I Promessi Sposi - Capitoli XX-XXX - La Svolta (superiori)

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I Promessi Sposi - Capitoli XX-XXX - La Svolta (superiori)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Italiano per le superiori 2
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

Di Seguito è Disponibile le Letture e i Riassunti del Capitolo XX, XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXV, XXVI, XXVII, XXVIII, XXIX e XXX de "I Promessi Sposi", la Scheda dei Personaggi de "L'Innominato" e Approfondimenti su "Confronto tra Don Rodrigo e l'Innominato".

Letture[modifica]

Per le Letture dei Capitoli, i Testi Sono Disponibili Qui:

Riassunti[modifica]

Capitolo XX[modifica]

Il ventesimo capitolo è il capitolo centrale del romanzo.

Viene introdotta la figura dell'Innominato, uno dei personaggi principali e centrali del romanzo, che non per niente compare in scena proprio a metà del romanzo (capitoli 19 e 20). Se il Manzoni presenta molti dei suoi personaggi anche tramite la narrazione della loro vita (come nel caso di don Abbondio, della monaca di Monza o anche dell'Innominato stesso) la figura dell'Innominato è l'unica ad essere fin dal principio proiettata nel futuro. La sua è quindi una personalità fin dal principio in una fase di crisi, di mutamento; mutamento che sarà poi decisivo per lo scioglimento delle vicende.

In primo luogo egli si trova di fronte ad una nuova inquietudine, quasi un "rimorso" nei confronti delle sue scelleratezze. Sono i primi segnali del suo mutamento, che però trova ancora molti ostacoli nell'animo dell'Innominato: non si sente pentito, ma solo "indispettito"; non prova rimorso, ma solo "una cert'uggia", non ha una coscienza, ma solo una "memoria".

La sua crisi è scandita soprattutto però dall'avanzare della sua vecchiaia e dall'avvicinarsi della morte. Essa è per l'Innominato un avversario nuovo, che non è possibile sconfiggere con le armi tradizionali, al quale neanche lui può tenere a testa.
Egli sente inoltre il peso delle azioni commesse durante la vita in relazione ad un nuovo senso religioso, mai percepito prima, che viene codificato dall'idea cristiana di Dio:

«Quel Dio di cui aveva sentito parlare [...], gli pareva sentirlo gridar dentro di sé: Io sono però»

(capitolo 20)

L'idea della presenza di Dio si fa quindi strada nella mente dell'Innominato che la collega inevitabilmente anche all'idea di un giudizio dopo la morte:

«ora gli rinasceva ogni tanto nell'animo l'idea confusa, ma terribile, d'un giudizio universale»

(capitolo 20)

A fronte a questo "inesorabile" cambiamento l'Innominato tenta di contrapporre una nuova risolutezza nelle decisioni (come nell'impartire gli ordini al Nibbio).

Capitoli XXI-XXIV =[modifica]

Don Rodrigo chiede aiuto all'Innominato, potentissimo e sanguinario signore, che però da qualche tempo riflette sulle proprie responsabilità, sulle vessazioni di cui si è reso autore o complice per attestare la propria autorità sui signorotti e al di là della legge, oltre che sul senso della propria vita. Costui fa rapire Lucia dal Nibbio – con l'aiuto di Egidio e la complicità di Gertrude – e Lucia viene portata al castello dell'Innominato. Lucia, terrorizzata, supplica l'Innominato di lasciarla libera e lo esorta a redimersi dicendo che «Dio perdona molte cose per un atto di misericordia». La notte che segue è per Lucia e per l'Innominato molto intensa. La prima fa un voto di castità alla Madonna perché la salvi e quindi rinuncia al suo amore per Renzo. Il secondo trascorre una notte orribile, piena di rimorsi e sta per uccidersi quando scopre, quasi per volere divino (le campane suonano a festa in tutta la vallata), che il cardinale Federigo Borromeo è in visita pastorale nel paese. Spinto dall'inquietudine che lo tormenta, la mattina si presenta in canonica per parlare con il cardinale. Il colloquio, giungendo al culmine di una tormentata crisi di coscienza che egli maturava da tempo, sconvolge l'Innominato, che si converte impegnandosi a cambiare vita e per prima cosa libera Lucia.

