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Utente:Pegasovagante/sandbox/2

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Pegasovagante/sandbox/2
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Uniformologia

L'età moderna

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Fanteria del Brandeburgo, anni 1680 (Knötel). Si notino le ampie marsine; quelle dei tamburi sono praticamente livree da domestici.

È nel Seicento che l'uniforme assume le caratteristiche fondamentali che conosciamo ancor oggi (per esempio i colori distintivi e le sciarpe per gli ufficiali) mentre solo nel secolo successivo si differenzia chiaramente, anche nella foggia, dall'abito civile. L'esercito prussiano, infatti, introduce per primo una giubba dal taglio piú aderente e dalle falde molto meno ampie rispetto alla marsina d'uso comune.

Il Settecento si caratterizza anche per la ricerca di copricapi alternativi al tricorno (che si distingue da quello civile per la presenza di coccarda, piumetto o ponpon). Due tipi che si affermano sono quello cilindrico con placca frontale (Kaskett) e l'elmo di cuoio con cresta (tarleton e altre varianti).

Una serie di accessorî vengono via via regolamentati; alcuni di questi assumono la funzione di distintivi. È il caso della gorgiera, di spalline, controspalline e cordelline, dei piumetti e talvolta degli alamari. Al termine del secolo, gli eserciti di alcune grandi potenze (come Francia e Gran Bretagna) hanno già un sistema piú o meno organico e coerente di distintivi di grado, disposti per lo piú sulle spalle o sulle maniche.

L'epoca napoleonica

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L'epoca napoleonica è trattata in genere come un periodo a parte, per la straordinaria varietà delle uniformi e anche perché molti stati nascono o cessano d'esistere nell'arco di due decenni. Può essere considerata una fase di transizione, con molte innovazioni anche sperimentali, di cui non tutte avranno seguito; si afferma nettamente quel carattere di marzialità cui già tendeva l'evoluzione settecentesca (per esempio il cappello a cilindro viene soppiantato quasi subito dallo shakò), mentre gli abiti borghesi si stabilizzano su tonalità sobrie. La Francia e gli stati a lei vicini (Regno italico, Regno di Napoli, Paesi bassi, parecchi stati tedeschi) mantengono giubbe di tipo tradizionale, coi risvolti e che lasciano il panciotto visibile (habit à la française); molte altre potenze introducono giubbe abbottonate, colle falde assai corte (l'Austria fin dal secondo Settecento; poi la Gran Bretagna, il Portogallo e altri, mentre Russia e Prussia adottano giubbe a doppio petto).

Caratteristiche tipiche del periodo sono il bavero alto e agganciato, il taglio aderente, le falde molto sfuggenti e spesso assai corte; si fanno strada i calzoni lunghi, dapprima come indumento protettivo e rinforzato, soprattutto per la cavalleria, ma ben presto con un'estetica piú curata (colori scuri o vivaci, filettature o bande lungo la cucitura). Quelli estivi, per la fanteria, sono bianchi.

Si può considerare napoleonica per eccellenza l'uniforme dei lancieri (o ulani), che, derivata dal costume polacco, negli anni 1810-1815 raggiunge il vertice della stilizzazione, con tutte le caratteristiche accennate.

L'uniforme ungherese degli usseri (ripresa da altre specialità di cavalleria leggera, dall'artiglieria a cavallo nei paesi vicini alla Francia, e perfino dalla fanteria, come nel caso dei rifles britannici) mantiene caratteristiche che ha già da un secolo e che conserverà fino alla Grande guerra; nondimeno, nel periodo napoleonico e della Restaurazione risulta anch'essa stilizzata al massimo. Gli alamari coprono interamente il petto del soldato, la pelliccia è ormai quasi un accessorio, lo shakò (o il colbacco) svetta imponente, sormontato da un alto piumetto. Se si pensa alla vita misera e durissima del soldato dell'epoca, in cui le perdite per malattia e altre cause potevano essere maggiori di quelle sui campi di battaglia, l'eleganza di queste uniformi appare bizzarra e quasi beffarda.

