Accademia dell'Arcadia (superiori)
L'Accademia d'Arcadia, fondata a Roma nel 1690, fu la sede di un peculiare momento letterario all'interno della cultura italiana giunta ormai alla fine del Barocco. Tra i suoi fondatori figurano Giovan Mario Crescimbeni, Vincenzo Leonio, Gian Vincenzo Gravina e Giambattista Felice Zappi. Il nome deriva dal titolo dell'omonimo romanzo in versi di Iacopo Sannazaro (1501), nel quale è rievocato il mondo fittizio della poesia bucolica, suggerendo così il carattere d'evasione della letteratura prodotta dagli arcadici. Tale carattere verrà fieramente avversato dai successivi letterati dell'Età dei Lumi, così come l'ufficialità e il filoclericalismo dell'organizzazione.
Organizzazione dell'Accademia
[modifica]Permane l'abitudine degli intellettuali secenteschi al "travestimento", dimodoché ciascun membro assuma il nome di un pastore della letteratura bucolica greco-latina, il presidente divenga "custode" e la sala di riunione si trasformi nel "Bosco Parrasio"; il protettore è il "Bambin Gesù", oggetto dell'adorazione dei pastori. Il programma ideologico è, di per sé, semplice: si cerca di mettere al bando il disordine e le stravaganza secentesche in nome di una restaurazione del "buon gusto".
I rapporti con la Curia romana e l'importanza culturale dell'Accademia
[modifica]Nel 1711 la stretta vigilanza sull'ortodossia moderata dei membri da parte del primo "custode" portò all'espulsione di uno dei fondatori, Gian Vincenzo Gravina, fautore di un modello poetico ispirato a Omero e a Dante. Di qui in avanti l'Accademia diventa lo strumento tramite il quale la Curia monitora le pericolose aspirazioni dei letterati italiani a un rinnovamento profondo, morale e politico. Ciononostante, questa istituzione resta un elemento positivo di innovazione nella cultura del primo Settecento, per due ordini di motivazioni:
- sociologico: l'Arcadia era comunque diventata una comunità di letterati, aperti in vari gradi all'innovazione; l'istituzione sottrae inoltre i letterati all'ambiente soffocante della corte.
- ideologico-letterario: la ricerca di uno standard poetico comune, che lascia spazio a livello tematico alla rappresentazione erotica e amorosa e alla meditazione storico-civile, fornisce alla generazione successiva (impegnata in più decise battaglie) una lingua poetica "neutra", funzionale anche a esigenze di comunicazione "pratica".
Stile e temi
[modifica]Il modello petrarchesco
[modifica]La prima fase arcadica è all'insegna dell'imitazione petrarchesca, privilegiando il sonetto come strumento espressivo. Petrarca è l'emblema del buon gusto, contrapposto alla stravaganza barocca: il petrarchismo arcadico tratta sentimenti comuni, "medi", attenendosi rigorosamente al vero e al verisimile, diversamente dall'esperienza dei sensi alla ricerca dell'eccezionale e del bizzarro. È evidente anche l'intento moralistico: la poesia deve esplicare sentimenti sani, per poter espletare la sua funzione educativa. Così, la sfera affettiva non viene rifiutata, ma sottoposta a un severo controllo razionale. Per Tommaso Ceva, poeta gesuita precursore dell'Arcadia, definisce la poesia "sogno fatto alla presenza della ragione". Rappresentante del petrarchismo arcadico fu Giambattista Felice Zappi, sebbene ancora risenta del metaforismo barocco.
Autoreferenzialità e poesia d'occasione
[modifica]La produzione lirica dell'Arcadia fu abbondante, ma alla quantità non sempre si accompagnò la qualità. Ciò accadde anche perché molti letterati sceglievano di diventare membri dell'Accademia unicamente per il prestigio e la reputazione che essa garantiva. Attraverso le cosiddette "colonie", peraltro, l'Accademia si diffuse ben presto in tutta Italia. La poesia che vi si produceva era però concepita in funzione di occasioni sociali ben precise, quali nozze, battesimi, cerimonie funebri, prime messe, monacazioni ecc. Tale produzione testimonia l'esistenza di una solida civiltà letteraria radicata nella tradizione umanistico-rinascimentale. Per contro, temi e moduli continuamente ripetuti assumono un carattere stereotipato: più che creazione, la poesia arcadica si configura come riproposizione e ricombinazione del già noto. La diffusione delle opere, poi, restava all'interno del circuito accademico, rendendo ancora più evidente la reclusione del letterato in una turris eburnea estranea alla società. Ciò portava inevitabilmente a una poesia autoreferenziale e piuttosto sterile.
Il tema pastorale e la "canzonetta"
[modifica]Il tema prediletto, come si è detto, è quello pastorale, già caro al Rinascimento (l'Arcadia è la mitica regione cantata dai poeti bucolici antichi). Nel mondo pastorale gli arcadi proiettano il vagheggiamento di una vita ideale, fuori dalla realtà storica, dove la semplicità della natura e l'eros galante dominano. Questa dimensione idilliaca prelude al mito settecentesco dell'uomo allo stato di natura, non ancora contaminato nei più puri sentimenti dalla civiltà e dal suo progresso tecnico e scientifico. Questo mito bucolico porta a privilegiare l'effusione sentimentale ed elegiaca, espressa in scorrevoli e cantabili forme musicali. La forma "melica" (da mélos, canto) si esprime nella preponderanza della "canzonetta", odicina composta da settenari e ottonari, emblema della sensibilità primo-settecentesca. La musicalità del verso raggiunge esiti formali importanti con Pietro Metastasio e con Paolo Rolli.
Il verso sciolto e le anticipazioni neoclassiche
[modifica]Dopo il sonetto e la canzonetta si afferma, con Carlo Innocenzo Frugoni, il verso sciolto, un verso dalla facile musicalità e adatto a spaziare attraverso gli argomenti più vari, sempre nel segno del gusto "medio" proprio della razionalità arcadica. Per tutto il secondo Settecento la produzione melica continuò il proprio sviluppo: esemplare ne è Ludovico Savioli che, sulla scorta dei poeti erotici latini, negli Amori ritrae la società aristocratica nei suoi rituali caratteristici (il risveglio della dama, la toeletta, il passeggio, il teatro, gli amori, le infedeltà...). Queste atmosfere costituiscono una prima manifestazione del gusto neoclassico e sono fortemente influenzate dall'arte di Pompei, allora molto di moda grazie agli scavi archeologici.
Altre tendenze
[modifica]Un posto a parte spetta a Giovanni Meli, a causa della freschezza e del vigore della sua lingua, nata dall'incontro del rifinito lessico arcadico con il dialetto siciliano; vi è, inoltre, una sensibilità per la natura non estranea alle posizioni idealizzatrici di Rousseau. Un'altra tendenza è rappresentata dalle Visioni di Alfonso Varano, cupe e lugubri, ispirate alla Commedia di Dante, ispiratrici poi di Monti e Leopardi giovane. Continuatore della poetica arcadica in pieno Ottocento fu, infine, Iacopo Vittorelli.