Umberto Saba (superiori)
Triestino come Italo Svevo, Umberto Saba rimane estraneo alle sperimentazioni delle avanguardie che hanno caratterizzato la poesia italiana all'inizio del XX secolo, tanto che la sua poesia è stata definita "anti-novecentista". Formatosi da autodidatta, sviluppa una poetica estremamente originale e difficilmente inquadrabile in una corrente, destinata a influenzare la poesia italiana del secondo dopoguerra.
La vita
[modifica]Umberto Saba, il cui vero nome era Umberto Poli, nasce a Trieste il 9 marzo 1883. Il padre Ugo Eduardo Poli è discendente di una famiglia nobile veneziana, mentre la madre Felicita Rachele Cohen proviene da una famiglia di commercianti ebrei. Il futuro poeta trascorre un'infanzia difficile: il padre abbandona il tetto coniugale prima ancora della nascita del figlio, e il bambino viene messo a balia da una donna slovena, Peppa Sabaz. Umberto cresce quindi senza una figura paterna, diviso tra l'amore della madre naturale e quello della balia.
Dopo avere frequentato le scuole con scarso rendimento, interrompe gli studi alla quarta ginnasio. La sua preparazione prosegue da autodidatta, e contemporaneamente trova impiego in una ditta di Trieste. Come compensazione per un lavoro che trova alienante inizia a dedicarsi alla poesia. Al periodo tra il 1900 e il 1907 risalgono le Poesie dell'adolescenza e giovanili. La madre però contrasta la sua passione per Leopardi, giudicando il carattere del figlio troppo pessimistico, e tenta di avvicinarlo alla lettura di Parini. In seguito la sua formazione si allarga ad altri autori della letteratura italiana, come Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Foscolo, Manzoni, Pascoli e D'Annunzio.
Soggiorna per due volte a Firenze, nel 1905-1906 e poi nel 1911, senza però partecipare ai dibattiti letterari in corso in quegli anni nella città. In seguito la rivista La Voce rifiuta di pubblicargli il saggio Quello che resta da fare ai poeti (che uscirà solo nel 1959), e Slataper stronca la sua prima raccolta. Negli anni successivi il poeta continuerà a scontare le origini triestine della sua formazione intellettuale, più legata alla cultura mitteleuropea che ai dibattiti della scena italiana.
Nel 1907 Saba svolge il servizio di leva a Salerno, quindi torna a Trieste, dove nel 1911 sposa Carolina Wölfler (la Lina di molti suoi versi). Dalla loro unione nasce poco dopo la figlia Linuccia, a cui verranno dedicate varie poesie. Agli anni dieci risale la pubblicazione delle sue prime raccolte, Poesie (1911) e Con i miei occhi (1912), entrambe firmate con lo pseudonimo di "Umberto Saba". Il rifiuto del cognome paterno è un omaggio sia alla madre e alle sue origini ebraiche ("saba" in ebraico significa "pane") sia alla nutrice (il cui cognome era Sabaz).
Dopo avere combattuto nella prima guerra mondiale, Saba apre a Trieste una libreria antiquaria, a cui dedicherà il resto della vita. Nel 1921 raccoglie tutta la sua produzione poetica nel Canzoniere, a cui nelle edizioni successive verranno aggiunti altri componimenti. Nel 1928 si avvicina alla psicanalisi: sofferente di nevrosi, viene preso in cura dal dottor Edoardo Weiss, allievo di Freud. Per le sue origini ebraiche è però colpito dalle leggi razziali. Si rifugia inizialmente a Parigi, ma allo scoppio della seconda guerra mondiale è a Roma, dove Ungaretti tenta di proteggerlo. Durante il conflitto si nasconde anche a Firenze, dove è aiutato da Montale.
