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Scuole calcistiche

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Scuole calcistiche
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Calcio

Il calcio ha raccolto sin dai primi anni di vita un grosso seguito e, nel tempo, si è sparso a macchia d'olio in tutto il mondo. L'allargamento a diverse classi sociali, a nazioni diverse e a continenti diversi ha fatto nascere numerosi modi diversi di interpretare lo stesso sport: queste differenti maniere sono state chiamate con il nome di scuole calcistiche in quanto la formazione dei calciatori di una determinata nazione dipende proprio da questi fattori.

I maestri inglesi

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La scuola inglese è stata a lungo quella dominante. Nei primi anni di diffusione del calcio giocato, affrontare l'Inghilterra o una squadra di club inglese significava spesso prendere un'elevata quantità di reti e segnarne pochissime, se non nessuna. La ragione è che gli inglesi, oltre ad essere gli inventori di questo sport, adottarono prima di chiunque altro la tattica, si disponevano con ordine in campo, sapevano colpire il pallone in modi allora impensabili e, soprattutto, arrivarono prima di tutti gli altri al professionismo, che aumentò di conseguenza la qualità del loro gioco. Fu anche per questo che erano noti come i maestri e giocare contro di loro significava andare a lezione (espressione rimasta, ancora oggi, quando una squadra prevale sull'altra mostrando una manifesta superiorità).

Il modulo classico del calcio inglese era, e rimane tuttora, il più diffuso: il 4-4-2, nonostante il fatto che la Nazionale Inglese di calcio abbia vinto il suo unico torneo internazionale (la Coppa Rimet del 1966) schierandosi con il 4-3-3.

Nel calcio moderno, la scuola inglese si basa su un calcio basato molto sulla fisicità, una tecnica di base piuttosto povera e una tradizione di centravanti e di difensori centrali fortissimi di testa, nati per raccogliere o contrastare i lanci lunghi dal centrocampo o dalle fasce. Questa tradizione inglese sta tuttavia scomparendo sotto la spinta di diversi modi di concepire il calcio introdotti in Inghilterra da giocatori e allenatori stranieri (specie francesi) nel campionato di calcio inglese che ha contribuito ad elevare il tasso tecnico delle squadre.

La fine del dominio britannico: la grande Ungheria

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«Un giorno in allenamento Puskas si mise a mirare i pali della porta da fuori area, a circa una ventina di metri. Su 20 tentativi li colpì 18 volte.»

(Luis Suarez[1])

L'iniziale dominio incontrastato degli inventori del calcio finì il 25 novembre 1953 quando la Nazionale di calcio ungherese sconfisse pesantemente i maestri per 6-3, per giunta in quella che era considerata la cattedrale del calcio: lo stadio di Wembley, a Londra. Gli inglesi fino a poco tempo prima si erano rifiutati di affrontare nazionali straniere e di partecipare alle competizioni internazionali, orgogliosi della propria superiorità. Quando le frontiere si riaprirono, gli ex maestri si resero conto di essere stati raggiunti ed abbondantemente superati dallo splendido gioco dell'Ungheria, la cui nazionale nel 1938 aveva perso un campionato mondiale solo in finale contro l'Italia.

La Nazionale ungherese che vinse a Wembley fu senza dubbio la più forte degli anni cinquanta e, a detta di molti, una delle più belle della storia di questo sport. Un anno prima del 6-3 questa squadra si era aggiudicata l'oro olimpico di Helsinki senza molte difficoltà. Gli ungheresi hanno sempre brillato per la loro tecnica sopraffina e le giocate spettacolari, ma nessuna nazionale o squadra di club raggiunse la competitività di quell'Ungheria, basata sul blocco della Honved, la squadra dell'esercito magiaro. Una formazione composta da talenti come la stella Ferenc Puskás (il migliore giocatore della squadra, che fece anche la fortuna del Real Madrid), l'eccellente interprete del ruolo di mediano József Bozsik e in attacco Sándor Kocsis insieme a Nándor Hidegkuti, che giocava da centravanti "mimetizzato" da centrocampista. Da non dimenticare László Kubala che giocò a lungo nel Barcellona ed è considerato dai tifosi blaugrana tra i migliori giocatori della storia del club. La formazione magiara passò alla storia per il ricorso al cosiddetto sistema WM, ovvero con due attaccanti esterni molto avanzati e con quello che fu definito il centravanti arretrato (il modulo era stato portato in Italia dal Grande Torino).

La Grande Ungheria, così come viene ricordata, perse però la finale del Mondiale 1954 contro la Germania Ovest per 3-2: gli esperti sostengono che avrebbero meritato la vittoria gli ungheresi (che erano andati in vantaggio per 0-2 dopo pochi minuti di gioco ed avevano passato i turni precedenti con facilità, battendo tra l'altro la stessa Germania Ovest per 8-3) nella finale che passò alla storia come Miracolo di Berna. Nei mesi successivi alla finale i giocatori della Germania Ovest ebbero tutti gravi problemi di salute così da alimentare fortemente l'ipotesi che ad essi venne somministrata una massiccia dose di doping.

