Italo Calvino (superiori)
Intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale, Italo Calvino è stato uno dei narratori italiani più importanti del secondo Novecento. Ha seguito molte delle principali tendenze letterarie a lui coeve, dal neorealismo al postmoderno, ma tenendo sempre una certa distanza da esse e svolgendo un proprio personale e coerente percorso di ricerca. Di qui l'impressione contraddittoria che offrono la sua opera e la sua personalità: da un lato una grande varietà di atteggiamenti che riflette il vario succedersi delle poetiche e degli indirizzi culturali nel quarantennio fra il 1945 e il 1985; dall'altro, invece, una sostanziale unità determinata da un atteggiamento ispirato a un razionalismo più metodologico che ideologico, dal gusto dell'ironia, dall'interesse per le scienze e per i tentativi di spiegazione del mondo, nonché, sul piano stilistico, da una scrittura sempre cristallina e a volte, si direbbe, classica.[1]
La vita
[modifica]Italo Calvino nasce a Santiago de las Vegas, nei pressi dell'Avana (Cuba), il 15 ottobre 1923. Il padre Mario è un agronomo originario di Sanremo che a Cuba dirige una stazione sperimentale di agricoltura e una scuola di agraria. La madre Eva (Evelina) Mameli, di origini sassaresi, era invece assistente di botanica all'università di Pavia. Nel 1925 la famiglia torna in Italia, dove il padre dirige una stazione sperimentale, e nel 1927 nascerà il secondogenito Floriando, futuro geologo di fama internazionale.[2]
Calvino frequenta le Scuole Valdesi, quindi studia al liceo-ginnasio G.D. Cassini. I genitori decidono di non dare ai figli un'educazione religiosa. Negli anni trenta il giovane Italo inizia a leggere opere letterarie (in particolare Kipling) e riviste umoristiche; si appassiona inoltre al cinema e disegna vignette e fumetti. Tra il 1939 e il 1940 scrive brevi racconti, poesie e testi teatrali.[3]
Nel 1941, dopo aver conseguito la licenza liceale, si iscrive alla facoltà di agraria di Torino, presso la quale il padre insegna agricoltura tropicale. Nel 1942 invia alla casa editrice Einaudi il manoscritto Pazzo io o pazzi gli altri, che viene però scartato. Più fortuna avrà La commedia della gente con cui partecipa al concorso del Teatro nazionale del Guf di Firenze. Stringe inoltre una duratura amicizia con Eugenio Scalfari, già suo compagno di liceo. Nel 1943 si trasferisce alla Regia Università di Firenze per proseguire gli studi di agraria, ma gli sviluppi della guerra lo inducono a tornare a Sanremo. Dopo l'armistizio dell'8 settembre Calvino risulta renitente alla leva della Repubblica Sociale e rimane per un certo periodo nascosto. La notizia della morte di un giovane medico comunista, Felice Cascione, lo induce a iscriversi al PCI e a unirsi, insieme al fratello sedicenne, alla Resistenza. L'esperienza partigiana sarà decisiva per la sua formazione umana e politica.[4]
Nel dopoguerra Calvino prosegue la militanza nel PCI, abbandona l'agronomia e intraprende gli studi universitari in lettere; si laurea nel 1947 con una tesi su Conrad. Nel 1945 incontra Cesare Pavese, che diventa un punto di riferimento per la sua attività letteraria: incoraggiato dal poeta, a cui sottopone i suoi scritti per averne un parere, Calvino presenta alla rivista Aretusa il racconto Angoscia di dicembre, che viene pubblicato. Inizia inoltre a collaborare con l'Einaudi, di cui si occupa dell'ufficio stampa, e pubblica su varie riviste i racconti che confluiranno in Ultimo viene il corvo (1949). Nel 1946 esce il suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno, in cui racconta la guerra partigiana vista attraverso gli occhi di un bambino. Nel 1951 conclude la stesura di un secondo romanzo di impianto realistico e sociale intitolato I giovani del Po, che verrà pubblicato solo tra il 1957 e il 1958, a puntate sulla rivista Officina.[5]
