La Scuola toscana

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La Scuola toscana
Tipo di risorsa Tipo: lezione
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I rimatori toscani di transizione, conosciuti anche come "rimatori siculo-toscani", sono poeti, che dopo la caduta degli Svevi nel Regno di Sicilia, ne hanno ereditato la poesia siciliana e il suo tema centrale dell'amore, ma affiancandoci anche altri temi come la politica, la guerra, la morale e il quotidiano vivere civile.

Il motivo di ciò è da ricercare nel sistema politico utilizzato nel centro-nord italia (cioè i liberi Comuni, invece che la monarchia assoluta del Regno delle Due Sicilie) e da chi compone le poesie che sono delle normali persone del ceto borghese totalmente ambientate nel vivere civile della città (e non funzionari di palazzo nel caso della poesia siciliana).

Lo stile riguarda una ripresa della canzone e del sonetto, originario della Scuola siciliana, ma anche una sperimentazione di altre forme metriche, come la ballata, e di altri temi, come nel caso della canzone politica, sul modello del sirventese provenzale. La nuova poesia riflette infatti il clima civile delle lotte politiche fra le varie città e partiti della società comunale. La lingua utilizzata è il Toscano. Quando nel 1251 morì Federico II di Svevia, anche la Magna Curia si andò sgretolando, e con essa la Scuola siciliana. Tuttavia la produzione poetica dei siciliani trovò dei continuatori nei poeti della cosiddetta Scuola di Transizione.

Troviamo, così, lo spostamento fisico dell'asse culturale dalla Magna Curia ai comuni ghibellini della Toscana.
Altri, invece, ipotizzano che derivi dalla lirica provenzale in cui, a differenza della lirica siciliana, sono presenti temi politici che invece scompaiono in quella siciliana. La novità più significativa di questo gruppo di poeti, infatti, consiste nel loro ambiente sociale, che non è più quello feudale, ma quello comunale, caratterizzato da dinamismo, conflittualità interne, mutamenti socio-economici e quindi anche morali. Proprio per questo, in alcuni di loro la tematica amorosa cede il posto a quella civile, con l'intervento appassionato e polemico sulla realtà politica vissuta in prima persona. Gli elementi caratteristici della lirica toscana, che costituiscono un arricchimento dei modelli poetici siciliani e preludono al mutamento di tipo intimo e spirituale della poesia stilnovistica (da qui il nome di <Scuola di transizione>), possono essere sintetizzati nel modo seguente: -Una concezione più intima e individuale dell'amore; - la spiritualizzazione della figura femminile; -la trattazione di alcuni temi oltre a quello amoroso, quali la guerra, l'esilio, la passione politica; -l'uso di una lingua aderente alla realtà quotidiana.

Caratterizzata da una certa municipalità (per questo motivo sarà ripudiata da Dante), essa non viene definita dai critici una scuola, proprio per il fatto che manca un'identità geografica precisa (a differenza della scuola siciliana che si sviluppa nella corte di Federico II o del Dolce Stil Novo che nasce a Bologna)

Essa si collega direttamente alle tematiche provenzali e sicule dell'amore, arricchendole con temi del tutto originali, quali, ad esempio, la politica e l'etica. I poeti di tale corrente erano poeti-cittadini, legati quindi alle vicende dei comuni di provenienza, in cui erano perfettamente inseriti. Essi, perciò, erano portati a discutere con molta vigoria degli argomenti politici a loro più vicini, ed oltre a ciò poetavano anche su argomenti teologici, non tanto intesi come argomenti divini, quanto come argomenti morali ed etici.

Poiché i suoi rappresentanti provengono da varie zone della regione, non si può parlare di una lingua base nella quale si è sviluppata questa poesia, bensì di una sorta di polilinguismo, che ci porta ad affermare, paradossalmente, che la poesia di questa nuova corrente abbia di comune rispetto alla poesia siciliana l'ispirazione. Il contatto tra le due culture toscana e siciliana, leggendariamente, si attribuisce ad Enzo, figlio di Federico II, il quale, preso una volta prigioniero presso Bologna, impartì alcune nozioni della poesia del suo regno agli abitanti di quel comune.

Tra i poeti più famosi ricordiamo Guittone d'Arezzo personalità di primo piano della Scuola, Bonagiunta Orbicciani da Lucca, il più legato ai siciliani, Chiaro Davanzati, fiorentino e più vicino agli stilnovisti, e la poetessa nota con lo pseudonimo di Compiuta Donzella.