La scuola italiana: il catenaccio

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«Presto o tardi, l'allenatore italiano avrà pietà del cavaliere solitario che schiera in avanti e gli metterà vicino qualcuno a fargli compagnia: un cane, un gatto o un canarino.»

(Jorge Valdano[2])

Negli anni sessanta si è affermata la scuola italiana. I teorici del gioco all'italiana sono stati Gipo Viani, Nereo Rocco ed Helenio Herrera che pure era argentino. Si tratta di un modo di giocare che predilige la fase difensiva e predispone un sistema formato da un giocatore libero da compiti di marcatura (questo ruolo fu "inventato" già nel 1950 dal tecnico dell'Inter-Alfredo Foni-che elaborò un sistema che smarcasse un giocatore alle spalle dei due terzini fungendo da terzino "libero" da marcature) che agisce alle spalle di tre marcatori puri (nei tardi anni '60, con Giacinto Facchetti nascerà il concetto di terzino fluidificante, generalmente mancino); il centrocampo è imperniato su due mediani di rottura, anche se spesso uno dei due è un centrocampista polivalente, capace di ricoprire più ruoli nel corso di una partita; davanti a questi o al loro fianco, in posizione centrale, agisce il regista avanzato, che ha il compito di organizzare l'intera manovra. La fase di offesa, che nasce dalle aperture o dalle incursioni palla al piede del regista, si sviluppa intorno ad un'ala (solitamente destra), una punta centrale e una seconda punta (mezz'ala di punta o mezz'ala sinistra-il numero 10) di raccordo che svaria sul fronte d'attacco.

Le vittorie di Herrera con l'Inter e di Rocco col Milan hanno confermato nella pratica questa filosofia calcistica, anche se è pur vero che la scuola italiana aveva prodotto eccezionali giocatori di difesa come Giacinto Facchetti, Gaetano Scirea, Giovanni Trapattoni, Cesare Maldini, Tarcisio Burgnich e giocatori d'attacco dalla grande fantasia come Mario Corso, Gianni Rivera e Sandro Mazzola. Una scuola prevalentemente difensivista che ha sempre prodotto anche tanti grandi attaccanti e fantasisti come Paolo Rossi, Francesco Totti, Alessandro Del Piero e Roberto Baggio.

Alla base della filosofia italiana c'è un attento studio dell'avversario e la grande importanza data alla tattica, due misure oggi adottate quasi ovunque nel mondo del calcio. Pensando soprattutto a non subire reti, la scuola italiana ha modificato la tattica introducendo la marcatura a uomo in ogni parte del campo e l'impiego sistematico del libero, un difensore d'emergenza senza obblighi di marcatura che giocava dietro la linea dei difensori. Adottare la marcatura a uomo con il libero significa in molti casi "uccidere" lo spettacolo e stroncare sul nascere ogni iniziativa avversaria. Il cosiddetto catenaccio. Un metodo che veniva considerato dagli avversari (ma anche oggigiorno) in termini negativi: una squadra poteva arrivare a subire per 89 minuti il gioco avversario ma in una sola azione fiondandosi in contropiede o inventando qualche situazione particolare poteva risolvere la partita senza subire reti.

Tuttavia è pure vero che il calcio italiano ispirandosi alla scuola olandese degli anni settanta ha saputo produrre anche esempi di calcio offensivo, come nel caso del Milan allenato da Arrigo Sacchi negli anni ottanta. Si è trattato di una squadra votata all'attacco e al gioco corale, cui abbinava una grande perizia nella fase difensiva. La formazione rossonera seppe raggiungere eccellenti risultati. Da Sacchi in poi il calcio italiano si è progressivamente modificato, passando nel corso degli anni '90 ad acquisire la zona e ad abbandonare definitivamente la marcatura a uomo. Anche con la zona, sono rimaste tuttavia caratteristiche peculiari del calcio italiano la grande attenzione alla fase difensiva, il senso della praticità, nonché una grande tradizione di difensori molto talentuosi, tra cui Franco Baresi, Gaetano Scirea, Ciro Ferrara, Paolo Maldini, Alessandro Nesta e Fabio Cannavaro, insignito quest'ultimo del Pallone d'oro 2006, un premio che soltanto altri 2 difensori (Franz Beckenbauer e Matthias Sammer) sono riusciti a ottenere.

Il calcio italiano vanta anche una grande tradizione nel ruolo del portiere: già nel periodo pre-bellico l'Italia aveva generato grandi portieri, come Gianpiero Combi e Aldo Olivieri, entrambi campioni del mondo rispettivamente nel 1934 e nel 1938. Anche nel dopoguerra in Italia sono nati grandi portieri, alcuni dei quali, come Dino Zoff e Gianluigi Buffon, entrambi campioni del mondo rispettivamente nel 1982 e nel 2006, sono ritenuti tra i migliori di tutti i tempi. Altri portieri da citare sono: Giuliano Sarti negli anni '60, Enrico Albertosi e Dino Zoff negli anni '70, Walter Zenga e Stefano Tacconi negli anni '80, Gianluca Pagliuca e Angelo Peruzzi negli anni '90, Francesco Toldo e Gianluigi Buffon negli anni 2000.