Nel frattempo la sua ricerca letteraria si rivolge a un diverso orientamento. Nel 1952 esce nella collana I Gettoni di Einaudi, diretta da Vittorini, il romanzo Il visconte dimezzato, che ottiene un buon successo di pubblico ma genera reazioni contrastanti negli ambienti culturali di sinistra. Fra ottobre e novembre compie un viaggio nell'Unione Sovietica, e la sua corrispondenza di viaggio pubblicata sull'Unità gli vale il premio Saint-Vincent.[6] Nel 1954 esce L'entrata in guerra, mentre nel novembre 1956 pubblica le Fiabe italiane, una raccolta da lui curata della tradizione favolista popolare italiana. Nel 1957 abbandona il PCI, in contrasto con la posizione assunta dalla dirigenza in merito all'invasione sovietica dell'Ungheria. Nel 1957 esce quindi Il barone rampante e nel 1959 Il cavaliere inesistente, che nel 1960 saranno raccolti insieme al Visconte dimezzato nella trilogia dei Nostri antenati. Tra il 1952 e il 1959 dirige inoltre il Notiziario Einaudi. Nel 1959 esce il primo numero del Menabò di letteratura, di cui Calvino compare come condirettore accanto a Vittorini.[7]
Nel 1962, sul n. 5 del Menabò compare il saggio La sfida al labirinto. Nello stesso periodo guarda con attenzione al sorgere della neoavanguardia, e in particolare all'attività del Gruppo 63, senza però condividerne le istanze. Nel 1963 pubblica il libro per ragazzi Marcovaldo ovvero Le stagioni in città e i romanzi La giornata di uno scrutatore e La speculazione edilizia. L'anno successivo sposa all'Avana la traduttrice argentina Esther Judith Singer, detta Chichita, da cui nel 1965 ha una figlia, Giovanna. Nel 1965 escono quindi Le Cosmicomiche e il dittico composto da La nuvola di smog e La formica argentina.[8]
Nel giugno 1967 si trasferisce con la famiglia a Parigi ed entra in contatto con l'OuLiPo (Ouvroir du littérature potentielle), un gruppo di scrittori francesi che conduce ricerche sull'uso di restrizioni e vincoli formali in letteratura. Traduce il romanzo I fiori blu di Raymond Queneau, uno dei fondatori del gruppo, che gli presenta altri membri come Georges Perec, François Le Lionnais, Jacques Roubaud, Paul Fournel. Dimostra inoltre interesse per la semiologia e partecipa ai due seminari che Roland Barthes tiene su Sarrasine di Balzac. Segue poi i movimenti di protesta giovanile del Sessantotto, senza però condividerne l'ideologia.[9]
L'interesse per la semiotica e per le opere degli autori dell'OuLiPo porta Calvino ad avvicinarsi alla letteratura combinatoria. Nel 1969 esce Il castello dei destini incrociati, all'interno del volume Tarocchi. Il mazzo visconteo di Bergamo e New York di Franco Maria Ricci. Nello stesso anno esce per Zanichelli La lettura. Antologia per la scuola media, un'antologia a cui collabora insieme ad altri curatori. Seguono Gli amori difficili e Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino (1970). Nel 1971 gli viene affidata la direzione della collana einaudiana Centopagine. Nel 1974 escono Le città invisibili, nel 1979 Se una notte d'inverno un viaggiatore e nel 1983 Palomar.[10]
Nel 1985, a coronamento della sua carriera e a dimostrazione del grande interesse che la sua produzione riscuote a livello internazionale, Calvino viene invitato dall'università di Harvard a tenere le prestigiose Norton Lectures, un ciclo di conferenze previste per l'anno accademico 1985-1986. Lo scrittore lavora alacremente al testo delle lezioni, per le quali prevede il titolo complessivo di Six Memos for the Next Millennium. Ne scriverà però solo cinque: il 6 settembre 1985 viene colpito da un ictus mentre si trova in vacanza a Roccamare. Trasportato all'ospedale di Santa Maria della Scala di Siena, muore per un'emorragia cerebrale nella notte tra il 18 e il 19 settembre. Le cinque conferenze scritte nei suoi ultimi giorni saranno pubblicate con il titolo di Lezioni americane.[11]
L'esordio neorealista
[modifica]Nella prima fase della sua produzione, collocabile all'interno del neorealismo, Calvino scrive il romanzo Il sentiero dei nidi di ragno e numerosi racconti riuniti nel volume Ultimo viene il corvo.
