Il Processo del Lavoro

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Il Processo del Lavoro
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Diritto del lavoro
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Si definisce Processo del Lavoro il particolare rito giudiziario che l'ordinamento ha riservato alle controversie in materia di diritto del lavoro. Ai sensi dell'articolo 409 c.p.c. il Rito Speciale del Lavoro si applica alle controversie riguardanti:

  • Il Lavoro Subordinato Privato.
  • Il Lavoro Agricolo.
  • I Rapporti di Agenzia e Rappresentanza e i Rapporti CO.CO.CO. e CO.CO.PRO. (finché esistenti).
  • I Rapporti dei Dipendenti da Enti Pubblici Economici.
  • I Rapporti di Pubblico Impiego.

La Giurisprudenza ha allargato la competenza a non solo le cause relative alla nascita, modificazione ed estinzione del rapporto di lavoro ma anche a tutte quelle relative comunque in dipendenza del rapporto di lavoro sempre che sia una dipendenza diretta e non meramente occasionale.

Storia del Processo del Lavoro[modifica]

L'ordinamento italiano ha da sempre attuato un regime processuale diverso per le controversie di lavoro. Già nel 1893 con legge n. 295 fu istituito "un collegio di probiviri" che servivano a risolvere le controversie tra datori di lavoro delle imprese industriali e lavoratori. Nel 1926 con legge n. 563 fu istituita la Magistratura del Lavoro che si occupava delle controversie sui contratti collettivi di lavoro decidendo sia sull'applicazione sia sulle richieste di nuove condizioni di lavoro. Nel 1928 con regio decreto n. 471 la competenza fu allargata anche alle controversie individuali. Un punto di recesso fu però nel 1942 con il codice processuale ancora vigente che pur prevedendo un rito speciale del lavoro ugualmente lo regolava come un processo comune e quindi con le relative lungaggini. La netta divergenza con il regime di favore che la Costituzione creava per il lavoratore e per le sue tutele fu colmato nel 1966 con la legge 604 che introdusse una competenza dei pretori in materia di licenziamenti individuali. Nel 1970 con la legge 300 (cioè lo Statuto dei Lavoratori) fu dato ai pretori anche la competenza per la tutela degli interessi collettivi e nello stesso tempo i giudici ritenevano possibile anche l'applicazione dell'art. 700 c.p.c. in materia di tutela di crediti dei lavoratori in via d'urgenza. Solo nel 1973 con legge n. 533 (che sostituisce il Titolo IV del Libro II del Codice di Procedura Civile) si è tornati ad una disciplina peculiare per le vertenze di lavoro per assicurare una maggiore e più rapida tutela del lavoratore. Le riforme hanno giunto il loro apice nel 1998 con tre decreti legislativi (n. 51, 80 e 387) che hanno, rispettivamente, soppresso l'ufficio del pretore trasferendo le competenza al Tribunale in composizione monocratica in funzione di giudice del lavoro, riformato la disciplina della conciliazione e compiuto alcune integrazioni al codice di procedura civile.

I Caratteri del Processo del Lavoro[modifica]

Con la Legge 533/1973 si è introdotto un procedimento processuale per le controversie in materia di lavoro ispirato a Criteri di Snellezza e Semplicità oltre che al poco costo e soprattutto alla maggior brevità rispetto al processo ordinario. La brevità è stata raggiunta attraverso la previsione di un Sistema di Preclusioni in base al quale sia il ricorrente che il convenuto devono in modo preciso esporre le proprie posizioni e indicare mezzi di prova e documenti nei propri atti giudiziari. Caratteri di questo processo sono:

  • Oralità: Infatti solo gli atti introduttivi vanno redatti per iscritto.
  • Immediatezza: Infatti fra deposito del ricorso e udienza di discussione non possono trascorrere più di 60 giorni e sono vietate anche le udienze di mero rinvio e ecc.).
  • Concentrazione degli Atti Processuali.
  • Ampi Poteri Istruttori del Giudice: Rispetto al Giudice del Processo Ordinario.