Il cappello, che ha assunto la forma del bicorno (lucerna o impropriamente feluca), viene abbandonato da gran parte della truppa per diventare il copricapo caratteristico delle gendarmerie, dello stato maggiore, degli ufficiali di marina; è mantenuto dagli ufficiali per l'uniforme di società. In ambito civile avrà maggior fortuna, nelle uniformi di corte, nella burocrazia (fino al secolo XX per il corpo diplomatico e certi alti funzionarî), negli ordini cavallereschi. In questo primo decennio dell'Ottocento è alto, ingombrante, come del resto gli altri copricapi.

In questo periodo anche l'uniforme civile assume forme proprie, caratterizzandosi per un marcato anacronismo (o quantomeno per un adeguamento alla moda generalmente tardivo) e per l'uso frequente di ricami o passamanerie. Interessante al riguardo è il regolamento per i dipendenti pubblici varato in Francia sotto il Direttorio, notevole per un audace sperimentalismo (senza dubbio applicato in piccola parte) poi riassorbito in forme piú convenzionali dalla burocrazia dell'impero napoleonico.

Anche l'abito di corte è ormai una vera uniforme, in particolar modo per i dignitarî; anche gli ordini cavallereschi, per la loro vicinanza alle corti e alle relative cerimonie, hanno un'uniforme con caratteristiche piú marziali (bavero chiuso, spalline).

Dalla Restaurazione alla Grande guerra

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Dopo le guerre napoleoniche si assiste a un allungamento delle falde; in un primo momento, secondo varî autori, sembra prevalere una forte stilizzazione a tutto scapito della funzionalità. Tuttavia si fa strada un'eleganza piú sobria: i risvolti sul petto tendono a sparire, almeno dalle uniformi della fanteria; spariscono le culottes, soppiantate una volta per tutte da calzoni lunghi che coprono gli stivali o le ghette. Man mano vi sarà minor varietà di colori, piú scuri e usati con piú parsimonia.

La rivoluzione industriale concorre a favorire una standardizzazione sempre piú marcata nel corso dell'Ottocento; questa tendenza è particolarmente evidente nell'esercito austro-ungarico, anche per motivi di economia.

Nel corso dell'Ottocento s'impone sempre piú l'uso d'uniformi coloniali studiate appositamente, colla sperimentazione di nuovi copricapi, fra cui si affermeranno il chepí (poi diffuso, dapprima come berretto da fatica, anche in territorio metropolitano) e il casco di sughero. L'ultima uniforme esotica ad affermarsi sul suolo europeo è appunto un'uniforme coloniale, quella degli zuavi, che contrasta per vivacità colle tenute severe e composte degli altri fanti.

Negli anni 1840 si assiste a una trasformazione importante, che nei decenni successivi raggiunge tutti gli eserciti: la giubba tagliata a frac, evoluzione della marsina, viene soppiantata da quella a tunica, lunga inizialmente oltre metà coscia, poi via via piú corta. Contemporaneamente si affermano shako tronco-conici rastremati verso l'alto o, in alternativa, elmi di varia foggia (come quello chiodato). Il risultato è una nuova sagoma, meno imponente ma piú spigolosa, dall'apparenza piú stabile e resistente.

L'uniforme europea ormai si diffonde in tutto il mondo, non piú solo nelle colonie, ma negli stati sovrani extraeuropei (Turchia, Persia, America latina, Giappone). Hanno fortuna soprattutto il modello francese e quello prussiano, mentre la tradizione britannica attecchirà nei futuri stati del Commonwealth.

Al volgere del secolo sono in atto alcune tendenze: le giubbe della cavalleria si uniformano fra loro e a quelle piú sobrie della fanteria; ornamenti come i paramani si semplificano fin quasi a sparire; i copricapi sono sempre meno ingombranti.

L'Ottocento vede lo sviluppo, fino a raggiungere una forma definitiva, delle uniformi di marina, notevoli per essere molto simili fra loro in tutti i paesi, aderendo per lo piú al modello britannico, soprattutto per gli ufficiali. Alcune caratteristiche anticipano gli sviluppi che saranno anche degli eserciti: giubba con bavero rivoltato e revers, camicia e cravatta, berretto a visiera. È uno stile sobrio e pratico che fa apparire l'ufficiale di marina come un tecnico, uno specialista, in parte diverso da un mero comandante di uomini (come del resto si vede dall'adozione di uniformi molto simili nelle marine mercantili). L'uniforme dei marinai avrà un'influenza anche sulla moda borghese.

