Baldassarre Castiglione (superiori)
La prosa di Baldassarre Castiglione è considerata una delle più alte espressioni del Rinascimento italiano. Soggiornò in molte corti, tra cui quella di Francesco II Gonzaga a Mantova, quella di Guidobaldo da Montefeltro a Urbino e quella di Ludovico il Moro a Milano. Al tempo del sacco di Roma fu nunzio apostolico per papa Clemente VII. La sua opera più famosa è Il Cortegiano, pubblicato a Venezia nel 1528, e ambientato presso la corte d'Urbino, ma scritto solo in seguito al soggiorno in quest'ultima. È la trattazione, in forma dialogata, di quali siano gli atteggiamenti più consoni a un uomo di corte e a una "dama di palazzo", dei quali l'autore riporta raffinate ed equilibrate conversazioni che immagina si tengano durante serate di festa alla corte dei Montefeltro, attorno alla duchessa Elisabetta Gonzaga.
La vita
[modifica]Figlio di Cristoforo Castiglione, uomo d'armi alle dipendenze del marchese Ludovico Gonzaga e di Luigia (Aloisia) Gonzaga. Nato a Casatico, oggi località del comune di Marcaria in provincia di Mantova il 6 dicembre 1478,[1] dal 1490 studia a Milano alla scuola di Giorgio Merula e di Demetrio Calcondila. Nel 1499 torna a Mantova al servizio di Francesco II Gonzaga. Tra il 1504 e il 1513 è alla corte di Urbino, presso Guidobaldo da Montefeltro e Francesco Maria I della Rovere. Nel 1513 è ambasciatore a Roma dove conosce Raffaello. Rientrato a Mantova il 15 ottobre 1516 sposa la nobildonna Ippolita Torelli, dalla quale ha tre figli. Rimasto vedovo nel 1520, si fa prete. Nel 1527 è nominato nunzio apostolico (a quel tempo nunzio pontificio) a Madrid. Dopo il sacco di Roma del 1527, è accusato ingiustamente dal papa di non aver saputo prevedere l'evento. Colpito da attacchi febbrili muore a Toledo l'8 febbraio 1529.
Il Cortegiano
[modifica]Per leggere su Wikisource il testo originale, vedi Il libro del Cortegiano
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Castiglione si occupò soprattutto di politica e diplomazia, ma anche di letteratura. Scrisse l'egloga Tirsi (1506), il prologo alla Calandria dell'amico Bernardo Dovizi da Bibbiena (1513), rime latine e italiche. Ci resta di lui anche un grosso epistolario, di cui ricordiamo l'epistola latina a Enrico VII d'Inghilterra, intitolata De vita et gestis Guidubaldi Urbini ducis.
La sua fama è però legata al Libro del cortegiano, trattato in quattro libri in forma dialogica. Iniziato nel 1413, ebbe diverse stesure: una prima nel 1416, con la dedica al re di Francia; una seconda tra il 1418 e il 1421; una terza tra il 1421 e il 1424, che dopo ulteriori correzioni fu stampata a Venezia nel 1528.[2] Nel signorile ambiente della corte di Urbino si svolgono, in quattro serate, dei dialoghi in cui si disegna l'ideale figura del perfetto cortigiano: nobile di stirpe, vigoroso, esperto delle armi, musico, amante delle arti figurative, capace di comporre versi, arguto nella conversazione. Tutto il suo comportamento doveva dare impressione di grazia e eleganza. Simile a lui la perfetta "dama di palazzo". Entrambi liberi dalle passioni amorose e devoti di quell'amore, da Castiglione stesso sperimentato per Isabella d'Este, che trapassa dalla bellezza fisica alla contemplazione della bellezza morale, che trascende l'umano. Trattato edonistico tendente a ricamare un ideale di vita, nel momento in cui altre erano le regole seguite dai prìncipi sia nella pratica quotidiana che in quella volta alla conquista e all'ampliamento del potere (vedi Machiavelli), nel momento in cui cioè era esclusa qualsiasi possibilità di direttiva o di intervento da parte di altri che non fosse il singolo signore nel disporre della morale e della prassi politica.
Non un trattato solo di comportamento, anche se non mancano echi dei trattati quattrocenteschi del genere, ma stilizzazione di quella società aristocratica che nei fatti si mostrava poi, necessariamente, diversa e contraddittoria. Serve così a comprendere non una realtà d'epoca, ma le aspirazioni di una classe a una vita contraddistinta da un elegante ordine razionale, una idea di bellezza che desse alla vicenda terrena un significato superiore ed eterno. Il trattato ebbe immediata e generale fortuna in Europa e servì da modello anche come prosa. Benché non conforme ai precetti di Pietro Bembo, anche nella prosa si espone infatti nel Cortegiano un ideale di compostezza armoniosa: elevatezza di impianto generale, ricca e fluida, pieghevole a registri diversi di scrittura, tonalità, colore.[2]
Note
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