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Remigio Zena

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Remigio Zena
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Letteratura italiana

"Nessuno capì cosi bene i poveri, i diseredati, come lo Zena; nessuno li lasciò ragionare, con tanta indulgenza, con tanta pietà superiore e nascostamente sorridente". (Eugenio Montale)

Remigio Zena fu scrittore e poeta nella letteratura italiana di fine '800. Nato nella Torino del 1850 da un'illustre casata ligure, Remigio Zena è pseudonimo del marchese Gaspare Invrea.

Dopo una formazione prettamente tradizionalista e cattolica che lo spinse ad arruolarsi come volontario presso gli Zuavi Pontifici nel 1867, interrompendo gli studi universitari, Zena si recò a Roma per difendere la città del Vaticano fino al 1870, anno della Breccia di Porta Pia; in questi anni delineò una propensione per lo scrivere e per le annotazioni ironico-caricaturiali che faranno parte della sua vita successiva, etichettandolo come un "Letterato per passione".

Laureato in giurisprudenza nel 1873 entrò nella magistratura militare ricoprendo incarichi in diverse cittadine italiane, con una breve parentesi nel 1887 a Massaua (Eritrea), in cui scriverà alcune poesie per le quali verrà definito successivamente come "primo poeta coloniale italiano".

Già nelle prime lettere inviate ai familiari sono presenti, oltre che una particolareggiata descrizione dei luoghi visitati, una progressiva adesione al movimento decadentista.

I suoi interessi letterali lo avvicinarono sempre più alle poetiche scapigliate e al verismo, pur conservando un accenno degli approdi decadentisti grazie a numerosi articoli e recensioni su alcune delle più note testate giornalistiche e su libri d'illustri maestri del tempo (Verga e Capuana, ad esempio). Nella cosiddetta fase Scapigliata, dopo un lungo soggiorno a Parigi durante il quale entrò in contatto con noti esponenti del movimento (Boito, Camerana, Praga), nel 1878, al rientro in patria, collaborò con molteplice riviste socio-scapigliate, spinto dall'amore per la letteratura e la poesia. Tra le varie testate, rievochiamo la genovese il "Crepuscolo". Tale passione lo porterà a sperimentare gli stili tipici della fine del secolo, equilibrando i movimenti contrastanti e non rinunciando a destreggiarsi tra ironia e descrizione.

Nello stesso anno, il suo esordio sarà molto deludente: pubblica "La carriera di Natalino" in cui emergerà ancora la mancanza Verista, caratterizzato da un linguaggio colto, le cui vicende del protagonista sono coordinate dallo scrittore "dall'alto", con giudizi personali e rimproveri rivolti al lettore. Tra le opere che spiccano per un maggior rilievo e permettono di approfondire le sue movenze letterali, ricordiamo: " Poesie grigie (1880)", "Le Pellegrine (1894)", "Olympia (1905)", composizioni poetiche di carattere religioso-morale, ma dai tratti ironici e vivaci secondo il gusto tipicamente scapigliato, senza tralasciare romanzi come "La bocca del Lupo (1892)" e "L'Apostolo (1901)". Quest'ultimo, ambientato nella Roma di Leone XIII, narra, con uno psicologismo ossessivo e chiuso, la storia fogazzariana di un giovane aristocratico il cui essere un cattolico "irrequieto" si scontra con i ristretti principi ecclesiastici.

L'esperienza nell'arma pontificia non gli impedì di essere un critico della stessa istituzione, ricorrendo a quell'umorismo e ironia tipici delle sue opere. "L'Apostolo" assume maggior valenza come analisi psicologica fondata sul contrasto tra religione e vita che come racconto fine a sé stesso, rivelando la presenza di una fede personale certa e l'accettazione di principi fatti propri con sincera convinzione, frutto della ferrea formazione ricevuta. In tutte le sue opere, la vena satirica mista ai numerosi influssi Scapigliati e Naturalistici sono uniti dall'idealismo religioso che aveva motivato il marchese nelle scelte giovanili. Zena attenua anche attraverso il Cristianesimo i drammi ossessivi dei Decadenti. Conforme al movimento Crepuscolare, alla fine dell'800 nella sua poesia, compare la crisi dei valori che ispirarono gli autori del periodo. Inoltre, possiamo considerare l'autore un anticipatore del Futurismo, grazie ad alcune opere lungimiranti, prima fra tutte "Le Pellegrine", una raccolta di poesie scritte durante il periodo eritreo.

