Contrattualistica/Analisi storica, sociologica e giuridica del contratto
L'analisi storica del contratto è imperniata sull'evoluzione del dogma della volontà, che sta al vertice dei principi generali dell'atto di autonomia privata.
Nel diritto romano, il termine contractus indicava non già un accordo ma il vincolo obbligatorio in sé oggettivamente considerato. La figura corrispondente all'odierno contratto, quella che dà rilievo all'elemento soggettivo del consenso, nasce in epoca post-classica e si chiama pactum o conventio.
Nel diritto intermedio si continua ad affermare il tradizionale principio ex nudo pacto actio non nascitur: dal patto, non accompagnato dall'osservanza di particolari formalità (datio, scrittura, cerimonie rituali, ecc.) non nasce alcuna azione, e quindi resta un evento privo di tutela giuridica.
Fu la dottrina illuministica che affermò il principio solus consensus obligat, in quanto si tendeva a liberare i rapporti commerciali dal peso delle forme solenni di romanistica tradizione.
Il diritto romano e la dottrina giusnaturalistica sono il punto di partenza e il punto di arrivo dell'evoluzione della figura del contratto: quello che non si conosce sono gli estremi del procedimento di astrazione che ha portato all'abbandono del principio formalistico e all'accoglimento del principio consensualistico.
Il contratto, come manifestazione di libera autonomia privata, fino alla metà del secolo XIX era dunque ritenuto impenetrabile ad ogni forma di controllo esterno, anche giudiziale, essendo inteso come affare eminentemente privato dei contraenti e non essendo finalizzato a realizzare fini di giustizia sostanziale ma solo ad attuare la volontà dei contraenti.
L'autoregolamento dei privati era infatti ritenuto da solo idoneo a dar vita a dei precetti, e la sua impegnatività era ritenuta derivare dal potere individuale di fissare regole comportamentali e relative conseguenze. Il giudice dunque non poteva intervenire dall'esterno, né per incidere sull'assetto di interessi stabilito dalle parti, né per negare efficacia alle clausole lesive dei principi generali di giustizia sociale.
La teoria del dogma della volontà è di origine marxista e -benché molto complessa- si può sintetizzare in un semplice sillogismo: poiché il diritto è identificato come una sovrastruttura giuridica, tutto resta affidato alla volontà delle parti, e la libertà negoziale è vista come strumento per l'affermazione di interessi capitalistici che comportano iniquità negli scambi.
Tale concezione ha ispirato le legislazioni europee, tra cui quella italiana, fino agli inizi degli anni '70, quando (insieme alle prime avvisaglie di globalizzazione) si è cominciata a diffondere l'idea dell'uguaglianza economica oltre che sociale degli individui, e il concetto di equità nei rapporti privati.
Un saggio di Morton J. Horwitz (The historical foundation of modern contract, Harvard, 1974) illustra i fondamenti storici della moderna disciplina del contratto, dimostrando (attraverso una ampia rassegna giurisprudenziale anglo-americana e francese) come dal secolo XIX ad oggi la teoria del dogma della volontà abbia influenzato la teorica contrattuale, da un lato rendendo il contratto impermeabile ad ogni controllo esterno, e dall'altro proteggendo gli interessi dele classi industriali e mercantili attraverso criteri di distribuzione del rischio vantaggiosi solo per la parte più forte.
Analisi sociologica del contratto
[modifica]L'analisi sociologica fa perno sull'ideologia liberista, che pone due questioni:
- l'effettività del principio di equilibrio delle forze contrattuali
- la determinazione dei limiti alla libertà negoziale
Nell'ideologia liberista, il contratto è il mezzo per il conseguimento di finalità individuali, cioè la circolazione della ricchezza privata. La roccaforte ideologica del diritto contrattuale è dunque il principio di libertà contrattuale, informato alla più ampia autonomia privata, il cui corollario più noto è il principio consensualistico.
È compito dell'interprete (sociologo del diritto) accertare se alcuni termini tradizionali (come volontà, negozio, autonomia, ecc.) abbiano ancora la stessa pregnanza che avevano nel diritto romano dal quale derivano, ovvero se tali concetti vadano rivisitati alla luce del nuovo sentire sociale ed economico.
La maggior parte degli studiosi aderisce all'opinione secondo cui tutti i concetti giuridici, pur mantenendo il loro riferimento a valori antichi e tradizionali, vanno attualizzati: l'ambito applicativo del concetto di ordine pubblico oggi non è più lo stesso dei tempi di Cicerone o di Hans Kelsen; stesso discorso è da farsi per i concetti di buona fede, equità, uguaglianza, colpa, diligenza, e via dicendo.