Il "calcio totale" degli olandesi

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«Non è un attaccante, ma fa tanti gol; non è un difensore ma non perde mai un contrasto; non è un regista ma gioca ogni pallone nell'interesse dei compagni»

(Alfredo di Stéfano su Johan Cruyff[3])

Agli albori degli anni settanta, in pieno clima di rivoluzione nella società, anche il calcio ebbe la sua. Si chiamava Olanda. La scuola olandese deve la sua affermazione soprattutto a due persone: l'allenatore dell'Ajax Rinus Michels e il calciatore Johan Cruijff, considerato il calciatore più completo in assoluto, senza il quale né la squadra di Amsterdam né la Nazionale orange avrebbero potuto tradurre sul campo, e con tanta efficienza, la propria forza innovativa.

Quando si parla di "calcio totale" ci si riferisce al gioco che mostrarono prima il PSV Eindhoven e subito dopo l'Amsterdamsche Ajax e la selezione olandese: qualcosa di mai visto prima, almeno non in maniera tanto sistematica. Ogni giocatore doveva saper interpretare tutti i ruoli: il difensore saliva ad attaccare, il portiere avanzava per rilanciare immediatamente l'azione, un attaccante poteva e doveva tornare indietro ad aiutare i compagni in fase di non possesso palla. Perché questo potesse verificarsi erano necessarie continue rotazioni di ruolo, con movimenti a scalare e complicati meccanismi tattici. La prima squadra a palesarsi fu proprio l'Ajax di Michels e Crujiff nel 1969 nella finale della Coppa dei Campioni, ma nella finale di Madrid il Milan di Rivera e Pierino Prati (autore di 3 dei 4 gol segnati dalla squadra italiana) batté sonoramente gli olandesi (4-1). La prima squadra olandese a trionfare fu il Feyonoord che a Milano, nel maggio del 1970 - guidata da Van Hanegenm- batté il Celtic 2-1.

Ogni giocatore, anche un centrale difensivo o un portiere, doveva saper giocare benissimo il pallone e non buttarlo mai via; tutti e undici dovevano muoversi e correre costantemente per tutti i 90 minuti. All'epoca era qualcosa di molto insolito vedere tutti i giocatori muoversi. Nei pochi momenti in cui i giocatori non correvano, era il pallone a farlo, con una rapida successione di passaggi, la cosiddetta melina, preludio di un'intensa accelerazione del gioco. Alcune di queste caratteristiche oggi appaiono piuttosto scontate per qualsiasi squadra professionista, ma fu l'Olanda a farle vedere per prima su un campo di calcio. Proprio per questo la nazionale olandese venne soprannominata l'arancia meccanica, in riferimento al colore delle casacche e allo stile di gioco estremamente tattico e meccanico, che sfoggiava grandissima aggressività e non faceva sconti a nessun avversario, di grande o piccola importanza.

La nazionale olandese poteva contare su altri grandi talenti come le due ali Johnny Rep e Rob Rensenbrink, il difensore esterno Ruud Krol, Johan Neeskens, considerato il "gemello" di Cruijff e altri ancora: una generazione particolarmente dotata, capitanata da Johan Cruijff. Simbolo del giocatore in grado di interpretare ogni ruolo e sapersi adattare ad ogni situazione, velocissimo e dal gran senso tattico. Di base era un centravanti e ha segnato diversi gol ovunque abbia giocato.

Con questi uomini, compreso l'allenatore Michels, l'Ajax vinse tre Coppe dei Campioni consecutive dal 1971 al 1973 e l'Olanda perse una finale Mondiale nel 1974 contro la Germania Ovest. Michels si prese la rivincita nel 1988 quando vinse il campionato europeo con un'altra grandissima generazione di calciatori fiorita agli inizi degli anni ottanta.

Oggi la scuola olandese percorre la stessa strada tracciata 35 anni fa e continuano a nascere ottimi giocatori praticamente a getto continuo. Le loro caratteristiche sono quelle classiche di un giocatore orange: duttilità, tecnica, sapienza tattica.

La scuola tedesca

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«Il calcio è un gioco molto semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti e, alla fine, vincono i tedeschi.»

(Gary Lineker[4])

