Il colonialismo diventa imperialismo (scuola media)

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Il colonialismo diventa imperialismo (scuola media)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Storia per la scuola media 3
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

L'Europa dopo il colonialismo tende a riespandersi[modifica]

Mappa del colonialismo nel 1920:

__ Regno Unito

__ Francia

__ Spagna

__ Portogallo

__ Paesi Bassi

__ Germania

__ Belgio

__ URSS

__ Giappone

__ Cina

__ Danimarca

__ Norvegia

__ USA

__ Italia

La conquista da parte dell'Italia della Libia non è stato un avvenimento casuale ma è inquadrato in un fenomeno: il colonialismo che durante la Seconda rivoluzione industriale riesplose.

Nel 1850-1860 la situazione era:

  • Le colonie inglesi del Nord America erano diventate indipendenti e avevano costituito gli Stati Uniti;
  • Le colonie spagnole e portoghesi dell'America centro-meridionale avevano ottenuto anch'esse l'indipendenza;
  • Le poche colonie rimaste all'Europa in Asia, in Africa o nelle isole dell'America centrale sembravano poco interessanti dal punto di vista economico con la sola eccezione dell'India, saldamente dominata dalla Gran Bretagna.[1]

Però a fine Ottocento e inizio Novecento qualcosa cambiò e lo vedremo nel prossimo paragrafo.

Le cause del colonialismo[modifica]

La ripresa del colonialismo principalmente non fu causata solo dalla riduzione di colonie ma da altre cause che ora vedremo insieme.

Durante questo periodo e cioè quello della Seconda rivoluzione industriale si assisteva a nuove scoperte anche in campo sanitario e igienico (per esempio nuovi vaccini) quindi si riduceva la mortalità e con il benessere che serviva per fare tanti figli contribuivano ad aumentare la popolazione Europea.

Nel corso del secolo, quindi, la popolazione europea era aumentata e, dal 1860, grandi masse di tutte le nazioni, non trovando lavoro in patria cominciarono a prendere la via dell'emigrazione e a inserirsi non solo nelle due Americhe, ma anche in Asia e in Africa. Finanzieri e banchieri, a loro volta, guardandosi attorno per cercare nuovi investimenti, collocarono grandi quantità di denaro nelle miniere e nelle piantagioni di altri continenti; di conseguenza, vollero difendere i loro capitali e sorvegliare da vicino i paesi in cui li avevano impegnati.

A tutto ciò era congiunta una radicata convinzione di una superiorità biologica della propria razza rispetto alle popolazioni di quei paesi che non riuscivano a dare lo slancio alle loro economie, in particolare i popoli africani.

Paesi che recentemente avevano conseguito un solido sviluppo economico, al quale si era aggiunto anche l'elemento di un capitalismo che non era più "industriale" ma "finanziario" (cioè sorretto da prestiti da parte di istituti di credito), ritenevano l'espansione verso territori d'oltremare una buona causa per:

a) impossessarsi dei beni a basso costo;
b) opportunità di investimento dei capitali in territori nei quali era possibile avviare attività ad alto profitto.

Inoltre gli esperti di economia, quindi banchieri e finanzieri, erano preoccupati per la crisi di sovrapproduzione che si era verificata tra il 1873 e il 1895 e nota poi come "Grande depressione"causata che dal fatto che le industrie cioè producevano molto più di quanto il mercato potesse assorbire sotto forma di consumi. L'indice più vistoso della crisi fu la caduta dei prezzi. Era evidente quindi per tutti che la produzione delle industrie era eccessiva rispetto alla capacità di acquisto dei soli Europei.Quindi serviva che i continenti scoperti nei secoli diventassero anch'essi dei mercati in cui vendere le merci.

Oltre a motivazioni economiche, gli europei erano spinti verso altri continenti anche dalla convinzione di avere una responsabilità di esportare la civiltà bianca. Il progresso raggiunto dall'Europa in tutti i campi, tecnologico, sociale, medico doveva esservi esportando anche nei territori molto più arretrati.

Oltre a motivazioni economiche, gli europei erano spinti verso altri continenti anche dalla convinzione di avere una responsabilità di esportare la civiltà bianca. Il progresso raggiunto dall'Europa in tutti i campi, tecnologico, sociale, medico doveva esservi esportando anche nei territori molto più arretrati. Anche i diritti umani erano un campo cui per esempio i britannici puntavano molto ad esportare.

Le motivazioni possono essere divise in:

  • Motivazioni economiche:
    • emigrazione dall'Europa verso gli altri continenti
    • investimenti nelle miniere e nelle piantagioni da parte dei finanzieri
    • crisi di sovrapproduzione nel 1873 in Europa
  • Motivazioni religiose e culturali:
    • la credenza degli Europei di avere una missione: cioè quella di portare la civiltà bianca ritenuta la migliore anche negli altri continenti;
    • Conoscere luoghi inesplorati;
    • Evangelizzazione dei vari popoli al cristianesimo con l'invio di missionari che evangelizzavano le popolazioni native.[1]

Il colonialismo diventa imperialismo[modifica]

Queste motivazioni causarono la creazione di una nuova forma di colonialismo che assunse il nome di politica imperiale da cui deriva il nome di imperialismo.