Il sentiero dei nidi di ragno (1947) racconta la Resistenza dal punto di vista di Pin, un bambino cresciuto tra i vicoli di Sanremo. Pur avendo vissuto in un ambiente difficile ed essendo quindi già smaliziato, il protagonista mantiene l'ingenuità tipica dell'infanzia. Attraverso i suoi occhi la lotta per la liberazione si ammanta di un clima fiabesco. Diversamente da larga parte della produzione neorealista del periodo, il romanzo è estraneo a intenti documentaristici. La guerra, la vita del sottoproletariato, i rapporti umani e in generale il mondo degli adulti sono per lui lontani, incomprensibili, e assumono un'aura di magia.
Calvino inoltre non propone della Resistenza un'immagine celebrativa. La brigata partigiana a cui Pin si unisce è composta da scarti di altre formazioni, persone emarginate che prendono parte alla guerra civile senza chiare motivazioni ideali. Lo scrittore si inserisce così in una polemica esplosa nei primi anni del secondo dopoguerra, che screditava i partigiani e metteva in dubbio il loro valore. Eppure, scrive Calvino nella Presentazione al romanzo risalente al 1964, anche «in chi si è gettato nella lotta senza un chiaro perché, ha agito un'elementare spinta di riscatto umano», che «li ha fatti diventare forze storiche attive».[12]
Già da questa prima prova, Calvino mostra la sua indipendenza verso un modo di considerare la letteratura come strumento pedagogico o di propaganda ideologica. Un elemento che caratterizzerà anche la sua produzione successiva. Si aprono qui due strade:
- da un lato il realismo, che prosegue nei racconti di Ultimo viene il corvo, in cui affiora il timore che la vittoria dei partigiani possa essere resa vana;
- dall'altro la componente fantastica, che rimane una delle sue principali fonti di ispirazione.
A partire dagli anni cinquanta, su consiglio di Vittorini, Calvino si concentrerà su questa seconda strada.[13]
Il periodo fantastico
[modifica]Calvino da sempre era stato attirato dalla letteratura popolare, con particolare attenzione al mondo delle fiabe. Già nei primi racconti giovanili metteva in scena situazioni di vita popolare abbandonandosi però a toni fiabeschi. È però con Il visconte dimezzato che lo scrittore vira decisamente verso l'invenzione fantastica.[14]
La trilogia I nostri antenati
[modifica]Negli anni cinquanta Calvino si impone all'attenzione della critica con tre brevi romanzi: Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959), riuniti poi nel volume I nostri antenati (1960). Nella sua scrittura, il gusto per l'invenzione fantastica si unisce a un atteggiamento etico, che ha i suoi antecedenti nelle favole morali dell'Illuminismo settecentesco.[14]
Il visconte dimezzato è ambientato nel tardo Cinquecento. Il visconte Medardo di Terralba viene diviso in due metà da una cannonata durante la guerra contro i turchi, alla fine del Seicento. Ne nascono due personalità opposte: il Buono (la parte sinistra) e il Gramo (la parte destra). Ciascuna delle due parti rappresenta un aspetto parziale dell'umanità, destinate alla fine del romanzo a ricomporsi nel corpo del visconte.[15]
Il barone rampante riprende invece il genere del conte philosophique.[16] È la storia del giovane conte Cosimo Piovasco di Rondò che all'età di dodici anni (nel 1767), per sfuggire alle angherie della sorella che lo vorrebbe costringere a mangiare un piatto di corna di lumaca, decide di salire in cima agli alberi per non scendere mai più. Da quella posizione rifiuta le convenzioni della vita sociale, ma riesce comunque a prendere parte alle scoperte e alla sete di conoscenza che caratterizzato il XVIII secolo. Cosimo è un'immagine dell'intellettuale illuminista. La sua scelta di vivere sugli alberi attira la curiosità di viaggiatori di passaggio: Cosimo incontra così personalità del suo tempo e partecipa alla storia, pur mantenendo sempre un distacco ironico.[17]
Nel Cavaliere inesistente Calvino si confronta direttamente con il mondo cavalleresco. Ariosto e l'Orlando furioso rappresentano infatti uno dei suoi autori prediletti, a cui dedicherà anche una serie di trasmissione radiofoniche, da cui trarrà il materiale per il volume L'Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino. Il romanzo è ambientato in età carolingia e racconta di Agilulfo, un cavaliere composto unicamente da forza di volontà, che riesce così a muovere una armatura vuota. È la rappresentazione di una immagine trasparente della razionalità, incapace di confrontarsi con la realtà. L'opera è però anche una continua riflessioni sulla possibilità offerte dalla scrittura e dalla narrativa, di ricostruire il senso della realtà, descrivere le passioni e i sentimenti.[18]