La nazionale di calcio tedesca gioca la sua prima partita nel 1908 (sconfitta dalla Svizzera per 5-3). Nel 1926 la federazione tedesca nomina il primo commissario tecnico Otto Nerz e la squadra, fin lì mediocre, comincia i primi progressi. Nerz imposta la squadra con la WM, imitando gli Inglesi e nei mondiali del 1934 la Germania coglie il primo risultato significativo col il terzo posto. Le delusione alle olimpiadi del 1936 e ai mondiali del 1938, riportano i tedeschi nella mediocrità. Nel 1950, dopo ben otto anni di inattività, la Germania riprende l'attività agonistica, con Sepp Herberger allenatore, che utilizza anch'egli la WM. A sorpresa i tedeschi vincono i mondiali del 1954, battendo in finale i favoritissimi ungheresi. I sospetti di doping, per altro mai confermati, da soli non spiegherebbero una vittoria così sorprendente. Ad una squadra, quella ungherese, fortissima in attacco ma normale in difesa, i tedeschi contrappongono una squadra forte in tutti i reparti. Una squadra che trova il giusto equilibrio tra una mentalità offensivista e quella difensivista. Altre caratteristiche del calcio tedesco sono il carattere che non si arrende mai (gli ungheresi stavano vincendo per 2-0, e non è l'unica rimonta in cui i tedeschi si sono resi celebri), e il giocarsela sempre ad armi pari. Herberger non aveva uno schema innovativo, i tedeschi poco o nulla inventeranno nel calcio, ma era un buon psicologo. La difesa era formata da difensori forti fisicamente e abili nel giocare la palla coi piedi (Posipal, Liebriech, Mai e Kohlmeyer) antesignani del tipico difensore tedesco (Karl-Heinz Fortser, Kohler, Hummels eccetera). Accanto ad un mediano infaticabile (Eckel), vi era Fritz Walter, regista molto tecnico, leader carismatico antesignano dei vari Matthaus e Ballack. In attacco un centravanti forte fisicamente ma molto mobile (Ottmar Walter), una mezzala che faceva da spola tra attacco e centrocampo (Morlock), un esterno offensivo potente (Rahn) e un esterno più agile e scattante (Schafer). Negli anni a seguire la Germania giocherà con 424 e con giocatori del calibro di Haller, Schnellinger e Seeler, si manterrà ai vertici del calcio mondiale, senza per altro vincere nulla. Dopo la sconfitta contro l'Italia ai mondiali del 1970, la Germania cambia filosofia: invece di cercare di segnare un gol in più degli avversari, meglio rinforzare la difesa, passando da un gioco offensivo e spettacolare ad uno più solido. La prima mossa è quello di trasformare Beckenbauer da mediano a libero, in modo da guidare la difesa. Il calciatore più forte della storia tedesca, trasformerà la propria nazionale in una delle più forti del suo tempo e probabilmente di tutta la storia. La conseguenza sarà la vittoria agli europei del 1972 e, soprattutto, ai mondiali del 1974. Specialmente nella finale di quest'ultima, contro i favoriti olandesi, vi è la contrapposizione tra due filosofie di calcio diverse. Gli olandesi giocano corti, marcano a zona e cambiano spesso posizione. I tedeschi sono ancora fedeli alla marcatura ad uomo, ma non per questo sono inferiori agli olandesi, i difensori esterni (Vogts e Breitner) partecipano attivamente all'azione offensiva dei tedeschi, i centrocampisti (Bonhof, Overath e Hoeness) sono infaticabili tuttocampisti, forse anche più efficaci dei corrispettivi olandesi, ed in attacco c'è Gerd Mueller, che non è un fuoriclasse come Johann Crujiff, ma è il goleador più implacabile della storia del calcio.

Vincenti ma non spettacolari a causa di questa partita il modello teutonico non riscuote grandi simpatie dai non tedeschi, un po' come succede agli italiani. Il motivo è molto simile: si tratta di una riedizione del gioco all'italiana basato sulla difensiva, che non contempla lo spettacolo. Nella scuola teutonica però i terzini a turno alimentano la fase offensiva e lo strapotere fisico di alcuni giocatori danno un lustro leggermente più offensivo alla disposizione in campo. Nel 1974, la finale mondiale Olanda - Germania Ovest rappresentò lo scontro tra due filosofie opposte di calcio. La Germania Ovest si preoccupò di difendersi dagli attacchi olandesi dando l'impressione di essere ben più debole della sua avversaria. Sotto di un gol, finì per rimontare e vincere la partita.

Negli anni ottanta centrarono tre finali ai mondiali vincendo l'europeo nel 1980 ed il mondiale nel 1990 merito dei vari Karl-Heinz Rummenigge, Lothar Matthaus e Jurgen Klinsmann.

L'ultimo titolo vinto dai tedeschi risale agli europei del 1996, ma nonostante ciò la scuola tedesca rimane sempre tra le più importanti e costanti nei risultati a livello internazionale; si può inoltre affermare che le sue caratteristiche sono rimaste invariate fino ad oggi.

La scuola francese

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I due indiscussi fuoriclasse espressione del calcio francese ai massimi livelli sono stati Zinedine Zidane e Michel Platini; grazie infatti a questi giocatori dotati di una tecnica fuori dal comune sono arrivate le vittorie più importanti. Ulteriore caratteristica delle varie nazionali francesi è la presenza di molti giocatori originari dai paesi delle ex colonie, soprattutto nordafricane; questo fenomeno è stato presente sin dalle prime competizioni internazionali disputate dalla Francia dal dopoguerra in poi. La nazionale francese cominciò ad esprimersi ad alti livelli proprio nel dopoguerra quando raggiunse nel 1958 le semifinali dei mondiali trascinata dai madrileni Raymond Kopa e Just Fontaine. Dopo questo piazzamento la Francia subì un rapido declino che durò fino agli anni '80 quando si riaffermò come potenza calcistica vincendo gli europei del 1984 ed esprimendo un talento come Michel Platini, stella indiscussa di quella nazionale; dopo questa vittoria seguì un ulteriore breve periodo di crisi dove si ebbero altri giocatori come Eric Cantona e Jean-Pierre Papin. Tra la fine degli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio la Francia ebbe giocatori in ogni reparto che la portarono a vincere nel 1998 il mondiale e nel 2000 l'europeo come Zinedine Zidane, Thierry Henry, David Trezeguet, Youri Djorkaeff, Patrick Vieira, Didier Deschamps, Lilian Thuram, Laurent Blanc e Fabien Barthez.