Nel 1945 Einaudi pubblica la seconda edizione del Canzoniere. La sua versione definitiva uscirà però postuma, nel 1961. A causa della tiepida accoglienza, Saba scrive anche una Storia e cronistoria del Canzoniere, ricca di osservazioni poetiche, con la quale tenta di porsi come interprete di se stesso. Nel dopoguerra la sua statura di poeta viene ormai riconosciuta dai critici; riceve quindi vari riconoscimenti, tra cui diversi premi letterari e una laurea ad honorem in lettere, conferita dall'università di Roma. I suoi ultimi anni di vita sono però segnati dalla depressione. Nel 1956 la moglie Carolina muore. Saba si spegne a Gorizia pochi mesi dopo, il 25 agosto 1957.[1]
Composizione e struttura del Canzoniere
[modifica]Già nel 1913 Saba pensa di riunire tutta la sua produzione poetica in un'unica opera, dalla quale fosse possibile riconoscere lo stretto legame esistente tra la sua poesia e la sua vita. La prima edizione del Canzoniere vede quindi la luce nel 1921, in cui rientrano le due prime raccolte di versi (Poesie del 1910 e Con i miei occhi del 1912) con l'aggiunta di nuove poesie. Saba sceglie e sistema i testi, componendo quelli nuovi in vista della posizione che avrebbero occupato nella nuova raccolta che aveva in mente.
L'edizione del 1921 si presenta come il risultato di una prima fase della vita e della produzione di Saba. Con le edizioni successive la struttura della raccolta verrà notevolmente modificata. L'opera di revisione del Canzoniere è accompagnata da un continuo travaglio interiore, e prosegue fino all'ultima edizione, che compare postuma nel 1961. In questa vengono inserite anche alcune poesie risalenti a molti anni prima, scritte espressamente per essere pubblicate come epigrafe all'opera dopo la morte dell'autore.[2]
Il Canzoniere risulta così organizzato:
- Primo volume
- Poesia dell'adolescenza e giovanili (1900-1907)
- Versi militari (1908)
- Casa e campagna (1909-1910)
- Trieste e una donna (1910-1912)
- La serena disperazione (1913-1915)
- Poesie scritte durante la guerra (1920)
- Tre poesie fuori luogo (1920)
- Cose leggere e vaganti (1920)
- L'amorosa spina (1920)
- Secondo volume
- Preludio e canzonette (1922-1923)
- Autobiografia (1924)
- I prigioni (1924)
- Fanciulle (1925)
- Cuor morituro (1925-1930)
- L'uomo (1928)
- Preludio e fughe (1928-1929)
- Il piccolo Berto
- Terzo volume
- Parole (1933-1934)
- Ultime cose (1935-1943)
- 1944 (stesso anno)
- Varie
- Mediterranee (1947)
- Epigrafe (1947-1948)
- Uccelli (1948)
- Quasi un racconto (1951)
- Sei poesie della vecchiaia (1953-1954)
Conscio del valore della sua opera, Saba scrive tra il 1944 e il 1947 la Storia e cronistoria del Canzoniere. Si tratta di uno scritto particolare, presentato come l'ipotetica tesi di laurea di un certo Giuseppe Carimandrei, in cui Saba fornisce spunti di lettura e informazioni sui significati delle sue poesie. Spesso però propone anche delle giustificazioni artificiose alle sue scelte poetiche e dà una ricostruzione artefatta del percorso creativo che ha portato alla nascita di alcuni componimenti.[2]
Lingua e stile
[modifica]La figura di Saba si caratterizza per alcuni tratti essenziali: il sostanziale isolamento, la formazione da autodidatta, l'estraneità alle ricerche delle avanguardie. Questi che potrebbero sembrare dei limiti, sono però alla base dell'originalità della sua poesia. Se nella poesia novecentesca è costante il tema della crisi della parola, Saba al contrario non ha timore a utilizzare le parole provenienti dal lessico quotidiano e familiare. Ritorna inoltre a quelle forme della tradizione che, a causa del loro frequente utilizzo, risultano semplici e chiare. La sua è una lingua che non si limita a evocare o alludere, ma che definisce con precisione le cose e ha una struttura sintattica chiara e definita.