Nella sua esperienza crepuscolare nasce la rivista di letteratura e sport "Frou-Frou", di cui Zena fu tra i fondatori e collaboratori, nella quale vengono esaminate e sperimentate la narrativa e le tematiche del Verismo. È proprio in questi anni che tra Verga e Invrea s'instaurerà più una corrispondenza epistolare che non una diretta conoscenza. Nella rivista, Zena rimane elemento fondamentale fino al 1884, anno in cui partecipa al processo di cambiamento della letteratura italiana, respingendo gli eccessi esasperati e le visioni angoscianti della Scapigliatura.Un movimento che contraddice le ideologie dello scrittore, cattolico e conservatore, limitandone la battaglia personale di rinnovamento ad un fatto esclusivamente letterario.

Peraltro, l'adesione al modello Scapigliato risulterebbe più facile considerandola una soluzione interna al sistema borghese, senza sconfinare dal piano letterario a quello politico.

Successivamente scrive Novelle tra le quali: "Ismail", racconto ispirato ai miti orientali e "Serafina", che verrà rivisto profondamente dopo l'impatto con il Verismo. Quest'ultima sarà una delle 4 novelle facenti parte di "Anime semplici – Storie Umili", raccolta che manifesta la tendenza del poeta verso una maggiore adesione ad una letteratura tipicamente sociale e che dà inizio al passaggio dall'area Scapigliata al Verismo. Tale aspetto verrà poi ripreso nella maturità di Zena, in una forma di fusione tra le due correnti ornate però da un forte ideologismo religioso. Mentre il Verga esplora le ragioni psicologiche e sociali delle azioni dei personaggi, Zena interviene sugli avvenimenti in modo emotivo e umoristico. Utilizzando un narratore molto colto e onnipresente, rivela comunque una forma di pietà per i protagonisti pur facendo risaltare il suo giudizio negativo. Un esempio eccellente è fornito da "Serafina", storia di una ragazza oppressa e sfruttata dai "Guitti", ladri e saltimbanchi per cui la giovane lavora.

Nella novella emerge la volontà dell'autore di sbarazzarsi del proprio senso di colpa per l'appartenenza alla casta dominante, la nobiltà. Fondamentale per capire l'adesione ai principi del Verismo è capire la revisione apportata a "Serafina" nel 1884: il narratore non è l'autore, ma un narratore anonimo e tipicamente popolare che presenta le vicende, ricorrendo ad un linguaggio lontano da quello dello scrittore e dei lettori. Zena interviene indirettamente, "coprendo spazi per una ricomparsa sotto mentite spoglie dal punto di vista dell'autore", secondo gli esempi del Verga Verista. Grazie a questo approccio, si ha l'impressione di partecipare alla Novella, non cogliendo più il "trattamento disumano" riservato alla protagonista, ma considerandolo quasi una routine dai tratti comici. La lingua viene completamente riadattata, eliminando le espressioni tipicamente letterarie, utilizzando una sintassi aperta a modelli di tipo parlato irregolare e popolare, con coloriture linguistiche tipicamente liguri. Da autentico Verista, Zena rifiuta l'inverosimiglianza, rivelando una sensibilità all'esigenza del Vero che impone agli scrittori l'arbitrarietà nel parlato dei personaggi pur mantenendo un'attenzione all'ambiente e alla tematica genovese. Tanto che lo pseudonimo Zena, nel dialetto ligure, vuol dire appunto "Genova".

L'autore lascia emergere le tematiche veriste nel romanzo "La bocca del lupo", dove si immerge nella realtà più povera della Genova del tempo, descrivendola come una realtà distante dalla sua nobile provenienza. L'opera ostenta quello stile principale, che permetterà al marchese di levarsi come uno dei più celebri capisaldi della letteratura verista.

"La bocca del lupo", pubblicato nel 1892 dall'editore Treves, definito come il suo primo romanzo, rappresenta la rovina morale e materiale di tante donne del popolo. Il risvolto letterario dell'opera viene tradizionalmente accostato ai modelli veristici di Verga, caratterizzato da un tentativo di regressione verghiana nei personaggi popolari.

Scritto in italiano, ma con un cospicuo apporto di termini del dialetto ligure , fra grida del volgo e sussurri di pettegole chiacchierone in perfida rivalità, il testo evidenzia in maniera corale la vita al limite del sopravvivere di persone umili e disperate, oggi pronte ad aiutarsi e domani a "sbranarsi" per un pezzo di pane. La novella oscilla fra i modelli espressivi de "I promessi sposi"del Manzoni e de "I Malavoglia" del Verga, contemporaneo di Zena.