La scuola spagnola e il Tiki-taka

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Si tratta di una concezione di calcio basata sul possesso palla, sul gioco corale che porta ad offendere con più uomini diversi, ma rispetto al calcio centro-europeo con un ritmo più lento e sempre palla a terra. Real Madrid e F.C. Barcelona hanno portato questa filosofia ai livelli più alti. Nell'ultimo decennio questa nuova concezione la concezione del loro tipo di calcio è stata portata all'estremo grazie alla Nazionale di calcio della Spagna e all'F.C. Barcelona che hanno sviluppato un tipo di calcio denominato dai critici sportivi come Tiki-taka. Questa concezione calcistica esaspera il possesso palla e la lentezza nella costruzione del gioco attraverso una ragnatela di passaggi rasoterra. Grazie a questo stile, il calcio spagnolo è diventato nel nuovo millennio, quello più vincente a livello di club con 8 trofei tra Champions League e Coppa Uefa. Grazie a ciò la Nazionale di calcio della Spagna ha conquistato due Europei e una Coppa del Mondo oltre ad aver vinto tutti gli europei nelle sezioni giovanili nel 2011. Nelle competizioni intercontinentali gli spagnoli hanno inoltre conquistato l'oro olimpico in casa (Barcellona 1992).

La scuola portoghese

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Il calcio portoghese adotta un gioco molto tecnico, palla a terra, passeggiato e sempre in attesa di un'invenzione o una giocata di fino per le soluzioni offensive. In questo è molto più vicino al calcio brasiliano che europeo. La grande carenza della scuola portoghese è di non aver mai saputo produrre (ad eccezione del grandissimo Eusebio) centravanti prolifici. Questo handicap ha pesato moltissimo sulla carenza di vittorie a livello di nazionale, mentre a livello internazionale di club ha un palmares di tutto rispetto.

Il calcio dei brasiliani

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Ronaldinho

«Togliamoci il cappello di fronte al Brasile, riconosciamo che non solo sul piano tecnico-tattico i brasiliani sono stati largamente superiori, ma che hanno ottenuto questo prestigioso risultato nella storia del calcio mondiale anche per una continuità del proprio vivaio e per una concezione del football per noi quasi proibitiva...»

(Gianni Brera sulla finale persa dei Campionato mondiale di calcio 1970)

Il calcio brasiliano rappresenta la massima espressione dell'allegria e del puro divertimento volto ad intrattenere.[senza fonte] Grazie ad una filosofia di gioco volto all'innata musicalità (detto appunto calcio bailado) e senso della tecnica, i brasiliani possono essere dichiarati i più grandi interpreti di questo gioco[senza fonte], non solo per i grandissimi risultati ottenuti nelle competizioni internazionali, cinque volte campione del mondo per nazione (1958, 1962, 1970, 1994, 2002), ma anche per i grandissimi fuoriclasse che questa scuola ha saputo produrre, Pelé, Garrincha, Vavà, Altafini, Zico, Éder, Falcao, Sócrates, Careca, Romario, Bebeto, Ronaldo, Rivelino, Rivaldo, Ronaldinho, Adriano, Kaká, Juninho Pernambucano, Roberto Carlos, Robinho, e tantissimi altri. È un modo di intendere il calcio che è molto amato e benvoluto dai tifosi, e non solo brasiliani. La scuola brasiliana di inizio secolo era caratterizzata da grandissime doti tecniche e di palleggio che riuscivano a sopperire alle carenze tattiche che solo negli ultimi decenni, con la partecipazione di giocatori brasiliani in club europei, ha saputo colmare. L'influenza europea ha fatto ottenere grandi progressi soprattutto nel reparto difensivo, per anni considerato dagli specialisti un po' "scarso", tanto che attualmente molti difensori, anche estremi, di nazionalità brasiliana hanno trovato posto in grandi club europei: campioni come Taffarel, che fino al 2003 militava nelle file del Parma e fu pilastro della nazionale brasiliana che condusse alla vittoria del campionato del mondo nel 1994, oppure Dida, portiere del Milan nel decennio 2000-2010, e infine Júlio César, che con l'Inter nel 2010 vinse il triplete (Serie A, Coppa Italia e Champions League) e la Coppa del mondo per club FIFA. Dopo gli anni '70 del mitico Pelé la nazionale brasiliana non ha più raggiunto grandi traguardi (mai in finale per 5 edizioni consecutive dal 1974 al 1990, cosa insolita per una squadra che, dal 1950 al 1970 aveva vinto 3 titoli) spingendo il calcio brasiliano verso una visione più europea del gioco. Il Mondiale del 1994, vinto al Rose Bowl di Pasadena contro l'Italia, segnò la rinascita della potenza brasiliana che però offriva meno qualità tecniche a vantaggio di un gioco tatticamente più studiato[5](I due attaccanti principali, Romario e Bebeto, facevano della velocità e la capacità di finalizzare i loro punti forti).