Tutti e tre i romanzi sono accomunati dal tema della possibilità di una conoscenza razionale del mondo. Pur rifacendosi all'Illuminismo, Calvino non ne condivide la fiducia illimitata verso la ragione, ma è conscio di vivere in un mondo mutevole e labirintico. Si pone quindi in equilibrio tra questi due poli: da un lato la fiducia nelle capacità dell'uomo di creare una società migliore, dall'altro il pessimismo di chi è consapevole dei propri limiti.[16]
Marcovaldo
[modifica]Sempre a questa fase appartengono i racconti di Marcovaldo ovvero Le stagioni in città, in due serie: più aderente a strutture fiabesche la prima (1958) mentre la seconda (1963) tratta temi urbani con toni che a volte sfiorano l'assurdo.
Marcovaldo è un manovale che vive in città insieme alla sua numerosa famiglia. Si confronta quindi con la società industriale, tentando di sopravvivere alla realtà urbana. Calvino affronta così, con il tono del comico, un problema di grande attualità per il periodo: l'affermazione dell'industria nella società italiana del secondo dopoguerra. Lo sprovveduto e ingenuo Marcovaldo guarda a questo mondo con distacco, mettendo in atto una critica acuta dei meccanismi del sistema industriale.[16]
La giornata d'uno scrutatore
[modifica]Calvino però non abbandona completamente il filone realista. Escono La speculazione edilizia (1957), in cui parla del boom edilizio, e La nuvola di smog (1958), in cui affronta l'affermazione del sistema industriale e il suo impatto sull'ambiente.
Nel 1963 esce anche La giornata d'uno scrutatore, in cui Calvino narra le vicende dell'intellettuale comunista Amerigo Ormea che, scrutatore all'istituto Cottolengo di Torino, entra in contatto con l'irrazionale ed entra in crisi. La realtà con cui si confronta sfugge ai suoi schemi interpretativi. Confrontandosi con casi di umanità degradata si interroga se la società, organizzata in modo diverso, potrà mai risolvere questo tipo di problema. Accanto a questo dilemma, Amerigo mette in dubbio anche la sua stessa nozione di uomo, inteso come essere razionale e consapevole di sé. Alla fine il protagonista si accorge che la società umana non è solo quella dell'uomo attivo, ma anche quel mondo che raccoglie tutta la miseria della natura.
È possibile vedere anche qui l'atteggiamento non dogmatico tipico di Calvino, che lo porta a confrontarsi con la realtà in tutta la sua problematicità, fuggendo a un facile ottimismo.[16]
Le Fiabe italiane
[modifica]Negli stessi anni Calvino conduce uno studio sulla tradizione fiabesca italiana. Frutto di questo lavoro è la raccolta delle Fiabe italiane, pubblicata da Einaudi nel 1956. Il volume riunisce circa duecento fiabe provenienti dalle diverse tradizioni locali presenti sulla penisola italiana. I testi sono però trascritti in un italiano semplice, che limita gli aspetti dialettali troppo marcati e consente la lettura a un pubblico medio, composto anche da bambini. Le Fiabe italiane hanno grande importanza dal punto di vista documentario, e anticipano l'attenzione alla fiaba che caratterizzerà gli studi di narratologia negli anni successivi.[14]
Il periodo combinatorio
[modifica]Negli anni sessanta, con il trasferimento a Parigi, Calvino aderisce a un nuovo modo di fare letteratura, intesa ora come artificio e come gioco combinatorio. Per lo scrittore è necessario rendere visibile ai lettori la struttura stessa della narrazione, per accrescere il loro grado di consapevolezza. In questa nuova fase produttiva Calvino si avvicina a un tipo di scrittura che potrebbe essere definita combinatoria perché il meccanismo stesso che permette di scrivere assume un ruolo centrale all'interno della produzione. Calvino infatti è convinto che ormai l'universo linguistico abbia soppiantato la realtà e concepisce il romanzo come un meccanismo che gioca artificialmente con le possibili combinazioni delle parole: anche se questo aspetto può essere considerato il più vicino alla Neoavanguardia, egli se ne distanzia per uno stile ed un linguaggio estremamente comprensibili.