Il criterio impersonale del racconto, non solo somiglia ai personaggi del Malavoglia, ma rispecchia la capacità dello scrittore di raccontare l'ambiente genovese, attraverso l'uso efficace della prosa. La storia supera i confini veristi, grazie alla straordinaria capacità stilistica e poetica dello Zena nel tramutare in una stesura colma di umanità e ironia la visione dei protagonisti che popolano i vicoli portuali. Le storie dei vinti, degli emarginati, dei repressi e dei frustrati vengono ridicolizzate dalle loro stesse ambizioni, perennemente insoddisfatte e sempre in bilico sul baratro indicato nel titolo stesso dell'opera "La bocca del lupo". L'avvio del romanzo pare una conversazione già cominciata, tanto che le parole risultano calde, familiari, arricchite da motti e sapienze popolari.

Zena ambienta la novella fra le case, i vicoli ombrosi genovesi detti "Carruggi", che circondano un'ipotetica piazzetta, "la Pece Greca" ed il vicolo dell'irreale borgata di Manassola incrocio tra Manarola e Bonassola. Il contenuto letterario gravita attorno alla figura femminile di Francisca Carbone, detta "Bricicca", vedova che, oltre ad avere una vita gremita di avversità, "in casa sono più i giorni in cui si salta il pasto che quelli in cui si mangia", dovrà affrontare la morte improvvisa per tubercolosi dell'unico figlio maschio. L'opera comincia nei momenti di libertà che precedono la prigionia della protagonista nel carcere di Sant'Andrea dove, per grazia del re, uscirà anzitempo. L'autore svelerà poi nell'epilogo, il destino che si presenterà negli anni successivi alla sua scarcerazione.

Bricicca ha 3 figlie da maritare ma "nessuna salirà all'altare, eccetto colei che diventerà suora".

Per far sposare almeno Marinetta, la più giovane delle tre, Bricicca è disposta a sacrificare la sorte delle altre due figlie. Angela, la maggiore, brava e religiosa, nutre un affetto silenzioso per Giacomino Triborno, i cui genitori non vedono di buon occhio il fidanzamento con la ragazza e faranno di tutto per mandare a monte il matrimonio con la complicità delle sorelle Testette.

Il tentativo di queste ultime sarà coronato dal successo anche grazie alle disgrazie familiari di casa Carbone che indurranno Angela a perdere la dote pur di porre rimedio alla sorte avversa. Il finale, vede la giovane definitivamente sconfitta nell'anima e nel corpo, prima a causa del matrimonio dell'amato Giacomino con un'altra ragazza e poi, con la comparsa dall'esito fatale della tisi. Angela morirà in ospedale dimenticata dai familiari, ma, per assurdo, assistita dalle stesse perfide Testette, ormai giunte al pentimento.

Battistina, la seconda figlia dal carattere giudizioso e triste, vive dai nonni a Manassola. Considerata alla stregua di una bastarda dalla stessa madre, pur di guadagnarsi da vivere, serve le monache di un convento, vestita alla stregua di un'indigente.

Nonostante l'enorme impegno nel mandare un aiuto economico alla madre, al momento del suo ritorno a Genova, in occasione della comunione della sorella minore, non solo troverà la porta di casa preclusa ma sarà persino dimenticata all'uscita della chiesa. Dopo essersi smarrita per le vie dalla città, sarà costretta a tornare al paese di Manassola, dove verrà persino elusa dalla sorella in visita, la quale prova un senso di vergogna per le condizioni miserabili di Battistina.

La sola a nutrire stima per Battistina è Angela. Tra l'indifferenza generale, la ragazza finirà per farsi monaca e partirà per la Patagonia assieme ai missionari di Don Bosco. Marinetta, già donna a tredici anni, si avvia alla carriera di ballerina sotto l'egida di Rapallina, una donna di mondo di professione pettinatrice, e di Costante dedito a tenere "le fila del lotto clandestino". Marinetta rimarrà pervasa dalla convinzione d'essere destinata a qualcosa di meglio della miseria in cui è nata, cominciando proprio con l'abbandono del suo sogno da ballerina per intraprendere la carriera da pettinatrice.

Comincerà dalla pretesa di abiti lussuosi nonostante Angela e la madre fatichino a sfamarla e nasconderà i propri guadagni alle sorelle, grazie anche alle oscure amicizie con Barbara, prostituta di professione. In seguito all' avventura di Manassola conserverà un torbido e diviso amore per Pollino Gabitto e Camillo, ma, alla fine sarà costretta a sposare quest'ultimo a causa di una gravidanza indesiderata ed improvvisa. La ragazza, ormai irrimediabilmente persa nel suo egoismo e con alle spalle uno sposalizio disastroso, troverà futuro solo nella prostituzione. Per lei non ci saranno né pietà , né comprensione.