Il Giudice Unico nel Processo del Lavoro[modifica]

A seguito della già citata Riforma del 1998 (D.Lgs. n. 51) è stata soppressa la figura del Pretore ed è stato istituito il Giudice Unico di Primo Grado, cioè il Tribunale del Lavoro, che ha assommato in se le competenze che prima erano divise tra Tribunale (organo prevalentemente a decisione collegiale) e la Pretura (organo monocratico) che polverizzava la rete giudiziaria ed era poco efficiente e funzionale. Il primo grado, quindi, oggi è costituito dal Tribunale in veste di giudice del lavoro (art. 413 c.p.c.). L'appello invece è davanti alla Corte d'Appello territorialmente competente in funzione di giudice del lavoro (art. 433 c.p.c.). Il Tribunale, come detto, è un organo monocratico. Esso ha competenza per territorio. Tale competenza è inderogabile ed è determinata dal luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro (cioè dove è stato stipulato il contratto di lavoro) ovvero il luogo dove si trova l'azienda o sua dipendenza, alla quale era assegnato il lavoratore o vi lavorava alla fine del rapporto. Tale competenza rimane per sei mesi dalla cessazione o trasferimento dell'azienda.

Il Procedimento[modifica]

La Conciliazione Extragiudiziale Obbligatoria[modifica]

Il D.Lgs. n. 80/1998, oltre a riformare il Lavoro Pubblico, ha anche apportato modifiche alla materia della Conciliazione cercando di deflazionare i carichi di lavoro degli organi giudicanti. Precedentemente la Conciliazione (ai sensi dell'art. 410 c.p.c.) era Facoltativa e non precludeva l'inizio del processo. Oggi invece ai sensi del nuovo articolo 410 c.p.c. il Tentativo di Conciliazione Extragiudiziale è Obbligatorio ed esso Condizione la Procedibilità della domanda giudiziale e il giudice deve sospendere il giudizio fissando alle parti un termine perentorio per proporre il tentativo (art. 412bis c.p.c.). Pertanto oggi bisogna prima per forza proporre tentativo di conciliazione prima di proporre una domanda in giudizio. Si dovrà pertanto o:

  • Avvalersi delle Procedure Conciliative previste dai Contratti e Accordi Collettivi (Conciliazione Sindacale).
  • Si avvale, anche tramite i Sindacati, alla apposita Commissione di Conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro (Conciliazione Amministrativa).

La Commissione adita convoca le parti e cerca di trovare una mediazione. La Comunicazione di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende per la durata della stessa e 20 giorni dopo la fine il termine di decadenza. La Conciliazione, in qualsiasi sede, va conclusa n 60 giorni dalla richiesta. Se tale termine è trascorso inutilmente si considera espletato comunque il tentativo di conciliazione (art. 410bis c.p.c.) alla fine della procedibilità della domanda. Se invece esso riesce viene redatto il processo verbale e viene depositato presso il Tribunale territoriale competente. Il Giudice, su istanza di parte, accertata la regolarità formale, ne dichiara l'esecutività con decreto (art. 411 c.p.c.). Se non riesce si forma processo verbale con l'indicazione delle ragioni del mancato accordo. Le parti possono anche inserire la soluzione parziale su cui vanno d'accordo e precisare, quando è possibile, l'ammontare del credito che spetta al lavoratore. In questo ultimo caso esso assume valore di titolo esecutivo se si osservano le disposizioni di cui all'articolo 411 c.p.c. (art. 412 c.p.c.).

Fase Introduttiva del Giudizio[modifica]

La domanda si propone con Ricorso (art. 414 c.p.c.) q cui vanno allegati i documenti che si vogliono produrre. Il Ricorso deve contenere:

  • L'Indicazione del Giudice e delle Parti.
  • L'Esposizione dei Fatti e degli Elementi di Diritto su cui si fonda la Domanda.
  • La Determinazione dell'Oggetto.
  • L'Indicazione dei Mezzi di Prova e i Documenti che si offrono in Comunicazione e che vanno Depositati in Cancelleria.

Salvo casi eccezionali previsti dall'art. 420 c.p.c., non è possibile produrre documenti, ne nuove domande ed eccezioni nel corso del processo. Depositato il Ricorso in Cancelleria entro ciqnue giorni il giudice fissa l'udienza di discussione (che deve cadere entro 60 giorni dal deposito del ricorso) con decreto che va notificato dall'attore al convenuto. La notifica va fatta entro dieci giorni dall'emissione del decreto (Termine Ordinario) e comunque a non meno di trenta giorni dalla prima udienza (Termine Perentorio) sotto pena di improcedibilità della domanda. Il Convenuto, a pena di decadenza dalle eccezioni processuali e di merito, deve presentarsi entro dieci giorni dalla prima udienza. Il Convenuto si costituisce con una Memoria Difensiva in cui deve prendere posizione sui fatti attestati dall'attore e non solo una generica contestazione. Se il giudice rivela che non c'è stata la conciliazione o che il ricorso è stato presentato prima dei 60 giorni previsti per lo stesso sospende il giudizio fissando alle parti il termine di 60 giorni per promuovere il tentativo di conciliazione (art. 412bis commi 2-4, c.p.c.).