In controtendenza con le avanguardie, Saba ricorre alle forme poetiche del passato, utilizza le rime e una metrica regolare. Rimane lontano anche dall'ermetismo e dalla sua aspirazione verso una poesia di difficile comprensione, che usa l'analogia come modello di rapporto tra il poeta e la realtà. Per tutti questi motivi, la poesia di Saba è stata definita "anti-novecentista", perché rifiuta le innovazioni poetiche del XX secolo per cercare soluzioni proprie. D'altra parte, anche la poesia di Saba conosce nel corso degli anni un'evoluzione. Anche quando ricorre al verso libero ungarettiano, questo non modifica gli elementi base della sua poetica, che si basa sull'utilizzo di termini comuni e colloquiali. Nell'ultima fase, la sua poesia si orienta verso il recupero del vissuto attraverso la memoria, mantenendo però il proprio bisogno di conoscenza e partecipazione.[3]
La poesia come confessione
[modifica]Il punto di partenza per la poesia di Saba è rappresentato molto spesso da situazioni autobiografiche. Non per questo la sua poesia ha un carattere individualistico o astratto; al contrario, la parola si confronta sempre con la realtà concreta. Nelle sue poesie Saba parla delle abitudini quotidiane e delle figure a lui familiari, come la moglie, la figlia, ma anche la città in cui abita e gli animali della campagna. Il poeta rispetta l'individualità e l'autonomia di ciascuno di questi elementi. Il soggetto poetante mantiene in ogni caso un ruolo centrale, indugia sulle cose elevandole a simboli di una condizione esistenziale.
L'umanità di Saba, fondamentale nella sua poesia, è attraversata da una vena di consapevolezza, ed è espressione di una moralità intima e sofferta. Il suo realismo non si limita alla superficie, ma ricerca i nessi profondi e intimi delle cose. Questa ricerca non si ferma di fronte al negativo, ma mette a nudo anche gli aspetti più sgradevoli dell'esistenza. È inoltre una poesia solo apparentemente semplice, nutrita della lettura dei più importanti autori europei dell'epoca, e in particolare di Nietzsche e Freud. A Saba non sfugge, per altro, l'ambiguità insita nell'esistenza, e la cordialità dei suoi versi nasce dal tentativo di superare l'individualismo, e con esso il dolore e l'angoscia. L'importante è il rapporto dialettico che si stabilisce tra gioia e dolore. Alla prima può infatti sostituirsi il secondo, ma entrambi sono elementi costitutivi dell'esistenza.[4]
Gli scritti in prosa
[modifica]Oltre alla poesie del Canzoniere, Saba è anche autore di scritti in prosa in cui, con uno stile nitido, affronta complicati nodi culturali e letterari, e tocca gli aspetti psicologici più complessi. Negli anni dieci, accanto alle poesie lavora ad alcuni scritti narrativi, che saranno pubblicati solo nel 1956 nel volume Ricordi-Racconti. Agli anni quaranta risale invece Scorciatoie e raccontini, in cui l'espressione in prosa si risolve in una serie di brevi racconti e momenti di riflessione. Le "scorciatoie", in particolare, sono brevi aforismi ironici sulla letteratura, la cultura, la politica, in cui è evidente l'influsso di Freud e Nietzsche.
Nel 1953 Saba lavora anche a un romanzo in cinque episodi, Ernesto, che rimarrà incompiuto e sarà pubblicato postumo nel 1975. La vicenda - una sorta di iniziazione del giovane Ernesto al sesso e alla vita - è narrata in terza persona e rappresenta l'ultimo tentativo del vecchio poeta di confrontarsi con la propria adolescenza. Il romanzo è inoltre ricco di dialoghi, in cui spesso sono inserite parti in dialetto triestino.[5]
Note
[modifica]- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Saba, Ungaretti, Montale, Pavese, Gadda, Calvino, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 1-2.
- ↑ 2,0 2,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 982.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Saba, Ungaretti, Montale, Pavese, Gadda, Calvino, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 2-3.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Saba, Ungaretti, Montale, Pavese, Gadda, Calvino, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 3-4.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, pp. 984-985.
Interprogetto
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