La cultura dello Zena emerge nella scelta di uno stile che già da subito si addentra nell'intimo degli umori che racconta in tutte le loro declinazioni.

Briccica, ostacolata da un'evidente idiozia e tormentata da mille difficoltà, emerge comunque come donna caparbia, reattiva, a tratti pure ingegnosa nella ricerca di soluzioni impossibili.

Eppure la donna si esporrà esageratamente alle critiche invidiose e ai pettegolezzi delle comari che affollano la scena.Verrà tradita dall' avere accettato di nascondere dietro l'anonima attività di "bisagnina", un banco di verdure di fronte alla bottega della rivale la Bardiglia, un'attività del "seminario", gioco d'azzardo clandestino perseguitato dalle leggi di Stato.

All'arresto verrà persino abbandonata al suo destino dal malevolo faccendiere Costante, l'apparente co-protagonista della vicenda.

Zena esteriorizza la miseria umana senza perdere di vista i valori nobili dell'uomo, facendo capire con la sua prosa che nel punto di incontro tra corruzione e povertà viene meno anche il piccolo spazio di speranza e di riscatto tipico dei 'lieto fine'. L'autore rende la metafora di "Un lupo e la sua tana" l'unica accoglienza riservata agli sprovveduti e agli stolti gravati dalla mancanza di enormi ricchezze.

In un finale privo di sconti, arricchito di sorprese e drammaticità, la penitenza per Briccica non può passare che attraverso le sbarre del carcere di Sant'Andrea. Persino Francisca Carbone non nascondendo la totale mancanza di affetto materno per la povera Battistina, prima la smarrisce per Genova il giorno della festa di Marinetta, poi la lascia partire come missionaria nella totale indifferenza. Nell'incapacità di portare sulla retta via la vulnerabile Marinetta, si creerà un ossessivo ma silente dolore nel cuore di Bricicca tale da renderla incapace di comprendere la sua misera condizione sino agli epiloghi drammatici.

Solo sul finale della novella, con la condanna della protagonista alla galera, i peccati vengono espiati, concedendo a Bricicca il tempo necessario a comprenderli e redimersi. Le rivali storiche , pronte a godere delle disgrazie altrui come se ciò potesse servire ad alleviare le proprie, non avranno miglior fortuna : "nessun maneggio e nessuna giocata al lotto può variare le vite segnate dal risentimento".

Alla fine non resteranno vincitori , ma solo vinti.

La novella evidenzia un linguaggio ricco di espressioni colorite e felici, tipico delle sue stesure : "se le lavava con lo sputo", "mettere il sonaglio al gatto", "il sacco non si stringeva mai", "li mandava tutti a farsi scrivere", per fare solo alcuni esempi. Simili espressioni diventano il pregio del raccontare di Zena. Non si trovano spunti moralistici diretti, di riflessione o di ammonimento come lo stile del Manzoni vorrebbe, ma nascono linguaggi del volgo reali, arricchiti dalla saggezza tipicamente popolare.

I richiami ad altre letture citati nel romanzo sono numerosi, a dimostrazione della ricca sensibilità di Zena che, come i grandi autori, riesce con una scrittura estremamente semplificata a veicolare insegnamenti importanti, complessi e talvolta raffinati. Personaggi come la Bricicca, ("trinciava e squartava a fette l'universo" ), le figlie Marinetta, Angela, Battistina e il signor Costante, ricordano un po' le figure dell'Agnese e di Perpetua ne "I Promessi Sposi".

La vera abilità di Zena si traduce nell'adattare un romanzo allo spaccato di una Genova ottocentesca viva e popolare che resta un ricordo davvero straordinario e indimenticabile nell'immaginario del lettore. L'intrigo avveduto e complice della storia ha come fregio la miglior "salsa" dello scrittore anche durante i transiti sulle lezioni Verghiane e sui tristi e sventurati destini dei vinti presi dalla "bocca del lupo".

La novella è caratterizzata da una scrittura spiritosa, arguta e divertita che sa stupire il lettore, trascinandolo nel vivo dolore degli sventurati protagonisti e nella loro costante lotta per la sopravvivenza.

La critica del narratore diventa un misto di familiarità e di saggezza proverbiale tanto da renderla discostante dalla narrazione verghiana de"I Malavoglia", in occasione della tematica genovese presentata.

Zena è lontano dal pessimismo verghiano e da conservatore cattolico, infonde nelle sue novelle un senso di paternalismo e moralismo.

Malato agli occhi, trascorse gli ultimi anni della sua vita appartato e lontano dalla società letteraria.

Mori nel 1917 a Genova.