Fase Istruttoria e Dibattimentale del Giudizio (artt. 420-425 c.p.c.)[modifica]

L'Udienza di Discussione è il primo luogo di contatto tra le parti e il giudice. Le parti devono comparire personalmente al fine di rendere possibile al giudice di interrogarle e di esperire un tentativo di conciliazione (art. 420 c.p.c.). Il giudice è obbligato ad esperire questo tentativo di conciliazione giudiziale. Se il giudice non riesce nella mediazione e comunque ritiene maturi i tempi per la decisione può invitare le parti alla discussione e emettere sentenza della cui sentenza, anche se non definitiva, ne va letto in udienza il dispositivo (sotto pena di nullità del giudizio). Se il ricorso si presenta incompleto e non permette una piena cognizione della questione il giudice può dichiarare la nullità del ricorso per vizio formale con la conseguenza che però non essendoci decisione nel merito esso potrà sempre essere riproposto. Altrimenti il giudice puo disporre l'istruzione della causa durante la quale ha i più ampi poteri (art. 421 c.p.c.) anche oltre i limiti del processo civile. Egli può:

  • Indicare alle parti gli atti e i documenti irregolari e invitare a sanarli in qualsiasi momento assegnando un termine per provvedere.
  • Disporre in ogni momento l'ammissione di nuovi mezzi di prova, anche fuori dai limiti del codice civile, eccetto il giuramento decisorio.
  • Disporre, se necessario, su istanza di parte, l'accesso al luogo di lavoro.
  • Disporre la comparizione di persone per testimoniare interrogandole liberamente sulla causa.
  • Convocare rappresentanti sindacali per chiedere informazioni scritte ed orali sulle norme dei contratti collettivi.

Il giudice può ordinare (art. 423 c.p.c.), con ordinanza che ha valore di Titolo Esecutivo, in ogni stato e grado il pagamento delle somme non contestate o a titolo provvisorio delle somme su cui è raggiunta prova. Questi ampi poteri comunque non eliminano i criteri fondamentali del nostro sistema processuale e cioè quelli della Domanda ("ne procedat iudex ex officio"), del Contraddittorio ("audietur et altera pars") e di Legalità (art. 113 c.p.c.).

La Sentenza e l'Esecuzione[modifica]

Quando il giudice ritiene conclusa l'istruttoria definisce il giudizio leggendo in udienza il dispositivo della sentenza, salvo redigere in seguito le motivazioni. Le sentenza di condanna al pagamento del datore di lavoro sono provvisoriamente esecutive (art. 421 c.p.c.). L'esecuzione infatti può essere esercitata dal lavoratore sulla base del solo dispositivo in attesa del deposito della sentenza. La legge 353/1990 ha introdotto la provvisoria esecutorietà anche a favore del datore di lavoro. Essa ha carattere automatico e quindi il giudice non può rifiutarla neppure per i motivi che avrebbero giustificato il diniego in casi ordinari di concessione obbligatoria di esecutività. Nella sentenza di condanna a pagamento in denaro oltre che gli interessi di legge (art. 1284 c.c.) il giudice deve computare anche il maggior danno da svalutazione monetaria, con decorrenza dalla maturazione del diritto. Tale calcolo va fatto però esclusivamente sulla base degli indici ISTAT come previsto dall'art. 150, disp. att., c.p.c.. La Corte Costituzionale ha confermato la legittimità dell'articolo 429 c.p.c. laddove si prevede la rivalutazione della somma capitale del Credito di Lavoro con gli Interessi Legali (cfr. C. Cost. 2-6-1994, n. 207).

La Fase dell'Impugnazione[modifica]

Con la Riforma del 1998 a partire dal 2 Giugno 1999 l'appello per le controversie in materia di lavoro va proposto davanti alla Corte d'Appello territorialmente competente (art. 433 c.p.c.). Di norma si rispettano le medesime regole del giudizio di primo grado. Tute le attività vanno svolte davanti al collegio e viene abolita la funzione del giudice istruttore. Anche in appello non è ammessa la mutatio libelli (art. 437 c.p.c.) cioè la proposizione di nuove domande od eccezioni. Non sono ammessi neppure nuovi mezzi di prova salvo che il Collegio non li ritenga fondamentali per la decisione della causa. La Cassazione ha però limitato l'impossibilità di proposizione di nuove prove solo alle prove che vengono per la prima volta presentate in giudizio non a quelle che vanno ad integrare eventuali prove già proposte nel primo grado e non necessitano di nuova istruttoria. Le sentenze emesse in grado di appello possono essere impugnate in Cassazione nei limiti dei principi generali.

