Le forme di sperimentazione

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Le forme di sperimentazione
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Fenomenologia della videoarte

Le modalità di approccio usate dagli artisti[modifica]

Già dall'inizio del secolo scorso, con l'invenzione e la diffusione del cinema, quasi tutti i movimenti artistici si sono cimentati nell'uso delle immagini in movimento, producendo dalle piccole curiosità ai capolavori, tanto che potremmo parlare di cinema futurista, cubista, dadaista, surrealista ecc. Di nuovo nel secondo dopoguerra stavano maturando grandi fermenti culturali che avrebbero influenzato se non sconvolto i decenni a venire, nelle arti visive, nella musica, nel costume, nella moda, nelle relazioni fra le persone. Dopo le ricerche del Cinema sperimentale la nascita e il successo della televisione andava a produrre grandi cambiamenti nelle modalità della produzione delle immagini e della comunicazione di massa. L'invenzione del video, o meglio della sua portabilità, non poteva restare a lungo inosservata. Il nuovo mezzo offriva agli artisti vantaggi e svantaggi. Non era più necessario sviluppare pellicole e stampare negativi su positivi. Il sistema di registrazione non era più di tipo chimico ma elettronico. E questo era decisamente rivoluzionario e affascinante. Le immagini registrate erano immediatamente visibili, anzi se non erano soddisfacenti, si faceva riavvolgere la bobina, si potevano cancellare e rifare di nuovo fino a raggiungere il risultato desiderato. Erano la diretta istantanea della realtà, con lo svantaggio che non si potevano vedere in proiezione come nel cinema, a grandi dimensioni ma ridotte alla dimensione del monitor e questo però fu un altro elemento convincente per un atteggiamento contro, antitelevisivo, conflittuale e anticonformista, perfettamente innestabile sui movimenti di innovazione etica e linguistica che negli anni '60 stavano nascendo, prima in America e poi in Europa. Qui di seguito le principali modalità di approccio usate dagli artisti.

1 - Le macchine del video

Il primo approccio usato dagli artisti fu la curiosità per il sistema in sè, per l'apparecchiatura elettronica e il suo funzionamento. La telecamera, il videoregistratore, il monitor. La telecamera è l'occhio che guarda il reale che ha di fronte, trasformandolo in segnale. Il registratore lo scrive sul suo supporto e lo memorizza. Il monitor restituisce il segnale in immagine in bianco e nero, astratta. Le tre macchine connesse fra di loro costituivano un sistema completo di elaborazione e di comunicazione, suscettibile di grandi sperimentazioni. Il circuito chiuso. Interferendo infatti in diversi modi sul segnale o sul funzionamento di uno dei tre apparecchi, misurandone e alterandone i limiti, si andava a manipolare le immagini prodotte ottenendo risultati astratti e imprevedibili. Con la curiosità di giocare con il sistema, di metterlo in scacco, sono state inventate nuove macchine sia ottiche che elettroniche per cambiare e produrre nuovi segnali elettrici, come i sintetizzatori, i colorizzatori, i ritardatori e via dicendo, al fine di deformare riprese e risposte ottenendo immagini sintetiche mai viste prima. Con questo approccio sono stati prodotti tantissimi lavori d'arte principalmente dai primi sperimentatori: Wolf Vostell, Nam June Paik, Steina e Woody Vasulka, Stephen Beck, Eric Siegel, Peter Campus, Peter Weibel. Con un po' di ritardo in Italia: Alberto Grifi, [1] Claudio Ambrosini, Michele Sambin, Guido Sartorelli, Piccolo Sillani, Paolo Cardazzo, solo per citarne alcuni.
Anche il monitor in sè era un oggetto che poteva essere usato come una videoscultura, e anche con questa modalità l'apparecchiatura modificata nella forma fu esibita per alcune mostre importanti.[2] Uno dei primi esempi di videoscultura è del 1974, ad opera di Nam June Paik: TV Buddha, che restituisce tutte le radici culturali dell'autore. Un esempio più recente sempre dello stesso autore la mostra di NYC del 2009.

