale che pone limiti al diritto positivo.
- Prima la legge naturale è divina, emanazione della volontà di Dio.
- Nel pensiero moderno abbiamo una deriva utilitaristica = la ragione è un mezzo per sopravvivere, quindi la legge della ragione è un mezzo.
- Il giusnaturalismo moderno ha una sua autonomia e condiziona anche la concezione di diritto positivo come diritto politico (epoca della codificazione) = il legislatore è uomo politico e si coltiva l’idea che tutto il diritto sia politico (ma non valeva prima e neanche tanto oggi). Questa produzione di diritto avviene attraverso un progetto politico, non estemporaneo e non parziale. Il codice doveva coprire tutto.
- Ora è un’epoca costituzionalizzazione e di internazionalizzazione del diritto. Il conoscere la storia della legge naturale e positiva aiuta a comprendere il diritto attuale.
Il problema della scarsezza di risorse è stato analizzato da Hart, che, pur giuspositivista, ritiene che esista un contenuto minimo di diritto naturale proprio perché non abbiamo risorse infinite. Volontà incostante, non siamo decisi nella società e nell’egoismo … considerazioni empiriche che assomigliano a Pudendorf.
Oggi c’è un elemento nuovo: una legge formalmente valida ha bisogno di essere conforme ai principi costituzionali, quindi deve corrispondere a certi valori. È una deriva storica dovuta al non rispetto della dignità umana. C’è giusnaturalismo perché il legislatore non può violare la dignità umana, quindi la nostra epoca è favorevole al giusnaturalismo. I giuspositivisti formulano la teoria dei giuspositivismo inclusivo: nel concetto di diritto positivo devo includere un elemento morale positivo, ovvero ciò che l’umanità ritiene essere in questo momento morale. Non è morale eterna, ma positiva e mutevole. Secondo Viola però gli elementi morali una volta acquisiti sono irretrattabili.
Una critica al concetto moderno di diritto naturale (mezzo e non fine) è quello di scambiare il diritto naturale con lo stato di natura, esperimento mentale atto a vedere i vantaggi o gli svantaggi della società. Rousseau vede solo vincoli nella società e la rivoluzione è fatta un nume dello stato di natura.
Vi sono elementi di d. naturale all’interno del diritto positivo, figli del processo di secolarizzazione delle istanze cristiane di d. naturale. Oggi noi crediamo al messaggio cristiano senza i presupposti religiosi. I caratteri presenti nel diritto positivo presi dal diritto naturale:
- leggi come mezzo necessario (e non fine) per stabilire l’ordine e mantenere la pace (sempre però un senso riduttivo)
- la forma di legge alla base dell’uguaglianza, che si oppone alle leggi ad hominem. L'uguaglianza sfocia nella ragionevolezza.
Legge positiva come sistema di regole: le regole giuridiche devono riguardare tutti gli aspetti della società (idea politica) e devono essere coerenti. È sfociata nell’avversione ad ogni discrezionalità e intervento interpretativo: ma il diritto non può essere matematico, perché è ragion pratica in cui dobbiamo scegliere tra una pluralità di soluzioni corrette.
Il 900 è un’epoca di decodificazione, di costituzionalizzazione e d’internazionalizzazione del diritto; si vede il ritorno del diritto naturale, diverso da tutti gli altri poiché cambiano i presupposti del diritto positivo. Che cosa deve rispettare il sovrano d’oggi è indicato nella Dichiarazione universale dei diritti umani del ’48, la quale non è frutto di un’emanazione di un sovrano né è un trattato internazionale, ma un esempio di soft law. Nuovo concetto giuridico: diritti umani. Per alcuni sono i vecchi d. naturali, ma per essere tali devono essere positivizzati. D’altro canto il legislatore non può scegliere quali diritti riconoscere. Il territorio dei diritti umani è intermedio al giuspositivismo e al giusnaturalismo. Alcuni ritengono sia la morale dell’umanità in cui il pluralismo dovrebbe convergere. È la lingua comune di un’umanità così pluralista.
Per Dworkin esistono:
- morale del bene (Kant),
- fine (Aristotele),
- diritti (contemporanea).
La ricerca di una legge naturale riprende proprio dal riconoscimento dei diritti umani, perché bisogna definire il quantum, i limiti dell’esercizio di diritti e la definizione concreta della violazione degli stessi. Quando applichiamo i diritti umani, abbiamo bisogno di criteri per la giustificazione e l’esercizio dei diritti, che sono i luoghi in cui risorge la problematica della legge naturale.
Giustificazione dei diritti umani: nella Dichiarazione non era possibile scrivere nessuna giustificazione perché, abbracciando una concezione, non si sarebbero nessi tutti d’accordo. Si scrisse di non porre il problema della giustificazione siamo tutti d’accordo a patto che non ci si chieda perché. Bobbio, in L’età dei diritti: il problema non è giustificarli ma proteggerli. Viola: possiamo mettere tra parentesi la giustificazione, ma non possiamo più farlo nel momento in cui li applichiamo. Dobbiamo esibire una concezione del genocidio, della tortura, della violazione di diritti che sia legata alla giustificazione stesa dei diritti. Nell’esercizio si rivelano i diritti che ho (sempre più compressi di quelli proclamati).
Diritti umani: trattare in modo umano gli esseri umani
[modifica]Oggi il diritto soggettivo punta alla Umanizzazione della società. Dobbiamo riconoscere i valori fondamentali della specie umana, essi sono comuni nonostante la varietà delle interpretazioni.
- concezione forte di Finnis (giusnaturalista): la legge naturale oggi si esprime in un quadro di valori fondamentali affinché la nostra vita sia umana; bisogna rispettare i valori come orizzonti del pensiero umano. Noi differiamo nella loro organizzazione, nella posizione di preferenza che in cui li mettiamo. Ma è possibile racchiudere in sette i valori fondamentali? Ed è sempre possibile dare risposta contemporaneamente a tutti questi valori?
- Concezione debole di Rawls (liberale): non bisogna stabilire in modo paternalistico i fini, il cittadino non deve essere trattato come un minorenne. Non esiste una lista di valori fondamentali. I valori sono puramente strumentali, e l’uomo non si realizza in essi. Si richiede un minimo di libertà, risorse per realizzare la propria esistenza e una società di self-respect.