Sempre nel secolo XIX si affermano corpi di polizia civili e servizî antincendio, per lo piú a livello locale. Adottano in genere uniformi semplici, sobrie, di colore scuro. I pompieri sperimentano una serie di elmi che derivano dall'elmo crestato di cavalleria e che sono i precursori del moderno elmetto d'acciaio o di kevlar.

Nascono nuovi servizî pubblici, come le ferrovie, i cui dipendenti vestono l'uniforme; anche gli allievi dei collegi hanno le loro divise, ormai simbolo d'organizzazione e di prestigio. Una borghesia in uniforme sembra prendere il posto dell'antica aristocrazia dalle lucide armature.

Il Novecento: mimetismo e nuove tipologie

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Fino al 1945

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Uniforme russa, austriaca e italiana della Prima guerra mondiale (Museo storico dell'esercito, Vienna).

In ambito civile, il secolo si apre colla nascita del movimento degli scout, prima e piú longeva fra le varie organizzazioni giovanili del secolo. Con essi fanno la loro comparsa i calzoni corti, all'epoca indossati abitualmente dai ragazzi, e il foulard come segno distintivo.

Nel primo decennio del Novecento molti eserciti (eccettuato, fra le principali potenze, quello francese) adottano, dapprima in via sperimentale, colori poco appariscenti, prendendo spunto fra l'altro dal cachi già messo alla prova nei teatri coloniali. La guerra russo-giapponese (1905) conferma l'utilità di questa tendenza. Ma è la Prima guerra mondiale a imporre un'estrema semplificazione, sia per razionalizzare la produzione, sia, e soprattutto, per tentare, con un maggior mimetismo, di contenere le pesantissime perdite di quel conflitto. Fanno la loro comparsa l'elmetto d'acciaio (forse l'elemento piú caratteristico del soldato a partire da quel secolo) e la maschera antigas. I colori distintivi tendono a farsi meno evidenti fino a sparire del tutto (le mostreggiatrure, tutt'al piú, si ridurranno a mostrine). Inoltre si assiste a un proliferare di nuovi distintivi, fra cui sono particolarmente innovativi quelli di specialità. Fra i teatri operativi è sempre piú importante l'alta montagna, il che comporta l'adozione di uniformi strettamente funzionali, pensate per quell'ambiente.

Il periodo fra le due guerre mondiali è notevole in primo luogo per la nascita di una nuova forza armata, l'aeronautica, che nella maggior parte dei paesi adotta uniformi nelle varie tonalità dell'azzurro, spesso tendente al grigio. Negli eserciti si fa strada l'esigenza di uniformi meno sobrie di quelle adottate in trincea, anche se il ritorno a colori di fondo vivaci resta un fatto eccezionale, come pure l'adozione, per la truppa, di uniformi ordinarie distinte da quelle di servizio (quest'ultima, infatti, s'imporrà per lo piú nel secondo dopoguerra).

L'uniforme degli ufficiali presenta forti somiglianze in molti paesi: giubba con quattro tasche (spesso aperta con risvolti, e in tal caso con quattro bottoni), berretto rigido, cinturone Sam Browne, calzoni da equitazione a sbuffo e stivali.

Nel campo dell'uniforme civile, da una lato comincia a preannunciarsi quel declino che sarà evidente nel secondo dopoguerra; dall'altro, soprattutto nei paesi totalitarî, si assiste a tutto un fiorire di organizzazioni con divise proprie, spesso legate ai partiti al potere (e che al di là dei giudizî ideologici per l'uniformologo è utile conoscere). È interessante il caso dei diplomatici sovietici e di quelli del Reich nazionalsocialista, che adottarono uniformi assai innovative, dal taglio vagamente militaresco, in evidente polemica colle marsine e feluche (ma il termine è improprio, tecnicamente si parla di bicorni) degli altri regimi.

Una novità del secondo conflitto mondiale è il diffondersi dei distintivi delle grandi unità, in genere scudetti o toppe sulla manica o fasce intorno alla stessa. Alcune specialità (prendendo esempio anche dalle truppe aviotrasportate) vengono dotate di uniformi di servizio innovative, distinte da quelle ordinarie, fra cui i primi esempî di tute mimetiche. Fasce mollettiere e stivali, assai diffusi al principio del conflitto, perdono terreno a favore di ghette e gambaletti. Per lo zelo nell'innovazione si distinguono gli Stati Uniti, che fra l'altro adottano un nuovo tipo d'elmetto poco dopo la loro entrata in guerra.