Questa nuova concezione di Calvino risente di numerosi influssi: lo strutturalismo e la semiologia, le lezioni parigine di Roland Barthes sull'ars combinatoria, la frequentazione del gruppo di Raymond Queneau (l'OuLiPo), la scrittura labirintica di Jorge Luis Borges e la rilettura del Tristram Shandy di Sterne.
Le Cosmicomiche
[modifica]I nuovi interessi di Calvino trovano espressione nei racconti dei volumi Le Cosmicomiche (1965) e Ti con zero (1967), entrambi riuniti nelle Cosmicomiche vecchie e nuove (1984). Il termine "cosmicomica" rimanda alle comiche cinematografiche, cioè a un comico in movimento che riesce a istituire rapporti nuovi tra le cose.
I racconti partono da ipotesi scientifiche sull'origine e l'evoluzione dell'universo. Tuttavia non si può dire che si tratti di fantascienza: mentre questa descrive mondi futuri e ipotesi sugli sviluppi dell'umanità, l'opera di Calvino guarda più che altro al passato precedente alla comparsa dell'uomo. Il principale narratore è Qfwfq, un personaggio dal nome impronunciabile, che ha attraversato varie ere cosmologiche e quindi può descrivere le fasi dell'evoluzione del cosmo in qualità di testimone diretto. I racconti sono inoltre popolati da personaggi "impossibili", che «rappresentano un fascio di rapporti e di contatti in cui si condensa la memoria di quanto è avvenuto nell'abisso del tempo».[19]
Il Castello dei destini incrociati
[modifica]Già nel 1967, nella conferenza intitolata Cibernetica e Fantasmi, Calvino affronta la riflessione su un'idea di letteratura come pura combinazione formale, ma il primo prodotto di questa nuova concezione della letteratura è Il Castello dei destini incrociati (1969), al quale in seguito verrà aggiunto La Taverna dei destini incrociati (1973), in cui il percorso narrativo è affidato alla combinazione delle carte di un mazzo di tarocchi. Un gruppo di viandanti si incontra in un castello: ognuno avrebbe un'avventura da raccontare ma non può perché ha perduto la parola. Per comunicare allora i viandanti usano le carte dei tarocchi, ricostruendo grazie ad esse le proprie vicissitudini. Qui Calvino usa il mazzo dei tarocchi come un sistema di segni, come un vero e proprio linguaggio: ogni figura impressa sulla carta ha un senso polivalente così come lo ha una parola, il cui esatto significato dipende dal contesto in cui viene pronunciata. L'intento di Calvino è proprio di smascherare i meccanismi che stanno alla base di tutte le narrazioni, creando così un romanzo che va oltre se stesso, in quanto riflessione sulla propria natura e configurazione.
Le città invisibili
[modifica]Questo gioco combinatorio è centrale anche nel successivo romanzo dello scrittore, Le città invisibili (1972), sorta di riscrittura del Milione di Marco Polo in cui è lo stesso mercante veneziano a descrivere a Kublai Khan le città del suo impero. Queste città però non esistono tranne che nell'immaginazione di Marco Polo, vivono solo all'interno delle sue parole. La narrazione quindi per Calvino può creare dei mondi ma non può distruggere l'inferno dei viventi che sta intorno a noi, per combattere il quale, come suggerito nella conclusione del romanzo, non si può far altro se non valorizzare quello che inferno non è.