La Clausola Compromissoria e l'Arbitrato Irrituale[modifica]

La normativa prevede altre due forme di Risoluzione delle Controversie individuali di lavoro.

L'Arbitrato Rituale[modifica]

L'Arbitrato è l'istituto attraverso il quale le parti raggiungono la Risoluzione della Controversia attraverso il deferimento ad un Terzo del Potere di Decidere su essa attraverso un Compromesso (art. 806 c.p.c.). Tale Compromesso è stabilito da una Clausola Compromissoria (art. 808 c.p.c.) inserita nel Contratto con la quale le Parti stabiliscono chi saranno gli arbitri a decidere di eventuali controversie insorte tra di esse. L'Arbitrato Rituale si presenta come una vera e propria attività giurisdizionale che conduce alla formazione di un atto (Lodo) che acquista autorità con il Decreto di Omologazione del Tribunale. Se il Tribunale nega l'Esecutorietà tale decreto può essere impugnato presso il medesimo Tribunale in composizione collegiale. Il Collegio decide, sentite le parti, in Camera di Consiglio con ordinanza non impugnabile (art. 825 c.p.c.). L'art. 4 della legge 533/73 ha modificato l'art. 808 c.p.c. prevedendno la possibilità di inserire la clausola compromissoria nei contratti collettivi ad alcune condizioni:

  • Deve essere Facoltativa.
  • Deve essere Ammessa la Facoltà di Adire comunque il Giudice.
  • È Esclusa la Pronunica secondo Equità.
  • È Esclusa la Non Impugnabilità del Lodo.

L'Arbitrato Irrituale[modifica]

L'art. 5 della legge 533/73 prevede che nelle controversie riguardanti i rapporti di cui all'art. 409 c.p.c. l'arbitrato irrituale è ammesso solo nei casi previsti da legge o dai contratti e accordi collettivi. E ciò deve avvenire senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria. Quindi l'unica ipotesi di Arbitrato Irrituale ammissibile, oltre quelli previsti da legge, è quella prevista dai Contratti Collettivi. Ai sensi dell'art. 412ter c.p.c. (introdotto con la Riforma del 1998) se la conciliazione non riesce o comunque è decorso il termine previsto, le parti possono concordare di deferire ad arbitri la risoluzione delle controversia, anche tramite l'organizzazione sindacale alla quale aderiscono o abbiamo conferito mandato, se i Contratti o Accordi Collettivi Nazionali di Lavoro prevedono tale facoltà e stabiliscono:

  • Le Modalità della Richiesta di Devoluzione della Controversia al Collegio Arbitrale e il termine entro il quale l'altra parte può aderire.
  • La Composizione del Collegio Arbitrale e la Procedura per la Nomina del presidente e dei Componenti.
  • Le Forme e i Modi di Espletamento dell'eventuale Istruttoria.
  • Il Termine entro il quale il Collegio deve emettere il Lodo, dandone comunicazione alle parti interessate.
  • I Criteri per la Liquidazione dei Compensi agli Arbitri.

I Contratti e Accordi Collettivi possono, inoltre, prevedere anche l'istituzione di Collegi e Camere Arbitrali stabili, composti e distribuiti sul territorio nazionale secondo criteri stabiliti in sede di Contrattazione Nazionale. Ai sensi dell'art. 412quater c.p.c. (introdotto nel 1998) sulle controversie aventi ad oggetto la Validità del Lodo Arbitrale decide in unico grado il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, della circoscrizione in cui è la sede dell'arbitrato. Il ricorso deve essere depositato entro trenta giorni dalla Notifica del Lodo. Trascorso il termine senza deposito, oppure se le parti hanno dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale ovvero il ricorso è stato respinto dal Tribunale, il Lodo è depositato nella Cancelleria del Tribunale nella cui Circoscrizione ha sede l'arbitrato. Il Giudice accerta su istanza della parte interessata la regolarità formale del Lodo Arbitrale e lo dichiara Esecutivo con Decreto.