Quella che era l'uniforme coloniale diventa, nel corso del conflitto, una vera uniforme di servizio da deserto o da foresta tropicale; le condizioni estreme, unite talvolta a difficoltà negli approvvigionamenti, portano a soluzioni semplificate e puramente funzionali. Ormai è chiaro che l'uniforme ordinaria dovrà essere distinta e separata da quella di servizio.

Il secondo dopoguerra

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Una delle novità piú caratteristiche del secondo dopoguerra (a parte la distinzione fra uniformi ordinarie e di servizio di cui s'è fatto cenno) è il generalizzarsi del basco, riservato dapprima a poche specialità. Si tratta di un copricapo economico, realizzato in diversi colori, anche se il nero predomina in molti eserciti. La sua diffusione è minore nei paesi del blocco socialista.

A causa della partecipazione sempre piú frequente a missioni nei teatri piú diversi, continuano a evolversi uniformi di servizio pensate per esigenze di mimetismo e per climi assai varî, e che possono adeguarsi alle condizioni ambientali e meteorologiche. La tendenza è verso una combinazione di elementi individuata quasi caso per caso, sempre meno organica e coerente a vantaggio della stretta funzionalità, fatto ancor piú evidente nel campo dell'equipaggiamento. Ormai anche le forze di polizia hanno adottato uniformi di servizio, generalmente non mimetiche, ma simili nel taglio a quelle delle forze armate. Anche i cosiddetti dispositivi di protezione individuale, che possono essere vere e proprie uniformi, adottati dai servizî d'emergenza, si rifanno in parte a questi capi versatili, resistenti e collaudati, in particolare per la distribuzione di tasche e di rinforzi e per l'impiego quasi esclusivo dei bottoni a pressione, delle cerniere o del velcro.

Si potrebbe dire che servizî d'emergenza e forze di polizia abbiano ereditato quella che un tempo era la funzione dell'uniforme militare: distinguersi e farsi riconoscere anche a distanza, anche in condizioni di scarsa visibilità. Nei primi decennî del sec. XXI, questa esigenza è evidente in quasi tutti coloro che lavorano sulle strade, dagli operatori ecologici ai portalettere, al punto che in molti paesi un giubbetto catarifrangente è dotazione obbligatoria di tutti gli automezzi civili.

Le uniformi ordinarie, il cui uso è ormai limitato alla libera uscita o a usi di rappresentanza (e anche in questi casi può ormai accadere che si adottino quelle di servizio), ormai si assomigliano in tutti i paesi. La giubba, che deriva da quella per ufficiali della prima metà del Novecento, ha i risvolti, quattro bottoni, quattro tasche, e s'indossa con camicia e cravatta. Da un paese all'altro possono mutare particolari come la presenza di paramani o bottoni sulle maniche, la forma dei risvolti, delle spalline o delle tasche.

Il colore delle uniformi ordinarie è dettato dalla tradizione, con innovazioni dettate da esigenze di discontinuità ideologica e storica. Cosí l'Esercito italiano ha mantenuto il cachi delle uniformi britanniche usate nella guerra di Liberazione, mentre quello della Germania occidentale ha sperimentato varie tonalità di grigio (tutte lontane dal Feldgrau, che era verdastro), finendo per stabilizzarsi su uno spezzato con calzoni scuri. Finora per salvaguardare la tradizione, sempre molto sentita nelle forze armate, si sono mantenuti colori vagamente mimetici per un'uniforme che mimetica non è, ma (gradualmente dal 2010 al 2015) gli Stati Uniti hanno introdotto uno spezzato di giubba turchina scura e calzoni azzurri con banda laterale, che riprende i colori delle uniformi ottocentesche.

Dopo la fine della Guerra fredda, si è assistito a un uso sempre piú frequente di uniformi storiche, notevole soprattutto nell'Europa orientale (mentre in altri paesi la tendenza era già in atto da tempo, o addirittura una tradizione consolidata). In molti paesi, particolarmente quelli aderenti alla NATO (aumentati di numero dagli anni 1990), si diffonde l'influenza statunitense, per esempio nel tipo di elmetto.