Ne Le città invisibili l'esibizione dei meccanismi combinatori del racconto diventa ancora più esplicita che nel Castello dei destini incrociati grazie anche alla struttura stessa del romanzo, segmentata in testi brevi che si susseguono dentro una cornice. Le città invisibili infatti è composto da nove capitoli, ognuno all'interno di una cornice in corsivo nella quale avviene il dialogo tra l'imperatore dei Tartari, Kublai Khan, e Marco Polo. All'interno dei capitoli vengono narrate le descrizioni di cinquantacinque città, secondo nuclei tematici. Questa complessa costruzione architettonica è indubbiamente finalizzata alla riflessione da parte del lettore sulle modalità compositive dell'opera: in questo senso Le città invisibili è un romanzo fortemente metatestuale, poiché induce riflessioni sul romanzo stesso e sul funzionamento della narrativa in generale.
Se una notte d'inverno un viaggiatore
[modifica]L'opera più metanarrativa di Calvino, però, è sicuramente Se una notte d'inverno un viaggiatore (1979). In questo romanzo, più che altrove, Calvino mette a nudo i meccanismi della narrazione, avviando una riflessione sulla pratica della scrittura e sui rapporti tra scrittore e lettore.
I dieci inizi di romanzi da cui è composto il libro corrispondono ognuno a un diverso tipo di narrazione. Mediante questo "esercizio di stile" Calvino esemplifica quali sono i modelli e gli stilemi del romanzo moderno (da quello della neoavanguardia a quello neorealistico, da quello esistenziale a quello fantastico surreale). Alla base del racconto c'è dichiaratamente lo schema a incastro delle Mille e una notte, all'interno del quale Calvino colloca i suggerimenti e le sollecitazioni provenienti dal romanzo contemporaneo.
Palomar
[modifica]Tra gli anni settanta e ottanta Calvino avverte la frantumazione del mondo, che si perde in migliaia di particolari tra i quali non è possibile trovare alcun ordine. La sua letteratura si interessa quindi a fatti marginali e a situazioni bizzarre che caratterizzano la vita quotidiana e la cultura. La figura di questo "osservatore dei particolari" prende corpo nel personaggio del signor Palomar, protagonista di vari scritti comparsi a partire dal 1975 su Repubblica e sul Corriere della Sera, e riuniti nel volume Palomar (1983).
Palomar, i cui pensieri sono raccontati in terza persona dal narratore, osserva il mondo con distacco, interrogandosi sui limiti della propria posizione. È quindi una rappresentazione ironica dell'intellettuale: può conoscere la realtà solo situandosi ai suoi margini. Palomar sa che c'è una frattura tra i programmi e le forme concrete della vita. Per questo si rivolge ai caratteri minimi delle cose.[20]
Note
[modifica]- ↑ Romano Luperini, Pietro Cataldi; Lidia Marchiani; Valentina Tinacci, La scrittura e l'interpretazione, Palermo, Palumbo Editore, 2005, p. 736, ISBN 88-8020-557-9.
- ↑ Cronologia in Italo Calvino, Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, 1991, pp. LXIII-LXV.
- ↑ Cronologia in Italo Calvino, Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, 1991, pp. LXV-LXVI.
- ↑ Cronologia in Italo Calvino, Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, 1991, pp. LXVI-LXVII.
- ↑ Cronologia in Italo Calvino, Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, 1991, pp. LXVIII-LXXI.
- ↑ Cronologia in Italo Calvino, Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, 1991, p. LXXI.
- ↑ Cronologia in Italo Calvino, Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, 1991, pp. LXXII-LXXV.
- ↑ Cronologia in Italo Calvino, Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, 1991, pp. LXXVII-LXXIX.
- ↑ Cronologia in Italo Calvino, Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, 1991, pp. LXXIX-LXXX.
- ↑ Cronologia in Italo Calvino, Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, 1991, pp. LXXXI-LXXXIV.
- ↑ Cronologia in Italo Calvino, Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, 1991, p. LXXXV.
- ↑ Italo Calvino, Presentazione, in Il sentiero dei nidi di ragno, Milano, Mondadori, 1993, p. XIII.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Saba, Ungaretti, Montale, Pavese, Gadda, Calvino, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 192.
- ↑ 14,0 14,1 14,2 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 1145.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 1146.
- ↑ 16,0 16,1 16,2 16,3 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Saba, Ungaretti, Montale, Pavese, Gadda, Calvino, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 193. Errore nelle note: Tag
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non valido; il nome "Baldi193" è stato definito più volte con contenuti diversi - ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, pp. 1146-1147.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 1147.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 1149.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 1153.