Il colloquio tra il cardinale Federigo Borromeo e Don Abbondio

capitoli XXV-XXX =[modifica]

Intanto il cardinale, dopo aver provveduto ad ospitare Lucia presso due aristocratici milanesi, don Ferrante e donna Prassede, rimprovera duramente don Abbondio per non aver celebrato il matrimonio. I capitoli successivi alternano digressioni storiche e le vicende dei vari protagonisti: da un lato la discesa in Italia dei Lanzichenecchi, mercenari tedeschi che combattono nella guerra di successione al Ducato di Mantova, i quali mettono a sacco il paese di Renzo e Lucia e diffondono il morbo della peste. Agnese, rimasta nel suo paese natio, Perpetua e don Abbondio si rifugiano presso l'Innominato, il quale ha aperto il suo castello ai contadini in fuga dalle soldataglie alemanne. D'altro canto, il Manzoni si sofferma nel narrare della permanenza di Lucia presso il palazzo milanese di don Ferrante e donna Prassede: il primo, simbolo della decadenza culturale barocca, tutto preso dai suoi studi astrusi; la seconda, invece, caratterizzata da una forte volontà e da uno spirito dominatore, è intenta a far dimenticare Lucia di Renzo, sulla base anche delle accuse che le autorità milanesi hanno lanciato contro di lui per la responsabilità nei tumulti di san Martino.

I Personaggi[modifica]

L'Innominato[modifica]

L'Innominato

L'Innominato è una delle figure psicologicamente più complesse e interessanti del romanzo. Personaggio storicamente esistito nel quale l'autore fa svolgere un dramma spirituale che affonda le sue radici nei meandri dell'animo umano.

L'Innominato, figura malvagia la cui malvagità più che ripugnanza forse incute rispetto, è il potente cui Don Rodrigo si rivolge per attuare il piano di rapire Lucia Mondella. In preda a una profonda crisi spirituale, l'Innominato scorge nell'incontro con Lucia un segno, una luce che lo porta alla conversione; solo in un animo simile, incapace di vie di mezzo, una crisi interiore può portare a una trasformazione integrale.

Durante la famosa notte in cui Lucia è prigioniera nel castello, la disperazione dell'Innominato giunge al culmine, tanto da farlo pensare al suicidio, ma ecco che il pensiero di Dio e le parole di Lucia lo salvano e gli mostrano la via della misericordia e del perdono. La sua conversione giunge dopo la notte angosciosa, infatti quel giorno giunse nel suo paese il cardinale Federigo Borromeo, personaggio storico. La scelta di Manzoni del personaggio per attuare la conversione non è certamente casuale, infatti solo un uomo di una bontà somma come il cardinale poteva redimere l'Innominato. Questi due personaggi si possono assumere per certi aspetti come opposti. Dopo la conversione l'Innominato cambia completamente e coglie al volo l'occasione per fare del bene in maniera proporzionata al male che fece.

Approfondimenti[modifica]

Confronto tra Don Rodrigo e l'Innominato[modifica]

Confronto fra il Palazzotto di Don Rodrigo ed il Castello dell'Innominato[modifica]

Basta solo come il Manzoni descrive le due magioni per farci capire quanto siano diverse: sebbene siano entrambi in posizioni sopraelevate, il castello dell’Innominato si trova in una valle uggiosa, circondata da gole e rupi, completamente isolata dal resto del mondo. Don Rodrigo dimostra il suo potere mettendo la propria casa più in alto di quelle dei suoi servitori, l’Innominato proibendo a chiunque di vivere dove vive lui, a meno che non sia sotto sua richiesta, e quindi sotto al suo tetto.

Don Rodrigo vuole dimostrare di essere il signore assoluto del paesello circondandosi di contadini a lui fedeli, rendendo il suo castello il centro di un piccolo impero, facendolo apparire come una rocca in mezzo ai flutti rispetto alle case che tentano di risalire la collina. La rocca dell’Innominato appare come l’unico edificio nel raggio di chilometri, circondato dal nulla. Don Rodrigo tiene due bravi fuori dalla porta, a far compagnia a due loro simili, degli avvoltoi appesi alla porta; i bravi sono smaniosi di entrare, di mangiare, di far baldoria, perché si sentono sicuri sotto la protezione del loro capo. I bravi dell’Innominato non abbassano mai la guardia, restano attenti, controllano le zone anche lontane dal castello, per avere tutto il tempo di reagire nel caso degli indesiderati superassero il primo controllo.

La principale differenza fra le due abitazioni-fortezze, i due padroni e il loro modo di pensare, è essenzialmente che Don Rodrigo cerca di ostentare il suo potere, di farlo vedere alla gente che passa vicino alle sue terre o le attraversa. Questo dipende dal fatto che il signorotto tiene in gran conto l’altrui opinione, mentre l’Innominato sa di avere molto potere, e preferisce che i visitatori lo capiscano da soli, senza particolari indizi; l’unico elemento che un po’ appare sono gli stanzoni lunghi, bui, che contribuiscono perfettamente a creare l’atmosfera tetra che le dicerie e le leggende hanno creato attorno a questo strano personaggio.