La scuola argentina

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Come la composizione etnica del loro paese suggerisce, gli argentini hanno sviluppato una concezione calcistica prettamente europea, mantenendo una contaminazione propria del sudamerica in misura molto inferiore a tutte le altre scuole d'oltreoceano. La nazionale albiceleste può vantare la conquista di 2 titoli mondiali (nel 1978 e nel 1986) e l'impressionante numero di 14 Coppe America. È una delle massime espressioni del calcio mondiale sia a livello di squadra sia a livello individuale, avendo dato i natali ad alcuni tra i migliori giocatori del pianeta calcio come Omar Sívori (poi naturalizzato italiano), Diego Armando Maradona e Lionel Messi. Tra gli altri giocatori di straordinaria classe che ha espresso la scuola argentina si possono ricordare Alfredo di Stéfano (poi naturalizzato spagnolo), Mario Kempes, Daniel Passarella, Osvaldo Ardiles, Jorge Burruchaga, Jorge Valdano e più recentemente calciatori non più in attività come Fernando Redondo, Gabriel Omar Batistuta e Diego Simeone e calciatori tuttora in attività. Tra questi oltre al pallone d'oro Lionel Messi possiamo ricordare "El Kun" Sergio Agüero, Carlos Tevez, Diego Milito e Javier Zanetti.

Uruguay: gli italiani del Sudamerica

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Con un gioco vigoroso, molto fisico e difensivista gli uruguagi hanno saputo raccogliere vittorie sia a livello di nazionale (titoli mondiali nel 1930 e nel 1950) sia a livello di club con il Peñarol ed il Nacional. Dotati della famosa Garra (grinta) le formazioni di questa scuola si presentano agguerrite ed a livello tattico dotate di un insolito centromediano metodista, una specie di libero degli schemi italiani, ma schierato davanti alla difesa con compiti di interdizione e marcatura quando la squadra subisce, e come perno centrale per il rilancio dell'azione quando la squadra è in possesso di palla. Negli ultimi anni ha subito un forte declino che ha portato più volte all'esclusione della rappresentativa nazionale dai mondiali di calcio. José Leandro Andrade, Alcides Ghiggia e Juan Alberto Schiaffino (questi ultimi due poi naturalizzandosi italiani aprirono, negli anni '50, la stagione dei cosiddetti oriundi, che li avrebbe portati a giocare nella nazionale italiana insieme all'altro oriundo, l'italo-argentino Omar Sívori) esprimevano i maggiori talenti che hanno portato alla conquista dei due titoli mondiali e delle 15 Coppe America, più dell'Argentina e del Brasile. In tempi recenti è da segnalare lo straordinario talento, anche se non completamente sfruttato, del chino Alvaro Recoba.

La follia sudamericana

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Un capitolo a parte meritano le altre selezioni sudamericane. Caratterizzate da un'organizzazione sul campo non proprio perfetta e soprattutto contraddistinte per il fatto di aver schierato dei personaggi alquanto stravaganti. Probabilmente il più famoso è stato il portiere Renè Higuita, divenuto celebre per aver segnato molti gol su punizione e su calci di rigore nonché per la sua parata detta dello scorpione; in seguito fu imitato per la sua vena realizzativa dal paraguayano José Luis Chilavert e dal messicano Jorge Campos. Altri personaggi sono stati stati il colombiano Carlos Valderrama, famoso per la sua ormai celebre capigliatura, ed il suo compagno di squadra Andrés Escobar, divenuto tragicamente famoso per essere stato assassinato dopo aver causato l'autorete che eliminò la Colombia dai mondiali del 1994. Tra i maggiori talenti si possono annoverare i cileni Ivan Zamorano e Marcelo Salas, il paraguayano Roque Santa Cruz, il colombiano Faustino Asprilla, i messicani Hugo Sanchez e Cuauhtémoc Blanco.

La scuola est europea

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La scuola est europea si è caratterizzata per un gioco basato sulla fisicità, sulla potenza e sulla tecnica. Tra gli anni cinquanta e sessanta l'Nazionale di calcio dell'URSS e la Nazionale di calcio della Cecoslovacchia, insieme all'Ungheria, erano tra le squadre più forti non solo a livello europeo; ne sono la prova i diversi successi e piazzamenti nelle competizioni internazionali. Mantenendo un buon livello qualitativo anche in seguito, queste squadre erano formate da giocatori di primissimo livello quali, i cecoslovacchi Masopust e Panenka, i polacchi Boniek e Lato, i sovietici Blochin, Bjelanov, Ivanov, Streltsov, Ponedel'nik, Netto e Jašin; proprio quest'ultimo è tuttora l'unico portiere ad aver vinto il Pallone d'oro, merito anche di un'ottima scuola che ha sfornato in seguito talenti come Viktor e Dasaev o più recentemente Čech e Akinfeev. Con la dissoluzione dell'URSS e la separazione in due della Cecoslovacchia non hanno più la supremazia di una volta ma rimangono tuttavia squadre di buon livello capaci di ottenere diversi piazzamenti e di sfornare campioni del calibro di Shevchenko, Nedvěd e Arshavin.