Bonagiunta Orbicciani[modifica]

Esercitò forse la professione di notaio e come poeta fu attivo nella seconda metà del XIII secolo, ispirandosi più direttamente ai modi della poesia "siciliana", mediando la sua influenza nell'ambiente toscano. Fu tra coloro che più efficacemente importarono in Toscana le forme poetiche provenzaleggianti della scuola siciliana e soprattutto quella di Jacopo da Lentini.

Come scrive Carlo Salinari:[1]

«[...] La sua importanza è tutta in questa attività di mediazione culturale, che verso la metà del secolo sposta l'asse della nostra poesia dalla corte imperiale di Palermo all'Italia centrale e pone in tal modo - sia pure inconsapevolmente - le premesse per il "dolce stil novo".»

Bonagiunta nella Divina Commedia[modifica]

Si può dire che egli sia rimasto più noto, nella letteratura italiana, come personaggio del Purgatorio dantesco che per la sua opera poetica: la lettura tradizionale dell'episodio del canto XXIV è che Dante, per far meglio risaltare la novità del Dolce Stil Novo, abbia per contrapposizione citato un rappresentante di un genere poetico precedente. Le parole "dolce stil novo" Dante le mette opportunamente sulle labbra di Bonagiunta.

Merito indubbio di Gianfranco Contini, nella splendida edizione ricciardiana del 1960, è invece di aver rivalutato la figura di Bonagiunta, mostrandolo come un protagonista delle tenzoni, le gare poetiche che coinvolgevano tutti i dotti dell'epoca.

Significative due tenzoni:

  • contro un anonimo (si è tentato di riconoscere in questi Monte Andrea oppure Guittone d'Arezzo) che in un dotto sonetto cita raffinati poeti provenzali: Peire Vidal e Osmondo (forse da Verona); la risposta di Bonagiunta è di estremo virtuosismo tecnico: giocato con rime equivoche (figura retorica che consiste nel ripetere lo stesso termine in sede di rima) e rime interne.
  • contro un giudice, Messer Gonella, cui risponde Bonodico notaio di Lucca, un sonetto di Bonagiunta ed una ulteriore replica di Messer Gonella e, infine, un ulteriore sonetto di controreplica di Bonagiunta.

Inteso in questo senso di scontro poetico, la scelta di Dante di sceglierlo come antagonista della poetica propria e di quella della sua scuola non ha un significato riduttivo, ma di riconoscimento del valore dialettico del poeta lucchese.

La produzione superstite di Bonagiunta conta 37 componimenti: 18 sonetti certi e uno attribuito, 11 canzoni, 2 discordi, 5 ballate.

L'ultima edizione critica commentata delle Rime di Bonagiunta Orbicciani da Lucca è stata pubblicata da Aldo Menichetti, nel 2012, per le Edizioni del Galluzzo, Firenze

Note[modifica]

  1. C. Salinari C. Ricci, Storia della letteratura italiana, con antologia degli autori e della critica, Laterza, Firenze, 1991, pag. 142

Bibliografia[modifica]

Chiaro Davanzati[modifica]

Della vita di Davanzati si conoscono pochissimi eventi, desunti dai "Libri di Montaperti": tra i combattenti guelfi, c'è un Chiarus Davanzati di Santa Maria Sopr'Arno, identificabile, secondo Debenedetti, con il poeta; di lui si sa, dunque, che partecipò alla battaglia di Montaperti nel 1260 e, poi, che fu Capitano di Or San Michele nel 1294.

Rime[modifica]

La sua produzione poetica è interamente tramandata dal Canzoniere Vaticano latino 3793 che riporta circa duecento componimenti. I temi trattati sono quelli tipici della poesia provenzale e siciliana, da quello dell'infelicità per la durezza della donna, a quello dei malparlieri. La poesia di Chiaro è per molti aspetti accostabile alle liriche di Guittone d'Arezzo. È inoltre estremamente ricca di similitudini.