Questo perché oltre alle cause sopra l'Europa, padroneggiava i mezzi di comunicazione intercontinentali, ma le sue navi avevano bisogno di scali sicuri per approvvigionarsi di carbone durante le sue traversate. Contemporaneamente gli imprenditori volevano allargare i propri mercati e avere serbatoi di materie prime di cui l'Europa era priva, come, per esempio, il petrolio e il caucciù. Le classi dirigenti dell'Ottocento tradussero tutte queste necessità in Imperialismo, cioè in una nuova forma di colonialismo che, per la prima volta, mirò sia al totale sfruttamento economico dei paesi colonizzati sia al loro controllo territoriale. Si concretizzò attraverso:

  • La conquista militare di vaste zone per prenderne il controllo ed assicurare la pace tra le popolazioni locali
  • Il controllo politico delle nuove colonie attraverso funzionari europei
  • Lo sfruttamento economico con lo scopo di commercializzare le materie prime e di rivenderne i prodotti finiti in Europa.[1]

L'imperialismo portò comunque diversi vantaggi ai popoli colonizzati. Una parte di essi ebbe modo di imparare nuove tecnologie a discapito delle loro antiquate tecniche di lavorazione tradizionale. Nelle colonie le leggi diventarono di tipo europeo, seppur con qualche modifica, non c'era sicuramente lo stesso trattamento tra un europeo e un africano o un asiatico.Le colonie venivano sfruttate con le monocolture.[1]

Gli stati europei si spartiscono l'Africa[modifica]

Nell'Ottocento l'Africa a differenza dell'Asia era un continente quasi interamente libero. Quindi quando le nazioni imperialiste vollero conquistare delle colonie si "gettarono" tutte insieme alla conquista dell'Africa.

Per permettere la conquista dell'intero continente sono stati determinanti alcuni elementi:

  • Le malattie che sono state curate e hanno ridotto la mortalità degli occidentali dal 25-50% al 5%,
  • In questi anni si riscontra un aumento del vantaggio tecnologico dell'Occidente nei confronti del continente africano,
  • Esplorazioni: dal 1850 gli stati europei finanziano esplorazioni geografiche ed istituti geografici per acquisire informazioni sulle parti più interne dell'Africa che erano totalmente sconosciute.
  • Giustificazione intellettuale: il mondo intellettuale fornì il pretesto di fornire civilizzazione e conoscenze alle popolazioni africane, che in quanto meno evolute, non erano in grado di accedere autonomamente alla civiltà.[2]

Le cause della spartizione dell'Africa[modifica]

L'Africa nel 1914
L'Africa nel 1914


Tra le cause della spartizione dell'Africa da parte delle nazioni europee troviamo:

  • Il contesto europeo:

L'Europa precedente la corsa alla spartizione dell'Africa è mossa dalla nascita dei nazionalismi e da una prima grande crisi economica del capitalismo (la grande depressione economica del 1873-1895). In questo contesto alcuni storici hanno suggerito come la concentrazione sull'Africa abbia cause politiche, legate alla guerra franco-prussiana ed al conseguente aumento del nazionalismo e revanscismo, che ebbe una valvola di sfogo proprio nel continente africano. La tesi più consolidata tra gli storici è però quella che imputa le cause alla depressione economica, dovuta alla crisi di sovrapproduzione con conseguente impennata delle politiche protezioniste. Una soluzione a questi problemi economici interni al capitalismo occidentale risultò nell'aumentare i mercati a disposizione lanciando campagne coloniali che avrebbero richiesto forti investimenti infrastrutturali nei nuovi paesi occupati.[2]

  • Le richieste di occupazione:

Negli stessi anni si verifica una forte richiesta di intervento degli stati nelle colonie africane. Molti dei commercianti, missionari, imprenditori e militari presenti nelle colonie africane richiesero la presenza degli stati per rispondere ad un disagio ed una difficoltà, data dalla sensazione di "terra di nessuno" che caratterizzava l'Africa. Per stipulare un accordo commerciale, ad esempio, ci si doveva rivolgere alle autorità locali, le quali non operavano e ragionavano secondo i canoni e le leggi occidentali, ma secondo consuetudini locali, provocando difficoltà ed un forte senso di mancanza di tutela.

Da qui la richiesta della presenza degli Stati europei per importare leggi, amministrazioni ed apparati statali occidentali.

  • Interessi strategici:

Fondamentali furono gli interessi strategici implicati nello corsa all'Africa. La conquista di territori ricchi di risorse e soprattutto la necessità di non perdere vantaggi rispetto alle altre nazioni portarono all'innescarsi di una vera e propria corsa per la conquista di territori.

Fatta eccezione per quanto concerne la conquista dell'Egitto da parte britannica, per garantirsi il controllo sul canale di Suez, passaggio essenziale per i collegamenti con la colonia più importante, l'India, gli altri paesi furono mossi soprattutto dalla necessità di non rimanere indietro rispetto alle altre potenze.

