Ippolito Pindemonte (superiori)
Ippolito Pindemonte è un letterato fine ed equilibrato, aperto alle novità che provengono dalla cultura europea. Nelle sue prime opere manifesta un senso di dolce malinconia nei confronti della natura, e in seguito si interessa ai moti rivoluzionari in Francia, mantenendo però un certo distacco.[1]
La vita
[modifica]Nato a Verona il 13 novembre 1753 da famiglia nobile, studia a Modena e a Verona ricevendo un'educazione di tipo classico. In giovinezza viaggia molto in Italia (Roma, Napoli e la Sicilia), Francia, Germania e Austria. Nel periodo della rivoluzione francese si trova a Parigi con Vittorio Alfieri: pur apprezzando gli ideali rivoluzionari, alle violenze del Terrore contrappone sempre il desiderio di pace nell'abbandono alla contemplazione della natura. Subisce l'influenza del poeta inglese Thomas Gray e dello svizzero Salomon Gessner; la sua poesia è di stampo neoclassico, ma ha anche chiari elementi che si avvicinano alla nuova sensibilità romantica. Ottiene un premio dall'Accademia della Crusca, di cui diventa membro. Si spegne nella città natia il 18 novembre 1828, l'anno successivo alla morte del suo caro amico [[../Ugo Foscolo|Ugo Foscolo]].
Le opere
[modifica]Per l'elenco delle opere di questo autore presenti su Wikisource, vedi Autore:Ippolito Pindemonte
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La sua opera più nota è sicuramente la traduzione dell'Odissea, pubblicata nel 1822,[1] che avrà grandissimo successo e conoscerà numerose edizioni e ristampe. Altri componimenti importanti sono le Poesie campestri (prima edizione del 1788), le Prose campestri (1794), le Epistole (1805) e i Sermoni poetici (1819). È anche autore di diverse tragedie, tra cui l'Arminio (1804), in cui si nota l'influenza della poesia ossianica. Il poemetto I cimiteri è lasciato incompiuto dall'autore alla notizia che il Foscolo sta per dare alle stampe I sepolcri: questi dedicherà il carme proprio a Pindemonte.