Il Procedimento ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori[modifica]

L'art. 28 della Legge 300/1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori) ha previsto la Repressione della Condotta Antisindacale posta in essere dal datore di lavoro e ha concesso alle organizzazioni sindacali di tutelare giurisdizionalmente gli Interessi Collettivi violati da tale comportamento. La portata definitoria è amplissima ("qualsiasi comportamento diretto ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale nonché del diritto di sciopero") quindi possono rietrare tutti i comportamenti volti a limitare o mortificare l'attività sindacale. Il procedimento è semplice. Sono legittimati ad agire gli Organismi Locali delle Associazioni Nazionali che vi abbiano interesse (cioè Organizzazioni di Categoria Territoriali ed i Sindacati Orizzontali Regionali) con la esclusione degli Organismi Sindacali Nazionali e delle Rappresentanza Sindacali Aziendali. Competente è il Tribunale del luogo in cui si è avuto il comportamento antisindacale. L'Oggetto della Tutela è il libero esercizio dei diritti sindacali da parte di tutti e non solo dei rappresentanti sindacali. Dopo il ricorso il giudice entro due giorni successivi convoca le parti ed assunte sommarie informazioni se ritiene sussistente il comportamento ordina, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti dello stesso. Contro il decreto si può proporre ricorso delle parti entro 15 giorni dalla comunicazione, davanti alo stesso Tribunale in funzione di giudice del lavoro. Questa seconda eventuale fase non fa cessare gli effetti del decreto che può essere revocato solo al termine del giudizio del Tribunale. Il datore di lavoro se non ottempera al decreto o alla successiva sentenza è punito ai sensi dell'art. 650 c.p. con l'arresto fino a 3 mesi o con l'ammenda fino a 206 euro e la sentenza penale è soggetta a pubblicazione ai sensi dell'art. 36 c.p.. Nei Rapporti di Lavoro con le Pubbliche Amministrazioni l'applicabilità dall'articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori è stato estesa solo nel 1990 con legge n. 146. In tale ipotesi il comma 6 dell'art. 28 prevede che l'azione deve essere proposta con ricorso davanti al Tribunale competente per territorio. Il comma 7 però prevede che se il comportamento è lesivo anche di situazioni soggettivi (Diritti o Interessi Legittimi) inerenti al rapporto di impiego e l'organizzazione sindacale intendesse ottenere la rimozione del provvedimento lesivo, la competenza a pronunciarsi è del TAR (che provvede in via d'urgenza). Tale disposizione era coerente con la divisione di competenze tra giurisdizione ordinaria e amministrativa che riservava solo alla seconda il Potere di Rimuovere gli Atti Amministrativi Illegittimi. Di fronte a Comportamenti Plurioffensivi della Pubblica Amministrazione (di Diritti Sindacali e del Singolo Pubblico Impiegato), l'azione (per chiedere la declaratoria di illegittimità del comportamento e la sua cessazione)poteva essere proposta pur sempre innanzi al Pretore con il limite dell'inammissibilità per l'associazione sindacale che richiedeva la rimozione del provvedimento attinente al rapporto pubblico (ad esempio un Trasferimento). Tale domanda doveva essere proposta per forza innanzi al TAR. La situazione è cambiata con D.Lgs. 29/93 (confluito poi nel D.Lgs. 165/2001 e da questo abrogato) e poi con D.Lgs. 80/98 che ha sancito il venir meno della Giurisdizione Esclusiva del Giudice Amministrativo nei Rapporti d'Impiego sottoposti alla Riforma. L'art. 63 del D.Lgs. 165/2001 (ex art. 68 D.Lgs. 29/93) nel devolvere al Giudice Ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relativa ai rapporti di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione (salvo determinate eccezioni) fa menzione al comma 5, delle ontroversie relative ai Comportamenti Antisindacali della Pubblica Amministrazione ai sensi dell'art. 28 legge 300/70 nonché le controversie, promosse da Organizzazioni Sindacali, dall'ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) o dalla Pubblica Amministrazione relative alle procedure di Contrattazione Collettiva. La conseguenza è che, dall'entrata in vigore della Riforma, sono attratti nella competenza del Tribunale anche i Ricorsi per comportamenti Plurioffensivi della Pubblica Amministrazione ancorché rivolti alla Rimozione dei loro effetti lesivi. Peraltro è da segnalare che l'art. 4 della L. 11-4-2000, n. 83, recante modifiche e integrazioni alla L. 146/90, ha espressamente abrogato i commi 6 e 7 dell'art. 28 L. 300/70. Resteranno, invece, ancora devoluti al Giudice Amministrativo gli stessi tipi di ricorsi ma pertinenti a materie o a categorie espressamente escluse dalla competenza del Tribunale in funzione di giudice del lavoro per dettato di norma (art. 63 D.Lgs. 165/2001).

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