Potestà genitoriale

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Potestà genitoriale
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Diritto privato e della famiglia

Il legislatore italiano, oltre al mantenimento, riconosce ai genitori un potere in tema di educazione e, fin dai tempi della promulgazione del codice penale nel 1930, questa autorità era accompagnata dalla legittimità a comminare sanzioni fisiche.
Il rapporto correttivo si distingueva in natura privata in seno alla famiglia, di cui erano titolari il padre e la madre, e in natura pubblica in seno alle istituzioni pubbliche. La patria potestà contenuta nell'art. 155 c.c. «Provvedimenti riguardo ai figli», poteva essere delegata a terzi quale il maestro di scuola, sebbene il regolamento scolastico proibisse di percuotere l'alunno.
Comunque l'art. 571 c.p. «Abuso dei mezzi di correzione e di disciplina» pone un serio limite a questa disciplina. Il predicato “pregiudichi”, infatti, contenuto nella norma, si riferisce a una probabilità che si verifichi il danno per la salute e, quindi, esclude la verifica dell'avvenimento, altrimenti ci si ritroverebbe con un'aggravante della fattispecie penale.

La limitazione della potestà, adottata in caso di violazione dei suddetti obblighi, significa che i genitori non possono modificare la situazione giuridica del minore né compiere atti per conto, cioè perseguendo i suoi interessi, né per nome, cioè rispettando solo la sua volontà, senza il consenso del giudice.
Tuttavia possono continuare a esercitare l'ordinaria amministrazione e l'usufrutto, ciò significa che non sono responsabili della condotta del bambino e non possono stipulare contratti come ad esempio l'iscrizione alla scuola. La sospensione della potestà, adottata in caso di fatti illeciti o in caso di abuso, indica che i genitori non possono fare alcunché per il loro figli e in questo caso è nominato un tutore legale dal giudice entro trenta giorni dall'allontanamento. In caso di condanna inferiore ai cinque anni a carico del genitore, la sospensione della potestà è de jure e si estende a tutti gli altri figli e vale lo stesso per l'accattonaggio.

L'obbligo di alimenti (art. 155 c.c.), che dipende esclusivamente dalle condizioni economiche della famiglia, non deve essere confuso con la «violazione degli obblighi di assistenza familiare» (art. 570 c.p.) che si riferisce all'inadempienza del soggetto di fornire i «mezzi di sussistenza»[1] ovvero soddisfare i bisogni esistenziali del coniuge o al figlio quali il vitto e l'alloggio di cui il soggetto è obbligato anche nell'eventuale decadenza della potestà.
La legge punisce anche chi abbandona la propria famiglia solo se è seguita dalla medesima inadempienza ma mentre per il coniuge lo stato di bisogno sussiste in particolari situazioni di disagio, per il minore tale occorrenza sussiste sempre.
Si tratta di una disposizione già contenuta nel codice Rocco ed è distinta in due parti: la tutela dell'assistenza morale e quella economica. In realtà questa non è una distinzione gerarchica nel senso di valori in ordine d'importanza in quanto anche l'assistenza economica ha dei risvolti etici; si può affermare che la prima si rivolge ai parenti stretti quali il coniuge e i figli mentre la seconda si estende anche alla famiglia allargata per es. i nonni, gli zii, etc.

Il legislatore con l'art. 564 c.p. proibì l'«incesto» indicando i soggetti attivi quali i genitori, gli ascendenti, i discendenti e gli affini, quali zii e nipoti, e i soggetti passivi quali i «germani», cioè i figli degli stessi genitori, i «consanguinei» cioè i figli dello stesso padre ma di madre diversa, e gli «uterini» cioè i figli della stessa madre[2]. Gli «atti di libidine violenti» (Art. 521 c.p.) si configurano come reato solo quando «il minore è l'unico soggetto passivo»[3].

Con l'art. 591 c.p., «Abbandono di persone minorenni e di incapaci», si intende «l'interruzione del rapporto di assistenza al quale si è obbligati»[4] sia inteso nella accezione di custodia, cioè di permanenza presso il proprio domicilio, sia di cura, vale a dire sottesa al soddisfacimento dei bisogni. Non è contemplata in questa fattispecie l'omissione di soccorso eccetto che le disposizioni di legge non indichino diversamente.

L'abbandono può essere “positivo” (cfr. supra cap. 1.3) quale la fuga del minore in un luogo diverso dal proprio oppure “omissivo” quale l'allontanamento del genitore. L'abbandono non è da confondere con l'omissione di cura genitoriale, che rimanda all'incuria, bensì implica la tutela e l'incolumità fisica esposta a una situazione concreta di pericolo tale da indurre la volontà dell'agente a compiere il reato. Vale il discorso sull'età così come nell'art. 580 c.p. cioè deve essere accertata l'incapacità del minore di fare affidamento su sé stesso.

L'art. 572 «Maltrattamenti in famiglia e verso fanciulli» si riferisce al maltrattamento e ai casi di abuso compiuto al di fuori della fattispecie contenuta nell'art. 571. Si è dibattuto se si debba considerare l'articolo nell'ambito dei delitti contro la famiglia o contro la persona. La distinzione non è di poco conto ma serve a capire come si inquadra la definizione di maltrattamento.

Il fatto che questi atti possano avvenire senza per forza turbare l'ambiente familiare sembra dare ragione all'ipotesi che i delitti contro la persona siano da inquadrare come forma di abuso. È paradossale notare che le pene previste dall'art. 572 siano maggiori di quelle previste dal art. 571 nonostante la gravità del reato. In ogni caso la dottrina sembra riferirsi a tutti i casi di tutela sia dell'incolumità fisica che psicologica.

L'«istigazione al suicidio», art. 580 c.p., vale sia per i minori di diciotto anni che per i maggiori di quattordici, se questi «abbia realmente maturato tale intenzione»[5], mentre per i minori di quattordici anni figura come reato di omicidio in quanto si considera il minore non ancora capace di intendere e di volere.

Note[modifica]

  1. Miedico M., s.v. “Violazione degli obblighi familiari”, in Digesto delle discipline penalistiche, Utet, Torino, vol. XV, 2006, pag. 192
  2. Dolce R., s.v. “Incesto”, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 1970, pag. 977, vol. XX
  3. Alpa G., Garofali R., Commentario al codice penale, Ed. Diritto Penale, pag. 1386
  4. Fierro Cenderelli F., s.v. Abbandono di persone minori o incapaci, in "Digesto delle discipline penalistiche", Utet, Torino, vol. I, 2006, pag. 6
  5. Lattanzi G., Lupo E., Codice di Procedura Penale, Giuffrè, Milano, 2000, vol. X, pag. 165