2 - Il video come testimone immediato

Il sistema fu subito fu adottato come testimone per documentare tutte le attività performative, i gesti e le azioni live del movimento Fluxus. La rivendicazione dell'identità dell'artista, la riappropriazione della paternità del proprio operare, l'identificazione del proprio corpo o dello studio dell'artista come luogo madre dell'arte sono stati fra i più importanti stimoli per la produzione di Videotapes, dove l'approccio, più che andare a produrre immagini artificiali, intendeva evidenziare il rapporto dell'artista con la vita quotidiana di sè e degli altri, dove l'opera tradendo i canoni museali e di mercato andava sempre più identificandosi con la vita. Con il corpo, con gli oggetti, con lo spazio, con le persone. Insomma la dichiarazione di un nuovo modo di concepire il lavoro dell'arte, basato sull'autenticità e non sui canoni definiti dalle convenzioni accademiche. Vito Acconci, John Baldessari, Bruce Nauman, Marina Abramovic, Joseph Beuys, Chris Burden, Dennis Oppenheim, Joan Jonas, Rebecca Horn, sono solo alcuni degli artisti che per primi si sono "dichiarati" davanti all'obbiettivo di una telecamera, producendo opere video in sè autonome e inaugurando nuove modalità linguistiche.

3 - Lo spazio

Il sistema a circuito chiuso, le connessioni fra le apparecchiature distanziate dalla lunghezza dei cavi, consentivano di inventare nuove situazioni che coinvolgevano lo spazio fisico percorso dagli osservatori. La telecamera poteva stare in una stanza e il monitor in un'altra, Il registratore poteva mandare in differita l'immagine, tanto da produrre un detournement spazio-temporale. Così Bruce Nauman, Vito acconci, Dan Graham, Les Levine e altri si misero a giocare con le videoinstallazioni che mettevano come componente fondamentale del lavoro lo spazio dentro cui ci si poteva muovere, usando specchi, monitors, registratori e telecamere. Anche lo spazio medesimo veniva progettato in modo da accentuare il voluto disorientamento dello spettatore, che veniva ripreso da dietro, di fronte, ritardato nelle entrate, tanto da potersi osservare nei suoi movimenti e nelle sue perplessità. L'utente dell'arte poteva vedere come fosse visto dagli altri, essere attore protagonista dentro la videoinstallazione, esperire uno spazio e un tempo modificati per lui dall'opera. Una nuova esperienza plurisensoriale progettata per uno spettatore le cui emozioni diventavano materia di lavoro. Anche riferito agli artisti, Rosalind Krauss asserisce come la videoarte e le videoinstallazioni, coltivando il connubio di identità e di alterità, custodiscano una forte componente narcisistica.
Verso la metà degli anni '80 fondamentale sarà lo sfruttamento e l'allestimento dello spazio espositivo, che con l'impianto di nuove tecnologie come le proiezioni e l'uso dell'infrarosso facilitarono nuove produzioni d'arte come i Videoambienti e più avanti gli Ambienti sensibili

4 - La comunicazione

Il video fu importantissimo strumento per la controinformazione militante. Soprattutto in America e in Canada dopo il 1965 nacquero innumerevoli gruppi di contestazione e di controinformazione che utilizzarono le numerose reti televisive via cavo nate in quegli anni.[3] Il video divenne uno strumento politico usato in modo collettivo per fornire informazioni di base e promuovere movimenti di opinione. Videofreex, TVTV, Ant Farm, Environmental Journalism, Raindance Corporation e molti altri scatenano la Guerrilla Television sostenuta da numerosissimi videomakers militanti. Spesso le restrizioni dovute a interessi localistici e la sproporzione delle forze messe in campo impedirono di fatto la ulteriore proliferazione delle loro iniziative, relegandole forzatamente ai margini della storia, ma questa è forse ancora tutta da scrivere. La presenza degli artisti dentro questi collettivi e cooperative resta comunque significativa soprattutto negli eventi europei e italiani, dove la TV non si rendeva accessibile, ma dove l'insorgenza dei movimenti dopo il 1968 rendevano potenti le istanze di controinformazione a sostegno della protesta, nelle università, nelle fabbriche e nella società civile.

Note[modifica]

  1. Alberto Grifi ideò e utilizzò il Vidigrafo per trasferire video su pellicola
  2. Come Video-Skulptur del 1989 a cura di Wulf Herzogenrath e Edit Deker che girò Colonia, Berlino e Zurigo.
  3. "una televisione privata in misura ridotta, che se anche non viene mandata in etere, ribalta il rapporto fra spettatore e TV, perché lo spettatore è anche il produttore, e, se vuole, anche il soggetto" Fadda 2005

Bibliografia[modifica]

  • Silvia Bordini, Videoarte & arte. Lithos, Roma 1995
  • Simonetta Fadda, Definizione zero. Costa & Nolan, Milano 2005
  • Angela Madesani, Le icone fluttuanti. Bruno Mondadori, Milano 2002
  • Herzogenrath - Deker, Video-Skulptur retrospektiv und aktuell. 1963 - 1989 - Videocatalogo del Kuntverein di Colonia.


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