La scuola balcanica

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In forte declino negli ultimi anni, le squadre balcaniche, grazie ad una innata eleganza nei movimenti e bravura nei fondamentali generalmente diffuse tra i propri giocatori, hanno sempre messo in mostra un calcio fatto di tecnica e fantasia, ma anche di duri contatti fisici. I ct non sceglievano i giocatori più utili alla squadra o al modulo tattico, ma semplicemente facevano giocare i più bravi, anche fuori posizione. Questo, unito ai frequenti litigi interni e a una fase difensiva di poco spessore, non ha permesso ai club e alle nazionali di raggiungere vittorie di primo piano. Comunque, puntando fortemente sui singoli hanno fatto conoscere al mondo innumerevoli campioni, tra cui Dragan Dzajic e Dejan Savićević (entrambi ala sinistra dell'ex-Iugoslavia e connazionali del regista Dragan Stojkovic), Gheorghe Hagi, trequartista rumeno, Hristo Stoichkov, punta bulgara, Davor Suker, punta croata, e Zvonimir Boban, regista croato.

La scuola nordica

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Il gioco delle squadre nord europee è basato essenzialmente sulla forza atletica e sul fisico. Le squadre sono quindi spesso composte da giocatori in grado di correre per tutti i 90 minuti e con una buona prestanza atletica ma che talvolta va a scapito della tecnica. Tuttavia calciatori dotati tecnicamente sono apparsi regolarmente in queste nazioni come il nord irlandese George Best, l'irlandese Roy Keane, il gallese Ryan Giggs, lo scozzese Denis Law (questi primi quattro giocatori e le loro relative nazionali sono stati notevolmente influenzati dalla scuola inglese), il danese Michael Laudrup, il finlandese Jari Litmanen, il belga Marc Wilmots e l'islandese Eiður Guðjohnsen. Un discorso a parte merita la Svezia, tra queste la squadra storicamente con una maggiore tecnica. Negli anni '30 già si esprimeva ad alti livelli e negli anni'50 vantava tra le sue fila talenti come Nordahl e Liedholm. Dopo un periodo di crisi, in tempi recenti il calcio svedese è tornato ad esprimersi ad alti livelli grazie anche a giocatori talentuosi come Brolin, Larsson, Ljungberg e Ibrahimović.

La scuola africana

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Negli ultimi anni si è assistito ad una crescita rapida del calcio africano. I giocatori africani per anni non sono stati considerati nel panorama calcistico mondiale ma alla fine degli anni '80 il Camerun fece scoprire al mondo che anche nel continente nero il calcio può essere giocato ad alti livelli. Gli ottimi risultati ai mondiali di alcune squadre come Camerun, Nigeria e recentemente Ghana e soprattutto i successi a livello giovanile nei tornei olimpici hanno consentito una totale rivalutazione del calcio africano.

Questo stile di gioco è basato sulla tenuta fisica dei giocatori, capaci di correre ininterrottamente per 90 minuti senza stancarsi. I giocatori africani sopperiscono alla mancanza di doti tecniche con una forza ed una resistenza anche ad alte temperature che non ha eguali nel mondo, inoltre i reparti sono costituiti da uomini di notevole corporatura e statura, dotati di grandi doti atletiche che li rendono molto abili nel gioco di testa e nei contrasti, ma sono tuttavia deboli nei confronti degli abili giocatori palla a terra. Fino a pochi anni fa si riteneva che l'unico calciatore africano veramente dotato dal punto di vista tecnico fosse Roger Milla, ma negli ultimi anni sono apparsi giocatori africani di indubbio talento (George Weah, Samuel Eto'o, Didier Drogba, Michael Essien, Mohamed Sissoko) che sono stati ingaggiati da grandi club europei e sono stati in grado di fornire alle loro nazionali anche quelle caratteristiche in cui le nazionali africane non sono mai state all'altezza delle rivali, limando ulteriormente il distacco (ormai quasi inconsistente) con le grandi scuole.

