Prescrizione, Rinunzie e Transazioni nel Diritto del Lavoro
Il Diritto del Lavoro presenta un disciplina particolare per quanto riguarda la Prescrizione, le Rinunzie e le Transazioni.
Prescrizione[modifica]
La Prescrizione è un istituto giuridico che prevede l'estinzione di un diritto a seguito dell'inerzia del titolare che non l'abbia attivato entro un determinato termine (il termine ordinario è di 10 anni).
Anche i diritti del lavoratore sono soggetti a prescrizione. La prescrizione per questi diritti è la prescrizione breve quinquennale. Il problema è da quanto iniziano a correre questi 5 anni.
L'articolo 2955 del Codice Civile (Prescrizione di un anno) dispone che il termine della prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto si può far valere.
La Corte Costituzionale nel 1966 con la sentenza numero 63, in pieno periodo di assenza ancora di una legge che permettesse una tutela in caso di licenziamento ingiusto infatti non vi era neppure ancora la legge 604 né a maggior ragione l'articolo 18 dello Statuto, la Corte decise che il termine da cui dovesse partire il termine è da quando il lavoratore concretamente poteva far valere il suo diritto. In un rapporto dove il lavoratore era in soggezione e aveva timore di un licenziamento come ritorsione era chiaro che il lavoratore non era realmente libero di far valere i suoi diritti. In questo contesto la Corte posizione l'inizio del decorso del termine da quando terminava il rapporto di lavoro. Chiaramente la situazione cambio già con l'ingresso della legge 604 anche se ancora non esisteva una vera tutela cosa che avvenne invece con l'articolo 18. Dal quel momento il lavoratore non era più succube di un possibile licenziamento di ritorsione e quindi il termine iniziava a decorrere dal momento in cui il lavoratore poteva esigere il diritto. La situazione però, a seguito della Riforma Fornero e a maggior ragione del Jobs Act che hanno fortemente cambiato il senso dell'articolo 18 originario, potrebbe essersi, negli ultimi anni, di nuovo ribaltata e quindi c'è chi, tra dottrina e giurisprudenza, hanno di nuovo l'inizio del decorso del termine dalla fine del rapporto di lavoro.
Rinunzie e Transazioni[modifica]
Le Rinunzie sono un atto unilaterale con il quale una parte dismette un proprio diritto in favore di un'altra parte. Le Transazioni sono un contratto a due parti in cui ci sono concessioni reciproche tra le parti di diritti per trovare un accordo su una questione.
L'articolo 2113 del Codice Civile (Rinunzie e transazioni) dispone una disciplina particolare per il lavoro subordinato e assimilato. Le Rinunzie e le Transazioni non sono valide. Ma non tutte. Solo quelle che riguardano diritti derivanti da legge o dai contratti collettivi inderogabili.
Non sono comprese quindi le Rinunzie e le Transazioni, ad esempio, fatte su diritti concessi dal contratto individuale di lavoro.
Per annullare tali Rinunzie e Transazioni bisogna impugnare l'atto entro sei mesi dalla cessazione del rapporto o dalla data della Rinunzia o della Transazione se poste dopo l'estinzione del rapporto.
Esistono casi di Rinunzie e Transazioni non impugnabili ed è il caso di quelle poste in essere in sede di conciliazione (dove comunque il lavoratore è tutelato dalla presenza di un terzo super partes dato che l'obiettivo di questa disposizione è proprio la tutela del lavoratore dalla possibile pressione del datore di lavoro per fargli venire meno qualche diritto).
Quietanze a Saldo[modifica]
Caso particolare è la cosiddetta Quietanza a Saldo, la cui formula più comune è "Nulla altro a pretendere". L'opinione della dottrina e della giurisprudenza è divisa tra chi ne ammettono l'eventuale valore di rinuncia anche dei diritti non conosciuti e quindi si calcolerebbero da esse i sei mesi per la decadenza della possibilità di impugnazione e chi invece rileva l'assenza di una volontà di rinuncia, a meno che non ci sia una indicazione specifica dei diritti rinunciati soggetti a Rinuncia o Transazione.
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