Probabile promotore della corsa alla colonizzazione dell'Africa fu Leopoldo II del Belgio: personalmente molto interessato all'Africa e promotore di importanti spedizioni esplorative, intese realizzare nell'attuale Congo una colonia privata e personale, un impero il cui possesso aveva anche importanti risvolti economici nel controllo della raccolta della gomma, attività assai redditizia all'epoca. .

L'occupazione da parte di Leopoldo II del Congo e della fondamentale via commerciale data dall'omonimo fiume, spinse la Francia ad avviare una propria corsa al territorio, avendo importanti interessi presso il fiume Congo e dato che pure stati come il Portogallo e la Germania stavano acquisendo importanti zone in Africa centrale. La Francia incaricò quindi l'esploratore Pietro Savorgnan di Brazzà di raggiungere il Congo e stipulare un trattat nell'attuale territorio del Congo-Brazzaville.

La contesa che si aprì con il Belgio di Leopoldo II per i territori e l'uso del fiume fu appianata nel 1884 da un congresso, la conferenza di Berlino, dopo che Otto von Bismarck si era offerto mediatore e dato che la contesa interessava anche altri stati, tra cui Germania e Stati Uniti d'America.[2]

La conferenza di Berlino[modifica]

Leopoldo II del Belgio, il massimo beneficiario della Conferenza di Berlino: lo Stato Libero del Congo fu assegnato alla sua sfera d'influenza.

La conferenza di Berlino (1884-1885), a cui parteciparono le maggiori potenze europee, fu uno dei tentativi di mediare la situazione in Congo e contestualmente fu l'occasione per regolare la corsa all'Africa.

Tra i punti discussi ci furono:

  • la spartizione del Congo, che venne suddiviso tra Congo francese e Congo belga lungo il fiume Congo;
  • la libera navigabilità dei principali fiumi, essenziali vie commerciali, tra cui il fiume Congo ed il fiume Niger, in favore del libero scambio;
  • una risoluzione contro la schiavitù, che divenne illegale, ma restò in parte inapplicata lungo tutta l'Africa;
  • il principio di effettività, che sancisce il possesso del territorio solo previa ratifica, secondo il principio per cui chi arriva prima può vantarne i diritti;

In particolare è il principio di effettività la molla che accelera la corsa all'Africa: la necessità di giungere per primi in un dato territorio, nonché la necessità della sua occupazione reale per poterne rivendicare il possesso (la ratifica degli altri stati firmatari non è di ostacolo), portò ad una vera corsa nel tentativo di occupare un maggior numero di territori, che vennero poi delimitati dalle parti secondo trattati territoriali basati su confini astratti e fittizi.

Fu impossibile trovare un compromesso tra le rivendicazioni di tutte le potenze. Le dispute relative alla spartizione dell'Africa, ed il conseguente inasprirsi delle relazioni tra le grandi potenze dell'epoca, rientrano tra le cause del primo conflitto mondiale.[3]

Anche Stati Uniti e Giappone alla conquista di colonie[modifica]

La corsa alla conquista delle colonie aveva coinvolto anche un'altra nazione che stava ottenendo enormi successi in campo industriale: gli Stati Uniti.

Essi tra il 1800 e il 1900 incominciarono la conquista e la successiva colonizzazione delle isole situate nell'oceano Atlantico, in particolare di Cuba (precedentemente sotto il dominio spagnuolo) e anche di Panama dove costruirono un canale che collegava oceano Atlantico e Pacifico. Infine occuparono nell'oceano Pacifico le Filippine (già spagnuole), le Hawaii e le Midway.[4]

Dal lato opposto del Pacifico si trovava il Giappone, una potenza rimasta chiusa per secoli all'Occidente e che in pochi anni divenne uno degli stati più industrializzati, e questo ammodernamento e sviluppo economico causò un grande conflitto con la Cina, nel 1894, per avere l'influenza sulla Corea dove alla fine i Giapponesi vinsero sui cinesi. Oltre alle conquiste nel continente asiatico il Giappone si stava espandendo anche nell'oceano Pacifico dove prima o poi si sarebbe trovato contro gli Stati Uniti.[5]

I vantaggi del colonialismo in India[modifica]

Il colonialismo però non ha portato solo conseguenze negative per i Paesi colonizzati, un esempio è l'India colonia Britannica i quali la e consideravano la colonia più preziosa.

Gli inglesi in India a differenza di altre colonie migliorarono le condizioni della popolazione ad esempio costruendo linee elettriche e ferrovie. Inoltre gli Inglesi dopo aver riorganizzato la pubblica amministrazione indiana affidarono l'amministrazione a funzionari indiani e a consigli eletti liberamente.

Questo autogoverno fu essenziale quando l'India passò da colonia a stato indipendente[6]

Note[modifica]

  1. 1,0 1,1 1,2 1,3 W:Imperialismo
  2. 2,0 2,1 2,2 W:Spartizione dell'Africa
  3. W:Conferenza di Berlino (1884)
  4. W:Colonialismo statunitense
  5. W:Impero giapponese
  6. W:Colonialismo