La scuola asiatica ed australiana

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Tra tutti i continenti, l'asiatico è quello con una tradizione minore ma anche con una maggiore prospettiva di miglioramento; il perché è molto semplice, interessa una popolazione di diversi miliardi di persone. Negli ultimi tempi le nazionali asiatiche sono in notevole crescita grazie anche all'apporto di tecnici europei, come Guus Hiddink per la Corea del Sud e per l'Australia, e sudamericani, come Zico per il Giappone, che hanno insegnato a queste rappresentative a giocare a calcio a dei buoni livelli. Il Giappone è la squadra relativamente con una maggiore tradizione calcistica insieme alla Nazionale di calcio della Corea del Sud, all'Nazionale di calcio dell'Iran e all'Nazionale di calcio dell'Arabia Saudita. Dal 2006 nella federazione asiatica è entrata a far parte anche l'Nazionale di calcio dell'Australia, in precedenza affiliata alla federazione oceanica. Tra i giocatori di maggiore talento si possono segnalare Hidetoshi Nakata e Kazuyoshi Miura per il Giappone, Mehdi Mahdavikia e Ali Daei per l'Iran, Park Ji-Sung e Seol Ki-Hyeon per la Corea del Sud, Saeed Al-Owairan per l'Arabia Saudita, Harry Kewell, Mark Viduka e Mark Bresciano per l'Australia.

Il calcio del XXI secolo

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Durante il XX secolo si è potuto osservare una notevole alternanza di scuole calcistiche e di filosofie di gioco che hanno contribuito a creare una precisa identità sportiva per ogni nazione e relativi campionati. Nel calcio del XXI secolo, queste differenze maturate nel corso degli anni si sono radicate e conservate anche se è sempre più possibile osservare, col passare del tempo, una certa generalizzazione degli stili di gioco nei vari paesi. Le varie scuole calcistiche, pur conservando tuttora delle caratteristiche specifiche, si sono amalgamate tra loro. Questo fenomeno è stato possibile grazie alle oramai sempre più frequenti opportunità di confronto con altre mentalità sportive, garantite dalle competizioni europee.

Il calcio è ormai diffuso anche tra le donne: nella foto, la finale di Coppa UEFA femminile 2005 tra il Potsdam e il Djurgården

Uno dei punti comuni in cui ci si è principalmente mossi in questi anni è la maniacale preparazione atletica e fisica dei giocatori. È infatti possibile notare abissale differenza con le generazioni calcistiche di un neanche tanto remoto passato: una velocità di manovra nettamente superiore, squadre più corte e un pressing accentuato fin dalla metà campo avversaria. Questa grande attenzione all'aspetto atletico resta ovviamente in funzione dei tatticismi moderni che richiedono come già detto una grande velocità di manovra e frequenti sovrapposizioni offensive. È chiaro come nel panorama attuale, assistere a evoluzioni eclatanti come è avvenuto negli anni passati sia molto più difficile; assistiamo quindi a delle piccole variazioni che tuttavia, nelle complicate meccaniche di gioco moderne, possono fare la differenza.

Negli ultimi anni ha assunto grande importanza la costituzione di un gruppo solido, compatto e convinto delle proprie capacità: è stato dunque ridefinito il concetto di "squadra". La componente psicologica è un aspetto fondamentale in questo processo ed è in gran parte delegata all'allenatore a cui spesso si affianca un leader carismatico in campo. Tale credo ha permesso a squadre di fascia "medio - bassa" di imporsi nelle principali competizioni europee, come dimostrano i successi di Porto e Grecia nel 2004 (rispettivamente in Champions League e Campionato Europeo) e più recentemente anche del Liverpool, che dopo anni di anonimato internazionale è riuscito nella grande scalata europea.

Proprio l'allenatore di quel Porto campione d'Europa José Mourinho è forse il principale interprete di questa rinnovata concezione di squadra a cui ha affiancato diverse meccaniche tattiche volte ad una maggiore velocità nella circolazione della palla. Con il Chelsea di Mourinho si è spesso parlato di una nuova rivoluzione calcistica, e in effetti gli immediati successi e lo schiacciante dominio nel campionato inglese dimostrarono un approccio sicuramente efficace ed innovativo. Attualmente è l'allenatore portoghese ad aver apportato i cambiamenti più efficaci nel panorama calcistico inglese. Tra gli altri allenatori che hanno portato questo concetto nuovo di squadra anche alle più blasonate formazioni europee va menzionato anche Fabio Capello, ex allenatore di Milan, Roma, Juventus e del Real Madrid. Il tecnico italiano ha saputo costruire, su una base di grandi giocatori, quella solidità e quel concetto di gruppo che ha avuto tanto successo. Con il prendere piede di questa nuova mentalità, si spiega anche la crisi di alcune importanti squadre europee in questo periodo, in particolare il Real Madrid e il Manchester United, oggi tornate su alti livelli, ma che fino ad alcuni anni or sono avevano smarrito, pur potendo contare su grandi giocatori, la propria identità di gruppo.

Note

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  1. Addio, grande Puskas, Gazzetta.it, 13 settembre 2006. URL consultato il 22 dicembre 2009.
  2. Jorge Valdano, Il sogno di Futbolandia, Mondadori, 2004, ISBN 88-04-52567-3.
  3. Pagina dei Grandi Campioni., web.tiscalinet.it.
  4. Riesplode la Ger-manìa, Quotidianonet.ilsole24ore.com, 20 giugno 2008. URL consultato il 23 dicembre 2009.
  5. Mondiali USA 1994 - Finale Brasile Italia, storiedicalcio.altervista.org, 18 luglio 1994.