Il sonetto 6 (V 356)[modifica]

Sì come il cervio che torna a morire[1]

Sì come il cervio che torna a morire
là ov'è feruto sì coralemente;
e 'l cecero comincia a rispaldire,
quando la morte venire si sente:
così facc'io, che ritorno a servire
a voi madonna, se mi val neiente;
e dicovi: servendo vo' morire,
pur che mi diate la morte sovente;
e s'io no-ll'ho, fo com'omo selvag[g]io:
ca nel cantare tanto si rimbaglia,
quand'ha rio tempo, ch'atende lo bono.
A vo, mia donna, lo mio core ingag (g) io
che lo tegnate, no date travaglia,
ché da voi tegno l'altra vita in dono.

La poesia di Chiaro tra trobar leu e bestiari[modifica]

Il testo sopra riportato può facilmente piegarsi a exemplum degli elementi caratterizzanti la poesia del Davanzati. Il suo è un trobar leu, come si deduce dalla semplicità del testo (per il lettore odierno le difficoltà sono di tipo lessicale). Il tema è quello amoroso, portato avanti secondo modalità non nuove: onnipresente è la lezione provenzale-siciliana, mentre al verso 8 c'è un'eco guittoniana. Tuttavia, il tratto peculiare di Chiaro sta nella prima quartina, già al primo verso: "Sì come il cervio" apre un paragone animalesco; di questi, sia nei sonetti che nelle canzoni, se ne trovano una quantità ineguagliata in qualsiasi poeta contemporaneo o successivo. Leggendo i sonetti, in particolare, viene in mente il "Bestiario d'amore" di Richard de Fournival, per la ricchezza di animali utilizzati ai fini della lirica d'amore.

Chiaro non è considerato dalla critica un grande poeta della tradizione italiana, tuttavia gli va riconosciuta, nella sua mancanza di originalità, un uso originale dei bestiari, al fine della costituzione dell'imagery della sua poesia.

Se si volesse, nello specifico, analizzare il testo qui esemplificato, non sarebbe difficile trovare la fonte dell'immagine del cervo: qui Chiaro fa un utilizzo insolito del cervo, presente solo, per quanto ne sappiamo, nel bestiario di Rigaut de Berbezilh, che a sua volta trova la propria fonte nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Ai versi 3-4 si incontra il secondo animale: "'l cecero" (il cigno) morente è figura di grande fortuna, ritrovabile in moltissimi bestiari, nei provenzali, ma anche poi in Sicilia con Giacomo da Lentini. Chiaro ne fa uso ben sette volte nelle sue "Rime". Dunque una grande propensione zoologica: questa è la cifra stilistica più marcata in Davanzati, quella per cui è ricordato, malgrado l'oblio nel quale è spesso stato fatto ricadere; anche nelle antologie dei licei, infatti, Chiaro Davanzati non è canonizzato, al limite citato. Una trascuratezza dovuta alla mediocrità di molti suoi versi, alla mancanza di creatività: malgrado ciò, egli resta un importante passo in una certa storia letteraria: la lunghissima storia dei bestiari, da Plinio, al Fisiologo, ai provenzali. Questo genere letterario trova il suo culmine nel lavoro di Davanzati, che più che ispirato sembra interessato a giocare con il maggior numero di generi, di temi, di citazioni.

Tenzoni[modifica]

Chiaro è in contatto con numerosi intellettuali del suo tempo e le tenzoni ne sono il più prezioso documento. Egli ha una corrispondenza più o meno nutrita con Dante da Maiano, Guittone d'Arezzo, Monte, Pacino di ser Filippo e altri. Le "risposte per le rime" che tra costoro si tengono mostrano un Davanzati non particolarmente avvezzo a questo tipo di poesia: infatti, per coerenza coi versi altrui, è costretto, talvolta, a abbandonarsi a artifizi oscuri, più propriamente cari ai poeti del trobar clus, come Guittone, più in voga all'epoca (e a volte più apprezzati oggi).

Note[modifica]

  1. Testo tratto da Chiaro Davanzati Rime, a cura di Aldo Menichetti, Bologna 1965, Commissione per i testi di lingua vol.126.

Bibliografia[modifica]

Esiste un'edizione critica, molto buona ma difficilmente reperibile:

  • Chiaro Davanzati Rime, a cura di Aldo Menichetti, Bologna 1965, Commissione per i testi di lingua vol.126.

Tuttavia, è stata riedita da Einaudi un'edizione non critica curata da Menichetti stesso.

Voci correlate[modifica]

Bonagiunta Orbicciani[modifica]

Sonetti